Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il fondo interbancario nel caso Tercas e la tutela del risparmio: mandato pubblico o privato? (di Camilla Buzzacchi)


SENTENZA DEL TRIBUNALE DELL’UNIONE EUROPEA

(Terza Sezione ampliata)

19 marzo 2019

cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16,

ITALIA E A. / COMMISSIONE

Nelle presenti cause, i ricorrenti, sostenuti dalla Banca d’Italia, affermano che la Commissione ha erroneamente ritenuto, nella decisione impugnata, che le risorse impiegate dal FITD fossero «risorse statali». Pertanto, la Commissione non potrebbe asserire che il FITD agisca in virtù di un mandato pubblico quando esso interviene a favore di uno dei suoi membri in difficoltà e non in virtù della garanzia legale dei depositi dei depositanti. Analogamente, si dovrebbe tener conto del fatto che il FITD è un consorzio di diritto privato, i cui organi rappresentano i suoi membri e non i pubblici poteri. Benché un rappresentante della Banca d’Italia assista a talune riunioni degli organi del FITD, ciò avverrebbe solamente in veste di osservatore e senza diritto di voto o ruolo consultivo. Nessuna autorità pubblica avrebbe potuto imporre al FITD di decidere l’intervento o di prescriverne le modalità. Parimenti, benché il commissario straordinario, che è subentrato ai dirigenti di Tercas, abbia chiesto al FITD di intervenire, lo avrebbe fatto nell’interesse di tale impresa e dei suoi creditori e senza poter vincolare il FITD. Inoltre, l’autorizza­zione dell’intervento da parte della Banca d’Italia si inserirebbe nel contesto delle sue ordinarie funzioni di tutela della stabilità e del risparmio. Si tratterebbe di una misura di ratifica limitato a un controllo formale a posteriori di un atto di natura privata. Inoltre, i contributi dei membri relativi all’intervento non sarebbero né imposti, né controllati, né a disposizione dello Stato. Benché i membri del consorzio siano obbligati a contribuire al rimborso dei depositi, nessuna norma o atto amministrativo imporrebbe loro di contribuire all’intervento. Il carattere obbligatorio di tali contributi discende solamente dallo statuto e dalle decisioni del FITD. (...)

Nelle presenti cause, non emerge dal fascicolo che l’autorizzazione dell’intervento del FITD a favore Tercas abbia dato luogo a qualcosa di diverso da un controllo formale di regolarità da parte della Banca d’Italia. Nella fattispecie, tale autorizzazione, così come i diversi atti che l’hanno preceduta, a partire dall’omologazione del FITD come uno dei sistemi di garanzia dei depositi riconosciuti in Italia, non possono essere assimilati, sia singolarmente sia nel loro complesso, a misure che consentano di dimostrare che lo Stato fosse in grado di orientare l’utilizzo delle risorse del FITD per finanziare l’intervento mediante l’esercizio di un’influenza dominante su tale consorzio.

Infatti, l’intervento del FITD a favore di Tercas trae origine da una proposta presentata inizialmente da BPB e ripresa successivamente, nel suo interesse, da Tercas. Inoltre, tale intervento, che realizza l’obiettivo del consorzio, corrisponde altresì all’interesse dei suoi membri.

In un siffatto contesto, i vari meccanismi previsti dalla normativa italiana per evitare che un intervento di questo tipo perturbi il settore bancario o minacci la realizzazione del mandato pubblico affidato al FITD, in questo caso, non hanno fatto altro, sul piano generale, che avallare la possibilità riconosciuta al FITD dal suo statuto di intervenire a favore di uno dei suoi membri stanziando le proprie risorse e, più specificamente, autorizzare l’intervento del FITD a favore di Tercas conforme­mente all’interesse di BPB, di Tercas e di tutti gli altri membri del consorzio. In nessun momento la Commissione è stata in grado di dimostrare che la Banca d’I­talia, attraverso il suo controllo formale di regolarità, abbia cercato d’indirizzare le risorse private messe a disposizione del FITD.

L’intervento del FITD a favore di Tercas era quindi non solo nell’interesse di BPB e di Tercas, ma anche nell’interesse di tutti i suoi membri, dal momento che questi ultimi rischiavano di dover spendere somme superiori rispetto a quelle necessarie per consentire a BPB di rilevare Tercas. (...)

Da quanto precede emerge che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato, nella decisione impugnata, che le risorse di cui trattasi fossero controllate dalle autorità pubbliche italiane e che esse fossero di conseguenza a disposizione di queste ultime. La Commissione non poteva quindi concludere che, nonostante il fatto che l’intervento del FITD a favore di Tercas sia stato effettuato in conformità allo statuto di tale consorzio e nell’interesse dei suoi membri, utilizzan­do fondi esclusivamente privati, sarebbero in realtà le autorità pubbliche che, attraverso l’esercizio di un’influenza dominante sul FITD, avrebbero deciso di indirizzare l’uso di tali risorse per finanziare un siffatto intervento».

   

SOMMARIO:

1. Premessa: la complessità degli interessi sullo sfondo della sen­tenza Tercas del 19 marzo 2019 - 2. La controversia tra Italia e Commissione: gli elementi del caso contestato - 3. La valutazione del finanziamento dell’aiuto mediante 'risorse statali' - 4. La valutazione dell'imputabilità allo Stato e del mandato pubblico - 5. Il concorso dei soggetti privati alla stabilità finanziaria: l'obiet­tivo della tutela del risparmio - NOTE


1. Premessa: la complessità degli interessi sullo sfondo della sen­tenza Tercas del 19 marzo 2019

Gli interventi degli Stati a favore di istituti di credito in situazioni deteriorate hanno caratterizzato l’attuale decennio sulla scena europea, sollevando numerose questioni rilevanti rispetto a molteplici discipline – dell’Unione e nazionali – e ciò attesta la criticità della tematica [1]: il quadro è stato poi reso più complesso dalle azioni dei sistemi di garanzia costituiti ad opera delle aziende di credito per tutelare i depositi, e proprio da un sostegno effettuato da un sog­getto di questa tipologia è scaturito un rapporto controverso tra la Commissione europea e l’Italia. Tale rapporto controverso è stato recentemente definito dalla sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 19 marzo 2019: la decisione è stata adottata in relazione alle cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16, scaturite dai ricorsi presentati dalla Repubblica italiana (causa T-98/16), dalla Banca Popolare di Bari (causa T-196/16) e dal consorzio di diritto privato italiano Fondo interbancario di tutela dei depositi (causa T-198/16) nei confronti della decisione (UE) 2016/1208 della Commissione [2], e rappresenta un passaggio di significativa portata in un panorama che sembra ancora alla ricerca di solidi riferimenti e di orizzonti condivisi tra Stati membri e Commissione. La sentenza si muove tra tematiche cruciali per il diritto europeo – quali la disciplina degli aiuti di Stato, l’indipendenza dei regolatori, la normativa sui salvataggi delle aziende di credito, la tutela del risparmio – e nell’evidenziare l’errato percorso argomentativo alla base di un provvedimento della Commissione, che ha prodotto effetti piuttosto nocivi per i risparmiatori italiani, dimostra come il quadro delle scelte pubbliche in materia non sia ancora assestato e come da ciò non possano che scaturire conseguenze inopportune. La decisione della Commissione che è stata impugnata è relativa ad una misura di sostegno finanziario – oggetto del caso SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN) – a favore della Cassa di risparmio della Provincia di Teramo Banca (Tercas), che è stata qualificata aiuto di Stato: con essa la Commissione europea ha ritenuto che l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) a favore della Cassa di risparmio abruzzese costituisse un aiuto di Stato illegittimo e incompatibile. Tale intervento [continua ..]


2. La controversia tra Italia e Commissione: gli elementi del caso contestato

È opportuno anzitutto inquadrare i soggetti coinvolti nel caso che ha dato origine alla decisione della Commissione, per comprendere con quali prerogative questi agivano e quali obiettivi stavano perseguendo nello scenario rispetto al quale è maturata l’ipotesi che si stesse compiendo una violazione della concorrenza ad opera di un intervento finanziario di carattere pubblico. Banca Tercas, istituto a capitale privato operante principalmente nella regione Abruzzo, e Banca Popolare di Bari, società capogruppo di un gruppo bancario a capitale privato attivo principalmente nell’Italia meridionale, sono i due attori del comparto creditizio attorno ai quali è sorta la vicenda sottoposta all’esame della Commissione. Ulteriori soggetti che hanno inciso sugli eventi verificatisi sono il Fondo interbancario di tutela dei depositi – consorzio di diritto privato tra banche – e la Banca d’Italia, preposta alla vigilanza del settore: sulla natura di questi si sofferma la pronuncia del Tribunale, in funzione di una riconduzione corretta del loro operato alla sfera privata o pubblica dei rapporti giuridici. Del Fondo interbancario si osserva che è un consorzio di diritto privato tra banche, la cui costituzione è stata effettuata su base volontaria nel 1987: persegue obiettivi di tipo mutualistico connessi agli interessi comuni dei consociati e, nello specifico, è chiamato a garantire i depositi dei suoi membri. A partire dal 1996, per effetto del d.lgs. n. 659, che ha integrato il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, d.lgs. n. 385/1993, il Fondo è titolato a fornire garanzia dei depositi autorizzati a operare in Italia: ciò in virtù del recepimento nel diritto italiano della direttiva 94/19/CE del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi [3], per effetto della quale la Banca d’Italia ha accordato un espresso riconoscimento al Fondo [4]. L’art. 27 del suo statuto prevede perciò che, in caso di liquidazione coatta amministrativa di uno dei suoi membri, il Fondo possa rimborsare i depositi dei depositanti entro il limite di EUR 100 000 per depositante: si tratta di interventi che possono essere tanto di carattere obbligatorio – tra questi la garanzia dei depositi dei depositanti – quanto volontario, con erogazioni idonee a ridurre gli oneri che possono risultare dalla garanzia dei [continua ..]


3. La valutazione del finanziamento dell’aiuto mediante 'risorse statali'

Tre sono fondamentalmente i profili di illegittimità della decisione della Commissione del 2016 a cui le parti ricorrenti ricorrono per contestarla: l’impu­tabilità dell’aiuto allo Stato; il vantaggio selettivo concesso dall’aiuto; e infine l’incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno. La peculiarità della decisione è che al giudice europeo è sufficiente il primo motivo per mostrare l’errata argomentazione alla base del provvedimento della Commissione: una volta dimostrata la non imputabilità allo Stato del sostegno finanziario e la natura privata delle risorse impiegate, il Tribunale è in grado di annullare la decisione della Commissione, senza doversi occupare degli ulteriori due profili di illegittimità; e così facendo non vi sono spazi per una vera riflessione sulla concorrenza. Ciò fa sì che da un punto di vista del diritto europeo la pronuncia non presenti caratteri di particolare innovazione, limitandosi a sviluppare un ragionamento che si muove all’interno dei criteri di base per riconoscere la sussistenza di misure pubbliche distorsive della competizione. Ma dal punto di vista del diritto interno la pronuncia appare di valore, non solo perché dimostra la correttezza dei comportamenti e delle determi­nazioni delle diverse istituzioni italiane – della Banca d’Italia e dello Stato, come soggetto a cui la responsabilità dell’eventuale aiuto è riconducibile – ma anche perché consente una valorizzazione del principio costituzionale della protezione del risparmio. Il primo argomento che il Tribunale si trova ad affrontare riguarda il criterio di aiuti «concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali» ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE: detto altrimenti, la nozione di risorse statali appare centrale, in tutti i ricorsi, per dimostrare la fallacia del ragionamento seguito dalla Commissione. Il Tribunale coglie perciò l’occasione per ripercorrere una giurisprudenza che si è ampiamente occupata della categoria di «aiuto concesso da uno Stato». La costante giurisprudenza ha qualificato come «aiuto di Stato» quelle misure che sono adottate al ricorrere di quattro condizioni: che sussista un intervento dello Stato o mediante risorse statali; che tale intervento possa incidere sugli scambi [continua ..]


4. La valutazione dell'imputabilità allo Stato e del mandato pubblico

Distinta dalla precedente è la questione della riconducibilità dell’intento alla volontà dello Stato, ed il ragionamento seguito dal Tribunale si presenta nettamente differente rispetto alle argomentazioni su cui si è fondata la decisione della Commissione [10]. L’imputabilità di una misura allo Stato richiede la verifica della circostanza dell’effettivo coinvolgimento delle autorità pubbliche nell’adozione della misura contestata. Ampia è la giurisprudenza che ha chiarito l’imputabilità con riferimento ad un’impresa pubblica: essa può essere dedotta da un insieme d’indizi e dal contesto tale per cui l’organismo non poteva adottare la decisione senza tener conto delle esigenze dei pubblici poteri o delle direttive impartite da un comitato interministeriale per la programmazione economica; ancora, può essere dedotta dall’integrazione di tale impresa nelle strutture dell’amministra­zione pubblica, dalla natura delle sue attività e dall’esercizio di queste sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati [11]. In tale prospettiva, la forma di società di capitali di diritto comune non può essere considerato elemento sufficiente per escludere la natura pubblica di un’im­presa, e dunque che un provvedimento di aiuto adottato da una società di questo tipo sia imputabile allo Stato. Per stabilire se un provvedimento di aiuto adottato da un ente privato sia imputabile allo Stato, è vero dunque che la forma giuridica non consente di per sé di escludere tale circostanza: ma la questione è ben più complessa e comporta che la Commissione si adoperi per dimostrare, in modo giuridicamente adeguato, il coinvolgimento dello Stato nella concessione di un vantaggio. In considerazione dell’autonomia sul piano decisionale di cui gode un ente privato, il Tribunale pretende che la Commissione fornisca elementi probanti per dimostrare il controllo o l’influenza che lo Stato è in grado di esercitare nei suoi confronti [12]. Analogamente al precedente profilo, quello dell’esistenza di risorse pubbliche, anche per valutare questo secondo aspetto dell’imputabilità della misura allo Stato il fattore determinante è il grado di intervento delle autorità pubbliche nella definizione delle [continua ..]


5. Il concorso dei soggetti privati alla stabilità finanziaria: l'obiet­tivo della tutela del risparmio

Risulta pertanto evidente come nella sentenza del Tribunale non venga in alcun modo toccata la questione di una possibile compressione del bene della concorrenza, che invece nella decisione della Commissione, ora annullata, appariva centrale e in forte tensione con il valore promosso dall’intervento finanziario sottoposto a controllo: il valore della stabilità finanziaria [16], che il sostegno fornito dal Fondo interbancario aveva inteso preservare. A fronte delle decisioni relative a varie politiche europee degli ultimi anni, la dottrina già aveva evidenziato come la stabilità finanziaria e la politica di concorrenza si pongano astrattamente in contrasto, e come difficilmente si prestino ad essere ricondotte ad unità [17]: il perseguimento di obiettivi di stabilità spesso rende molto meno realizzabile il conseguimento di obiettivi di concorrenza, e viceversa. E del resto la Commissione ha preso posizioni originali [18] rispetto al passato per fronteggiare la crisi economico-finanziaria in corso da più di un decennio, ma questo mutamento sul piano giuridico è sintomo di un cambiamento più profondo, e cioè quello che riguarda la concezione della politica in esame – quella per la concorrenza, se «politica» può definirsi – e del suo ruolo tra le altre politiche. Per focalizzare questo passaggio occorre comprendere come la Com­missione – evidentemente su pressione del Consiglio europeo – abbia riconsiderato le minacce al sistema economico dell’Unione, e di conseguenza abbia avallato il rifinanziamento a favore di quel settore dal quale l’apparato produttivo nel suo complesso trae sostentamento e dipende: quello del credito [19]. La sofferenza del settore bancario è stata considerata come una minaccia per il sistema economico nella sua interezza e pertanto, sulla base di tali presupposti, l’ese­cutivo comunitario ha avviato un indirizzo decisionale assolutamente innovativo rispetto al passato [20], determinato ad ac­cogliere le richieste degli Stati e a seguire una linea di forte accondiscendenza. La gestione delle crisi bancarie da parte degli Stati è stata poi armonizzata con l’adozione della direttiva 2014/59/ UE, che ha voluto evitare che le loro iniziative compromettessero la stabilità finanziaria «ora più che mai valore di evidente interesse [continua ..]


NOTE