Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Sull´efficacia retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia alla luce del caso Lexitor (di Diletta Aliotta, Avvocato del Foro di Roma)


L’articolo muove dall’analisi della giurisprudenza di merito successiva alla sentenza Lexitor e alla conseguente modifica dell’art. 125-sexies del Testo Unico Bancario (TUB), per esaminare gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia negli ordinamenti nazionali. In particolare, i contrasti interpretativi e giurisprudenziali generati dalla vicenda Lexitor inducono ad interrogarsi circa i rapporti tra diritto europeo e diritto nazionale, la possibilità di limitare l’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte di Giustizia nell’ordinamento nazionale e la validità della soluzione adottata dal legislatore italiano.

Parole chiave: Lexitor – Corte di Giustizia – sentenze interpretative – efficacia retroattiva.

On the retroactive effectiveness of the interpretative judgments of the Court of Justice in the light of the Lexitor case

The article examines the Italian case-law following the Lexitor judgment and the consequent amendment of article 125-sexies of the Italian Consolidated Law on Banking (TUB), to determine the effects of the judgments of the Court of Justice in national legal systems. In particular, the interpretative and jurisprudential contrasts generated by the Lexitor case lead to questioning about the relationship between European and national law, the possibility of limiting the retroactive effectiveness of the judgments of the Court of Justice in a national legal system and the validity of the solution adopted by the Italian legislator.

Keywords: Lexitor – European Court of Justice – interpretative judgments – retroactive effectiveness.

SOMMARIO:

1. Premessa: la sentenza Lexitor e l’art. 125-sexies TUB (vecchio e nuovo testo) - 2. La giurisprudenza italiana successiva all’introduzione del nuovo art. 125-sexies TUB - 3. L’efficacia retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia - 4. L’efficacia e l’attuazione delle direttive europee nell’ordinamen­to nazionale - a) Principio di interpretazione conforme e divieto di interpretazione contra legem - b) Disapplicazione della norma interna a favore della norma europea - c) Il principio di leale cooperazione - 5. Sull’applicazione dei citati principi nella vicenda Lexitor - a) Interpretazione conforme della normativa nazionale - b) Disapplicazione della norma italiana: l’assenza di efficacia diretta dell’art. 16 CCD - c) La tutela del legittimo affidamento - 6. L’efficacia pro futuro del nuovo art. 125-sexies TUB e la sua legittimità alla luce dei principi generali di diritto europeo - 7. La responsabilità dello Stato Italiano per l’erronea e/o tardiva attuazione dell’art. 16 CCD - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa: la sentenza Lexitor e l’art. 125-sexies TUB (vecchio e nuovo testo)

Il presente contributo si propone di verificare la portata retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, alla luce dell’ormai nota sentenza Lexitor [1]. Con tale pronuncia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha fornito l’interpretazione dell’art. 16, Direttiva 2008/48 (c.d. Consumer Credit Directive o CCD), che disciplina le ipotesi di scioglimento anticipato del rapporto contrattuale da parte del consumatore o del creditore e, in particolare, di rimborso anticipato del finanziamento da parte del consumatore. Specificamente, l’art. 16 CCD prevede che il consumatore abbia il diritto di adempiere in qualsiasi momento gli obblighi che derivano dal contratto. In tal caso, come recita l’art. 16, paragrafo 1, il consumatore «ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto». Nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia con la sentenza Lexitor, ciò implica la restituzione di tutti i costi del finanziamento, senza distinzione tra quelli costituenti corrispettivo di prestazioni già rese dall’inter­mediario al cliente (c.d. costi up-front) e quelli anticipatamente sostenuti dal cliente per prestazioni non ancora godute dallo stesso (c.d. costi recurring). Nell’ordinamento italiano, il recepimento di questa norma è avvenuto tramite il d.lgs. n. 141/2010, che ha introdotto delle modifiche al Testo Unico Bancario (TUB), sostituendo completamente il capo II del Libro VI (artt. 121 ss.). In particolare, l’art. 16 CCD è stato trasposto nell’art. 125-sexies TUB. Le autorità italiane hanno interpretato l’art. 125-sexies TUB nel senso che il consumatore, in caso di rimborso anticipato, avrebbe avuto diritto alla restituzione dei soli costi recurring, e non anche dei costi up-front [2]. Invero, questa interpretazione era comune alla Banca d’Italia, all’ABF e ai giudici di merito [3]. Ebbene, la sentenza Lexitor ha indotto a mettere in discussione la conformità dell’art. 125-sexies TUB rispetto all’art. 16 CCD, e ha reso palese la contrarietà della soluzione applicativa adottata dalle autorità italiane rispetto alla direttiva europea. Per porre rimedio a tale difformità tra diritto nazionale e diritto europeo, il legislatore italiano ha provveduto [continua ..]


2. La giurisprudenza italiana successiva all’introduzione del nuovo art. 125-sexies TUB

Le prime sentenze di merito successive all’introduzione del nuovo art. 125-sexies TUB evocano il rischio di un attrito tra il descritto intervento normativo e il diritto dell’Unione europea. Al riguardo, appaiono particolarmente significative due pronunce: la sentenza del Tribunale di Savona del 15 settembre 2021, n. 680, e la sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 23 settembre 2021 [4]. Con la prima è stato deciso un caso di restituzione dei costi per rimborso anticipato di un finanziamento erogato nel 2013, facendo applicazione del nuovo art. 125-sexies TUB. In particolare, il Tribunale di Savona ha confermato la sentenza di condanna in primo grado dell’istituto mutuante alla restituzione di tutti i costi del finanziamento, e ha motivato la decisione osservando che non ci sarebbe alcuna sostanziale differenza tra il vecchio art. 125-sexies, comma 1, TUB, e il nuovo. Ciò in quanto già il vecchio art. 125-sexies TUB avrebbe riprodotto fedelmente la formulazione dell’art. 16 CCD e, pertanto, avrebbe dovuto essere interpretato ab origine nel senso chiarito dalla Corte di Giustizia con la sentenza Lexitor. Secondo il Tribunale, dunque, la nuova norma si limita ad esplicitare quanto era già desumibile dalla formulazione precedente. Ne consegue che la previsione di irretroattività della novella, di cui al citato art. 11-octies, comma 2, non potrebbe ritenersi riferita anche al­l’art. 125-sexies, comma 1, ma solo ai commi 2 e 3, ossia gli unici effettivamente dotati di portata innovativa rispetto alla disciplina previgente. Infatti, ritenere irretroattivo anche il comma 1 equivarrebbe – secondo il Tribunale – a violare il diritto dell’Unione. Se fosse questo il senso dell’art. 11-octies, dunque, il giudice italiano dovrebbe procedere alla sua parziale disapplicazione per eliminare la violazione. Con la sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 23 settembre 2021 è stato deciso un caso di restituzione dei costi per rimborso anticipato di un finanziamento erogato nel 2014. Anche in questo caso, il Giudice ha condannato l’istituto mutuante alla restituzione di tutti i costi, in considerazione dell’effica­cia retroattiva della Lexitor (al pari di tutte le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, salva diversa previsione della Corte stessa). Peraltro, anche in questo caso il Giudice ha ritenuto che la formulazione del vecchio art. [continua ..]


3. L’efficacia retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia

Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia hanno, di regola, efficacia retroattiva. Infatti, esse hanno valore dichiarativo, vale a dire accertano il significato da attribuire ad una norma fin dalla sua entrata in vigore. In principio, dunque, queste sentenze producono i loro effetti anche sui rapporti posti in essere prima della loro emanazione [6]. Tuttavia, la Corte di Giustizia si è riservata il potere di limitare nel tempo la portata delle proprie pronunce, attribuendo alle stesse efficacia ex nunc. Trattasi di un potere non espressamente attribuito dai Trattati con riferimento alle questioni di interpretazione, ma contemplato solo rispetto ai giudizi sulla validità di atti europei. Infatti, l’art. 264, par. 2, TFUE stabilisce che la Corte può, «ove lo reputi necessario», precisare quali effetti dell’atto annullato debbano considerarsi definitivi. In ogni caso, il potere di limitare gli effetti temporali delle proprie pronunce è fondamentale per assicurare un equilibrio tra contrapposte esigenze: tutela giurisdizionale effettiva dei diritti violati in seguito all’erronea applicazione del diritto europeo, da un lato, e tutela del legittimo affidamento circa l’esistenza e la validità di un certo assetto normativo, dall’altro lato. Ciononostante, questo potere è esercitato dalla Corte in via assolutamente eccezionale. Innanzitutto, si osserva che la Corte decide di regola nella medesima sentenza che interpreta la norma, e non in sentenze successive [7]. Ciò in quanto è necessario, per ragioni di tutela della certezza del diritto e per evitare disparità di trattamento tra gli Stati membri, che vi sia un’unica occasione in cui la Corte si pronuncia sulla questione dell’efficacia temporale dell’interpretazione fornita [8]. Inoltre, da un esame della giurisprudenza della Corte emerge che essa normalmente non esercita tale potere d’ufficio, ma solo se le viene espressamente richiesto di valutarne l’opportunità, alternativamente, in sede di formulazione della questione pregiudiziale ovvero nel corso del giudizio (tramite osservazioni scritte o oralmente in udienza [9]). Non a caso, come chiarito da attenta dottrina, l’onere della prova della ricorrenza delle condizioni necessarie per ottenere la limitazione grava sulla parte che ne fa richiesta [10]. D’altra parte, [continua ..]


4. L’efficacia e l’attuazione delle direttive europee nell’ordinamen­to nazionale

Dalle argomentazioni sopra svolte emerge che, se la Corte non si esprime in ordine all’efficacia nel tempo della propria pronuncia (come nel caso Lexitor) alla stessa dovrebbe riconoscersi efficacia ex tunc. Ciononostante, ci si propone di verificare se l’applicazione retroattiva della sentenza sia sempre coerente e compatibile rispetto ai principi fondamentali che governano i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, che pure devono essere rispettati. In dottrina, infatti, non sono mancate voci tese a distinguere tra efficacia erga omnes delle sentenze della Corte e loro recepimento nel diritto interno [19]. Sotto altro profilo, il problema dell’applicazione della sentenza Lexitor è intimamente legato alla questione dei limiti di efficacia e applicabilità dell’art. 16 CCD, il quale è contenuto in una direttiva, e dunque in una fonte tradizionalmente priva del carattere di applicabilità diretta negli ordinamenti nazionali. Al riguardo, attenta dottrina ha altresì evidenziato come le pronunce della Corte di Giustizia possono avere efficacia diretta negli Stati membri solo nella misura in cui le disposizioni oggetto di interpretazione siano direttamente efficaci [20]. Tanto premesso, il giudice nazionale dovrà, in principio, dare attuazione all’art. 16 CCD applicando taluni principi fondamentali che costituiscono corollari del generale principio di leale cooperazione tra Unione europea e Stati membri. I principi fondamentali cui ci si riferisce – e che costituiscono il parametro della valutazione ivi svolta – sono il principio di interpretazione conforme e di disapplicazione.


a) Principio di interpretazione conforme e divieto di interpretazione contra legem

In base al principio di leale cooperazione, di cui all’art. 4, par. 3, TUE, gli Stati membri devono sforzarsi in ogni modo di recepire il diritto europeo, innanzitutto mediante un’interpretazione delle norme interne che sia in linea con le norme sovranazionali [21]. Il nesso tra obbligo di interpretazione conforme e principio di leale cooperazione è stato evocato dalla Corte a partire dalla sentenza Wagner Miret [22], mentre con riferimento alle direttive l’obbligo è stato enunciato nella sentenza Von Colson [23]. Tuttavia, l’obbligo di interpretazione conforme conosce taluni limiti [24]. In primis, non può giungere fino al punto di imporre al singolo un obbligo previsto da una direttiva non trasposta. In quel caso, infatti, non si avrebbe più differenza tra efficacia diretta ed indiretta delle norme europee [25]. Inoltre, l’obbligo non può determinare un’interpretazione contra legem del diritto interno. A tal proposito, la Corte di Giustizia ha riconosciuto l’esistenza di un limite all’obbli­go di interpretazione conforme nell’inequivocabile contrarietà della norma interna al diritto dell’Unione. Infatti, il dovere di interpretazione conforme presuppone che sia possibile attribuire alla norma interna una varietà di significati, tra i quali l’interprete è chiamato a privilegiare quello conforme al diritto europeo [26]. Un ulteriore limite è dato dalla necessità di rispettare i principi generali che fanno parte del diritto dell’Unione, quali quelli della certezza del diritto e dell’irretroattività, come chiarito dalla Corte di Giustizia [27].


b) Disapplicazione della norma interna a favore della norma europea

Il dovere di disapplicazione costituisce un ulteriore corollario del principio di leale cooperazione. Tuttavia, la disapplicazione della norma interna presuppone che la norma europea sia dotata di efficacia ed applicabilità diretta negli ordinamenti nazionali [28], come tipicamente avviene nel caso di un regolamento. Con riferimento alle direttive, invece, l’applicabilità diretta è esclusa, e si può parlare di efficacia diretta ed immediata solo in termini di capacità di produrre effetti giuridici negli ordinamenti interni in mancanza di misure nazionali di attuazione (o in presenza di erronea attuazione), purché ricorrano i presupposti individuati dalla giurisprudenza europea [29]. In particolare, è necessario che sia scaduto il termine concesso allo Stato per l’attuazione della direttiva, e che la stessa crei diritti a favore dei singoli, di contenuto sufficientemente preciso ed incondizionato (come nel caso delle direttive c.d. self-executing o dettagliate) [30]. Pur in questi casi, tuttavia, l’efficacia diretta della direttiva è limitata ai rapporti c.d. verticali, ossia a situazioni in cui la norma della direttiva sia invocata da un soggetto privato nei confronti di un soggetto pubblico, ovvero un soggetto privato investito di funzioni pubblicistiche [31] (il tal senso, l’efficacia diretta ha altresì la funzione di sanzionare lo Stato, inadempiente all’obbligo di attuazione del diritto europeo) [32]. Al riguardo, si ricorda che il concetto di soggetto pubblico, nei cui confronti può operare l’efficacia diretta nell’ambito dei rapporti c.d. verticali, è inteso in un’accezione lata. Infatti, la Corte ha via via ampliato il concetto di Stato come destinatario dell’obbligo di osservare la direttiva, includendo non solo la pubblica amministrazione [33] e gli enti locali [34], ma anche società nel cui capitale lo Stato ha o ha avuto una quota significativa in grado di influenzarne le decisioni o, addirittura, imprese private incaricate di servizi pubblici con poteri derogatori rispetto al regime generale [35]. Viceversa, l’effetto diretto è escluso nei rapporti tra privati, c.d. rapporti orizzontali [36], per quanto un effetto diretto possa prodursi nei rapporti trilaterali (c.d. effetti incidentali e triangolari), allorché l’esercizio del diritto [continua ..]


c) Il principio di leale cooperazione

Si è detto che entrambi i principi sopra esaminati costituiscono corollari del principio di leale cooperazione tra Unione e Stati, enunciato dall’art. 4, par. 3, TUE, secondo cui Unione e Stati sono chiamati a rispettarsi ed assistersi reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati. In attuazione del principio, i rapporti tra gli ordinamenti implicano reciproca collaborazione [39], integrazione e contaminazione [40]. Il contrappeso dell’integrazione è poi rappresentato dalla tutela dell’identità nazionale di ciascuno Stato membro, di cui all’art. 4, par. 2, TUE [41]. Questa norma riflette il pluralismo “costituzionale” (o identitario) che si riscontra all’in­terno dell’Unione Europea, e, in combinato disposto con il principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, assicura un pacifico confronto tra i diversi ordinamenti. Così, le autorità nazionali sono chiamate non solo a garantire l’attuazione della normativa europea, ma anche a facilitare all’Unione europea l’assolvimento dei propri compiti [42]. Si delinea, dunque, un concetto di fondamentale importanza: l’obbligo di leale cooperazione implica un riparto di competenze tra Unione europea e Stato membro, secondo cui l’Unione ha il compito di creare una cornice comune, mentre il singolo Stato ha l’obbligo di calare la disciplina europea nel concreto contesto nazionale [43]. Questo confronto ha condotto all’accoglimento di principi costituzionali a livello europeo, e viceversa [44], cosicché i principi costituzionali comuni ai vari Stati sono ormai, in gran parte, principi fondamentali dello stesso ordinamento europeo, ed è lecito supporre che gli stessi verranno garantiti a livello sovranazionale. In ogni caso, poi, il singolo Stato potrà (rectius, dovrà) tenerne conto nel momento in cui procede al recepimento di una disposizione europea, in quanto fonti del diritto europeo gerarchicamente sovraordinate. Nel progressivo sviluppo del concetto di leale cooperazione, la Corte di Giustizia ha altresì valorizzato il collegamento tra questo ed il principio di “buona fede”, stabilendo che, in considerazione del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri devono collaborare in buona fede per superare eventuali difficoltà di attuazione [continua ..]


5. Sull’applicazione dei citati principi nella vicenda Lexitor

In considerazione dell’analisi che precede, ci si propone ora di verificare quali conseguenze produrrebbe un’applicazione dei citati principi generali nella vicenda Lexitor.


a) Interpretazione conforme della normativa nazionale

Sul presupposto che la sentenza Lexitor abbia efficacia retroattiva, il giudice nazionale era (ed è) innanzitutto chiamato ad interpretare la normativa interna (art. 125-sexies TUB) in senso conforme all’art. 16 CCD. Nel far ciò, si dovrà verificare se l’art. 125-sexies TUB si presti, effettivamente, a diverse interpretazioni, e se tra queste ve ne sia una conforme all’art. 16 CCD, nel senso chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor. Ebbene, per quanto concerne il testo originario, vi era una differenza letterale tra le due norme. In particolare, l’art. 16 CCD (nella versione italiana) contempla il «diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto», mentre l’ori­ginario art. 125-sexies TUB prevedeva il «diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto». In particolare, l’utilizzo, nella norma italiana, della locuzione «pari a» ha indotto le competenti autorità e la giurisprudenza a interpretare la norma nel senso che il rimborso fosse limitato alle sole voci di costo e­spressamente contemplate. Invero, l’art. 16 CCD, utilizzando l’espressione «comprende», avrebbe potuto indurre a ritenere che l’elencazione compiuta dalla norma non fosse esaustiva, ma potesse implicitamente riferirsi anche a voci di costo non espressamente menzionate. Tuttavia, questa differenza non è stata valorizzata, e la distinzione tra costi up-front e costi recurring è stata avallata dalla Banca d’Italia [54], dall’Arbitro Bancario Finanziario [55] e dai giudici di merito [56]. In questo modo, nell’ordinamento italiano si è consolidato un o­rientamento condiviso sul significato dell’art. 125-sexies TUB. Dunque, delle due l’una: o le autorità italiane hanno reso l’unica interpretazione possibile della norma, oppure la norma si prestava a diverse interpretazioni, ma le autorità italiane ne hanno adottata una non conforme al diritto europeo. Invero, anche dopo la sentenza Lexitor le autorità italiane hanno manifestato dubbi sulla possibilità di interpretazione conforme. Al riguardo, il Collegio di Coordinamento, con decisione dell’11 dicembre [continua ..]


b) Disapplicazione della norma italiana: l’assenza di efficacia diretta dell’art. 16 CCD

Com’è noto, ove non possa conciliare il significato della norma interna con la disposizione europea, il giudice nazionale è chiamato a disapplicare la prima in favore della seconda. Ciò presuppone, tuttavia, che la norma europea sia direttamente applicabile. Ebbene, l’art. 16 CCD è norma contenuta in una direttiva non immediatamente applicabile, e regola rapporti fra privati (in particolare, tra l’istituto finanziatore e il consumatore finanziato, in sede di scioglimento anticipato del contratto di finanziamento). Trattasi dunque di rapporti c.d. orizzontali, per i quali la diretta applicabilità ed efficacia della norma europea è in principio esclusa. Non sembra infatti applicabile quella giurisprudenza della Corte che equipara ai soggetti pubblici anche società nel cui capitale lo Stato ha o ha avuto una quota significativa in grado di influenzarne le decisioni, ovvero incaricate di servizi pubblici con poteri derogatori rispetto al regime generale. Nel momento in cui concedono un finanziamento, infatti, gli intermediari finanziari (anche se partecipati) non agiscono nell’esercizio di un incarico pubblico. Peraltro, l’eventuale invocazione dell’art. 16 CCD in una controversia tra privati avrebbe non già l’effetto di determinare la disapplicazione di una norma nazionale (come avvenuto nei sopra citati casi CIA International Security o Unilever [60]), bensì di configurare un obbligo “di fare” a carico delle imprese intermediari finanziari, chiamati a restituire tutti i costi del finanziamento. Ebbene, un simile effetto è precluso dalla normativa e dalla giurisprudenza europee, perché l’efficacia diretta di una direttiva non può, in ogni caso, determinare la nascita di obblighi a carico dei privati. Pertanto, disapplicare la norma interna per applicare direttamente l’art. 16 CCD sembra dar luogo ad un contrasto con la stessa giurisprudenza europea. Del resto, tale posizione è già stata espressa da diverse sentenze di merito [61], da ultimo con l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale [62]. Se così è, la disapplicazione deve essere esclusa, e l’unica forma di efficacia diretta che potrà essere riconosciuta all’art. 16 CCD consisterà nell’in­vocarlo nei rapporti c.d. verticali, vale a dire nei confronti dello [continua ..]


c) La tutela del legittimo affidamento

In termini generali, si è detto che sia l’interpretazione conforme, sia la disapplicazione trovano un limite nella necessità di tutela della certezza del diritto e del principio di legittimo affidamento, da tempo enunciato dalla Corte di Giustizia. Ebbene, la prima attuazione dell’art. 16 CCD, pur rivelatasi erronea alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia, era stata determinata da una formulazione effettivamente ambigua della norma [64]. A tal proposito, la Corte ha ammesso come la formulazione della norma potesse dare adito a diverse interpretazioni [65]. Non a caso – ha osservato la Corte – la norma è stata recepita in modo diverso dagli Stati membri. Ancora, l’ambiguità del testo della CCD è stata recentemente riconosciuta anche dalla Commissione europea. È infatti stata avviata una procedura legislativa europea di sostituzione della CCD con una nuova direttiva, il cui testo è attualmente al vaglio dei Parlamenti nazionali e del legislatore europeo. Ebbene, il Considerando n. 5 della nuova direttiva recita che: «la formulazione imprecisa di determinate disposizioni della direttiva 2008/48/CE ha consentito agli Stati membri di adottare disposizioni divergenti che vanno al di là di quelle previste in tale direttiva, ha determinato la frammentazione del quadro normativo nell’Unione per quanto riguarda una serie di aspetti del credito al consumo» [66]. A fronte di un testo ambiguo, il legislatore italiano ha attuato l’art. 16 CCD – e le autorità ed imprese nazionali lo hanno applicato – in buona fede, confidando nella sua conformità al diritto dell’Unione, e nel rispetto del generale principio di leale cooperazione. A valle delle considerazioni sopra svolte, pertanto, si osserva che applicare retroattivamente il principio Lexitor comporterebbe una lesione del legittimo affidamento riposto dagli intermediari finanziari operanti in Italia nella legittimità della distinzione tra costi up front e costi recurring. Allo stesso modo, l’applicazione retroattiva determinerebbe la lesione del principio di certezza del diritto. Al riguardo, la stessa Corte di Giustizia ha escluso la retroattività quando vi sia la necessità di tutelare tale principio, inerente all’ordinamento giuridico comunitario, e quindi per tener conto dei gravi sconvolgimenti che una sentenza [continua ..]


6. L’efficacia pro futuro del nuovo art. 125-sexies TUB e la sua legittimità alla luce dei principi generali di diritto europeo

Dalle considerazioni che precedono si traggono alcune conclusioni preliminari. La discrepanza tra art. 16 CCD e norma interna di attuazione costituisce ormai un fatto storico, con il quale ci si è dovuti confrontare, all’indomani della sentenza Lexitor, in sede di modifica dell’art. 125-sexies TUB. Il permanere di dubbi sulla possibilità di un’interpretazione conforme del­l’art. 125-sexies TUB, vecchia formulazione, anche dopo la Lexitor, dimostra come la questione non sia di facile soluzione. D’altra parte, non sembra potersi trascurare il fatto che l’art. 125-sexies TUB sia stato concordemente interpretato nel senso opposto alla sentenza Lexitor per circa dieci anni, da parte delle più competenti autorità dello Stato (Banca d’Italia, ABF e giudici di merito). Sotto altro profilo, si deve tener conto del divieto che l’interpretazione conforme si traduca in un’interpretazione contra legem (la quale non è ammessa nemmeno al fine di tutelare la ratio della normativa [70]). Per quanto concerne l’efficacia della direttiva, si è detto che l’art. 16 CCD non è suscettibile di diretta applicazione nei rapporti orizzontali. Non sembra possibile, dunque, disapplicare l’art. 125-sexies TUB, a fronte di una disposizione europea non direttamente efficace (l’art. 16 CCD). Infine, in punto di rispetto del generale principio del legittimo affidamento, il legislatore nazionale ha dovuto prendere atto degli effetti medio tempore prodotti dall’art. 125-sexies TUB, nell’interpretazione comune e costante fornita da Banca d’Italia, ABF e giudici nazionali. Sotto questo profilo, il legislatore ha svolto un’analisi sugli effetti della sentenza Lexitor nell’ordinamento italiano e, tenendo conto dell’orientamento consolidatosi in merito alla distinzione tra costi up-front e recurring, ha inteso «operare un bilanciamento degli interessi individuali contrapposti, tenendo conto delle esigenze di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e anche di minimizzazione del rischio per lo Stato» [71]. Il legislatore, dunque, ha ritenuto impossibile recepire il principio Lexitor ignorando il fatto che, fino a quel momento, nell’ordinamento era maturato e si era consolidato un orientamento diverso ed incompatibile rispetto alla pronuncia della Corte di Giustizia. Per la stessa [continua ..]


7. La responsabilità dello Stato Italiano per l’erronea e/o tardiva attuazione dell’art. 16 CCD

Pur volendo ritenere che la condotta dello Stato Italiano sia rispettosa dei citati principi generali di leale cooperazione, sub specie di divieto di interpretazione contra legem e disapplicazione, resta il fatto che l’art. 16 CCD è stato erroneamente attuato ed applicato per circa dieci anni. Come osservato dalla giurisprudenza di merito successivamente alla riforma [78], ciò induce, inevitabilmente, ad interrogarsi circa la configurabilità di una responsabilità dello Stato per violazione del diritto europeo. La responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione è stata affermata dalla Corte di Giustizia a partire dalla sentenza Francovich [79], e sussiste in presenza di tre condizioni: la violazione di una norma europea che attribuisce un diritto ai singoli; il carattere grave e manifesto della violazione; il nesso di causalità tra violazione e danno subito dal singolo. Circa la prima condizione, la violazione può essere imputabile a uno qualsiasi degli organi dello Stato e consistere in un’omissione, ritardo o errore nel recepire o attuare qualsiasi norma di diritto europeo: sia essa una norma dei Trattati, di un regolamento, di una decisione o di una direttiva, ovvero un principio generale dell’ordinamento europeo [80]. In ogni caso deve trattarsi di una norma preordinata ad attribuire diritti a favore dei singoli. Per quanto concerne il secondo elemento costitutivo (carattere grave e manifesto della violazione), la Corte ha precisato che si deve tenere conto di una serie di indici, tra i quali: il grado di chiarezza e precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, l’ampiezza del potere discrezionale che la norma infranta riserva alle autorità nazionali, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario [81]. Quanto al terzo elemento (nesso causale tra il danno e la violazione del diritto europeo), la Corte ha precisato che il risarcimento del danno si determina in conformità alle norme del diritto [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Lungi dall’essere definita, la vicenda Lexitor è ancora in piena evoluzione, e si configurano diversi scenari possibili. Ad avviso di chi scrive, l’irretroattività del nuovo art. 125-sexies TUB non è in contrasto con il diritto europeo, nonostante determini un’applicazione non retroattiva del principio Lexitor. Il percorso argomentativo che conduce ad una simile conclusione può essere sintetizzato come segue. Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia hanno normalmente efficacia retroattiva, salvo che la Corte stessa non ne limiti l’efficacia temporale. Stando ad un esame della giurisprudenza della Corte, questo potere di limitazione viene esercitato su richiesta del giudice rimettente o delle parti del giudizio, e nella stessa sentenza che decide la domanda pregiudiziale. Tanto premesso, nel caso Lexitor non c’è stata alcuna richiesta di limitazione degli effetti temporali della sentenza, e la Corte non si è pronunciata sul punto [83]. Secondo i principi generali dell’ordinamento europeo, ciò dovrebbe comportare l’applicazione retroattiva della sentenza Lexitor. Tuttavia, è lecito ritenere che nel caso in esame ricorrano entrambi i presupposti della limitazione, ossia il rischio di gravi ripercussioni economiche e la buona fede degli ambienti interessati. Ciò in quanto l’applicazione retroattiva della pronuncia della Corte metterebbe in discussione un ingente numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede, sulla base di una normativa pacificamente interpretata ed applicata in un certo modo per un periodo di tempo considerevole (circa dieci anni). Peraltro, l’applicazione retroattiva della sentenza Lexitor comporterebbe la necessità di interpretare contra legem la norma interna. In alternativa, quest’ulti­ma andrebbe disapplicata in favore di norma europea non direttamente efficace, in particolare determinando l’applicazione di una direttiva in rapporti c.d. orizzontali e così da imporre ad un privato (impresa intermediario finanziario) un obbligo “di fare” (restituzione di tutti i costi del finanziamento). Ferma restando, in entrambi i casi, la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento. Di talché, se si volesse applicare retroattivamente il principio Lexitor nell’ordinamento italiano, si rischierebbe di determinare una nuova violazione del [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022