Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

L'abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale nelle prime decisioni dell'AGCM. Fattispecie, rapporto con il private enforcement e prospettive applicative (di Vittorio Minervini, Avvocato in Roma)


Il saggio intende analizzare la fattispecie dell’abuso di dipendenza economica a “rilevanza concorrenziale”, ai sensi dell’art. 9, comma 3-bis, legge n. 192/98 (l. subf.). Questa previsione, introdotta nel 2001 e che ha affidato la repressione di questa tipologia di abusi di dipendenza economica all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ha affiancato – alle preesistenti competenze del giudice civile in ambito privatistico – un sistema di public enforcement, per ragioni d’interesse generale connesse alla tutela obiettiva della concorrenza dinamica sui mercati. Nondimeno, la norma è rimasta in sostanza inattuata per lungo tempo, fino a quando, solo di recente, l’Autorità ha cominciato finalmente a farne applicazione, avviando i primi procedimenti. Questo sviluppo suggerisce di investigare le (peculiari) relazioni che possono instaurarsi al riguardo tra private e public enforcement, nonché il rapporto tra questa fattispecie e quelle tipiche (e tipizzate, a livello euro-unitario) del diritto antitrust. Il saggio affronta queste tematiche anche attraverso l’analisi dei primi casi di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale da parte dell’AGCM, inquadrando la fattispecie di cui al comma 3-bis all’interno della disciplina a tutela della concorrenza e del mercato e analizzandone in particolare i rapporti con l’abuso di posizione dominante, ai sensi dell’art. 102 TFUE (e art. 3 legge n. 287/90). Nella terza parte lo studio cerca di offrire qualche riflessione ulteriore in ordine all’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale, anche alla luce della casistica esaminata (nella parte seconda); si evidenziano i notevoli futuri spazi applicativi della fattispecie (specie nel mondo digitale, grazie anche all’innovazione recata dall’art. 33 della legge sulla concorrenza), nonché le sue peculiarità e i suoi limiti; si dimostra in particolare come le due tecniche di tutela (private e public enforcement) possano risultare complementari e si osserva come attraverso la presentazione di impegni volti a superare le preoccupazioni espresse dall’AGCM nell’atto di avvio è la stessa parte indagata a offrirsi di modificare, pro futuro, un regolamento contrattuale valutato come iniquo e “abusivo” dall’Autorità e come attraverso la valutazione di adeguatezza e proporzionalità delle modifiche proposte come impegni l’AGCM possa finire per svolgere un ruolo quasi-regolatorio sul contenuto del contratto-tipo oggetto di indagine.

Parole Chiave: Abuso di Dipendenza Economica – Abuso di Posizione Dominante (art. 102 TFUE e art. 3 l. 287/90) – Public e Private Enforcement e reciproche relazione.

The abuse of economic dependence with competitive relevance in the Italian Competition Authority’s case law. Typology, relationship with private enforcement and application prospects

This essay focuses on the abuse of economic dependence with competitive relevance. This kind of abuse has been introduced in the Italian system in 2001, through a specific legislative innovation which empowered the AGCM (the Italian Competition Authority) with the pertinent public enforcement prerogatives. Nevertheless, the abuse of economic dependence with competitive relevance has substantially remained unapplied for a long time until a revirement in the last few years, when several cases were investigated by the Authority. This development raised some questions about the link between private and public enforcement of this form of abuse, in particular vis-à-vis its relationship with the traditional Antitrust categories. In this essay some preliminary answers to these questions are sketched through the analysis of the case law, regarding in particular the scope and the limits of the abuse of economic dependence, and its correlation to the abuse of dominant position under art. 102 TFEU. In the last part of this paper the author argues that the different kinds of protection provided by private and public enforcement remain complementary. In this regard it is further noted that the public enforcement of unbalanced clauses may result in quasi-regulatory effects, especially when the Authority adopts commitment decisions under art. 14-ter L. 287/90.

Keywords: Abuse of Economic Dependence – Abuse of Dominant Position (art. 102 TFEU and art. 3 l. 287/90) – Public and Private Enforcement and their Relationship.

SOMMARIO:

Parte Prima – 1. Premessa. La fattispecie e gli elementi tipologici e differenziali - 2. I nuovi interrogativi derivanti dal public enforcement dell’abuso di dipendenza economica (e qualche prima, possibile risposta) - Parte Seconda – 3. L’applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale nella prassi dell’AGCM. I contratti di franchising. Il caso “McDonald’s” - 4. Segue. Il caso “Benetton” - 5. Segue. Il caso “Original Marines” - 6. L’applicazione dell’abuso di dipendenza economica a rilievo concorrenziale nei contratti di distribuzione. Il caso “Wind Tre” - 7. Segue. Il caso “Distribuzione quotidiani e periodici nell’area di Genova e del Tigullio” - 8. Abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale e abuso di posizione dominante. Il caso “Poste” - 9. Segue. Il rapporto tra giudizio civile e accertamento amministrativo davanti all’AGCM: l’eccezione di “ne bis in idem” - Parte Terza – 10. Le prospettive applicative (e qualche ulteriore riflessione) - 10.1. Inquadramento della fattispecie di cui al comma 3-bis: il requisito della “rilevanza concorrenziale” e la natura dell’azione risarcitoria conseguente all’accertamento in sede amministrativa - 10.2. Distinzione tra dipendenza economica e (suo) abuso - 10.3. Abuso di dipendenza economica e contratto - 10.4. Posizione dominante e dipendenza economica: assonanze e di­stinzioni - 10.5. Gli spazi applicativi dell’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale - 10.6. La complementarietà tra private e public enforcement ai fini del­l’effettività della tutela - 10.7. Segue. Controllo pubblicistico sull’abusività delle clausole contrattuali, impegni ed effetti “regolatori” - NOTE


Parte Prima – 1. Premessa. La fattispecie e gli elementi tipologici e differenziali

L’abuso di dipendenza economica integra una fattispecie che nel nostro ordinamento è stata considerata rilevante – almeno in un primo momento, si vedrà – in via preminente sul piano civilistico e negoziale, essendo stata per lo più ricondotta ai canoni generali dell’abuso del diritto e della buona fede contrattuale (in fase di trattative funzionali alla conclusione del contratto: art. 1337 c.c.; in fase di interpretazione/integrazione del contratto: art. 1366 c.c.; nella fase esecutiva delle relative obbligazioni: artt. 1175 e 1375 c.c.), di cui costituirebbe particolare declinazione [1]. Sul piano storico, invece, com’è stato osservato, il divieto di abuso di una situazione di dipendenza economica «nasce come uno sviluppo interno del divieto antitrust di abuso di posizione dominante», essendo germinato «nel diritto tedesco e da questo transitato al diritto comunitario, per divenire poi di applicazione quasi generalizzata negli ordinamenti dei paesi industrializzati»; e un filone di pensiero, elaborato in Germania già nella metà del secolo scorso, inquadra la fattispecie nelle categorie tipiche del diritto antitrust, definendola in termini di «posizione dominante relativa» (ossia come dominanza «riferita non più ad un intero mercato, ma ad una cerchia di determinati soggetti» e dunque anche «di una impresa rispetto ad un’altra») [2]. La disciplina dell’abuso di dipendenza economica vive di questa intrinseca ambivalenza [3]. In (iniziale) aderenza alla visione che potremmo definire “contrattualistica”, la norma italiana è stata inserita – come noto – all’interno della «disciplina della subfornitura nelle attività produttive» (art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192) e descrive la dipendenza economica come «la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi». È noto, altresì, il dibattito che ha circondato l’introduzione di tale disposizione nel nostro ordinamento, in particolare tra la posizione di chi ne evidenziava la natura e funzione pro-concorrenziale, suggerendone così l’inserimento al­l’interno della disciplina propriamente di diritto antitrust [4] (appunto [continua ..]


2. I nuovi interrogativi derivanti dal public enforcement dell’abuso di dipendenza economica (e qualche prima, possibile risposta)

L’oggettivo (e repentino) cambio di rotta registratosi, dalla fine del 2018, nell’applicazione del comma 3-bis dell’art. 9 da parte dell’AGCM apre, invero, tutta una serie di interessanti – e allo stato non risolti – interrogativi. Viene in primo luogo da chiedersi: a che cosa si deve questa nuova, inattesa fortuna della disciplina sull’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale? Che cosa ha spinto l’Autorità a riesumare e utilizzare poi in modo sistematico un potere rimasto silente per quasi un ventennio? Volendo provare a dare un primo riscontro a queste domande, al di là di possibili diverse inclinazioni e sensibilità, anche personali, nei Presidenti e nei Componenti del Collegio (di cui si è avuto evidenza anche in altre fasi della storia ormai non breve dell’Autorità [44]), una plausibile spiegazione razionale del fenomeno può rinvenirsi forse sul piano storico, nella considerazione secondo cui trent’anni di repressione delle condotte anticoncorrenziali e di attività di advocacy (in primis nei confronti del legislatore) per la progressiva apertura ed effettiva contendibilità dei mercati hanno forse obiettivamente e progressivamente ridotto lo spazio d’azione del divieto di abuso di posizione dominante di tipo assoluto (sono ormai poche le imprese italiane cui una tale posizione possa oggi essere ascritta con certezza e senza lasciar spazio a solide contestazioni, secondo i requisiti applicativi prescritti dalla giurisprudenza euro-unitaria e nazionale); di qui, allora, plausibilmente, anche l’interesse a utilizzare uno strumento sin qui considerato come «figlio di un dio minore» [45] quale risorsa effettivamente utile a contrastare posizioni di dominanza solo “relative”, ma pur sempre “rilevanti” ai fini del corretto svolgersi del processo concorrenziale. A ciò si aggiunga un elemento di tipo strutturale e di contesto, dato dal fatto che il tessuto economico-imprenditoriale italiano non è, come noto, caratterizzato dalla presenza di imprese di grandissime dimensioni – ove comparate a quelle di altri Paesi sviluppati (se si eccettuano alcuni esempi di imprese soprattutto ex pubbliche) – e, anzi, l’immagine che l’analisi economica restituisce è quella di una nazione connotata soprattutto dalla diffusione preponderante di [continua ..]


Parte Seconda – 3. L’applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale nella prassi dell’AGCM. I contratti di franchising. Il caso “McDonald’s”

È stato già osservato in dottrina che i contratti di distribuzione e, tra essi, in modo forse ancor più peculiare, i contratti di franchising, costituiscono terreno elettivo per l’applicazione della normativa sul divieto di abuso di dipendenza economica [66]. Tale notazione trova oggi una conferma empirica nell’esame dei primi casi di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale avviati dall’Au­torità. Spicca tra essi, in particolare, il caso “McDonald’s” [67] (MCDI), noto (e assai diffuso) esempio di rapporto di franchising nel quale l’affiliante – almeno secondo la ricostruzione operata dall’AGCM nell’atto di avvio del procedimento – avrebbe posto in essere molteplici condotte qualificabili, per profili diversi, in termini di abuso di dipendenza economica nei confronti della generalità dei propri affiliati, producendo così effetti pregiudizievoli e distorsivi in danno del­l’intera rete distributiva, con un impatto diffuso sul mercato di riferimento e tale, secondo l’Autorità, da integrare il requisito richiesto dal comma 3-bis del­l’art. 9 per un intervento attraverso gli strumenti di public enforcement. Il caso in questione ha preso le mosse da alcune segnalazioni provenienti da vari affiliati (o ex affiliati), rimasti anonimi. Le condotte di McDonald’s Italia che nell’atto di avvio si ipotizzano come abusive si collocherebbero in ognuna delle fasi di contatto con i franchisee: in quella pre-contrattuale, nella fase esecutiva del rapporto contrattuale, nonché in quella successiva alla cessazione dei suoi effetti. Con riguardo alla fase pre-contrattuale, i segnalanti hanno lamentato innanzitutto una condizione di forte carenza informativa: essi avrebbero avuto infatti la possibilità di “prendere visione del contratto soltanto in occasione della stipula dello stesso presso lo studio di un Notaio, vedendosi costretti ad accettare tutto senza poterne discutere per assenza di concrete alternative al percorso già iniziato con MCDI” [68]. L’assenza di concrete alternative, nonché di un potere negoziale dell’im­presa che aspiri all’affiliazione comparabile e comunque opponibile a quello dell’affiliante, si manifesterebbe già nel periodo antecedente alla stipula del contratto, essendo l’aspirante [continua ..]


4. Segue. Il caso “Benetton”

Altro caso interessante, che si colloca parimenti nell’ambito dei rapporti di franchising, è quello che ha visto coinvolto il gruppo Benetton e la sua rete di rivenditori, i quali avrebbero risentito – secondo l’atto di avvio del procedimento (e similmente a quanto avvenuto ai ristoranti affiliati del caso McDonald’s) – di forti limitazioni della propria libertà economica. L’istruttoria è stata aperta, in questo caso, su iniziativa di un unico segnalante, amministratore di un ex-affiliato del gruppo Benetton che ha cessato la propria attività. Tra le condotte segnalate come abusive assumono in questo caso preminente rilievo quelle relative all’imposizione unilaterale di condizioni contrattuali inique relative al riassortimento automatico delle merci, alle modalità e tempistiche della loro consegna e restituzione, nonché alla forte limitazione delle garanzie invocabili. Quanto al primo punto, secondo il segnalante il franchisor avrebbe introdotto nel contratto standard di affiliazione una clausola di riassortimento automatico delle merci che opererebbe indipendentemente da qualsivoglia ordine da parte del rivenditore. Tale clausola, pur astrattamente diretta a garantire il mantenimento di adeguate scorte dei “prodotti che maggiormente incontrano le preferenze dei consumatori” [77], sembrerebbe in realtà funzionale a far sì che l’affiliante non sopporti direttamente il costo (e il rischio) dell’invenduto, che viene traslato invece sul rivenditore. Per quanto concerne invece le modalità e le tempistiche di consegna delle merci, secondo l’atto di avvio il contratto prevede che le proposte di acquisto merci dell’affiliante siano irrevocabili per 10 mesi: circostanza questa che, combinata alla summenzionata clausola di riassortimento automatico, limiterebbe fortemente l’autonomia imprenditoriale e organizzativa del rivenditore, riducendo drasticamente la possibilità di adeguare gli ordinativi alle reali esigenze rilevate nei punti vendita, legate anche alla stagionalità. Tale autonomia verrebbe a essere ulteriormente ridimensionata in virtù dell’effetto combinato di altre clausole standard, in base alle quali: i termini di consegna delle merci sarebbero invece, per l’affiliante, meramente indicativi; Benetton si riserverebbe (in alternativa all’esecuzione) di richiedere [continua ..]


5. Segue. Il caso “Original Marines”

Altro caso di abuso di dipendenza economica a rilievo concorrenziale avviato dall’Autorità nel settore del franchising ha coinvolto la catena Original Marines, la quale gestisce l’omonima rete distributiva operante nel settore dell’abbigliamento [81]. Il caso presenta dunque diversi punti in comune con quello appena esaminato: viene infatti in rilievo, nel medesimo tipo di contratto e nel medesimo settore merceologico, un’analoga fattispecie di abuso di dipendenza economica perpetrata dal franchisor nei confronti della generalità dei franchesee appartenenti alla propria rete distributiva, con la peculiarità che i contratti di franchising che legavano i segnalanti del procedimento alla Original Marines sono, ad oggi, cessati. Come accaduto anche nel caso Benetton, molti dei segnalanti erano ex affiliati in sofferenza, ai quali «la Società avrebbe offerto di rilevare il negozio, previo pagamento dei debiti pregressi» [82]. In tali particolari frangenti, secondo l’Autorità, l’affiliato risentirebbe di quell’assenza di alternative tipica di una situazione di dipendenza economica, posto che la condizione di sofferenza finanziaria avrebbe reso estremamente difficile reperire reali alternative sul mercato. Indotti a intraprendere il rapporto di affiliazione, i franchisee si sarebbero ritrovati nel “sistema Original Marines”, fondato sul trasferimento del rischio d’impresa sugli affiliati e sul contestuale accentramento delle scelte imprenditoriali totalmente in capo al franchisor: a tal riguardo i segnalanti hanno evidenziato altresì il fatto che l’affiliante disponesse di un sistema di controllo informatico centralizzato di monitoraggio sull’attività dei singoli punti vendita, che consentiva all’affiliante di esercitare un’indebita ingerenza sull’attività gestoria e nell’esercizio di tutta una serie di prerogative e facoltà che di norma spetterebbero, invece, agli affiliati [83]. Aggraverebbe il quadro la circostanza per cui la Trader s.r.l., società consociata della Original Marines, operava spesso in zone limitrofe a quelle assegnate agli affiliati, godendo però di condizioni molto più favorevoli: ne sarebbe derivata la “cannibalizzazione” dei punti vendita concorrenti gestiti dai franchisee (molti dei quali successivamente acquistati dalla [continua ..]


6. L’applicazione dell’abuso di dipendenza economica a rilievo concorrenziale nei contratti di distribuzione. Il caso “Wind Tre”

Altro filone elettivo per l’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale è identificabile nei rapporti verticali di distribuzione [91]. Il caso in esame, relativo all’operatore di comunicazioni Wind Tre S.p.A., si colloca esattamente in questo contesto e presenta alcuni presupposti comuni rispetto a quelli già osservati, poiché la società avrebbe imposto ai propri rivenditori clausole e condizioni contrattuali economicamente non sostenibili: anche in questo caso la situazione di eccessivo squilibrio contrattuale, derivando dall’imposizione di un contratto standard predisposto unilateralmente da Wind e non negoziabile (almeno nei suoi elementi essenziali) dai singoli rivenditori, non si limiterebbe a incidere sul singolo rapporto negoziale, ma avrebbe un impatto pregiudizievole sull’intera rete distributiva dell’operatore telefonico, alterando così anche le dinamiche concorrenziali nel mercato di riferimento [92]. Anche in questo caso il procedimento è stato avviato a seguito della segnalazione di un ex rivenditore, il cui rapporto commerciale si sarebbe interrotto in ragione del recesso, reputato ingiustificato, comunicato da Wind Tre. Tra le clausole contrattuali che avrebbero contribuito a generare una situazione di dipendenza economica, di cui Wind Tre avrebbe abusato, figura in primo luogo l’obbligo di esclusiva, che comprende obblighi derivati assai stringenti sulle tipologie di arredi e materiali che il rivenditore può usare nei locali commerciali; rileva inoltre allo stesso fine – secondo l’Autorità – anche la facoltà che Wind Tre si è riservata (e che ha anche concretamente esercitato in diverse occasioni) di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, tra cui anche quelle economiche relative ai compensi e alle commissioni dovute al rivenditore. Ulteriori clausole del contratto standard contribuirebbero poi, secondo l’Autorità, ad accentuare la situazione di “eccessivo squilibrio contrattuale”, generando una situazione di dipendenza economica in capo ai rivenditori. A questo proposito l’Autorità menziona, tra gli altri, il meccanismo degli storni pro rata: poiché al consumatore finale è riconosciuta la facoltà di rateizzare i corrispettivi derivanti dalla vendita di telefoni e devices, attraverso il meccanismo dello storno pro rata [continua ..]


7. Segue. Il caso “Distribuzione quotidiani e periodici nell’area di Genova e del Tigullio”

Altro caso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale nell’ambito dei rapporti verticali di distribuzione ha riguardato la vendita di quotidiani e periodici nell’area di Genova e del Tigullio [99]. La vicenda presenta alcune peculiarità rispetto ai casi sinora esaminati, attenendo al rifiuto di vendita e all’interruzione ingiustificata di relazioni commerciali di lunga durata. Essa sembra avvalorare la tesi, già sopra avanzata in via di ipotesi ricostruttiva (e che potremmo per brevità qualificare come “teoria del doppio binario”), secondo la quale all’Autorità competa piena autonomia nell’accertamento, in sede amministrativa, della dipendenza economica a rilevanza concorrenziale rispetto alla valutazione (di rilievo solo privatistico e inter partes) eventualmente svolta dal giudice ordinario, anche sulla medesima fattispecie. Nel caso di specie, infatti, il segnalante aveva già instaurato un’azione dinanzi al giudice civile avente ad oggetto le medesime condotte poi sottoposte all’attenzione dell’Autorità; a fronte delle eccezioni sollevate al riguardo dalla difesa delle imprese indagate, l’Autorità ha opposto in primo luogo il fatto che il giudizio civile vertesse su un profilo almeno in parte diverso, di “abuso del diritto” esercitato nel rapporto contrattuale, rilevando altresì che il procedimento dinanzi all’Autorità trova al contrario ragion d’essere nel fatto che le condotte trascendano il (singolo) rapporto negoziale, assumendo invece rilevanza “concorrenziale” nel mercato di riferimento [100]. Altra peculiarità è ravvisabile nel fatto che, in questo caso, l’AGCM ha accertato la sussistenza di un abuso di dipendenza economica in un provvedimento finale (confermando così l’ipotesi formulata nell’atto di avvio del procedimento), ma tale provvedimento è stato oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo, innanzi al quale sono state sollevate censure di natura sia sostanziale che procedurale; il provvedimento è stato annullato dal TAR Lazio [101], che ha ritenuto fondato il vizio (procedurale) relativo alla tardività della contestazione di avvio del procedimento e la controversia, dopo l’appello proposto dall’Autorità, pende dinanzi al Consiglio di Stato, al quale [continua ..]


8. Abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale e abuso di posizione dominante. Il caso “Poste”

Si ricorderà come la detenzione di una posizione dominante (in senso stretto, ai sensi del diritto antitrust) non costituisca requisito necessario della fattispecie relativa all’abuso di dipendenza economica, neanche per quello a rilievo concorrenziale di cui al comma 3-bis dell’art. 9 e le due fattispecie restano, almeno astrattamente, distinte [107]. L’impresa che realizza un abuso di dipendenza economica gode però, solitamente, di marchi fortemente attrattivi e di una “posizione di rilievo” nel mercato di riferimento, che almeno di regola dà luogo ad una posizione che si è soliti qualificare come «dominanza di tipo solo relativo» [108]. Può tuttavia accadere che l’abuso di dipendenza economica sia posto in essere da un’impresa che detiene anche una posizione dominante nel mercato di riferimento; in casi simili è dunque possibile che le condotte tenute dal­l’operatore dominante siano astrattamente inquadrabili in entrambe le discipline e suscettibili pertanto di una “doppia rilevanza”, sia come abuso di dipendenza economica che come abuso di posizione dominante [109]. Nel procedimento per abuso di dipendenza economica svoltosi a carico di Poste Italiane S.p.A. [110] sembrerebbe possibile osservare, in effetti, una siffatta “doppia rilevanza”, stante la posizione “dominante” in senso stretto detenuta da Poste Italiane in almeno alcuni dei mercati nei quali essa tradizionalmente opera [111]. Vale la pena di osservare che, anche in questo caso, l’ipotesi di contestazione formulata nell’atto di avvio ha trovato riscontro e conferma nell’ac­certamento compiuto nel provvedimento finale assunto dall’Autorità ad esito del procedimento istruttorio [112]. Come noto, Poste Italiane è attiva, tra gli altri, nel settore postale, nell’am­bito del quale è stata anche designata, almeno fino al 30 aprile 2026, come fornitore del servizio postale universale [113]. Proprio nell’ambito della fornitura del servizio postale universale Poste Italiane ha lungamente collaborato con la Soluzioni S.r.l. (di seguito anche Soluzioni), società che ha prestato in suo luogo un «servizio di distribuzione e raccolta di corrispondenza e posta non indirizzata ed espletamento di servizi ausiliari in ambito urbano, nel territorio di [continua ..]


9. Segue. Il rapporto tra giudizio civile e accertamento amministrativo davanti all’AGCM: l’eccezione di “ne bis in idem”

Un ulteriore, interessante profilo che emerge dal caso Poste attiene al rapporto tra giudizio civile e procedimento amministrativo davanti all’AGCM. Come già osservato in premessa, le controversie che discendono dall’a­buso di dipendenza economica, quando traggono origine dalle vicende di un singolo rapporto negoziale, appartengono tendenzialmente alla cognizione del giudice civile; la competenza dell’Autorità tende invece a emergere, come s’è visto, in presenza di altri fattori, quali ad es. l’astratta ripetitività di applicazione (in un numero indefinito o comunque elevato di casi) del regolamento contrattuale caratterizzato dall’eccessivo squilibrio dei diritti e obblighi (v. in questo senso i casi esaminati relativi ai rapporti di franchising e alla distribuzione commerciale in senso verticale), ovvero in presenza di una qualche rilevanza in sé delle condotte relative alla singola vicenda negoziale ai fini della tutela della concorrenza e del mercato in senso più generale (paradigmatico, in questa diversa prospettiva, appunto il caso Poste). Ebbene, va riferito a questo riguardo che, nel caso di specie, il segnalante aveva già azionato un rimedio di private enforcement dinanzi al giudice ordinario in ordine alle medesime condotte, prima di rivolgersi anche all’AGCM. A fronte della (successiva) instaurazione del procedimento di fronte all’Au­torità e all’avvio del procedimento ai sensi del comma 3-bis dell’art. 9 legge 192/98, Poste Italiane ha eccepito la «violazione del principio del ne bis in idem» [124], ritenendo in sostanza che i due rimedi, quello di private e quello di public enforcement, non potessero esperirsi cumulativamente e contemporaneamente, stante la (almeno parziale) sovrapponibilità dei profili rilevanti nei due ambiti di cognizione. Secondo Poste, infatti, i procedimenti mirerebbero entrambi – in un’identità sostanziale di petitum – al medesimo effetto di cessazione della condotta vietata e sarebbero altresì caratterizzati dalla stessa causa petendi (nell’atto di citazione dinanzi al giudice ordinario Soluzioni avrebbe in sostanza dedotto quale presupposto dell’abuso le medesime condotte che avrebbe riproposto poi nella successiva segnalazione all’AGCM) [125]. La decisione appare interessante sul tema dei rapporti tra private e [continua ..]


Parte Terza – 10. Le prospettive applicative (e qualche ulteriore riflessione)

I casi sin qui esaminati testimoniano indubbiamente un crescente interesse intorno alla figura dell’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale e confermano altresì, dopo quasi vent’anni di inerzia, il concreto e continuativo esercizio dei poteri di public enforcement affidati all’AGCM. Se si osservano i fattori comuni rilevabili nei casi considerati, è possibile notare come risultino maggiormente ricorrenti alcune figure contrattuali (in particolare il franchising e i contratti di distribuzione verticale), che sembrano presentare alcune caratteristiche tipologiche similari. Impiegando una semplificazione lessicale a fini puramente descrittivi, assume particolare rilievo in questo senso il potere di predisposizione unilaterale (da parte dell’impresa “forte”) e la successiva capacità di imposizione (alle imprese “deboli”) di clausole contrattuali standard e non negoziabili, che risultano “abusive” (della dipendenza economica dell’impresa più debole) in quanto particolarmente gravose o ingiustificatamente sproporzionate nel sinallagma tra diritti e obblighi delle parti. L’esame casistico consente altresì di tornare su alcuni dei profili sollevati nella parte prima del presente studio, per verificare le conclusioni ivi anticipate e per offrire qualche ulteriore spunto di riflessione.


10.1. Inquadramento della fattispecie di cui al comma 3-bis: il requisito della “rilevanza concorrenziale” e la natura dell’azione risarcitoria conseguente all’accertamento in sede amministrativa

In primo luogo, per quanto sin qui osservato, sembra lecito ritenere che la fattispecie di cui al comma 3-bis dell’art. 9 l. subf. configura a tutti gli effetti una disposizione che, al di là della collocazione, viene a integrare il cassetto degli attrezzi e delle figure tipiche del diritto della concorrenza suscettibili di public enforcement [133], affidate per questo all’applicazione in via amministrativa dell’AGCM, per ragioni d’interesse generale connesse al corretto funzionamento dei mercati, in una prospettiva di concorrenza dinamica, peraltro in coerenza con una più generale linea evolutiva rintracciabile in questo senso nel­l’ordinamento, non solo nazionale, di contrasto anche per via amministrativa del potere privato [134]. In questo senso, e a conferma di questa conclusione, deve rimarcarsi che la fattispecie tipica di cui al comma 3-bis presenta un elemento differenziale rispetto a quella “comune”, affidata alla competenza del (solo) giudice ordinario, che lo stesso legislatore individua nell’attitudine della vicenda di abuso ad assumere anche una «rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato». In sostanza, alla competenza generale del giudice civile si affianca quella amministrativa dell’AGCM per i soli casi d’interesse generale, nei quali sia appunto ravvisabile una rilevanza anche concorrenziale della vicenda. A tale riguardo vale tuttavia la pena di notare come l’abuso di dipendenza economica, nella casistica esaminata, venga ad assumere una rilevanza anche concorrenziale laddove risulti che le condizioni contrattuali inique siano state applicate in maniera ripetitiva e indiscriminata – secondo uno schema prestabilito e tendenzialmente indifferente alle peculiarità del rapporto con il singolo contraente – a un numero elevato di controparti, prive di potere negoziale rispetto alla parte “forte” del rapporto (è quanto si ricava expressis verbis ad es. dal provvedimento finale adottato dall’Autorità del caso McDonald’s) [135]; ovvero quando la vicenda di abuso abbia di per sé una rilevanza concorrenziale, per la dimensione e la posizione delle parti [136]. Infatti, come si è visto nell’analisi che precede, l’Autorità ha ritenuto che la rilevanza anche concorrenziale della fattispecie abusiva possa derivare anche dalla [continua ..]


10.2. Distinzione tra dipendenza economica e (suo) abuso

Fermo quanto sopra precisato in ordine all’inquadramento della norma, alla sua applicazione in sede amministrativa per i casi di riconosciuto interesse generale e alla qualifica del successivo giudizio azionato in sede civile per il risarcimento dei danni conseguenti, a sommesso avviso di chi scrive una particolare attenzione occorrerà prestare, nella riflessione scientifica e nella prassi applicativa, alla – tutt’altro che netta – distinzione tra ciò che configura “dipendenza economica” e ciò che ne costituisce, invece, sfruttamento “abusivo” (dunque illecito), posto che solo il secondo è vietato dall’ordinamento. Quest’opera di individuazione della sottile (in molti casi) linea di confine tra un comportamento lecito e uno, invece, illecito assume particolare importanza e delicatezza proprio in quelle diffuse situazioni nelle quali la condizione di “dipendenza” appare in qualche modo connaturale al tipo di relazione contrattuale che si instaura tra le parti (si pensi, in questo senso, proprio al contratto di franchising e alle altre tipologie di contratti di distribuzione verticale, che pur creando tipicamente situazioni di dipendenza in capo all’impresa che opera a valle non sono certo da condannare in sé, evidentemente, e anzi hanno spesso una valenza anche direttamente pro-competitiva). Occorrerà in sostanza attenzione e prudenza nel non bollare come di per sé “abusive” clausole contrattuali che, pur creando situazioni di “dipendenza”, risultino essenziali e connaturali al tipo contrattuale, laddove il giudizio di abusività della condotta dovrà guardare, piuttosto, all’equilibrio complessivo dei diritti e poteri attribuiti alle parti dal contratto e alle concrete modalità di attuazione del rapporto, anche – e forse soprattutto – nelle implicazioni di sostenibilità economica della relazione (e/o e della sua cessazione) per la parte “debole”.


10.3. Abuso di dipendenza economica e contratto

Sotto altro profilo, occorre ancora notare che – in linea con quanto si era anticipato – i casi esaminati sembrano altresì confermare che la fattispecie dell’abuso di dipendenza economica non sorge soltanto – e necessariamente – nel contesto di un regolamento contrattuale già formalizzato tra le parti: in alcuni dei casi osservati emerge infatti piuttosto nitidamente che una situazione di eccessivo squilibrio di potere negoziale e, di conseguenza, di dipendenza economica suscettibile di abuso è stata riscontrata dall’Autorità anche in una fase antecedente a quella propriamente contrattuale (si ricordi ad esempio, in questa prospettiva, l’imposizione di investimenti specifici da sostenere quale pre-requisito per candidarsi alla successiva sottoscrizione del contratto); e la capacità di imporre, alla controparte “debole”, un regolamento contrattuale sbilanciato, iniquo o anche incompleto ne diventa condizione rivelatrice. In tali ipotesi non è l’esecuzione del contratto (e, dunque, la natura asseritamente sbilanciata delle relative clausole) a integrare la fattispecie di abuso della dipendenza economica. L’illecito sembra infatti perfezionarsi in una fase antecedente a quella della costituzione del rapporto negoziale, talora anche a quella di conclusione formale del contratto, quando cioè questo ancora “non è tale”, almeno tra le parti: il contraente “forte”, in virtù della propria posizione di dominanza (“relativa” o “assoluta” che sia), si dimostra infatti capace di indurre il contraente debole ad accettare un regolamento contrattuale obiettivamente e platealmente a sé sfavorevole; e il contraente debole, pur essendo consapevole di andare a occupare, nel rapporto contrattuale, una posizione sbilanciata di materiale soggezione, tenderà nondimeno ad accettarne i termini, in assenza di alternative adeguate (effettivamente reperibili sul mercato di riferimento a condizioni economicamente sostenibili). Va inoltre rimarcato, a conferma dell’incidenza diffusa del problema del metus (a contestare l’abuso di dipendenza economica in costanza di rapporto) [141], che anche nei casi di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale la richiesta di intervento all’Autorità ha avuto spesso origine da ex-affiliati e ex distributori, ossia da [continua ..]


10.4. Posizione dominante e dipendenza economica: assonanze e di­stinzioni

Altro spunto interpretativo che merita di essere evidenziato nella casistica considerata è quello della possibile duplicazione delle discipline applicabili nei casi in cui l’impresa che pone in essere l’abuso (di dipendenza economica) detenga anche una posizione di rilievo assoluto nel mercato di riferimento, qualificabile (allora) in termini di dominanza ai sensi dell’art. 102 TFUE (e art. 3 legge n. 287/90). Ciò implica la necessità di prendere logicamente in considerazione l’astratta sovrapponibilità tra la figura dell’abuso di dipendenza economica (a rilevanza concorrenziale) e quella – una volta accertati i relativi requisiti ex art. 102 TFUE – dell’abuso di posizione dominante. In questo senso, se sul piano normativo e teorico le due fattispecie sono diverse (basti pensare in questo senso al mancato riconoscimento della fattispecie relativa all’abuso di dipendenza economica nell’ordinamento euro-unitario) e devono pertanto restare a mio avviso logicamente distinte, anche in ragione delle peculiarità che le contraddistinguono (e si pensi a tal riguardo a quanto sopra osservato circa la possibile intrinseca inefficienza, secondo logiche squisitamente concorrenziali, di rapporti tra imprese fondati strutturalmente su relazioni di dipendenza), sul piano pratico, e specialmente nei rapporti di tipo verticale, esse tenderanno inevitabilmente a confondersi e a sovrapporsi, almeno in parte, posto che una definizione funzionale più ristretta del mercato rilevante (sul quale apprezzare gli effetti della condotta) può in sostanza condurre a identificare nella medesima vicenda i requisiti costitutivi di entrambe le fattispecie. Ne discende che, specie in questi casi, la decisione su quale delle due discipline sia più opportuno attivare al fine di garantire una più efficace tutela delle parti contrattuali “deboli”, del mercato in sé considerato e, in ultima istanza, degli interessi dei consumatori che vengano a subire, in via anche solo indiretta, gli effetti negativi di tali condotte abusive (ad es. in termini di maggiori costi ribaltati sull’acquirente finale del bene o del servizio) costituisce valutazione che appare connotata da elementi di forte discrezionalità (che probabilmente sfugge, in questi termini, al sindacato giurisdizionale). E tuttavia, come pure s’era anticipato, la titolarità [continua ..]


10.5. Gli spazi applicativi dell’abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale

In tutte quelle ipotesi che si pongono, senza superarlo, al confine tra le due fattispecie, l’abuso di dipendenza economica “a rilevanza concorrenziale” potrebbe rappresentare un valido strumento cui ricorrere per completare e arricchire l’armamentario, ritenuto da taluni insufficiente o incompleto [142], del diritto antitrust in senso stretto, a patto che l’intervento resti limitato alle vicende d’interesse generale (nel senso sopra divisato). Tale disciplina potrebbe difatti essere considerata come una modalità alternativa per perseguire condotte che, seppur rilevanti da un punto di vista concorrenziale, non presentino tutti i requisiti costitutivi dell’abuso di posizione dominante (individuale o collettivo) o non rivelino chiare evidenze di accordi restrittivi illeciti (sicché non sarebbe azionabile alcuno strumento a tutela della struttura concorrenziale del mercato), senza dover ricadere nell’assurdo logico, talora paventato (anche in giurisprudenza) di dover presumere l’esistenza di un “accordo” illecito, spesso di tipo verticale, tra “carnefice” e vittima” [143]. In tale prospettiva, la fattispecie in esame potrebbe trovare naturale applicazione nei confronti di quelle imprese che, pur non essendo dominanti in senso assoluto, siano comunque in grado di determinare, in virtù della posizione di rilievo (o verticale) detenuta nel mercato di riferimento, effetti negativi sul corretto dispiegarsi della concorrenza dinamica; e in tutti quei casi in cui la definizione del mercato rilevante necessaria per il riconoscimento di una dominanza di tipo assoluto appaia incerta o contestabile. Come si è visto, appare infatti confermata da plurimi e convergenti elementi, logici e testuali, la tesi secondo cui l’abuso di dipendenza economica “a rilevanza concorrenziale” di cui al comma 3-bis dell’art. 9 sia funzionale, sul piano obiettivo, alla tutela del mercato e della correttezza del processo competitivo che in esso quotidianamente si svolge, condividendo con il diritto antitrust obiettivi, strumenti e metodologie di tutela [144], anche quanto ai procedimenti esperibili e ai rimedi utilizzabili. Se così è, gli spazi di intervento dell’AGCM a tutela delle dinamiche concorrenziali attraverso lo strumento dell’abuso di dipendenza economica a rilievo concorrenziale sono davvero notevoli, [continua ..]


10.6. La complementarietà tra private e public enforcement ai fini del­l’effettività della tutela

La repressione in sede amministrativa dell’abuso di dipendenza economica sembra dunque presentare caratteristiche peculiari, che possono tuttavia contribuire a renderla sinergica e complementare a quella assicurata sul piano privatistico, aumentando il livello complessivo della tutela effettivamente riconosciuta dall’ordinamento. A tale riguardo si riferiva in premessa della diffusa ritrosìa ad ammettere che il giudice possa ricondurre il regolamento contrattuale “abusivo” di una dipendenza economica a equità, modificando le clausole valutate come fonti dell’eccessivo squilibrio nei diritti ed obblighi delle parti con proprie determinazioni “sostitutive” (la legge si limita infatti a comminare la “nullità” del “patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica”): dichiaratane la nullità, le clausole in cui l’abuso si manifesti o realizzi perderanno efficacia, a tutela della parte debole del rapporto [149], ma il contratto resterà per l’effetto monco, e forse anche inutile e non più applicabile, non potendo il giudice – almeno secondo le tesi prevalenti e che mi paiono condivisibili – “riscriverne” anche il contenuto, sostituendo le condizioni economiche e contrattuali ritenute “inique” con altre reputate “sufficientemente equilibrate” [150]. Per di più, l’efficacia della statuizione del giudice civile è limitata alle parti del processo e non è suscettibile di spiegare effetti diretti nei confronti dei soggetti che, pur non essendo parti del giudizio, si trovino in una medesima situazione o condizione (essi sarebbero infatti tenuti ad agire a loro volta di fronte a un giudice, potendo al più invocare la sentenza inter alios acta solo con il valore di precedente, neppure vincolante). Va segnalato, en passant, che con riferimento alle fattispecie di abuso di dipendenza economica che si innestino su una situazione di «squilibrio patrimoniale o economico-finanziario» che renda «probabile la crisi o l’insol­ven­za», gli artt. 2 ss. del d.l. n. 118/2021 (c.d. “d.l. Pagni”) hanno recentemente attribuito all’imprenditore commerciale la facoltà di perseguire il «risanamento dell’impresa» attraverso un percorso di «composizione negoziata per la [continua ..]


10.7. Segue. Controllo pubblicistico sull’abusività delle clausole contrattuali, impegni ed effetti “regolatori”

Come risulta anche dalla casistica esaminata, nei procedimenti di abuso di dipendenza economica a rilevanza concorrenziale la parte indagata può – e spesso in effetti si avvale della facoltà di – presentare impegni, ai sensi del­l’art. 14-ter della legge n. 287/90, al fine di superare le preoccupazioni espres­se dall’Autorità nell’atto di avvio e di ottenere così la chiusura “premiale” del procedimento, senza accertamento di infrazioni e senza irrogazioni di sanzioni, come accade per le altre infrazioni al diritto antitrust [156]. In questa ipotesi (come visto, piuttosto ricorrente sin qui nella prassi applicativa), è la stessa parte indagata a proporre un nuovo regolamento contrattuale sostitutivo di quello reputato iniquo e distorsivo delle dinamiche concorrenziali dall’Autorità; e tuttavia, nella fase di negoziazione in ordine al contenuto degli impegni «idonei, adeguati e proporzionali», sarà sovente la stessa Autorità a “suggerire” il tipo di modifica che essa reputerebbe (poi) congrua [157]. Con l’effetto – positivo, che la tutela apprestata in sede civilistica non è in grado di (o è comunque titubante ad) assicurare – di mantenere fermo il contratto, ma “adeguato” e “modificato” direttamente dall’impresa indagata (che lo aveva anche predisposto), in modo tale da superare le censure di abusività sollevate dall’Autorità (com’è avvenuto, ad esempio, nei casi McDonald’s, Original Marines e Wind Tre, sopra esaminati). In questo modo, la modifica dello schema-tipo di contratto attraverso la proposizione di impegni ridonda dunque in un beneficio non solo dei segnalanti (o di chi abbia partecipato al procedimento), ma anche di qualunque altra impresa che si trovi (o si troverà anche in futuro) a esser parte di quel contatto-tipo [158]: ciò che segna, evidentemente, anche un innalzamento della tutela effettiva riconosciuta dall’ordinamento alla parte debole del rapporto diseguale, confermando – anche per questo verso – la complementarietà dei due strumenti di tutela [159]. A questo riguardo, merita altresì di essere osservato come attraverso questo processo di valutazione degli standard contrattuali tipici e degli impegni proposti dalle parti indagate (al [continua ..]


NOTE