Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Graduazione degli effetti nel tempo della dichiarazione di illegittimità costituzionale e garanzia del diritto alla tutela giurisdizionale nella sentenza sulla c.d. Robin Hood Tax (di Marco Sica)


Corte costituzionale, 11 febbraio 2015 n. 10

Presidente Criscuolo – Redattore Cartabia

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133), che introduce un’addizionale (c.d. Robin Tax) all’imposta sul reddito delle società (IRES) del 5,5 per cento (poi innalzata al 6,5 per cento) da applicarsi alle imprese operanti nel settore della commercializzazione degli idrocarburi, che abbiano conseguito ricavi superiori a 25 milioni di euro nel periodo di imposta antecedente, con divieto di traslazione sui prezzi al consumo. L’addizionale impugnata, applicandosi solo ad alcuni soggetti economici operanti nel settore energetico e degli idrocarburi, determina una discriminazione qualitativa dei redditi sottoposti a tassazione non supportata da adeguata giustificazione. Infatti, la base imponibile è costituita dall’intero reddito anziché dai soli sovra-profitti congiunturali, anche di origine speculativa, del settore energetico e petrolifero che il legislatore aveva inteso colpire. Inoltre, la suddetta addizionale, non essendo in alcun modo circoscritta a uno o più periodi di imposta, ha un carattere permanente, anziché contingente, e non risulta ancorata al permanere della situazione congiunturale, che tuttavia è addotta come sua ragione. Infine, nella normativa risultano carenti meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumento dei prezzi al consumo. Gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale decorrono, tuttavia, dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale al fine di evitare che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla pronuncia determini uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venir meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea ed internazionale e, in particolare, delle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime.

  

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I vizi della legge sulla c.d. Robin Hood Tax: ratio e limiti della dichiarazione di illegittimità costituzionale - 3. Il principio generale dell’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale e la graduazione degli effetti della sentenza sotto il profilo temporale - 4. Segue: il fondamento del potere-dovere di modulazione degli effetti temporali della sentenza di accoglimento - 5. Segue: i presupposti - 6. Il bilanciamento nella vicenda de qua - 7. Le conseguenze di una sentenza retroattiva in tema di Robin Hood Tax - 8. La graduazione degli effetti delle sentenze di accoglimento e il giudizio a quo - 9. La decisione del giudice a quo - 10. Gli effetti pro futuro della sentenza e la loro esatta delimitazione - 11. Il principio della domanda ed il potere-dovere di graduare nel tempo gli effetti delle sentenze di accoglimento; il rispetto del principio del contraddittorio - 12. Considerazioni finali - NOTE


1. Premessa

Nei primo semestre del 2015 sono state pubblicate due sentenze della Corte costituzionale (si tratta della sentenza che si annota e di quella del 30 aprile 2015, n. 70, relativa al blocco della rivalutazione delle pensioni) che hanno subito destato l’interesse dei giuristi [1] e, più in generale, della stampa e dell’o­pinione pubblica [2]. La particolare attenzione riservata alle due pronunce è giustificata dall’importanza ed attualità delle questioni affrontate che riguardano un elevato numero di cittadini (utenti/consumatori e pensionati). L’acceso dibattito cui hanno dato luogo, tuttavia, sembra dipendere principalmente dal­l’esigenza, avvertita con sempre maggiore frequenza, di chiarire il ruolo che spetta al giudice delle leggi laddove una decisione di accoglimento possa avere un impatto considerevole sul bilancio dello Stato. Si tratta di un tema che periodicamente alimenta la discussione – non solo tra gli studiosi [3] – che, comprensibilmente, è particolarmente vivace in un momento che è caratterizzato dal perdurare di una gravissima crisi economica e finanziaria, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici compiuti per superarla, che rende estremamente difficile il rispetto degli impegni assunti con la UE. Nella sentenza n. 10, per la prima volta in termini generali e con un’ampia motivazione, è stato affermato che il giudice delle leggi dispone di un potere di graduazione degli effetti nel tempo delle proprie sentenze di accoglimento [4]. Tale decisione è stata salutata con favore da coloro che hanno ritenuto di identificare nel potere di graduazione un valido strumento per limitare l’impatto della sentenza (e anche di sentenze future) sull’equilibrio di bilancio, mentre è stata criticata da coloro che la ritengono errata sotto diversi profili ed anche pericolosa per gli effetti negativi che comporterebbe in relazione al diritto alla tutela giurisdizionale tanto da ipotizzare che la Corte potrebbe persino avere violato gli artt. 6 e 13 CEDU [5]. La seconda sentenza – nella quale la Corte ha invece ritenuto di non modulare gli effetti nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità, pur in presenza di un possibile “costo” incomparabilmente superiore rispetto a quello che sarebbe derivato da una pronuncia avente carattere retroattivo sulla c.d. Robin Hood [continua ..]


2. I vizi della legge sulla c.d. Robin Hood Tax: ratio e limiti della dichiarazione di illegittimità costituzionale

La Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 81, commi 16 e 17, d.l. n. 112/2008, e successive modificazioni, che prevede la maggiorazione dell’aliquota IRES per determinati operatori dei settori energetico, petrolifero e del gas, con ricavi e reddito imponibile superiori a determinate soglie via via previste dal legislatore; è stato colpito dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale anche il comma 18 dell’art. cit. che vieta la traslazione dell’onere fiscale sui prezzi al consumo [10]. I vizi che la Corte ha ritenuto sussistenti sono tre e si possono sintetizzare come segue: a) l’imposizione, “al di là della denominazione di "addizionale", (…) costituisce una "maggiorazione d’aliquota" dell’IRES, applicabile ai medesimi presupposto e imponibile di quest’ultima e non, come è avvenuto in altri ordinamenti, come un’imposta sulla redditività” destinata a colpire soltanto l’eventuale parte di reddito suppletivo “connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una data congiuntura”[11]; b) l’incongruenza dell’imposizione, e si tratta di invalidità ancora più grave di quella di cui alla lett. a), dovuta al fatto che il legislatore non si è limitato a “fronteggiare una congiuntura economica eccezionale” ma ha introdotto un regime fiscale “senza limiti di tempo” che, come tale, potrebbe continuare “(...) ad operare ben oltre l’orizzonte temporale della peculiare congiuntura”[12]; c) infine, anche se certamente non si tratta di un vizio di minore portata rispetto agli altri due, perché “Il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo risulta difficilmente assoggettabile a controlli efficaci, atti a garantire che non sia eluso” con la conseguente “inidoneità della manovra tributaria in giudizio a conseguire le finalità solidaristiche che intende esplicitamente perseguire”[13]. Tipo e natura dei vizi riscontrati, la cui esatta portata si cercherà di chiarire ancor meglio in seguito, rendono fin da subito evidente la reale portata della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Il giudice delle leggi, infatti, non ha minimamente censurato lo scopo perseguito dal legislatore perché “non si [continua ..]


3. Il principio generale dell’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale e la graduazione degli effetti della sentenza sotto il profilo temporale

La seconda parte della sentenza è dedicata al tema della retroattività degli effetti e del potere di modulare gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento [19]. Come già si è avuto modo di chiarire, esula dalle finalità del presente lavoro una valutazione in termini generali delle conclusioni cui è pervenuta la Corte. Il tema verrà quindi trattato solo per quanto necessario ai fini della valutazione, sulla base dei vizi riscontrati dalla Corte, degli eventuali effetti pregiudizievoli che l’avvenuta posticipazione degli effetti nel tempo della dichiarazione di illegittimità costituzionale può avere prodotto sul diritto alla tutela giurisdizionale. Come ha ricordato la Corte, l’esigenza di limitare, in alcuni casi, la retroattività delle sentenze del giudice costituzionale non è certo una novità nel nostro ordinamento ed è stata avvertita anche da altre Corti costituzionali; anche la Corte di Giustizia della UE, del resto, in taluni casi può emanare sentenze non retroattive [20]. Da ultimo si può ricordare che una riflessione è stata avviata anche in ordine alle sentenze di annullamento del giudice amministrativo dopo una recente sentenza del Consiglio di Stato che ha escluso la retroattività dell’annullamento del provvedimento amministrativo impugnato nel dichiarato intento di assicurare una maggiore tutela del ricorrente [21]. Al di là di queste considerazioni, sembra comunque essenziale, per un corretto inquadramento del potere di graduazione, richiamare preliminarmente l’attenzione su un passaggio fondamentale della sentenza il cui valore, senza motivo, appare spesso trascurato. La Corte ha ben chiarito che la questione della graduazione degli effetti nel tempo della sentenza di accoglimento può essere affrontata solo tenendo conto del fatto che “l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte (...)” [22]. La retroattività ha quindi il rango di principio generale: pertanto, “di regola”, l’efficacia delle sentenze di accoglimento non può non essere retroattiva. Non si può considerare irrilevante o scontata tale affermazione. La Corte ha infatti inteso sancire inequivocabilmente che [continua ..]


4. Segue: il fondamento del potere-dovere di modulazione degli effetti temporali della sentenza di accoglimento

Secondo la Corte, la “(...) regolazione degli effetti temporali deve ritenersi consentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale” e ciò “(...) indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano esplicitamente conferito tale potere al giudice delle leggi.” [26]. L’esistenza di tale potere non può essere negata soltanto perché manca una disposizione di legge che lo attribuisca alla Corte in modo espresso. In altre parole, il silenzio della legge non basta ad escluderne la presenza nell’ordinamento, se non è equiparabile ad un divieto. Non si ignora che, in altre fattispecie, la Corte ha attribuito al silenzio carattere preclusivo, tanto da rendere necessaria la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge nella parte in cui non prevedeva la titolarità di determinati poteri in capo al giudice [27]. Nella specie, tuttavia, non ricorrono le ragioni che, in altri casi, a torto o ragione, hanno indotto ad equiparare il silenzio ad un vero e proprio divieto di esercitare un determinato potere [28]. Il potere di graduare gli effetti della sentenza nel tempo, del resto, costituisce una tecnica decisoria di cui la Corte può fare uso anche quando ciò sia richiesto dalla natura del vizio che inficia la legge per evitare situazioni paradossali come quella che si sarebbe verificata nella specie, come si chiarirà nel prosieguo, in relazione al terzo dei vizi illegittimità riscontrati dalla Corte qualora gli effetti della sentenza fossero retroattivi [29]. Un altro elemento che contribuisce a delineare i caratteri del potere in esame è che la graduazione degli effetti temporali della decisione è doverosa dato che la Corte non può “non tenere in debita considerazione l’impatto che una tale pronuncia determina su altri principi costituzionali (...)”. La graduazione degli effetti nel tempo della sentenza quindi, da un lato, è eccezionale ma, dall’altro, è anche “(…) costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco (…)” [30]. Si tratta quindi di un potere-dovere dal cui esercizio la Corte non può esimersi, sempre, naturalmente, che ne ricorrano i presupposti di cui si parlerà subito dopo. Non si corre in tal modo il [continua ..]


5. Segue: i presupposti

La graduazione degli effetti nel tempo della sentenza di accoglimento è consentita solamente se sussistono due rigorosi e chiari presupposti che la Corte enuncia espressamente: “(…) l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco.” [31]. In più punti della sentenza viene fatto riferimento all’esistenza di uno o più principi costituzionali che, in difetto di una modulazione degli effetti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento. È questo il primo presupposto. La Corte comunque non si limita a ribadirlo in quanto aggiunge che l’esigenza di evitare l’irrimediabile compromissione di uno o più principi deve integrare gli estremi di una vera e propria “impellente necessità”. Il secondo presupposto è di altrettanta se non maggiore importanza: la Corte, infatti, chiarisce che non esiste una secca alternativa tra retroattività e non retroattività della sentenza di accoglimento. Se nel caso della c.d. Robin Hood Tax la Corte ha deciso per “La cessazione degli effetti delle norme dichiarate incostituzionali dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale (…)”, questo non significa che tutte le volte in cui la Corte dovesse decidere di esercitare il potere di graduazione degli effetti nel tempo della sentenza di accoglimento debba avvenire altrettanto. Infatti la sentenza in esame ha inequivocabilmente, e giustamente, esteso la portata del principio di stretta proporzionalità non solo all’individuazione dei casi in cui sia necessaria una graduazione degli effetti nel tempo ma anche all’esatta delimitazione della compressione dell’ef­ficacia retroattiva della sentenza che deve essere obbligatoriamente circoscritta “(…) a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco”. A seconda delle diverse fattispecie, quindi, la sentenza, quando non possa avere effetto retroattivo in presenza dei presupposti di cui si è detto, non necessariamente deve [continua ..]


6. Il bilanciamento nella vicenda de qua

Naturalmente, al di là del fatto di avere subordinato l’esercizio del potere a due presupposti, ciò che davvero rileva ed è determinante ai fini di una valutazione, è il bilanciamento che la Corte ha operato in concreto [33]. La prima considerazione che la Corte ha svolto – cosa che non sorprende, trattandosi di una legge tributaria ed essendo ben nota la tradizionale ritrosia, per così dire, del giudice delle leggi a “bocciare” disposizioni in materia fiscale [34] – è che “l’applicazione retroattiva della (...) declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe (…) una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.” per “l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del D.L. n. 112 del 2008 (…)”. La preoccupazione della Corte riguarda le possibili conseguenze della declaratoria di incostituzionalità dovuta al primo dei tre vizi di incostituzionalità che ha riscontrato a causa dell’indebita estensione della base imponibile operata dal legislatore. La restituzione dei versamenti tributari viene considerata in termini estremamente generici senza identificare i soggetti che avrebbero diritto a chiederla e l’entità delle somme che lo Stato potrebbe essere tenuto a rimborsare. È chiaro che viene in rilievo, a questo riguardo, il contrasto tra il diritto alla restituzione e l’interesse all’equilibrio del bilancio dello Stato destinato ad una verosimile rilevante alterazione [35] anche se la Corte non ha ritenuto di svolgere un’istruttoria specifica sul punto e si è basata, sembra di capire, sulle risultanze delle relazioni annuali predisposte dalla AEEG a norma del comma 18 dell’art. cit. Ma non esiste solo un problema di costo. Rileva anche il fatto che, per reperire i fondi necessari per procedere alle restituzioni, sarebbe indispensabile “una manovra finanziaria aggiuntiva” e, soprattutto, i fondi necessari per provvedere alle restituzioni sarebbero alcuni miliardi di euro [36]. Se è innegabile che l’ammontare delle somme da restituire sia stato tenuto ben presente e che, anzi, il [continua ..]


7. Le conseguenze di una sentenza retroattiva in tema di Robin Hood Tax

La verifica circa gli effetti che la sentenza avrebbe avuto ove la Corte non avesse fatto uso del potere di graduazione degli effetti nel tempo non può evidentemente prescindere dal fatto che la Corte ha ritenuto legittimo lo scopo perseguito dal legislatore. Inoltre non si può fare a meno di valutare gli effetti della sentenza con riferimento ad ognuno dei capi della prima parte della stessa che la Corte ha tenuto distinti e ciò anche se non sono da escludere possibili interrelazioni in considerazione del fatto che si tratta di vizi che, pur distinti, inficiano la stessa disciplina tributaria. Il primo capo da considerare è quello relativo all’applicazione dell’addi­zionale IRES all’intero reddito dell’impresa, invece che al solo reddito suppletivo e cioè a quella parte specificamente riferibile alla posizione privilegiata dell’attività esercitata in una congiuntura particolarmente favorevole. La dichiarazione di incostituzionalità comporta di per sé un obbligo di restituzione oltre che, naturalmente, il venire meno del dovere di pagare l’imposta per il futuro [39]. Si tratta indubbiamente di un’illegittimità costituzionale ab origine ma il diritto alla restituzione delle somme versate attiene solo all’an. La sentenza in esame, infatti, non avrebbe potuto costituire il titolo per chiedere la restituzione di tutte le somme versate, ma solo di quella parte dell’addizionale che non è stata calcolata sugli extraprofitti [40]. Si tratta della naturale conseguenza di una dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale che non manca di riflettersi nel giudizio a quo nel quale il giudice non potrebbe mai accogliere la domanda di rimborso di tutte le somme versate. Un tale diritto infatti sussiste solo limitatamente alla parte di tali somme corrispondente all’addizionale calcolata sulla parte di reddito relativamente alla quale non sussiste il presupposto impositivo eccezionale richiesto dalla Corte e sempre che, onde evitare un indebito arricchimento, il contribuente che chiede il rimborso abbia rispettato il divieto di traslazione. Se si passa a considerare il secondo capo della parte della sentenza in esame, si può agevolmente riscontrare che l’illegittimità costituzionale del carattere strutturale dell’imposta non è di per sé idonea a [continua ..]


8. La graduazione degli effetti delle sentenze di accoglimento e il giudizio a quo

Uno dei punti più delicati e discussi della sentenza, sul quale maggiormente si sono incentrate le critiche della dottrina, è quello della compatibilità tra la natura incidentale del giudizio di costituzionalità e l’esercizio del potere di modulazione degli effetti temporali della decisione di accoglimento. La Corte, prevedendo che la questione avrebbe potuto essere oggetto di discussione, si è premurata di trattare il tema osservando che il potere di graduazione degli effetti “non risulta inconciliabile con il rispetto del requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale” in quanto “(...) tale requisito opera soltanto nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità della questione, ma non anche nei confronti della Corte ad quem al fine della decisione sulla medesima”. La Corte ha altresì aggiunto che non “si può dimenticare che, in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale, gli interessi della parte ricorrente trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, sia pure solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima” [43]. Non è questa la sede per affrontare ex professo tale delicata questione. Al di là del fatto che, come si vedrà tra breve, la sentenza è destinata ad avere un indubbio rilievo quanto meno per il futuro e che quindi il giudizio a quo non risulta vanificato consentendo al ricorrente di ottenere tutto e solo ciò che la Corte ha ritenuto spettargli, sembra opportuno rilevare in via preliminare che le critiche rivolte, sotto questo profilo, all’orientamento espresso dalla Corte circa la possibilità di modulare gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento non costituisce peraltro un motivo per negare che tale potere esista e possa essere esercitato. Chi ravvisi tale incompatibilità dovrebbe infatti ragionevolmente anche concludere che tale carattere del sistema di giustizia costituzionale potrebbe al massimo portare ad individuare un ulteriore limite, oltre quelli già ritenuti sussistenti dalla Corte, all’esercizio del potere di graduazione degli effetti nel tempo della sentenza consistente nel riconoscere che questa ha necessariamente carattere retroattivo nell’ambito del giudizio a quo. Andare oltre significherebbe, all’evidenza, [continua ..]


9. La decisione del giudice a quo

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Commissione Tributaria di Reggio Emilia nell’ambito di un giudizio avviato con un ricorso del contribuente avverso il silenzio rifiuto della p.a. sulla richiesta di rimborso dell’imposta versata relativamente all’anno d’imposta 2008 a titolo di addizionale IRES. Dopo la sentenza della Corte, con una recentissima decisione della stessa Commissione, il ricorso è stato accolto ed è stato ordinato puramente e semplicemente il rimborso dell’intera somma pagata dalla società ricorrente [47]. Il giudice a quo ha motivato tale decisione facendo riferimento, da una parte, al dispositivo della sentenza n. 10 nel quale Corte non ha inserito un’espli­cita deroga alla regola della retroattività della sentenza stessa e, dall’altra parte, al fatto che nel nostro ordinamento non esisterebbe una disposizione di legge che permetta alla Corte costituzionale “di manipolare temporalmente l’efficacia della declaratoria di incostituzionalità di una norma” [48]. La Commissione Tributaria di Reggio Emilia in tal modo ha recepito alcuni dei rilievi formulati dalla dottrina [49], ma se è lecito discutere ed anche criticare la sentenza della Corte, cosa ben diversa è non applicarla. In questo senso si è espressa la dottrina che, dopo non avere lesinato critiche alla Corte nel commentare la sentenza n. 10 [50], ha ritenuto che “si può dissentire da tale statuizione, ma non si può dire che essa non esiste nella sentenza o che non abbia portata decisoria” con la conseguenza che “(...) su questi punti non può essere il giudice tributario a pronunciarsi, ma la Corte stessa, la quale può ricredersi in futuro.” [51]. Ancora meno condivisibile è il fatto che la Commissione Tributaria abbia confuso la questione della possibile efficacia retroattiva della sentenza nel giudizio a quo con il diritto all’accoglimento automatico del ricorso e conseguente condanna dell’erario alla restituzione di tutte le somme pagate a titolo di addizionale in un determinato anno d’imposta. Tale conclusione, a prescindere da ciò che si pensa in merito al potere di modulazione degli effetti della sentenza, contrasta apertamente con il punto 6.5.1. della motivazione della sentenza che, come si [continua ..]


10. Gli effetti pro futuro della sentenza e la loro esatta delimitazione

La sentenza in commento sembra stabilire una chiara ripartizione degli effetti individuando come momento di discrimine la data di pubblicazione della sentenza stessa. Da tale momento, la normativa dichiarata incostituzionale non dovrebbe più spiegare alcun effetto. A conferma dell’estrema complessità della materia e delle questioni poste dalla sentenza n. 10, subito dopo la sua pubblicazione all’inizio del mese di febbraio del 2015, ha cominciato a porsi il problema di individuarne la reale portata. Secondo una parte della dottrina, infatti, il fatto che la sentenza spiegherà i suoi effetti solo per il futuro vuol dire che ciò avverrà a partire dall’anno di imposta 2015. La dichiarazione di illegittimità costituzionale non sarebbe, dunque, applicabile ai versamenti a titolo di addizionale IRES dovuti a saldo per l’anno 2014 in quanto si tratterebbe di un onere riguardante un periodo d’imposta per il quale l’obbligazione tributaria risultava già configuratasi in modo compiuto, al momento della pubblicazione della sentenza, nel presupposto ed anche nel quantum [53]. La sentenza chiarisce espressamente che la graduazione degli effetti nel tempo vale con riferimento ai “rapporti pendenti”. Qualora, infatti, il rapporto fosse esaurito il problema neppure si porrebbe in quanto opererebbe direttamente la regola secondo la quale la sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale in questi casi non ha efficacia retroattiva. L’imposta quindi sarà dovuta e nessun rimborso potrà essere concesso con riferimento a rapporti eventualmente già esauriti perché ciò risulterebbe in contrasto non solo con la sentenza 11 febbraio 2015, n. 10, ma con tutta la giurisprudenza pregressa della Corte. Del tutto diverso è il discorso relativo ai pagamenti che avrebbero dovuto essere eseguiti dopo la pubblicazione della sentenza, in quanto il termine di adempimento dell’obbligazione viene a scadere solo successivamente a tale data dopo la quale, come si è detto, la legge non può più avere applicazione e quindi l’addizionale IRES non è più dovuta. Non possono trovare applicazione nella specie le regole ordinarie in tema di efficacia della legge tributaria nel tempo. Nella sentenza n. 10, infatti, la Corte ha stabilito chiaramente che spetta alla Corte stessa [continua ..]


11. Il principio della domanda ed il potere-dovere di graduare nel tempo gli effetti delle sentenze di accoglimento; il rispetto del principio del contraddittorio

Un altro punto su cui la sentenza della Corte suscita qualche perplessità è quello del rispetto del principio del contraddittorio. Il fatto che la Corte possa graduare, nei limiti e con le precisazioni di cui sopra, gli effetti nel tempo delle proprie sentenze di incostituzionalità non significa che tale potere possa essere esercitato senza rispettare il principio del contraddittorio. Non emerge dal testo della sentenza che sia stata avanzata una richiesta di modulare gli effetti temporali della sentenza e che quindi, nell’emanare la sentenza, abbia provveduto in merito alla domanda di una delle parti [54]. La mancanza di un’apposita istanza non ha impedito alla Corte di esercitare il potere di graduazione degli effetti che nella sentenza è stato configurato come un potere-dovere il cui esercizio quindi deve prescindere dall’iniziativa di parte – che, tuttavia, non è certamente vietata – data la impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali altrimenti risulterebbero irrimediabilmente compromessi. Il fatto che l’esercizio del potere di graduazione degli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento sia stato configurato nella sentenza n. 10 come eccezionale non vuol dire che la Corte si occuperà raramente della questione. Dopo la sentenza n. 10 è ragionevole ritenere specifiche richieste di modulare gli effetti nel tempo della sentenza possano essere proposte in diverse occasioni [55]. A ciò si aggiunga che le parti interessate a contrastare la possibilità che tale potere venga esercitato ben potrebbero decidere di affrontare, anche in via preventiva, la questione per evitare di trovarsi di fronte all’impossibilità di difendersi nel caso che la Corte decida poi di affrontare la questione d’ufficio. La Corte dovrà quindi prendere in esame tali richieste e provvedere in merito ad esse motivando la sua decisione. In tal modo si potrà chiarire ulteriormente la natura del potere di graduazione degli effetti ed i suoi limiti. Qualche considerazione va svolta in merito al fatto che la graduazione degli effetti della sentenza sembra essere avvenuta senza che le parti siano state informate di una simile possibilità ed abbiano avuto modo di esporre, per iscritto o almeno oralmente, le rispettive difese sul punto. Come noto, in linea generale, secondo la giurisprudenza, [continua ..]


12. Considerazioni finali

Qualche breve considerazione per concludere il discorso già molto lungo ed articolato. Nel complesso la valutazione della sentenza è sicuramente positiva anche se, come si è segnalato, non mancano alcuni punti poco chiari ovvero questioni importanti non del tutto risolte oppure, ancora, conclusioni su singoli aspetti che non sono condivisibili. Nucleo centrale ed innovativo della pronuncia è il fatto che la Corte ha considerato “le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata” per decidere di procedere alla graduazione degli effetti nel tempo della propria decisione che è risultata, in base alla disamina analitica che si è compiuta, sostanzialmente coerente con la natura e la portata dei vizi che inficiavano la normativa tributaria dichiarata incostituzionale. Si può quindi ritenere che nella sentenza annotata il diritto alla tutela giurisdizionale non è risultato svuotato dall’esercizio del potere di graduazione degli effetti. Per alcuni aspetti la decisione avrebbe forse potuto essere diversa ma ciò vuol dire che sia possibile mettere in discussione le fondamenta stesse su cui poggia la costruzione della Corte. Nella disamina della sentenza sono state riscontrate peraltro alcune problematiche su cui sembra opportuna una riflessione. La questione più delicata e, si ritiene, ancora non del tutto risolta, riguarda la possibilità che il bilanciamento tra principi e diritti in gioco possa essere risolto facendo riferimento al solo principio dell’equilibrio di bilancio e ancor di più che questo possa essere ritenuto sempre prevalente e ciò anche nei confronti del diritto alla tutela giurisdizionale. In altre parole, occorre interrogarsi circa il fatto che la possibilità di graduare gli effetti nel tempo della sentenza possa o debba sussistere solo ed esclusivamente per contenere possibili aumenti della spesa. Nella sentenza n. 10, come si è visto, la Corte non ha deciso di modulare gli effetti per ragioni di equilibrio di bilancio o comunque non solo per questa ragione. Certo la questione è stata trattata e non avrebbe potuto essere altrimenti dato l’ammontare delle somme in gioco. La Consulta ha tuttavia ritenuto di non basarsi solo su considerazioni attinenti al costo delle restituzioni ed ha infatti puntualmente evidenziato l’esistenza di un grave pregiudizio per [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2015