Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il regime di proroga delle concessioni demaniali marittime non resiste al vaglio della Corte di giustizia (di Alessandro Squazzoni)


CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEZ. V, 14 LUGLIO 2016, CAUSE RIUNITE C-458/14 E C-67/15. PRES. E RELJ.L. DA CRUZ VILAÇA.

«1) L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.

2) L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico‑ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo».

    

SOMMARIO:

1. Una pronuncia scontata nell'esito - 2. Lo stato delle norme italiane prima della procedura d'infrazione - 3. Un cenno all'opera correttiva della giurisprudenza interna per armonizzare la normativa sulle concessioni demaniali marittime al principio concorrenziale - 4. La vicenda della procedura di infrazione n. 2008-4908 e la condotta non leale del legislatore italiano - 5. La norma sulla proroga ex lege e i dubbi della giurisprudenza interna - 6. L'impostazione data dalla Corte di giustizia ai rapporti tra direttiva 123-2006-CE e art. 49 TFUE e la sua genesi nelle conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar - 7. Esposizione schematica del contenuto della pronuncia della Corte - 8. Cenni ad alcuni profili di critica ed in particolare al tema della erosione delle situazioni puramente interne - 9. Brevi considerazioni sulle prime reazioni alla sentenza in ambito nazionale (ed in particolare sull’art. 24, comma 3 septies del d.l. n. 113-2016 come introdotto dalla legge di conversione 7 agosto 2016, n. 160) - NOTE


1. Una pronuncia scontata nell'esito

Non si può certo restare troppo sorpresi nel leggere la sentenza della Corte di giustizia che qui si vuol commentare [1]. L’esito dei rinvii pregiudiziali spediti a Lussemburgo dal giudice amministrativo italiano era addirittura scontato [2] se si pensa a come è sorta ed è stata gestita la vicenda della procedura d’infrazione, intrapresa nel 2008 dalla Commissione, proprio per stigmatizzare alcuni profili della disciplina italiana in tema di demanio marittimo. Le censure della Corte di giustizia erano poi tutt’altro che imprevedibili se si considera il quadro della sua giurisprudenza come pure le indicazioni provenienti dalla stessa giurisprudenza italiana. Distaccandosi dal contingente la cosa stupisce ancora meno [3]. Se non altro perché il pressing esercitato dal livello comunitario sul diritto italiano anche nel campo delle concessioni di beni è un fenomeno oramai ben noto [4] e di estrema rilevanza per l’evoluzione stessa dell’istituto – e del concetto – della concessione dei (e sui) beni pubblici [5]. Scontata che fosse questa sentenza nell’esito, non significa però anche che essa sia necessariamente condivisibile nel suo argomentare giuridico o scevra dall’impattare in problemi di notevole complessità. Ma, soprattutto, scontata non significa affatto priva di rilievo. Ancora nel 2003 un’Autorevole dottrina del diritto amministrativo [6], tutt’altro che insensibile alla dimensione sovranazionale, descriveva senza troppo biasimo lo stato dell’arte osservando che per l’assegnazione di una concessione dell’uso di un bene pubblico non sarebbe stato obbligatorio lo svolgimento di una gara bandita dall’amministrazione. Se però vi fossero state più domande, ebbene allora sarebbe stato necessario che la pubblica amministrazione ne tenesse conto comparandole. Basterebbe questa constatazione per concludere che la decisione Promoimpresa pone allora, quantomeno, un punto fermo che forse tanto acquisito non era.


2. Lo stato delle norme italiane prima della procedura d'infrazione

In tema di concessioni demaniali marittime il codice della navigazione ed il regolamento per la sua esecuzione, per quel che qui rileva, dettano una disciplina che già prima dell’intervento del d.l. n. 400/1993 risultava non priva di ambiguità. L’art. 18 del regolamento, al primo comma, stabilisce che solo quando si tratti di “concessioni di particolare importanza per l’entità o per lo scopo” debba essere ordinata “la pubblicazione della domanda mediante affissione al­l’albo del comune ove è situato il bene richiesto e la inserzione della domanda per estratto nel Foglio degli annunzi legali della provincia”. Si tratta di una pubblicazione che il successivo comma secondo metteva in relazione con la necessità di consentire alla presentazione di osservazioni e opposizioni. Il tema delle domande concorrenti compare invece in modo piuttosto scoordinato. In origine quel profilo era infatti estraneo alla norma, essendo stato inserito per effetto delle modifiche apportate da novelle successive, ed in particolare dal d.P.R. n. 1085/1973 che introdusse nell’art. 18 reg. i commi 5, 6, 7 ed 8. Il comma 5 prevede che nei casi in cui la domanda di concessione fosse stata pubblicata, “le domande concorrenti debbono essere presentate nel termine previsto per la proposizione delle opposizioni”, salvo al successivo com­ma prevedere la possibilità di un esame “delle domande presentate anche oltre detto termine per imprescindibili esigenze di interesse pubblico” [7]. Il comma 7 dispone poi che trascorsi sei mesi dalla scadenza del termine massimo per la presentazione delle domande senza che sia stata rilasciata la concessione al richiedente preferito per fatto addebitabile allo stesso, “possono essere prese in considerazione le domande presentate dopo detto termine”. L’art. 18 si chiudeva poi con un comma 8 alquanto sibillino, affermando il regolamento che le disposizioni dell’articolo “si applicano in ogni altro caso di presentazione di domande concorrenti” [8]. Per rimanere sul terreno del regolamento di esecuzione del codice, si noti peraltro che l’art. 25 stabilisce che scaduto il termine della concessione “questa si intende cessata di diritto senza che occorra alcuna diffida o costituzione in mora” lasciando intendere di voler mettere fuori sistema ogni ipotesi di [continua ..]


3. Un cenno all'opera correttiva della giurisprudenza interna per armonizzare la normativa sulle concessioni demaniali marittime al principio concorrenziale

Prima di descrivere le tappe essenziali innescate da quella procedura, conviene attardarsi per un attimo sull’atteggiamento che la giurisprudenza interna ha riservato alle norme appena indicate. Perché qui vi è da segnalare una condotta connotata, a tratti, da notevole coraggio da parte del giudice amministrativo. Trattandosi di un fenomeno più volte analizzato dalla dottrina, sarà sufficiente un cenno [12]. Il punto di snodo fondamentale in materia è rappresentato dall’aver la giurisprudenza limitato, sino praticamente ad annullarla, l’apparente discrezionalità lasciata all’amministrazione dall’art. 18 del reg. ove l’onere di pubblicazione della domanda sembrava legato a concessioni (solo) di particolare importanza. Qui l’opera decostruttiva [13] dei giudici è arrivata sino al punto di invertire il rapporto tra regola ed eccezione. L’amministrazione sarebbe di fatto sempre tenuta ad effettuare la pubblicità [14], salvo ipotesi del tutto eccezionali e oramai relegate ai repertori della giurisprudenza [15]. Il secondo e collegato passaggio è poi costituito dall’affermazione che tale obbligo di pubblicazione non riguarda solo le nuove concessioni, ma pure i rinnovi delle concessioni già scadute o in scadenza. Il tutto, ovviamente, non in ragione di un’esigenza di trasparenza fine a se stessa, ma appunto per consentire a quella pluralità di domande e quindi ad un confronto concorrenziale. E così il c.d. diritto di insistenza contemplato dall’art. 37, comma 2, cod. nav., è stato riletto dal giudice amministrativo dapprima condizionandolo ad una equipollenza effettiva tra le condizioni offerte dal precedente concessionario e quelle offerte da nuovi aspiranti, e su questo abbrivio poi affermando che la procedura di selezione dovrebbe essere depurata, per quanto possibile, da fattori di vantaggio che si possano rinvenire in capo al già concessionario in virtù della titolarità della concessione stessa. Tutto ciò è avvenuto con il costante richiamo dei principi del diritto dell’U­nione europea [16]. Se questa “operazione” già poteva sembrare ai limiti della interpretatio abrogans dell’istituto previsto dall’art. 37 cod. nav., non meno interessante è [continua ..]


4. La vicenda della procedura di infrazione n. 2008-4908 e la condotta non leale del legislatore italiano

Venendo rapidamente alla vicenda innescata dalla procedura di infrazione n. 2008/4908 [21], è un fatto ben noto che fu inizialmente intrapresa, in un certo senso, mancando il vero bersaglio. In disparte la presenza, tra le norme sospettate di essere anticomunitarie, della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 [22], nella prima lettera di costituzione in mora, notificata il 2 febbraio del 2009, la Commissione puntò i suoi riflettori sul solo art. 37, comma 2, cod. nav., non avvedendosi affatto della presenza del ben più “temibile” art. 01, comma 2, d.l. n. 400/1993 come riformulato dall’art. 10 della legge n. 88/2001. Per altro, in questa prima fase, la Commissione indagava la disciplina italiana sulla base del solo diritto primario, ovvero alla luce del diritto di stabilimento in allora previsto dall’art. 43 del Trattato CE. Riscontrando questa prima comunicazione, le autorità italiane si impegnarono a modificare la norma sul c.d. diritto di insistenza in modo conforme ai principi comunitari, pur rilevando che, di fatto, già la giurisprudenza interna dava un’interpretazione ed applicazione di detto istituto conforme alle istanze di evidenza pubblica imposte dal diritto comunitario. Con nota del 4 agosto 2009, tuttavia, la Direzione generale del mercato interno e dei servizi della Commissione europea evidenziava che la preferenza accordata dall’articolo 37 del codice della navigazione al concessionario uscente, oltre ad essere contraria all’articolo 43 del Trattato CE, era nel contempo in contrasto con l’articolo 12 della “direttiva servizi” [23], invitando così le autorità italiane ad adottare tutte le misure necessarie al fine di rendere l’ordi­namento interno pienamente conforme a quello comunitario entro il termine ultimo del 31 dicembre 2009. Il legislatore italiano ideò la consueta soluzione tampone. Prevedendo, con l’art. 1, comma 18, d.l. 20 dicembre 2009, n. 194 la soppressione del diritto di insistenza di cui all’art. 37 comma 2, cod. nav., ma al contempo stabilendo una proroga delle concessioni, in essere alla data di entrata in vigore del medesimo decreto ed in scadenza entro il 31 dicembre 2012, inizialmente fino a quest’ultima data. Riuscito faticosamente a spuntare dalla Commissione europea il beneficio di [continua ..]


5. La norma sulla proroga ex lege e i dubbi della giurisprudenza interna

In effetti sarebbe sufficiente la narrazione di una condotta siffatta, che non può certo dirsi carica di adamantina lealtà istituzionale, per comprendere come non si potesse sperare in un atteggiamento particolarmente benevolo quando la vicenda, come è avvenuto, fosse per caso approdata avanti alla Corte di giustizia. Del resto, gli stessi indirizzi provenienti dalla giurisprudenza interna davano oramai l’idea di un fermento sulla questione destinato a risolversi in un senso già tracciato. In primo luogo va ricordato che la Corte costituzionale, ogni qual volta ne ha avuto occasione, ha sistematicamente dichiarato l’illegittimità di leggi regionali che disponevano regimi di proroga o di rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime [27]. E lo ha fatto, nella sostanza, per contrasto con il diritto comunitario e proprio rammentando, come sicuro indice di anticomunitarietà, i rilievi formulati nella procedura di infrazione. Vero è che nella sentenza n. 213/2011 la Corte, con dubbia coerenza [28], sembrerebbe aver implicitamente “salvato” invece la disciplina statale o, per esser più esatti, l’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, nella parte in cui prevedeva la proroga ex lege sino al 31 dicembre 2015 [29]. Ma si deve pur notare che lo ha fatto insistendo sulla natura transitoria di quella norma. Non a caso, in pronunce successive all’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cioè all’introduzione nella disciplina statale dell’ulteriore proroga al 2020, la motivazione della Consulta si è ben guardata dall’attribuire anche a questa ennesima dilazione la patente di norma ispirata alla finalità di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia [30]. Sul versante della giurisprudenza amministrativa, poi, sebbene non abbia avuto unanime seguito l’orientamento che ha disapplicato la norma interna che prevedeva la proroga al 31 dicembre 2015 [31], non si deve trascurare che il contrasto tra questa ed il diritto comunitario era stato da altra giurisprudenza escluso anche perché il termine sessenale della proroga coincideva con quello delle concessioni, sicché si [continua ..]


6. L'impostazione data dalla Corte di giustizia ai rapporti tra direttiva 123-2006-CE e art. 49 TFUE e la sua genesi nelle conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar

Per esporre i contenuti salienti della sentenza della Corte di giustizia, prima ancora di accennare alle conclusioni dell’Avvocato generale, conviene una precisazione relativa ai due provvedimenti di rinvio pregiudiziale. Il Tar Lombardia ha espressamente dichiarato ed argomentato la presenza di un interesse transfrontaliero certo in merito all’assegnazione della concessione in questione. Ha poi evitato ogni riferimento alla direttiva 2006/123/CE, inquadrando giuridicamente il problema nei termini di un contrasto tra la disciplina interna che determina la reiterata proroga del termine di scadenza delle concessioni di beni del demanio marittimo ed il diritto primario dell’Unione, ovvero con il principio di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), libertà di prestazione di servizi (art. 56 TFUE), parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE), trasparenza e non discriminazione (art. 106 TFUE) [35]. Il Tar Sardegna, di contro, non si è curato di esplicitare alcunché in merito alla presenza, nella vicenda sindacata, di un interesse transfrontaliero certo. Tuttavia, oltre a evidenziare un possibile contrasto con il diritto primario in modo non dissimile da quanto già aveva fatto il Tar lombardo, ha diffusamente dedotto in merito ad un possibile contrasto della norma interna sulla proroga anche con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Riunendo le due cause la Corte si è quindi trovata di fronte ad una situazione ad un tempo ideale e gravosa. Nel senso, cioè, che da un lato l’esame del merito non poteva ad essa sfuggire; d’altro lato, era invitata ad affrontare ogni questione sul tappeto, ivi compreso a quel punto il rapporto tra le norme del TFUE e la direttiva 123/2006/CE. Ebbene, per comprendere l’impostazione eletta dalla Corte è di fondamentale importanza spendere qualche parola sulle conclusioni dell’avvocato generale Szpunar e sul contesto sottostante nel quale sono maturate. L’avvocato generale Szpunar, infatti, in almeno due precedenti si era trovato ad affrontare il tema dell’applicabilità della direttiva 123/2006/CE alle c.d. situazioni puramente interne. Connotate cioè, dall’assenza di elementi transfrontalieri [36]. Nelle cause riunite C-340/14 e [continua ..]


7. Esposizione schematica del contenuto della pronuncia della Corte

Fatta questa precisazione, che impatta temi di non poco conto, per il resto la pronuncia si può schematizzare in alcuni passaggi. 1) Le concessioni demaniali marittime possono essere sussunte nel perimetro delle autorizzazioni ai sensi delle disposizioni della direttiva 123/2006 “in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica”. Peraltro, secondo la Corte, dette concessioni non sembrano rientrare invece nella categoria della concessione di servizi [43]; 1.1) le concessioni demaniali in questione riguardano risorse naturali; 1.1.2) pertanto, se il giudice nazionale accerta che debbono essere rilasciate in numero limitato per via della scarsità delle risorse naturali, ebbene allora saranno integrate le condizioni per rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 12 dir. 123/2006; 1.1.2.1) con la precisazione, che al fine della verifica sul requisito del “numero limitato” occorre prendere in considerazione anche il fatto che le concessioni siano rilasciate a livello comunale e non nazionale. 2) A termini dell’art. 12, paragrafo 1 della direttiva, il rilascio di autorizzazioni che siano in numero limitato per via della scarsità di risorse naturali, deve essere oggetto di una procedura di selezione tra potenziali candidati, connotata da imparzialità, trasparenza e adeguata pubblicità; 2.1) se si accerta che le concessioni rientrano nel campo di applicazione dell’art. 12 – perché la verifica di cui al precedente punto 1.1.2 dà esito positivo – ebbene allora la disposizione nazionale che prevede una proroga ex lege, equivale ad un rinnovo automatico, e perciò viola l’art. 12, paragrafo 2 della direttiva. 3) La norma di proroga non è giustificabile adducendo la necessità di tutela del legittimo affidamento dei già titolari di dette autorizzazioni ed al fine di consentire loro di ammortizzare gli investimenti, in quanto, 3.1) da un lato l’art. 12 paragrafo 3 della direttiva consente di tener conto di motivi imperativi di interesse generale solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione, 3.1.1) sicché non potrebbe essere invocata per giustificare una proroga di autorizzazioni rilasciate inizialmente [continua ..]


8. Cenni ad alcuni profili di critica ed in particolare al tema della erosione delle situazioni puramente interne

Su molti dei passaggi della sentenza della Corte sopra schematizzati vi sarebbe spazio di argomentata critica [44]. Almeno uno dei temi dai risvolti di diritto europeo di più ampio respiro, ben essendo assai controverso, potrebbe però essere meno gravido di conseguenze pratiche di quanto da taluni supposto. Come noto, il fenomeno della erosione degli spazi di immunità dal diritto comunitario delle situazioni puramente interne, è un tema molto “caldo” dell’at­tuale diritto eurounitario, enfatizzato proprio nel caso della direttiva 123/2006 [45]. Questa infatti, a differenza delle direttive appalti e concessioni – che attraverso le c.d. soglie risolvono a monte il problema dell’interesse transfrontaliero – si presta in effetti a diverse letture. Indubbiamente gli argomenti prospettati dall’avvocato generale Szpunar per perorare la tesi di una diversa area di incidenza – insensibile al profilo transfrontaliero – delle disposizioni sulla libertà di stabilimento contenute dalla direttiva non sono così prepotenti [46]. Ma occorre ricordare come ad analoghe conclusioni sia ad esempio approdata anche la dottrina italiana sulla base di riflessioni ben più ponderate [47]. Tuttavia, vien fatto di chiedersi non solo quale rilievo abbia lo stabilire se davvero la direttiva 123/2006 si applichi direttamente alle situazioni puramente interne. Ma più a monte, ci si dovrebbe forse interrogare sulla portata pratica effettiva della perimetrazione data in questa occasione dalla Corte di giustizia, quando circoscrive l’effetto dell’art. 49 TFUE (destinato ad entrare in azione ove non scatti l’art. 12 della direttiva) alle concessioni demaniali rispetto alle quali si accerti la presenza di un interesse transfrontaliero. Certo, in astratto si tratta di temi gravissimi. Ma a sdrammatizzarli potrebbe contribuire l’idea che il sistema giuridico italiano sia tra quelli ove il riallineamento costante tra il livello di tutela delle situazioni interne e quelle che hanno origine nel diritto europeo è assicurato da vari strumenti, tra i quali vi è anche il c.d. divieto di discriminazioni a rovescio [48]. Da questo punto di vista, non sembra ininfluente ricordare che la stessa legge italiana di recepimento della direttiva Bolkestein si adegua a questo concetto della [continua ..]


9. Brevi considerazioni sulle prime reazioni alla sentenza in ambito nazionale (ed in particolare sull’art. 24, comma 3 septies del d.l. n. 113-2016 come introdotto dalla legge di conversione 7 agosto 2016, n. 160)

Al di là dell’esame critico del percorso argomentativo, le prime reazioni in ambito nazionale alla sentenza Promoimpresa si sono concentrate prevalentemente su due aspetti. Aspetti intimamente connessi, o quantomeno, accomunati nell’intento, nemmeno tanto celato, di porre un argine di resistenza alle conseguenze pratiche della pronuncia. In un’ottica di tutela della categoria dei concessionari insediati [61]. Ci si è quindi interrogati sugli effetti della sentenza relativamente alle concessioni in essere. Ci si è poi posti il tema degli spazi di manovra che, dopo la pronuncia comunitaria, residuano all’ordinamento interno per tutelare l’affidamento riposto dai concessionari insediati in merito agli investimenti effettuati. Non si può negare che questo secondo profilo sia il più problematico e ricco di sfaccettature [62]. E prima o poi dovrà essere affrontato dal legislatore nel­l’ambito di un intervento di riforma del settore che appare oramai non più procrastinabile. Qualche indicazione sul punto, si spera, potrebbe peraltro provenire dalla stessa Corte costituzionale, recentemente investita della questione in merito alla legge regionale toscana n. 31/2016 [63]. Si tratta per giunta di un tema al quale l’Unione europea è particolarmente sensibile. Lo dimostra anche solo il fatto che la disciplina italiana che lo ha affrontato nella materia delle concessioni idroelettriche da sottoporre a gara, è oggetto di una procedura d’infrazione che ha ravvisato un privilegio ingiustificato a vantaggio del concessionario uscente, ed un ostacolo all’ingresso di nuovi operatori, nel regime del corrispettivo a carico del concessionario subentrante per il trasferimento del ramo d’azienda previsto dall’art. 37 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (c.d. decreto Sviluppo) [64]. Quanto invece al profilo più immediato, forse si potrà pure ammettere che il tema degli effetti della sentenza Promoimpresa sui rapporti concessori in essere, che non siano oggetto di giudizi pendenti, non sia di esito così scontato [65]. Il legislatore italiano, tuttavia, in merito ha eletto la via più discutibile che si potesse immaginare e – si passi il termine – forse nemmeno tanto scaltra. Inserendo, alla chetichella, in sede [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2016