Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La Cassa Depositi e Prestiti: le recenti mutazioni e le problematiche del coinvolgimento nel turnaround industriale (di Andrea Pisaneschi)


L’articolo descrive la trasformazione della Cassa depositi e Prestiti dal 2003 ad oggi, sottolineando i vari passaggi da società per azioni a holding di partecipazioni sino alla banca pubblica di promozione. Si sofferma sulle funzioni più recenti di gestione del turnaround delle imprese. Descrive il funzionamento del c.d. patrimonio destinato. Conclude con alcuni interrogativi sulla coerenza delle varie funzioni che la normativa ha progressivamente attribuito alla Cassa.

The “Cassa Depositi e Prestiti”: the recent mutations and the problems of involvement in the industrial turnaround

The article describes the transformation of the Cassa Depositi e Prestiti from 2003 to today, underlining the various steps from a joint stock company to a holding company up to the public promotion bank. It is focused on the most recent functions of managing the turnaround of companies; describes the functioning of the so-called destined heritage; concludes with some questions on the consistency of the various functions that the legislation has progressively attributed to the Bank.

Keywords: Deposits and Loans Fund – holding company – Covid 19 – recovery fund

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La prima trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti nel 2003: la società per azioni - 3. La seconda trasformazione: la Cassa holding di partecipazioni - 4. La terza trasformazione: la banca pubblica di promozione - 5. La quarta trasformazione: la gestione del turnaround delle imprese - 6. Forse è opportuno scegliere - NOTE


1. Premessa

La crisi anche economica, innescata dal Covid 19, ha riproposto il tema delle modalità dell’intervento dello Stato dell’economia [1]. Se non si nega, neppure da parte delle correnti di pensiero più liberiste, la necessità di interventi di supporto in casi di violenta contrazione economica, assai più discusse sono invece le modalità di questo intervento. Da alcune parti politiche si invoca la necessità di “banche pubbliche”, figura che in verità non esiste come species giuridica e che pertanto non potrebbe essere caratterizzata da alcuna particolarità, né di funzionamento né di regolazione, rispetto a qualunque altro intermediario creditizio. Lo stesso Governatore della Banca d’Italia ha recentemente ricordato come più che una banca pubblica sarebbe necessaria una pubblica amministrazione efficiente e infrastrutture adeguate [2]. Inoltre, la storia delle banche pubbliche italiane, che è il caso di ricordare operavano comunque in un mercato protetto, chiuso alla concorrenza e fortemente segmentato, non è stata sempre una storia di successo, consegnando al mercato, in molti casi, istituti deboli ed eccessivamente piegati alle logiche politiche dei territori di appartenenza. In questo contesto, un ruolo non ancora compiutamente definito è giocato dalla Cassa Depositi e Prestiti, alla quale il legislatore ha in passato attribuito determinate funzioni principalmente per ragioni di bilancio pubblico, e poi come spesso succede, gli ha attribuito funzioni diverse, alcune in linea con la storia dell’istituto, altre non sempre omogenee e coerenti [3]. Anche il legislatore europeo è intervenuto, qualificando la Cassa Depositi e Prestiti italiana, al pari di altri istituti simili francesi tedeschi e spagnoli (altre nazioni hanno poi seguito) come Banche nazionali di promozione, nuova figura giuridica collegata al piano di investimenti per l’Europa 2014-2020. Tali istituti hanno sino ad ora svolto un ruolo marginale, ma è presumibile che potranno diventare attori fondamentali nell’attuazione del programma dell’U.E. c.d. Next Generation (o impropriamente Recovery Found). Questi diversi ruoli che può svolgere la Cassa depositi e prestiti sono favoriti, ad un tempo, da una certa ambiguità della natura giuridica – che però ne costituisce [continua ..]


2. La prima trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti nel 2003: la società per azioni

Già dall’Unità esisteva in Italia un ente costruito sul modello della Caisse des dépôts et consignations francese, denominato Cassa depositi centrale del risparmio postale (successivamente denominato Cassa depositi e prestiti) e istituito come una direzione generale del Ministero del Tesoro secondo il modello dell’impresa pubblica-organo. Nel 1983 la Cassa ha cessato di essere una direzione generale del Ministero del Tesoro, acquisendo poi personalità giuridica ed una propria autonomia ordinamentale, organizzativa, patrimoniale e di bilancio, assumendo poi, nel 1999, la natura giuridica di “amministrazione dello Stato dotata di propria autonomia ordinamentale, organizzativa e di bilancio” [5]. Nello svolgimento di questa attività era favorita, rispetto alle banche, per un minor costo della raccolta, che beneficiava da un lato della garanzia statale, e dall’altro lato, ed in conseguenza, di una minor remunerazione del risparmio postale. La Cassa utilizzava il risparmio postale, raccolto attraverso gli uffici postali, per il finanziamento delle opere pubbliche a livello locale, riuscendo a trasformare scadenze a breve o anche a vista (come il risparmio postale) in prestiti a medio o anche a lungo termine grazie alla garanzia dello Stato. Il costo dei finanziamenti per i prenditori, d’altra parte, poteva essere inferiore al finanziamento bancario, data la minor remunerazione del risparmio postale. I numeri sono comunque rilevanti: si può dire che a cavallo degli anni 90 (quando esisteva già un articolato sistema di intermediazione creditizia in Italia) le attività dell’ente si attestavano intorno al 20% del PIL del paese e pesavano per oltre i 20% rispetto all’intero sistema bancario [6] (come si dirà nel 2020 è previsto una gestione di risparmio di oltre 300 miliardi di euro). Di fatto, la Cassa ha costituito nello scorso secolo il principale intermediario finanziario del paese, suscitando sia critiche di economisti liberisti che vi vedevano una alterazione sostanziale dell’ordinamento creditizio e la costituzione di un sistema creditizio parallelo per gli enti locali, sia dello stesso sistema creditizio che vi vedeva una distorsione concorrenziale basata su aiuti di Stato attraverso la garanzia pubblica. Nel 2003 la Cassa fu trasformata da ente pubblico economico in società per [continua ..]


3. La seconda trasformazione: la Cassa holding di partecipazioni

L’art. 5 d.l. n. 269/2003 ha consentito alla Cassa di assumere partecipazioni da assegnare alla gestione separata, mentre è parimenti consentito allo Stato trasferire partecipazioni, anche indirette, alla Cassa [20]. La legge e lo Statuto tuttavia prevedono che la Cassa possa investire soltanto in società in condizioni di stabile equilibrio economico finanziario e patrimoniale, con adeguate prospettive di crescita e redditività. Dunque, il salvataggio di aziende in crisi non rientrava, originariamente, tra i fini della Cassa, anche perché in tal caso potrebbe porsi un serio problema di aiuti di Stato. Su questa base fu ceduto alla Cassa un primo pacchetto di azioni di società privatizzate di cui lo Stato deteneva ancora il controllo (10,35% di Enel; 10% di Eni; 35 % di poste italiane per un corrispettivo di oltre 10 miliardi di euro) che, all’atto del trasferimento consentirono una riduzione del debito pubblico di pari importo [21]. Questo versante di attività è stato poi legislativamente incrementato: l’art. 7 d.l. n. 34/2011 ha ulteriormente esteso l’ambito di operatività della Cassa, con­sentendole di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore, di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico produttivo del paese, e che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività [22]. Tali partecipazioni possono essere acquisite anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati dalla medesima Cassa [23]. Su questa base è stato quindi costituito, nel 2011, il Fondo strategico italiano (FSI) partecipato dalla Cassa e dalla Banca d’Italia e dotato di capitale iniziale di 4,4, miliardi (mutando poi denominazione nel 2016 in CDP Equity Spa, attualmente veicolo di molte operazioni di acquisizione societarie, mentre parallelamente Banca d’Italia recedeva dal capitale). Sempre secondo questa logica la Cassa ha partecipato alla costituzione del Fondo Italiano di Investimento (FII) che si qualifica come fondo di fondi per investimenti nel capitale di società di piccole dimensioni, ed ha partecipato nel 2007 alla costituzione di F2i Fondi italiani per le [continua ..]


4. La terza trasformazione: la banca pubblica di promozione

Sempre nel 2015 la Commissione Europea ha approvato una Comunicazione dal titolo “Lavorare insieme per la crescita e l’occupazione: il ruolo delle banche nazionali di promozione a sostegno del piano di investimenti per l’Europa.” In questa comunicazione la Commissione ha individuato il ruolo e le funzioni delle banche nazionali di promozione, sia in relazione all’attuazione del “piano di investimenti per l’Europa” in coordinamento con la BEI, sia per supplire ai possibili fallimenti del mercato del credito. Ha poi individuato la KfW tedesca, la Caisse des Dépôts et Consignations francese, la Cassa Depositi e Prestiti italiana, l’Instituto de Crédito Oficial spagnola e la Green Investment Bank e la British Business Bank del Regno Unito, come principali banche nazionali di promozione (sulla scia di queste anche Portogallo, Irlanda, Grecia e Lettonia hanno istituto recentemente banche nazionali di promozione). L’art. 1, comma 826, legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016), aveva infatti riconosciuto a Cassa Depositi e Prestiti la qualifica di Istituto Nazionale di Promozione. Per banca nazionale di promozione la Commissione intende “un’entità giuridica che espleta attività finanziarie su base professionale, cui è stato conferito un mandato da uno Stato membro o da un’entità dello Stato membro, a livello centrale, regionale o locale, per svolgere attività di sviluppo o di promozione, conformemente all’art. 2 punto 3 del regolamento relativo al FEIS” [28]. Mentre tuttavia il ruolo connesso all’attuazione dei piani di investimenti per l’Europa, in cooperazione con la BEI, è chiaramente determinabile (ed un ruolo rilevante sarà certamente svolto nel finanziamento dei progetti attraverso il c.d. Next Generation), meno evidente risulta il ruolo delle banche nazionali di promozione nel supplire ai “fallimenti del mercato”, anche per le inevitabili ricadute sulla normativa in tema di aiuti di Stato. Secondo la Commissione esempi tipici di fallimenti del mercato sarebbero i) il razionamento del credito e la domanda di rendimenti elevati; ii) l’insuf­ficienza degli investimenti in settori quali la ricerca e lo sviluppo le infrastrutture, l’istruzione e i progetti ambientali; iii) l’insufficiente [continua ..]


5. La quarta trasformazione: la gestione del turnaround delle imprese

A seguito della crisi da Covid 19 e nell’ambito della previsione di una serie di strumenti per rafforzare il patrimonio e la liquidità delle imprese, vi sono stati vari interventi che hanno inciso sulle modalità operative della Cassa. In primo luogo, con le misure per assicurare la liquidità alle imprese di medie e grandi proporzioni, con sede in Italia, nel decreto-legge n. 23 dell’8 aprile 2020, sono assicurate da SACE (controllata ora direttamente dalla Cassa) attraverso il rilascio di garanzie, in favore di banche e di altre istituzioni finanziarie. Sulle obbligazioni assunte da SACE è accordata la garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso, estesa al rimborso del capitale, degli interessi, e di ogni altro onere accessorio al netto delle commissioni [31]. La medesima SACE esercita per conto del Ministero dell’economia e delle finanze le attività successive relative all’escussione della garanzia e al recupero dei crediti (che possono anche essere delegate a banche o ad altre istituzioni creditizie) [32]. Le misure di concessione sono previste dalla legge sino al 31 dicembre 2020; tuttavia la normativa ha ridelineato un nuovo e differente status giuridico per SACE destinato a durare stabilmente ben oltre la data –teoricamente– fissata per il rilascio delle garanzie, e che lascia prefigurare per SACE e per Cassa depositi e prestiti un ruolo strategico – ancora da definire – per la fase successiva alla concessione delle garanzie. Da un punto di vista organizzativo, il decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020 ha rimodellato il sistema dei riporti di SACE, delineando, ancora una volta, una società per azioni atipica. Come noto SACE, ente pubblico economico, fu trasformata in società per azioni nel 2004, con una privatizzazione “fredda” a seguito della quale il 100% delle azioni furono attribuite al Ministero delle Economia e delle Finanze (MEF). Successivamente, nel 2012, fu acquisita da Cassa Depositi e Prestiti nell’ambito di un piano di ristrutturazione delle partecipazioni del MEF. Nel 2016 C.D.P. vi conferì SIMEST, attribuendogli pertanto una forte connotazione nel supporto all’internazionalizzazione delle imprese italiane. Con il decreto in questione non cambia la veste societaria di SACE, ma cambiano invece radicalmente i riporti, attraverso la previsione di poteri diretti di [continua ..]


6. Forse è opportuno scegliere

Dopo la privatizzazione delle banche che si è compiuto quasi in un ventennio la banca pubblica è praticamente scomparsa (rimane il caso del Mediocredito centrale posseduto dallo Stato italiano attraverso Invitalia e il caso di Banca Monte dei Paschi che però è conseguenza di una ricapitalizzazione precauzionale con obblighi di uscita da parte dello Stato). Mentre questo avveniva, e prima della crisi del 2020, i mercati finanziari divenivano sempre più interconnessi e competitivi, la vigilanza, spostata a Francoforte, irrigidiva progressivamente i requisiti patrimoniali producendo da una parte un irrobustimento del sistema bancario, ma dall’altra parte anche un elevato deleveriging per quei sistemi strutturalmente più deboli e bancocentrici (come l’Italia). Il rischio “paese”, connesso sia all’elevato debito pubblico sia ad un sistema bancario ancora strutturalmente più debole rispetto ad altri paesi della zona euro, ha prodotto mediamente un costo del denaro più alto e dunque tassi di interesse più elevati e pertanto una maggiore difficoltà a realizzare investimenti da parte del settore privato. Dagli anni 90 in poi, inoltre, sia per la necessità –sostanziale– di non ampliare eccessivamente lo stock di debito pubblico, sia per la introduzione – successiva – di vincoli formali all’indebitamento si assiste ad una caduta parallela degli investimenti pubblici (dal 3,6% del PIL nel 1983-1985 al 2,2% nel 1993-95 e da allora rimangono sotto la media europea). Questo in un contesto nel quale l’Italia è entrata nel XXI secolo con un deficit di oltre 10 punti percentuali rispetto alla media europea per reti ferroviarie, infrastrutture aereoportuali, impianti e reti energetiche ambientali [40]. Il Global competitiveness report del 2012-13 collocava l’Italia al ventottesimo posto nella graduatoria mondiale del pilastro “qualità delle infrastrutture” in coda ai paesi del resto dell’Eurozona con Germania e Francia al terzo e quarto posto. Tale rilevante gap infrastrutturale – è però opportuno ricordarlo– non è conseguenza solo di una riduzione della spesa per investimenti, ma anche in grande parte della esistenza di “un serio problema di inefficienza nell’uso delle risorse finanziarie disponibili che [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2021