Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Regolazione del mercato idroelettrico e tutela della concorrenza: la sentenza 25 febbraio 2014, n. 28 e un possibile nuovo orientamento della Corte Costituzionale (di Gianluca Cavalieri)


«Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, commi 4, 5, 6 e 7, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 7 agosto 2012, n. 134), sollevate dalle Province autonome di Bolzano e di Trento con riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., agli artt. 8 e 103 dello statuto speciale del Trentino Alto Adige e al d.p.r. 26 marzo 1977, n. 235. Le disposizioni censurate, che disciplinano le procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare ed al contenuto dei bandi, nonché alla onerosità delle concessioni messe a gare nel settore idroelettrico, non ledono le competenze provinciali, bensì rientrano nella materia «tutela della concorrenza» di competenza legislativa esclusiva statale, essendo volte a tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Inoltre, la stessa normativa di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige, all’art. 1-bis, commi 2 e 16, d.p.r. n. 235/1977, indica le materie di competenza esclusiva statale quale limite alla legislazione provinciale sulle grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico e sulle relative concessioni.»

  

SOMMARIO:

1. Il fatto - 2. La disciplina transitoria delle concessioni di derivazione idroelettrica - 3. Incertezze e antinomie nella giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di 'tutela della concorrenza' - 4. Il caso delle proroghe delle concessioni idroelettriche - 5. La sentenza n. 28/2014: un nuovo orientamento della Corte? - 6. Dall'uniformità territoriale all'uniformità (anche) 'settoriale': alcune considerazioni conclusive - NOTE


1. Il fatto

Con sentenza 25 febbraio 2014, n. 28, la Corte Costituzionale si è pronunciata su una serie di questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle Province autonome di Trento e Bolzano con riferimento all’art. 37, commi 4, 5, 6, 7 e 8 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134. La normativa contestata dalle ricorrenti disciplina in modo articolato le procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni di grande derivazione d’acqua a scopo idroelettrico, disponendo che, cinque anni prima dello scadere della concessione, le regioni e le province autonome indicano una gara a evidenza pubblica per l’attribuzione a titolo oneroso della concessione; inoltre, sono previsti una serie di criteri alla luce dei quali effettuare la valutazione comparativa tra le offerte e il periodo di durata della concessione (da venti a trenta anni rapportato all’entità degli investimenti necessari). Il decreto legge reca altresì alcune prescrizioni puntuali relative al contenuto del bando di gara [1], che, tra l’altro, deve prevedere il trasferimento dal concessionario uscente al nuovo concessionario della titolarità del ramo d’azienda relativo all’esercizio della concessione [2], a fronte di un corrispettivo predeterminato tra il concessionario uscente e l’amministrazione concedente e indicato nel bando di gara [3]. È inoltre previsto che i valori massimi dei canoni delle concessioni a uso idroelettrico siano stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano [4]; infine, è abrogata la previgente disciplina in materia di trasferimento della titolarità di ramo d’azienda tra concessionario uscente e aggiudicatario [5], stabilita ai commi 489 e 490 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 [6]. Il nucleo fondamentale delle censure sollevate dalle ricorrenti atteneva all’asserita violazione di competenze legislative provinciali esclusive (in materia di difesa del suolo e dell’ecosistema, di opere idrauliche e di demanio idrico) [7] e concorrenti (utilizzazione delle acque pubbliche e sanità) [8]; la violazione, secondo il ragionamento delle Province, sarebbe [continua ..]


2. La disciplina transitoria delle concessioni di derivazione idroelettrica

Com’è noto, la produzione idroelettrica costituisce la modalità di sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile che per prima si è consolidata, tanto che in Italia è stata per molto tempo e di gran lunga la principale forma di produzione elettrica. In origine, lo sfruttamento della risorsa idrica per la produzione di energia elettrica fu affidato all’impresa privata. Ben presto, però, lo Stato italiano intervenne in chiave autoritativa, disciplinando puntualmente il sistema dello sfruttamento della risorsa idrica finalizzato alla produzione di energia elettrica. L’evoluzione normativa muove dalle previsioni del Testo Unico sulle acque e gli impianti elettrici, approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775. Secondo la disciplina del Testo Unico, alla prima scadenza della concessione, l’utenza privata della grande derivazione per forza motrice avrebbe avuto definitivamente termine, e i beni realizzati dal concessionario sarebbero stati appresi dallo Stato non già per riassegnarli a un nuovo concessionario, bensì per gestirli direttamente a scopi produttivi [10]. In coerenza con le politiche del tempo di espansione dell’intervento pubblico diretto nell’economia, «si prefigurava dunque la nazionalizzazione del segmento della produzione idroelettrica, preceduta dalla possibilità per l’im­prenditoria privata di sfruttare inizialmente la risorsa idrica al fine della generazione, a fronte dell’acquisto da parte dello Stato dei beni strumentali all’eser­cizio delle derivazioni realizzati dai concessionari» [11]. In proposito, è stato autorevolmente rilevato che il Testo Unico «prevedeva una sorta di meccanismo (surrettizio) di riserva del settore idroelettrico in capo allo Stato attraverso la previsione del ritorno dell’utenza di grande derivazione e dei rispettivi compendi aziendali allo Stato, in deroga alla normativa sul rinnovo delle concessioni» [12]. Nel Secondo dopoguerra, tuttavia, il progressivo sviluppo industriale rese ancor più indispensabile un coordinamento statale della produzione di energia elettrica. Fu dunque istituito, con legge 6 dicembre 1962, n. 1643, l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, cui furono demandate tutte le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita [continua ..]


3. Incertezze e antinomie nella giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di 'tutela della concorrenza'

Questa singolare circostanza ha determinato l’insorgere, oltre che di profili critici di interesse – anche economico – generale [17], di alcuni problemi di rilievo sullo specifico tema del riparto di competenze tra Stato e Regioni, con particolare riferimento alla materia «tutela della concorrenza» [18]. In effetti, quello della concessione dei beni demaniali è stato solo uno degli scenari del conflitto esploso nell’ultima decade tra Stato e Regioni con riferimento al riparto di competenze legislative. La riforma del Titolo V della Costituzione [19], infatti, nel rovesciare l’equilibrio dei rapporti tra fonti statali e regionali, ha attribuito la «tutela della concorrenza» alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, tralasciando, però, di definire puntualmente l’oggetto dell’attribuzione alla competenza statale della materia prevista dall’art. 117, comma 2, lett. e). Molti studiosi, all’indomani dell’approvazione del nuovo Titolo V, spiegarono la scelta di individuare tra le materie di competenza statale la «tutela della concorrenza», con l’esigenza di garantire unità e uniformità della disciplina a livello nazionale, per favorire il funzionamento concorrenziale del mercato ed evitare il rischio di sperequazioni territoriali [20]. Per quanto condivisibile – e condivisa – questa spiegazione non è però sufficiente a colmare la lacuna legislativa; a questo scopo, infatti, è indispensabile identificare con chiarezza l’oggetto della materia «tutela della concorrenza». L’operazione si rivela, tuttavia, complessa, a causa dalla perdurante difficoltà d’inquadramento giuridico e sistematico della concorrenza come bene giuridicamente tutelato, che emerge con particolare evidenza nelle numerosissime [21] pronunce della Corte sulla materia «tutela della concorrenza». Un Autore che ha analizzato questi temi con particolare attenzione, già alcuni anni fa ha segnalato che, in linea generale, «nell’approccio dei giuristi italiani al tema della concorrenza sono tuttora presenti […] numerosi equivoci» [22]. Parte della Dottrina, prima del 2001, tentò di ancorare il riconoscimento costituzionale della concorrenza all’art. 41 Cost. [23]. Questa soluzione lasciava [continua ..]


4. Il caso delle proroghe delle concessioni idroelettriche

La difficoltà della Corte di esprimere linee di indirizzo chiare ed univoche sul riparto di competenze legislative in materia di «tutela della concorrenza», emerge in modo evidente nella giurisprudenza costituzionale inerente le concessioni idroelettriche.   4.1. In particolare, l’incertezza della Consulta si manifesta in modo emblematico in Corte cost. 18 gennaio 2008, n. 1 [30]. In quell’occasione la Corte, innanzitutto, ha escluso che la previsione di una proroga decennale delle concessioni in corso di validità afferisse alla materia «tutela della concorrenza». La disposizione censurata, secondo il Giudice delle Leggi, anziché aprire gradualmente il mercato dell’energia, avrebbe irragionevolmente impedito l’apertura del mercato per dieci anni, ponendosi in aperto contrasto con i principi comunitari e contraddicendo il fine – tutela della concorrenza – asseritamente perseguito. Di conseguenza, la Corte ha sostenuto che la disposizione allora in esame [31] dovesse essere ascritta alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di competenza legislativa concorrente [32], e, per l’effetto, ha dichiarato illegittima la norma sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale, poiché integrante una disposizione di dettaglio in una materia in cui lo Stato è competente per la sola determinazione dei principi fondamentali. In buona sostanza, la Consulta ha ritenuto che la normativa in discussione non fosse ascrivibile alla materia «tutela della concorrenza», poiché produttiva di effetti anticoncorrenziali, dichiarandola conseguentemente illegittima per violazione della competenza legislativa concorrente in materia di «produzione trasporto e distribuzione nazionale di energia». Questa argomentazione confermava un orientamento già espresso in precedenza, ma con riferimento a settori economici diversi, rispetto ai quali questa tesi era, ormai, almeno in parte superata (come si vedrà in seguito). La Corte, infatti, aveva affermato in diverse occasioni che le normative statali che riducono o eliminano l’assetto concorrenziale di uno specifico mercato non possono essere ascritte alla materia «tutela della concorrenza» [33], chiarendo altresì che la riconducibilità dell’intervento legislativo alla [continua ..]


5. La sentenza n. 28/2014: un nuovo orientamento della Corte?

La sentenza 25 febbraio 2014, n. 28, che qui si commenta, se, da un lato, ha confermato la linea adottata nel 2008, sulla qualificazione della tutela della concorrenza come «super-materia», dall’altro, tuttavia, sembra aver superato i limiti precedentemente imposti con riferimento al sindacato di proporzionalità tra gli strumenti adottati e l’obiettivo perseguito. Nel caso di specie, infatti, la normativa sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale è stata censurata con particolare riferimento all’art. 1 bis, comma 2, d.p.r. 26 marzo 1977, n. 235 [46], che riserva alla competenza legislativa provinciale la disciplina delle grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico. Questa competenza legislativa provinciale [47] è, tuttavia, sottoposta ad alcune limitazioni; nello specifico, deve essere rispettosa degli obblighi comunitari, dell’art. 117, comma 2, Cost., e dei principi fondamentali dello Stato. La Corte ha dapprima ricostruito il quadro normativo alla luce di un’inter­pretazione sistematica del d.p.r. n. 235/1977, affermando che, in materia di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, gli aspetti riconducibili agli ambiti relativi alla tutela della concorrenza sono di competenza legislativa e­sclusiva dello Stato; è, inoltre, compito dello Stato stabilire i principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia; è, infine, compito dell’Ente locale (province autonome, nel caso di specie), regolare tutti gli altri profili [48]. Il Giudice delle Leggi si è poi domandato se la normativa in parola fosse riconducibile all’alveo della materia «tutela della concorrenza», rispondendo, questa volta, in maniera positiva. È importante notare che la Corte, in questo caso, non ha effettuato un preventivo vaglio sulla proporzionalità tra gli strumenti legislativi impiegati e gli obiettivi perseguiti, come invece suggeriva l’orientamento precedente. Si è invece – correttamente, alla luce di quanto si è sopra osservato – limitata a rilevare come le norme in esame mirassero ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia, e che, di conseguenza, fossero ascrivibili alla materia «tutela della concorrenza», astenendosi dal valutare se, nel caso di specie, gli [continua ..]


6. Dall'uniformità territoriale all'uniformità (anche) 'settoriale': alcune considerazioni conclusive

Il tentativo di formulare una ipotesi di lettura del nuovo orientamento della Corte muove da due considerazioni. Ci si è già soffermati, in precedenza, sull’esigenza di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale in materia di «tutela della concorrenza» [51], da cui deriva l’affermazione della competenza legislativa statale ogni qualvolta le norme in esame ineriscano la procedura ad evidenza pubblica per l’assegnazione della concessione (procedure di selezione, condizioni, rapporti con pretese di soggetti pubblici). D’altra parte, si è anche detto che nella giurisprudenza costituzionale in materia di tutela della concorrenza emerge una certa eterogeneità delle statuizioni, a seconda dei settori economici di volta in volta considerati [52]. Con riferimento a quest’ultimo profilo, «si va dai casi di svuotamento totale di ogni spazio per le Regioni, causato dal riconoscimento prioritario accordato alle esigenze di uniformità della disciplina a tutela della concorrenza, fino a un massimo di integrazione possibile attraverso la legge regionale (purché pro-concorrenziale) nei settori ricadenti nella potestà esclusiva/residuale delle Regioni» [53]. Con riferimento al primo tema, si osserva un’evoluzione interpretativa della Corte nella definizione degli spazi riservati alle Regioni, caratterizzata da una progressiva affermazione della competenza statale a scapito di quella regionale. Inizialmente, nel periodo immediatamente successivo alla riforma del Titolo V (2001), e fino al 2007 [54], la Corte, aveva considerato la tutela della concorrenza come un «valore» che doveva essere rispettato dalle Regioni e la cui garanzia, in definitiva, era rimessa allo Stato. Lo Stato avrebbe dunque potuto opporsi a previsioni «anticoncorrenziali» delle Regioni, avvalendosi della sua competenza costituzionale in materia di «tutela della concorrenza», in quanto «funzione esercitabile su più diversi oggetti» [55]. In definitiva, la Corte valutava l’equilibrio tra tutela della concorrenza e potestà legislative regionali secondo il parametro della rilevanza macro-econo­mica dell’intervento, alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. A partire dalla sentenza n. 401/2007 [56], invece, il Giudice delle Leggi ha affermato con [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2014