Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il ruolo della reputazione nel mercato dei contratti pubblici: il rating d'impresa (di Luca Galli e Margherita Ramajoli)


The paper analyzes the “company rating”, a legal instrument which affects the dynamic of the public procurement market, emphasizing the prospective contractor’s past performances. The rating is a tool introduced by the Italian public procurement code to allow a better evaluation of candidates and their proposals. If not correctly used, it may generate distortions of the access to the acquisition procedure and of the award decisions. The paper identifies an Italian model of “company rating”, only partially inspired by the American one. It is a reward system, relevant both as a selection criterion of the economic operators, and as a contract award criterion. The research examines the potentialities and the limits of this reputational mechanism, within the boundaries of a legal framework which is still in progress, mostly delegated to the Anac guidelines.

   

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Rating reputazionale e diritto dell'Unione europea - 3. Rating reputazionale e ordinamenti stranieri - 3.1. Stati Uniti - 3.2. Francia e Gran Bretagna - 3.3. L'originalità del modello italiano: la logica del sistema - 4. Rating solo premiale oppure anche penalizzante? - 5. Rating rilevante solo nella fase di qualificazione delle imprese oppure anche nella fase di valutazione delle offerte? - 6. I requisiti reputazionali tra indici soggettivi e indici oggettivi: reputazione come giudizio soggettivo e diffuso oppure come semplice certificazione di dati oggettivamente verificabili? -


1. Premessa

Il codice dei contratti pubblici ha introdotto un nuovo istituto giuridico per consentire una migliore qualificazione dei partecipanti alle gare e delle loro offerte: il rating d’impresa. Per rating d’impresa s’intende un indice di misurazione della reputazione di un operatore economico aspirante aggiudicatario, ottenuto valutando le sue pregresse performances. Il rating d’impresa è stato concepito dal codice come strumento in grado di incidere profondamente sulla dinamica dei mercati degli appalti pubblici, tuttavia non è dato ancora sapere con precisione quali caratteri esso possegga. Questo perché gli elementi decisivi e centrali della sua disciplina sono stati delegati a linee guida Anac non ancora emanate. È questa una scelta normativa che, come si avrà modo di sottolineare in seguito, presenta alcune criticità, specie perché non risulta sufficientemente rispettosa del principio di legalità. Allo stato attuale una riflessione su questo istituto deve necessariamente fondarsi sull’abbozzo che ne ha dato il legislatore nel codice prima e nel correttivo poi, con la consapevolezza di essere di fronte a un istituto in fieri. L’istituzione di un sistema di rating d’impresa è prevista dall’art. 83, comma 10, del codice dei contratti. Sempre l’art. 83, comma 10, stabilisce poi che la disciplina del rating (intesa come regolazione e gestione del sistema) è demandata all’Anac, tenuta a definire mediante linee guida sia i requisiti reputazionali su cui si fonda il sistema, sia i criteri di valutazione degli stessi, sia le modalità di rilascio della relativa certificazione. Nel correttivo al codice (d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, recante Disposizioni integrative e correttive al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) il sistema del rating d’im­presa viene confermato, ma la sua disciplina viene in buona parte modificata, o, meglio, “riscritta completamente”, per utilizzare l’espressione impiegata dal Consiglio di Stato nel suo parere al correttivo [1]. È interessante notare come la disciplina del rating d’impresa venga cambiata ancora prima di avere trovato concreta attuazione. La disciplina originaria non è mai divenuta operativa per una serie di difficoltà applicative, in punto di certezza del diritto e di semplificazione procedurale e burocratica. Alcune di [continua ..]


2. Rating reputazionale e diritto dell'Unione europea

Come accennato, il rating d’impresa è un rating fondato su indici reputazionali che permettono una valutazione e una valorizzazione delle precedenti esperienze maturate dalle imprese che aspirino ad entrare in rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni. Il codice dei contratti ha attribuito al rating d’impresa un ruolo chiave nel processo di trasformazione del mercato dei contratti pubblici, tentando di riqualificare questo mercato dal lato dell’offerta. A livello ordinamentale, il rating è strumento inteso ad assicurare che nel mercato regolato dei contratti pubblici operino solamente soggetti affidabili, in maniera tale da contribuire alla realizzazione dell’efficienza del mercato stesso. Passando dal piano ordinamentale a quello degli attori del mercato, il rating dovrebbe fornire garanzie anticipate alle stazioni appaltanti in ordine al raggiungimento del risultato finale, prevedendo il rischio di una cattiva esecuzione contrattuale. Infatti l’aumento del tasso di efficienza del mercato dei contratti pubblici dipende dall’abbattimento dei costi di transazione connessi non solo all’affidamento del contratto, ma anche all’esecuzione del contratto stesso. Infine, il rating serve anche alle imprese, come incentivo ad adottare misure virtuose in considerazione degli effetti premiali che ne derivano [4]. Dunque obiettivo del rating è di ridurre o, almeno, rendere meglio controllabile il rischio di esecuzione, il rischio cioè che l’aggiudicatario non risulti in grado di realizzare l’oggetto del contratto nei tempi e con le caratteristiche richieste. Questa particolare tipologia di rischio si affianca al rischio di prezzo, ossia il pericolo che vi siano distorsioni nella determinazione del prezzo, e al rischio di corruzione, ossia il pericolo che il processo di selezione dell’aggiu­dicatario venga distorto a favore di un concorrente [5]. I rischi di esecuzione sono stati tradizionalmente controllati mediante regole ex ante, che permettono la partecipazione alla procedura solamente agli operatori economici in possesso di determinate caratteristiche, sotto il profilo della capacità economico-finanziaria e della capacità tecnico-professionale [6]. In questo contesto finora la past performance dell’impresa non era mai stata utilizzata se non nell’ipotesi estrema di [continua ..]


3. Rating reputazionale e ordinamenti stranieri

Occorre dunque verificare se il legislatore nazionale abbia tratto ispirazione da qualche modello preesistente di rating reputazionale e in quale misura abbia eventualmente fatte proprie le caratteristiche del modello.


3.1. Stati Uniti

L’ordinamento statunitense è stato sicura fonte di ispirazione dell’evoluzio­ne avvenuta a livello europeo in materia di rilevanza della “reputazione professionale” delle imprese partecipanti alle gare pubbliche. Ivi, oramai da più di vent’anni, le past performances hanno assunto il ruolo di criterio di valutazione fondamentale delle offerte, in quanto ritenute corretto indicatore delle future performances delle imprese stesse. Tale convinzione si è concretizzata nell’ambito delle riforme degli anni ’90 del secolo scorso, volte all’adeguamento dell’amministrazione statunitense alle dinamiche imprenditoriali e di mercato, nell’ottica di incrementarne efficienza ed economicità [15]. Pertanto, conformemente al senso comune e alle applicazioni che esse trovano nella contrattualistica privata, anche in relazione alla disciplina dei contratti pubblici si è ritenuto verosimile che un contraente con esperienze professionali solide esegua in modo soddisfacente i futuri contratti [16]. Ancora, l’utilizzo della past performance come criterio di selezione è stato considerato uno strumento idoneo a motivare i contraenti a comportarsi diligentemente, potendo una cattiva esecuzione rivelarsi causa della mancata aggiudicazione di appalti futuri. Da ultimo, ulteriore vantaggio ravvisato è stato quello di consentire alle am­ministrazioni di fondarsi su dati reali e concreti ai fini della scelta del contraente, non basandosi solamente su proposte tecnico-economiche spesso complesse e lontane dalle reali capacità degli offerenti [17]. Dal punto di vista dell’evoluzione storico-normativa [18], l’utilizzo delle past performances nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici risale a prima del formale riconoscimento del loro ruolo tramite le summenzionate riforme. Inizialmente, le condotte tenute in relazione ai precedenti contratti potevano assumere rilevanza solo nell’ambito della responsibility determination, ossia una valutazione svolta dal contracting officer dell’amministra­zione aggiudicatrice relativa alla capacità dell’offerente di eseguire correttamente il contratto oggetto della gara, ove fossero tenute in considerazione le risorse finanziarie, organizzative, tecniche ed esperienziali [continua ..]


3.2. Francia e Gran Bretagna

Volgendo ora lo sguardo ad altri ordinamenti europei, è possibile osservare come essi si siano maggiormente attenuti al testo delle direttive, limitando la portata creativa delle norme di recepimento anche in relazione alla rilevanza da attribuire alla past performance nelle procedure a evidenza pubblica [48]. Sarà quindi brevemente presa in considerazione la disciplina formulata a riguardo negli ordinamenti francese e britannico.   a) La Francia, con l’Ordonnance n. 2015-899 du 23 juillet 2015, ha riformato l’intera materia dei contratti pubblici, sinteticamente recependo quanto previsto dalla direttiva 2014/24/UE. L’art. 51 di tale testo normativo, di fatto confermando quanto già previsto nell’art. 52 del precedenteCode des marchés publics, ribadisce come la selezione dei candidati debba tenere conto anche delle loro capacità professionali[49]. Ai presenti fini, poi, assume particolare rilievo il Décret n. 2016-360 du 25 mars 2016, attuativo della summenzionata ordinanza. Con il suo art. 44, specificando l’art. 51 ultimo citato, si è confermata la possibilità per l’ammini­stra­zione aggiudicatrice di pretendere che i candidati abbiano un livello di esperienza sufficiente, comprovato attraverso «références adéquates provenant de marchés publics exécutés antérieurement», il tutto in piena corrispondenza con quanto sancito dal già menzionato art. 58, direttiva 2014/24/UE. I candidati che vogliano provare le proprie precedenti esperienze sono quindi chiamati ad allegare all’offerta una lista dei lavori eseguiti negli ultimi cinque anni, accompagnata dalle attestazioni di buona esecuzione per i lavori più importanti [50]. D’altro canto, l’esigenza che il rilievo attribuito alle precedenti esperienze non pregiudichi i principi di non discriminazione e di piena tutela della libera concorrenza si è concretizzata nell’esplicita previsione per cui l’assenza di riferimenti a contratti pubblici precedentemente eseguiti non possa di per sé giustificare l’eliminazione del candidato [51]. Guardando invece alla valutazione delle offerte, tanto l’art. 52, Ordonnance n. 2015-899 quanto il relativo art. 62, Décret n. 2016-360 non fanno esplicito riferimento [continua ..]


3.3. L'originalità del modello italiano: la logica del sistema

A seguito della sintetica esposizione appena svolta è possibile evidenziare come il modello d’ispirazione del rating d’impresa sia sicuramente statunitense. Tuttavia il d.lgs. n. 50/2016 si emancipa dal modello d’origine per disegnarne uno autonomo, il quale intende porsi come vero e proprio “sistema”, per utilizzare il linguaggio codicistico. Nel modello statunitense sono le singole amministrazioni a rilasciare e condividere con le altre amministrazioni i certificati relativi alle performances degli aggiudicatari dei vari contratti, di modo che possano essere valutati (con la dovuta rilevanza anche in considerazione della distanza temporale rispetto al momento di svolgimento della gara e anche a fronte delle osservazioni formulate a riguardo dai privati) nell’ambito di nuove procedure concorsuali, in conformità con i criteri fissati nel bando. Di contro il nostro codice dei contratti prevede un indice unico riassuntivo della “qualità” delle esperienze professionali passate, che è regolato e gestito dall’Autorità di settore [61]. Inoltre, come si avrà modo di sottolineare in seguito, il nostro sistema di rating d’impresa è determinato sulla base di fattori ulteriori rispetto alle sole performances lavorative. Vengono in rilievo infatti il previo possesso del rating di legalità (ora però soppresso dal correttivo), le pregresse vicende giurisdizionali e l’applicazione delle disposizioni sulla denuncia obbligatoria di richieste estorsive e corruttive. S’obbedisce così a un’ispirazione in parte diversa da quella nordamericana; in particolare l’intera nuova disciplina dei contratti pubblici è pervasa dalla logica della lotta alla corruzione. Infine, nell’ordinamento statunitense la reputazione incide non solo nella fase di valutazione delle offerte, ma anche nella precedente fase di accertamento dei requisiti delle imprese. Era in parte diversa la costruzione della disciplina italiana. Infatti, originariamente per il codice dei contratti il rating d’impresa era un possibile elemento di valutazione solo ai fini della selezione dei candidati, mentre attualmente il rating è divenuto anche un criterio di aggiudicazione dell’appalto. Pertanto sotto questo profilo, che sarà compiutamente ripreso nel corso della trattazione, il correttivo al [continua ..]


4. Rating solo premiale oppure anche penalizzante?

Il modello di rating reputazionale introdotto in Italia dal codice dei contratti si fonda su due distinti articoli della legge delega, concepiti però per segmenti di disciplina molto diversi tra loro e rispondenti a logiche differenti. Da un lato, la legge delega prevede, nell’ambito di un più generale processo di revisione del sistema di qualificazione degli operatori economici, l’in­troduzione di “misure di premialità”, regolate da un’apposita disciplina generale fissata dall’Anac, e «connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e misurabili» e «su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e la gestione dei contenziosi», «nonché assicurando gli opportuni raccordi con la normativa vigente in materia di rating di legalità» (art. 1, comma 1, lett. uu), legge 28 gennaio 2016, n. 11). Dall’altro lato, la legge delega prefigura un «sistema amministrativo … di penalità e premialità», sotto la direzione dell’Anac, «per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di appalti pubblici», con «uno specifico regime sanzionatorio nei casi di omessa o tardiva denuncia e individuando le norme codicistiche la cui violazione determina la comminazione di sanzioni amministrative da parte dell’Anac» (art. 1, comma 1, lett. q), n. 5, legge n. 11/2016). Quindi la legge delega in un articolo fa esclusivamente menzione a “misure di premialità” connesse a criteri reputazionali nel contesto di un processo modificativo del sistema di qualificazione delle imprese, nell’altro articolo invece parla di un vero e proprio “sistema” di penalità e di premialità, in un’ottica di lotta alla corruzione e di garanzia della trasparenza nel settore. Il codice assembla tutto insieme e disegna un unico istituto all’art. 83, comma 10 [64], prevedendo l’istituzione presso l’Anac, del «sistema del rating di impresa e delle relative penalità e premialità», «connesso a requisiti reputazionali», definiti mediante linee guida Anac, applicabile «ai soli fini della qualificazione [continua ..]


5. Rating rilevante solo nella fase di qualificazione delle imprese oppure anche nella fase di valutazione delle offerte?

Per quanto riguarda l’ambito operativo del rating d’impresa, esso nasce espressamente «a fini di qualificazione delle imprese» (art. 83, comma 10). Dunque inizialmente il rating serve solo per l’ammissione degli operatori economici alla partecipazione a singole gare attraverso il rilascio di una certificazione ad opera dell’Anac. Con il sistema di rating viene attribuita rilevanza a requisiti non più solo formali, ma anche sostanziali, posseduti dalle imprese: la qualità della performance contrattuale è il quarto elemento da valutare ai fini dell’accesso alla gara, a fianco dei requisiti di moralità previsti all’art. 80, alla capacità tecnico-professionale ed economico-organizzativa di cui all’art. 83 e alla certificazione di qualità contemplata dall’art. 84, comma 4 [68]. Questo specifico elemento è espressamente previsto solo per i lavori pubblici di importo pari o superiore ai 150 mila euro, in cui la qualificazione delle imprese è affidata alle SOA (Società Organismo di Attestazione). Infatti l’art. 84, comma 4, lett. d), stabilisce che i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro dimostrano il possesso dei requisiti di qualificazione mediante attestazione da parte delle SOA. Tale attestazione comprova, oltre all’assenza di motivi di esclusione, al possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria e tecniche e professionali, di certificazioni di sistemi di qualità, anche «il possesso di certificazione del rating di impresa, rilasciata dall’ANAC» [69]. Nulla invece dispone il codice per i lavori pubblici di importo inferiore a 150.000 euro e per i servizi e forniture, in cui la qualificazione delle imprese è affidata alle stazioni appaltanti. Così l’Anac, nel suo atto di segnalazione, ha suggerito di introdurre nel codice una norma speculare all’appena menzionato art. 84 pure per quanto riguarda i servizi e le forniture, «al fine di tener conto del rating di impresa anche nella qualificazione in gara … prevista in tali due settori del public procurement»[70]. Tale proposta però non ha trovato accoglimento espresso in sede di correttivo al codice. È stata invece [continua ..]


6. I requisiti reputazionali tra indici soggettivi e indici oggettivi: reputazione come giudizio soggettivo e diffuso oppure come semplice certificazione di dati oggettivamente verificabili?

L’efficacia del rating d’impresa si fonda su una corretta individuazione degli requisiti reputazionali. Anzitutto gli indici fondanti il rating non dovrebbero essere già utilizzati ad altri fini, ad esempio costituendo specifiche cause di esclusione, né tantomeno riguardare elementi ultronei rispetto alle performances lavorative, quali, ad esempio, i profili più propriamente “etici” dell’impresa. Inoltre, l’utilizzo di indicatori di natura soggettiva potrebbe scontrarsi con l’obiettivo di fondo del codice di garantire la più ampia partecipazione alle piccole e medie imprese, violando così i principi di parità tra le imprese e di non discriminazione con particolare riguardo ai nuovi entranti, alle imprese straniere e alle piccole e medie imprese (come si è visto accadere nell’ordinamento statunitense). La scelta compiuta dal nostro legislatore è di attribuire il potere di determinazione dei requisiti e dei relativi criteri di valutazione e delle modalità di rilascio della certificazione all’Anac, che esercita siffatto potere tramite apposite linee guida da emanare entro tre mesi dall’entrata in vigore del correttivo al codice. Tuttavia sia la legge delega sia il decreto legislativo sono intervenuti nel porre alcuni vincoli all’attività normativa dell’Autorità, per evitare che gli spazi di discrezionalità alla medesima demandati non sconfinino nell’arbitrio. La legge delega ha previsto che gli indicatori costituitivi del rating debbano essere oggettivi, facilmente misurabili ed effettivamente espressivi della past performance dell’impresa. L’art. 1, comma 1, lett. uu), parla di misure di premialità «connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e misurabili» e «su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e la gestione dei contenziosi». Da parte sua, l’art. 83, comma 10, del codice dispone che i requisiti reputazionali debbano essere valutati sulla base di «indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili» e di «accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa». Il codice si spinge a dettare una disciplina maggiormente di [continua ..]