Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Rettifica del prezzo d'OPA e poteri della Consob: il TAR rinvia alla Corte di giustizia (di Pierluigi De Biasi)


TAR Lazio, Roma, II quater, 19 luglio 2016-16 novembre 2016, n. 11441/2016, n. 11443/2016 e n. 11445/2016 Reg. Prov. CollPres. L. Pasanisi. Est. F. Arzillo

«Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater),non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, provvede come segue:

– rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata al punto 7 della motivazione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Se osti alla corretta applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, commi 1 e 2, della Direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto, in relazione ai principi generali stabiliti dall’art. 3, paragrafo 1, della stessa Direttiva, nonché alla corretta applicazione dei principi generalidi tutela del legittimo affidamento, proporzionalità, ragionevolezza, trasparenza e non discriminazione, una normativa nazionale, quale quella dell’articolo 106, comma 3, lett. d), numero 2), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), e successive modificazioni, e dell’art. 47-octies della deliberazione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – Consob n. 11971 del 14 maggio 1999 (Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti), e successive modificazioni, nella parte in cui le citate disposizioni, nell’autorizzare la Consob ad aumentare il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto di cui al citato articolo 106 a fronte dell’accertamento della collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori, si limitano a far riferimento al criterio del “prezzo accertato” senza specificare i parametri e i criteri di tale accertamento».

TAR Lazio, Roma, II quater, 19 luglio 2016-16 novembre 2016, n. 11442/2016, n. 11444/2016 e n. 11445/2016 Reg. Prov. CollPres. L. Pasanisi. Est. F. Arzillo

«Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, provvede come segue:

– rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata al punto 8 della motivazione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

«Se osti alla corretta applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, comma 2, della Direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto, in relazione ai principi generali stabiliti dall’art. 3, paragrafo 1, della stessa Direttiva, nonché alla corretta applicazione dei principi generali di diritto europeo della certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento, di proporzionalità, di ragionevolezza, di trasparenza e di non discriminazione, una normativa nazionale, quale quella dell’articolo 106, comma 3, lett. d), numero 2), del decreto legislativo 24 febbraio1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), e successive modificazioni, e dell’art. 47-octies della deliberazione della Commissione Nazionale per le Società e laBorsa – Consob n. 11971 del 14 maggio 1999 (Regolamento di attuazione del decretolegislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti), e successive modificazioni, nella parte in cui le citate disposizioni autorizzano la Consob ad aumentarel’offerta pubblica di acquisto di cui al citato articolo 106, qualora ricorra la circostanza che “vi sia stata collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori”, senza individuare le specifiche condotte che integrano tale fattispecie, e dunque senza determinare chiaramente le circostanze e i criteri, in presenza dei quali la Consob è autorizzata a rettificare in aumento il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto».

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SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Le norme rilevanti e i precedenti - 3. La parità di trattamento - 4. I poteri e i criteri per la determinazione del prezzo - 5. La collusione - 6. Il metodo presuntivo - 7. Le modalità chiaramente determinate - 8. Una conclusione provvisoria - NOTE


1. Il caso

Finmeccanica S.p.A., società quotata sul Mercato Telematico Azionario gestito da Borsa Italia S.p.A. vende all’acquirente Hitachi Ltd., e per lei alla società veicolo Hitachi Rail Italy Investments S.r.l. (i) una partecipazione del 40,70% del capitale in Ansaldo STS S.p.A., anche essa società quotata sul MTA, (ii) un ramo d’azienda di Ansaldo Breda S.p.A., società della quale Finmeccanica è socio unico, e (iii) il marchio AnsaldoBreda e alcuni immobili. In conseguenza dell’aver acquistato il 40% di una società quotata (Ansaldo STS) su Hitachi grava l’obbligo, ex art. 106, comma 1, TUF, di lanciare un’of­ferta pubblica di acquisto (OPA) sul resto del capitale, al prezzo «non inferiore a quello più elevato pagato dall’offerente … nei dodici mesi anteriori alla comunicazione di cui all’art. 102, comma 1, per acquisti di titoli della medesima categoria» [1], «al fine di assicurare la parità di trattamento a tutti gli azionisti della società quotata», per usare le parole del TAR Lazio [2]. Durante il periodo, successivo alla comunicazione ex art. 102, comma 1, TUF relativa al lancio dell’OPA e al deposito del documento di offerta, nel quale la Consob è chiamata (art. 102, comma 4, TUF) a valutare la correttezza del documento di offerta [3], due azionisti si rivolgono a Consob attivando il procedimento previsto dall’art. 47-sexies del c.d. Regolamento Emittenti [4], proponendo di modificare in aumento il prezzo, in applicazione dell’art. 106, comma 3, TUF. Tali azionisti di minoranza ritenevano infatti che la vendita contestuale allo stesso soggetto acquirente sia della partecipazione nella società quotata (Ansaldo STS) sia di altri beni (l’azienda e il marchio Ansaldo Breda) consentisse una formazione opaca del prezzo e, in particolare, che pur ipotizzando come corretta la somma dei prezzi, l’eccessivamente elevato prezzo pagato per l’azienda di Ansaldo Breda S.p.A. comportasse la definizione del prezzo per il 40,70% di Ansaldo STS S.p.A. a un valore troppo basso. L’ovvio effetto, secondo questa tesi, è che la vicenda si pone in termini di neutralità per il venditore, per il quale ricevere 100 come somma di 50 e 50 o come somma di 80 e 20 è indifferente, al netto da eventuali [continua ..]


2. Le norme rilevanti e i precedenti

La Direttiva sull’OPA (2004/25/CE) [7] innovò solo marginalmente rispetto al tessuto dell’ordinamento italiano come previsto dal TUF, che rimase confermato nella struttura e nei principi,e per quanto qui rileva si espresse in tre considerando, i primi due dei quali di per sé non innovativi, e in un articolo. Il considerando (2) pone la necessità di tutelare gli interessi dei possessori di titoli di società quotate quando esse sono oggetto di OPA, ovvero si verifica un cambiamento nel loro controllo e il considerando (5) invita gli Stati membri a designare una o più autorità competenti a vigilare sull’OPA e ad assicurare che le parti rispettino le norme. Particolarmente rilevante ai fini della presente discussione appare invece il considerando (6) [8], per il quale, per essere efficaci, le norme dovrebbero essere (i) flessibili e adattabili ad eventuali nuove circostanze (ii) dovrebbero contemplare la possibilità di eccezioni e deroghe, e il tutto (iii) dovrebbe rispettare determinati principi generali. L’art. 5, significativamente rubricato Tutela degli azionisti di minoranza; offerta obbligatoria e prezzi equi, al comma 4 prevede che (a) il prezzo equo dell’OPA obbligatoria sia il prezzo massimo pagato dall’offerente, o da chi agisce di concerto, in un periodo compreso tra i sei e i dodici mesi antecedenti all’offerta; (ii) se, dopo che l’offerta è stata resa pubblica e prima che venga chiusa, l’offerente (o i concertanti) acquista titoli a un prezzo superiore a quello dell’offerta, deve aumentare l’offerta almeno al prezzo massimo pagato per questi titoli [9]. Nel rispetto dei principi generali di cuiall’art. 3, par. 1, gli Stati membri possono autorizzare le autorità di vigilanza a modificare il prezzo in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati epossono redigere un elenco di circostanze nelle quali il prezzo può essere modificato, verso l’alto o verso il basso, come per esempio se il prezzo massimo è stato concordato tra l’acquirente e un venditore, se i prezzi di mercato dei titoli sono stati manipolati, se i prezzi di mercato sono stati influenzati da eventi eccezionali, o per permettere il salvataggio di un’impresa in difficoltà. Possono altresì definire i criteri da utilizzare in questi casi, come ad [continua ..]


3. La parità di trattamento

«In principio sta l’eguaglianza degli azionisti» [20] dichiarava un antico Maestro, pur chiarendo subito dopo che le norme poste ad ancoraggio dell’affer­mazione sono dispositive. Il tema dell’uguaglianza nel tempo ruota [21] e si prospetta in nuova forma e veste, come parità di trattamento degli azionisti e, in tale veste, è la pietra angolare nell’edificare l’istituto dell’OPA. Il principio della parità di trattamento compare per la prima volta nella Direttiva 2001/24/CE riguardante l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l’informazione da pubblicare su detti valori dove, all’art. 65 [22], si stabiliva il principio per il quale «La società deve garantire parità di trattamento per tutti i possessori di azioni che si trovano in condizioni identiche», la cui parte rilevante è oggi trasposta nel testo dell’Art. 17, comma 1, della direttiva 2004/109/CE: «L’emittente di azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato garantisce parità di trattamento per tutti i possessori di azioni che si trovano in condizioni identiche». La Corte di Giustizia, nell’unico caso fino a oggi discusso [23], ha ritenuto che non esista nell’ordinamento comunitario un generale principio di parità di trattamento che possa essere invocato dagli azionisti di minoranza per un trasferimento di controllo della società, precisando che i principi generali comunitari hanno rango costituzionale, mentre il principio – così come invocato dai ricorrenti – richiedeva misure di dettaglio possibili solo in caso fosse emanata una direttiva di secondo livello (§63) e, nel caso specifico, il diritto alla parità di trattamento si esauriva nei limiti di quanto previsto dalla direttiva 2004/25. In particolare, la direttiva 2004/25 prevede all’art. 3, comma 1, lett. a) che ai fini dell’attuazione della direttiva, gli Stati membri provvedono a che sia applicato, tra gli altri principi, quello secondo il quale «tutti i possessori di titoli di una società emittente della stessa categoria devono beneficiare di un trattamento equivalente», ma nessuno sembra porre in discussioneil fatto che il previsto «trattamento equivalente» equivalga a imporre l’obbligo della parità di [continua ..]


4. I poteri e i criteri per la determinazione del prezzo

Il TAR, nelle ordinanze di rinvio sui ricorsi proposti dagli azionisti (nn. 11441-3-5/2016), solleva la questione pregiudiziale interpretativa se «ai fini della valutazione di compatibilità eurounitaria della normativa interna e/o dell’applicazione che ne ha fatto la CONSOB» la Direttiva, alla luce dei principi generali, lasci un margine di valutazione nella determinazione del «prezzo equo» nella fase di rettifica del prezzo originario, ponendosi un duplice quesito, ovvero (i) se il riferimento ai criteri determinati, e ai relativi esempi richiamati nella direttiva [29] rivestano carattere vincolante ed esaustivo e (ii) se la normativa interna debba necessariamente specificare un elenco di criteri, che la Direttiva indica e la normativa nazionale no. Le precedenti sentenze del TAR non si occupano del punto, salvo nel ricordare che la direttiva 2004/25/CE è una direttiva c.d. di armonizzazione minima, la quale (art. 1) «stabilisce misure di coordinamento delle disposizioni» negli ordinamenti degli Stati membri [30], lettura che concede libertà a ciascuno Stato membro di regolare come ritiene la materia [31]. La Direttiva trova la sua origine nello Winter Report [32] e in particolare la regola in discussione è diffusamente discussa, motivata e suggerita, là dove il Group [33] riconosce che la regola del prezzo più alto pagato in alcune circostanze potrebbe non raggiugere lo scopo della parità di trattamento, indicando, espressamente in via non limitativa e tra le altre, l’ipotesi che “the highest price paidwas set by collusion (i.e. an agreement with the vendor aimed at evading the highest price paid rule)», suggerendo quindi che la (allora emananda) Direttiva avrebbe dovuto, per quanto qui rileva: – consentire agli Stati membri definire sia le situazioni che danno luogo alla disapplicazione della regola sul prezzo massimo pagato che i criteri applicabili da parte dell’autorità di supervisione nel decidere di incrementare o ridurre il prezzo in sede di OPA; – prevedere che in caso di dubbio il giudizio sia guidato dal principio dello shareholders’interest; – consentire agli Stati membri di utilizzare nella circostanza di rettifica del prezzo una serie di [continua ..]


5. La collusione

Il secondo, e forse più rilevante, quesito proposto dalle ordinanze emanate nei procedimenti instaurati a seguito dei ricorsi proposti dall’acquirente e dal venditore (nn. 11442-4/2016) è se le previsioni della normativa nazionale siano in contrasto con la tassatività e la determinatezza prescritte dalla direttiva, richiedendo l’art. 5, §4, comma 2 della Direttiva che gli Stati membri possano consentire la rettifica del prezzo e introdurre deroghe «in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati». Il thema decidendum è dunque «se e in che misura il diritto eurounitario, non solo con riferimento alle espresse previsioni della Direttiva 2004/25 CE, ma … con riguardo ai principi generali, sia interpretabile nel senso di consentire la modificazione autoritativa del prezzo dell’offerta da parte dell’Autorità di vigilanza anche sulla base del menzionato concetto di «collusione», interpretato in modo congruo rispetto alla normale operatività dei mercati finanziari e alla complessa e plurivalente ratio della disciplina delle offerte pubbliche di acquisto». Ricordato che la parola collusione è un evidente calco [44] della collusion menzionata dallo Winter Report quale elemento che autorizza alla revisione autoritativa del prezzo offerto, si deve notare che, in assenza di una chiara e preventiva definizione di quali siano le caratteristiche della collusione, la pronunzia del TAR Lazio, II, del 19 marzo 2014, n. 03009 [45] ha subito sgombrato il campo dai tentativi di dare alla collusione la connotazione che essa avrebbe avuto in campo civile, o addirittura penale, escludendo quindi anche la necessità di cercare (e dar prova di) una specifica «comune finalità delle parti volta a deprimere il prezzo dell’OPA». Il punto è ripreso e ampliato dal Consiglio di Stato (par. 12.3.3) il quale rileva che nel nostro ordinamento esistono un serie di previsioni settoriali, che sono elencate, di condotte giuridicamente rilevanti qualificate come «collusione», nelle quali la nozione assume il significato «dai contorni semantici sufficientemente determinati, di accordo clandestino e fraudolento in danno di terzi o in elusione di disposizioni imperative di legge, postulando dunque la sussistenza dell’elemento volitivo e [continua ..]


6. Il metodo presuntivo

Il problema della prova è argomento ricorrente nello svolgimento delle attività di controllo nei mercati, prova ne sia l’introduzione anche nel nostro ordinamento degli incentivi e delle protezioni ai sicofanti, il c.d. whistleblowing [58]. Che Consob agisca d’ufficio o su sollecitazione di un oblato la prova sarà sempre difficile da raggiungere: l’accordo potrebbe non essere incorporato in un documento e l’eventuale documento potrebbe non essere accessibile, chiedere una dichiarazione di confessoria non è un potere e il fatto di ottenerla non è pianificabile [59]. L’unico altro strumentario immaginabile è dato dalla deduzione e dalla presunzione, nel senso di concedere all’autorità procedente di riportare gli eventi noti a un quadro razionale, presumendo un fatto (la collusione) della quale si leggono le conseguenze in un assetto che non sembra quello ottimale. In questo senso si orienta il TAR nella ripetutamente ricordata sentenza 3009/2014, ricordando che nel campo della regolazione e della vigilanza sui mercati, così come della tutela della concorrenza, «è assai frequente l’adozione di “concetti indeterminati” [60] che spetta alle Autorità indipendenti, in quanto dotate di un alto tasso di discrezionalità tecnica, interpretare e applicare in concreto» e, dando rilevo alle argomentazioni impiegate da Consob nell’atto di accertamento [61], ritiene accettabile il ricorso al metodo presuntivo,«metodo riconosciuto in via generale utilizzabile dalla Consob sia nell’atti­vità di vigilanza (cfr., ad esempio, Tar del Lazio n. 13744/2009, caso Magiste International) sia in sede sanzionatoria (cfr. ex multis, Corte di Cassazione, Sez. Unite, 30-09-2009, n. 20937)» per arrivare a sostenere che se pure la prova della condotta illecita debba esser fornita dall’autorità, essa possa sempre essere desunta anche da semplici presunzioni [62]. L’accordo del quale potrebbe non trovarsi traccia evoca le pratiche concordate note dal diritto della concorrenza [63] dove, in estrema sintesi, i comportamenti vengono ricondotti, induttivamente, a una pratica concordata se l’ipotesi collusiva rappresenti la sola spiegazione razionale e i singoli comportamenti, individualmente esaminati, non rispondano a una logica [continua ..]


7. Le modalità chiaramente determinate

Il canone di «certezza» richiamato dalla direttiva deve poi essere rapportato (come emerso nei lavori preparatori delle modifiche al Regolamento Emittenti), alla necessità di «ridurre il grado di incertezza del mercato in corso di OPA» allo scopo «di non introdurre elementi distorsivi nel comportamento di venditori ed offerenti, quale l’aspettativa di un diverso corrispettivo di offerta» e quindi, nella lettura del TAR Lazio n. 3009/2012, guardando solo al comportamento dei mercati non vi era necessità di delineare fattispecie di intervento con lo stesso grado di tipicità richiesto dalle norme penali oda quelle che configurano illeciti amministrativi [75]. Spetta quindi all’Autorità attraverso l’attività di regolazione e di vigilanza, contestualizzare il contenuto delle regole e dei divieti posti dal legislatore. In opposizione si pone il Consiglio Stato nell’ordinanza del 2016 dove al par. 12.3.4 ritiene che il concetto di «collusione», quale adottato dalla normativa, per la sua indeterminatezza, si possa porre in contrasto con il principio di certezza dei presupposti del potere di rettifica del prezzo OPA, essendo siffatta determinatezza/certezza elemento essenziale per consentire il corretto operare del mercato in caso di OPA, e imponendo l’evidenziata esigenza una determinazione dei casi di intervento dell’Autorità in modo circostanziato e valutabile ex ante dagli operatori. Ritiene il Consiglio di Stato che adottando un concetto indeterminato agli operatori resti impedita una preventiva valutazione dei comportamenti da assumere prima (e ai fini della) promozione dell’OPA, con la conseguenza che condotte di per sé neutre e lecite sulla base di una valutazione ex ante, potrebbero essere qualificate ex post, sulla base di una ricostruzione incentrata esclusivamente sui relativi effetti oggettivi nel quadro di una situazione più complessa ignota (in tutto o in parte) agli stessi operatori e soggetti coinvolti, come comportamenti collusivi giustificativi dell’esercizio del potere di rettifica in aumento del prezzo. In questa dialettica si inserisce l’Avvocato Generale che nelle proprie conclusioni nel provvedimento di rinvio avanti la Corte di Giustizia rileva come possano essere prese in considerazione ai fini dell’intervento solo le circostanze che [continua ..]


8. Una conclusione provvisoria

La conclusione del procedimento in corso avanti la Corte di Giustizia risponde a una delle questioni pregiudiziali formulate dal TAR Lazio, quella che riguarda la possibilità concessa alla Consob di accertare la collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori, senza individuare le specifiche condotte che integrano tale fattispecie e non vi è ragione di immaginare un revirement della Corte a poca distanza dalla prima pronuncia. Per quanto riguarda il quesito relativo all’altra questione pregiudiziale, ovvero la legittimità della revisione del prezzo d’OPA secondo il criterio del prezzo accertato, senza che la norma specifichi i parametri e i criteri di tale accertamento la sentenza 20 luglio 2017 non offre una guida se non, volendo azzardare un’ipotesi, attraverso la lettura del § 42, là dove si chiarisce che una nozione giuridica astratta non può menzionare «le diverse ipotesi concrete in cui essa può essere applicata, in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi» e del §46 nel quale la Corte indica che «al fine di soddisfare l’esigenza di certezza del diritto, gli Stati membri devono provvedere ache l’interpretazione da fornire a una siffatta nozione nel settore delle OPA possa essere desunta dalla normativa nazionale di cui trattasi in modo sufficientemente chiaro, preciso e prevedibile, mediante metodi interpretativi riconosciuti dal diritto interno» (corsivo nostro). Il riconoscimento, nella materia, di un certo grado di discrezionalità del legislatore è connesso alla dinamicità della situazione giuridica da regolare, applicando lo stesso criterio alla questione preliminare, anche alla luce del dettato dell’art. 5, comma 4 della Direttiva, per il quale le autorità nazionali «[p]ossono altresì definire i criteri da utilizzare in questi casi, come ad esempio (…) o altri criteri oggettivi di valutazione generalmente utilizzati nell’analisi finanziaria», potrebbe indurre la Corte a ritenere non in contrasto con la direttiva l’applica­zione di qualsiasi metodo che le scienze aziendalistiche normalmente applicano al caso.


NOTE