Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Le tariffe dei servizi pubblici tra teoria economica e regolazione amministrativa (di Stefano Vaccari)


Il presente lavoro ha ad oggetto lo studio della funzione di regolazione tariffaria dei servizi pubblici a rilevanza economica o, secondo la denominazione europea, servizi di interesse economico generale (SIEG).

Dopo alcune brevi premesse in merito alla nozione di ‘tariffa’ e al rapporto a proporzionalità inversa tra regolazione tariffaria e sviluppo concorrenziale dei mercati relativi ai diversi SIEG, l’indagine prosegue con un’analisi diacronica della politica tariffaria italiana al fine di evidenziare l’evoluzione dall’originario approccio macroeconomico e, principalmente, antinflazionistico al nuovo paradigma della ‘regolazione del­l’efficienza’.

La parte centrale del lavoro è dedicata allo studio dei due fondamentali metodi della regolazione tariffaria: i modelli del ‘Cost of Service’ e del ‘Price-Cap’. Con riguardo al secondo, l’analisi si concentra su due principali criticità, segnatamente il livello di produttività esigibile dalle imprese regolate e la necessaria imposizione di obblighi qualitativi dell’offerta al fine di non frustrare gli obiettivi di sviluppo dell’efficienza produttiva.

Nella parte finale del lavoro, sono indagate le implicazioni in materia tariffaria correlate ai fondamentali principi di economicità e redditività, enunciati in via generale dalla legge 14 novembre 1995, n. 481. A tale riguardo, una particolare attenzione è rivolta all’individuazione delle opzioni di ‘policy’ sottese alle scelte regolatorie in esa­me, con più ampia riflessione critica in merito alla fondatezza dell’assunto teorico relativo alla pretesa ‘neutralità tecnica’ della potestà di regolazione tariffaria, specialmente laddove esercitata da autorità amministrative indipendenti.

Una possibile soluzione alle criticità segnalate si ritrova sul piano dei criteri di riparto delle competenze in materia tariffaria. A tal fine, si assumerà la fondamentale distinzione tra ‘regolazione sociale’ (o ‘redistributiva’) e ‘regolazione economica’, quale base per la distribuzione delle funzioni tra autorità con differente legittimazione (i.e. politico-rappresentativa o tecnica).

The tariffs of public services between economic theory and administrative regulation

The aim of this work is to study the tariff regulation of the public services of economic relevance or, according to the European denomination, services of general economic interest (SGEI).

After a brief introduction on the legal concept of ‘tariff’ and the inverse proportionality relationship between tariff regulation and the competitive development of the SGEIs markets, the study continues with a diachronic analysis of the Italian tariff policy in order to highlight its evolution, from the original macroeconomic and anti-inflationary approach to the new paradigm of the so-called ‘efficiency regulation’.

The core of the work is dedicated to the two most widespread methods of tariff regulation: ‘Cost of Service’ and ‘Price-Cap’. As far as the latter is concerned, the analysis focuses on two main critical issues, namely the level of productivity that can be imposed to the regulated companies and the necessary introduction of qualitative public service obligations in order not to frustrate the objective of developing production efficiency.

In the final part, the work analyzes the impact on tariffs to the fundamental principles of cost-effectiveness and profitability, as enunciated by the law 14 November 1995, No. 481. In this regard, particular attention is paid to identifying the ‘policy’ options underlying the regulatory choices in question, with a broader critical reflection on the validity of the theoretical assumption relating to the ‘technical neutrality’ of the tariff regulation, especially when exercised by independent administrative authorities.

A possible solution to the above-mentioned critical issues can be found on the criteria based on which attributing tariff regulation powers. To this purpose, the fundamental distinction between ‘social’ (or ‘redistributive’) regulation and ‘economic regulation’ will be assumed as the basis for the distribution of tasks between authorities with different source of legitimacy (i.e. political-representative or technical).

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SOMMARIO:

1. La funzione di regolazione tariffaria e il suo oggetto: brevi premesse - 2. Regolazione tariffaria e concorrenza: un rapporto a proporzionalità inversa - 3. Dalla regolazione tariffaria come strumento di politica economica alla regolazione dell’‘efficienza’ - 4. I metodi della regolazione tariffaria: Cost of Service vs. Price-Cap - 4.1. Segue: quale livello di produttività è esigibile dalle imprese re­go­late? - 4.2. Segue: Price-Cap Regulation e necessaria regolazione della qua­lità con correlati obblighi di separazione contabile (c.d. Unbundling) - 5. Il sistema italiano di regolazione tariffaria nel contesto della legge generale n. 481/1995 - 6. Segue: la regolazione tariffaria tra politica e neutralità tecnica: criticità e possibili soluzioni - NOTE


1. La funzione di regolazione tariffaria e il suo oggetto: brevi premesse

Lo studio della funzione amministrativa di regolazione tariffaria impone alcuni brevi chiarimenti di natura essenzialmente terminologica. Innanzitutto, occorre precisare che con l’espressione ‘tariffa’, quale oggetto dell’attività di regolazione in esame, s’intende riferirsi al corrispettivo per una data prestazione determinato – direttamente o indirettamente (nel caso di mera enucleazione di parametri e criteri fondanti il c.d. metodo tariffario [1]) – da un’autorità pubblica onde raggiungere risultati differenti rispetto all’ordinario regime dei ‘prezzi’ stabiliti autonomamente dall’impresa (il cui obiettivo aziendale coincide tendenzialmente con la massimizzazione del profitto) [2]. Le tariffe dei servizi pubblici a rilevanza economica (o Servizi di Interesse Economico Generale – SIEG, secondo il lessico euro-unitario [3]) rappresentano dunque l’esito di una decisione pubblica volta a conciliare due esigenze tra loro contrapposte: l’interesse economico del gestore del servizio, da un lato, e, dall’altro, l’interesse generale correlato a specifici obiettivi di carattere sociale [4].   Dal punto di vista contenutistico [5], le tariffe ricomprendono – nella maggior parte dei casi – sia i costi sostenuti dal gestore, ivi compresi quelli per la realizzazione di investimenti nel settore regolato, sia l’adeguata remunerazione del capitale investito [6]: il che si traduce nell’elaborazione di specifici parametri ad applicazione pluriennale (i c.d. periodi regolatori). Nonostante l’origine pubblicistica, le tariffe dei SIEG conservano pur sempre la funzione di ‘corrispettivo’, e non assumono quella – invero differente – di ‘tributo’ [7], siccome inerenti a prestazioni a c.d. domanda individuale e a rapporti d’utenza di tipo obbligatorio [8]. Dal che ne discende la fondamentale distinzione tra lo status di ‘cittadino’ e quello di ‘utente’ dei servizi pubblici economici a domanda individuale: nel secondo caso, l’obbligazione patrimoniale del singolo rivestirà la forma giuridica della tariffa con struttura sinallagmatica e finalità commutativa [9].


2. Regolazione tariffaria e concorrenza: un rapporto a proporzionalità inversa

Il tema oggetto di studio presuppone un ulteriore chiarimento di natura preliminare. È opportuno infatti precisare che le considerazioni a seguire sono riferite a tutti quei servizi pubblici a rilevanza economica organizzati in forma monopolistica, gestiti in forza di specifici titoli concessori o diritti di esclusiva e, di conseguenza, sottoposti a regolazione tariffaria. Com’è noto, questi strumenti giuridici mirano a correggere alcune problematiche di natura economica identificate convenzionalmente con l’espressione ‘fallimenti di mercato’ [10]. Basti pensare alla presenza di monopoli naturali [11] – i quali rendono meno oneroso per la società affidare la produzione di un dato servizio a una sola impresa piuttosto che a più operatori in regime di concorrenza ‘nel’ mercato [12] – nonché alla struttura a ‘rete’ di molti servizi, il cui esercizio richiede infrastrutture essenziali (le c.d. essential facilities [13]) non duplicabili [14]. Rispetto ai suddetti presupposti di ordine economico, la regolazione tariffaria si pone quale mezzo ‘surrogatorio’ del mercato [15] atto a impedire lo sfruttamento della clientela da parte del monopolista [16], il cui comportamento opportunistico – potenzialmente propenso a ricavare extra-profitti [17] – sarebbe naturalmente incline ad applicare prezzi superiori a quelli espressi in un parallelo e ipotetico mercato sottoposto alla pressione concorrenziale. E così, il soggetto regolatore andrà a sostituire [18] le proprie determinazioni imperative (nel caso di specie: quelle in materia tariffaria) alle decisioni che in un mercato pienamente concorrenziale sarebbero l’esito naturale dell’accordo tra le parti: il che ci consente di definire la regolazione tariffaria come uno dei possibili fenomeni di eteronomia contrattuale [19], posto che le imprese del settore si trovano a subire una contrazione nella propria sfera di autonomia negoziale con riguardo a uno degli elementi contenutistici fondamentali del rapporto obbligatorio, qual è il prezzo della prestazione. Ciò posto, si segnala l’esistenza di un rapporto di proporzionalità inversa tra la regolazione tariffaria e lo sviluppo concorrenziale dei mercati relativi ai diversi SIEG [20]. Invero, in un ipotetico [continua ..]


3. Dalla regolazione tariffaria come strumento di politica economica alla regolazione dell’‘efficienza’

La funzione di regolazione tariffaria, intesa in senso atecnico e generale, non è stata introdotta ex novo dalle politiche di liberalizzazione e privatizzazione degli anni Novanta del secolo scorso, le quali ne hanno semmai mutato i caratteri e le finalità. Invero, già sul finire degli anni Sessanta, lo Stato italiano ha iniziato a intervenire diffusamente sul lato dell’offerta dei servizi pubblici nell’obiettivo di realizzare specifiche politiche tariffarie. In particolare, l’intervento regolatorio del­l’epoca si traduceva nell’erogazione di sovvenzioni a favore di particolari categorie di utenti, con traslazione dei conseguenti costi economici sulle altre fasce d’utenza del medesimo servizio o, in alternativa, a carico della fiscalità generale. Questa forma di intervento pubblico ha dato l’avvio a quello che in dottrina [28] è stato definito come processo di ‘de-economicizzazione’ dei servizi pubblici, ossia un insieme di interventi regolatori sorretti unicamente da obiettivi politici, e non da visioni tecnico-economiche e industriali, che hanno concorso a realizzare una situazione di grave disavanzo nei bilanci degli enti gestori [29], costantemente ripianati dallo Stato attingendo dalle casse erariali. Eppure, in quegli anni la regolazione tariffaria era oggetto di scarsa attenzione da parte dell’opinione pubblica e della dottrina italiana in ragione di una dinamica dei costi di produzione dei servizi pubblici non significativa e per lo più ancorata all’evoluzione del prezzo dell’energia, nonché della capacità di assorbimento di deficit (anche significativi) da parte dei conti pubblici [30]. La situazione, tuttavia, mutò a seguito della prima crisi energetica del 1973 [31], quando il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) [32], al fine di reagire alle pericolose conseguenze inflazionistiche dello ‘shock’ petrolifero sull’economia italiana [33], assoggettò una serie di importanti servizi pubblici (elettricità, gas, servizio telefonico, trasporti ferroviari, etc.) al potere di determinazione autoritativa dei prezzi (per quanto qui rileva: tariffe) del Comitato Intermisteriale dei Prezzi (CIP) [34]. Da quel momento la regolazione tariffaria iniziò ad assumere sempre più [continua ..]


4. I metodi della regolazione tariffaria: Cost of Service vs. Price-Cap

Per quanto concerne i metodi della regolazione tariffaria, l’Italia per lungo tempo ha seguito il modello del c.d. Cost of Service o, secondo diversa declinazione, della c.d. Rate of Return Regulation (ROR). Questa metodica si fonda sul riconoscimento a ‘piè di lista’ dei costi effettivamente sostenuti e dichiarati dall’impresa, cui deve aggiungersi un tasso di equa remunerazione del capitale investito [51]. Al di là degli aspetti più propriamente tecnico-economici, ciò che interessa porre in risalto è come la garanzia di copertura dei costi concreti delle imprese regolate non generi alcun incentivo alla riduzione dei costi operativi o all’incre­mento dei livelli di efficienza produttiva [52]. Difatti, in un sistema ove ogni variazione in aumento dei costi finisce da ultimo per essere traslata sull’utenza, sotto forma di variazioni tariffarie a ‘conguaglio’ richieste dal gestore (peraltro, in forza di documentazione da questi presentata al regolatore), non esiste alcuno stimolo alla spontanea risoluzione delle eventuali inefficienze aziendali [53]. Anzi, il paradosso cui la suddetta forma di regolazione tariffaria dà luogo è che ogni miglioramento sul piano della reddività si tradurrebbe in un potenziale incentivo alla riduzione tariffaria a opera del regolatore, onde evitare la formazione di extra-profitti eccedenti la soglia dell’equa remunerazione ipotizzata per il singolo settore [54]. Queste criticità hanno trovato una compiuta sistemazione nel noto teorema di Averch e Johnson [55], il quale dimostra la patologica tendenza a comportamenti opportunistici di sovracapitalizzazione delle imprese monopoliste sottoposte a regolazione Cost of Service o ROR [56]. Più precisamente, il richiamato teorema, muovendo dall’assunto del fisiologico disinteresse del monopolista a ottimizzare il piano dei costi d’impresa in un sistema ove è assente ogni forma di pressione concorrenziale, giunge a teorizzare l’incentivo alla realizzazione di investimenti di capitale eccessivi rispetto al livello aziendale efficiente, potendo beneficiare a posteriori del riconoscimento tariffario di ogni incremento dei costi effettivi. Al fine di superare le criticità del modello economico del Cost of Service di derivazione statunitense, il Governo [continua ..]


4.1. Segue: quale livello di produttività è esigibile dalle imprese re­go­late?

In forza di quanto appena rilevato, è possibile affermare che il metodo del Price-Cap conviva con l’autonomia imprenditoriale [74], quantomeno relativamente alla possibilità per l’imprenditore di modulare la propria politica aziendale nel rispetto del parametro di prezzo massimo del servizio imposto dall’auto­rità di regolazione [75]. Cionondimeno, anche la regolazione dell’‘efficienza’ presenta sul piano applicativo alcune importanti criticità. A tale riguardo, la maggiore difficoltà per il regolatore è la selezione del tasso di produttività (il c.d. parametro ‘X’) da inserire all’interno del metodo tariffario [76]: questa scelta, infatti, è fonte di importanti conseguenze sul piano della politica industriale e della conformazione della struttura di mercato [77]. Segnatamente, la fissazione di vincoli tariffari troppo blandi si tradurrebbe in un ‘premio all’inefficienza’, consentendo al monopolista o alle imprese del settore (nel caso di servizi quasi-liberalizzati) di praticare prezzi elevati, sfruttando la condizione fittiziamente concorrenziale del relativo mercato [78], con conseguente frustrazione degli interessi dell’utenza. Viceversa, la determinazione di tassi di produttività eccessivamente ‘sfidanti’ rischierebbe di generare effetti anti-concorrenziali [79]: un livello troppo elevato del parametro ‘X’, infatti, equivarrebbe all’introduzione di una ‘barriera al­l’ingresso’ nel mercato di riferimento, che finirebbe così per risultare poco attrattivo per le imprese [80] in ragione delle ridotte chances di profitto e di auto-fi­nanziamento [81]. Sennonché, è possibile replicare sostenendo che l’espulsione dal mercato degli operatori inefficienti rappresenterebbe, in realtà, un risultato positivo, sia nell’interesse dei consumatori, i quali potrebbero così beneficiare di tariffe più ridotte, sia del sistema complessivamente inteso, dati i maggiori stimoli agli investimenti tecnologicamente avanzati onde incrementare i livelli di produttività e, di conseguenza, i profitti da ‘efficientamento’. Cionondimeno, con riguardo all’individuazione del tasso di produttività si registrano frequenti contenziosi [continua ..]


4.2. Segue: Price-Cap Regulation e necessaria regolazione della qua­lità con correlati obblighi di separazione contabile (c.d. Unbundling)

L’implementazione di una politica tariffaria incentivante mediante Price-Cap richiede inevitabilmente – al fine di evitare gravi distorsioni patologiche – la predisposizione in parallelo di misure di regolazione qualitativa dell’offerta dei servizi pubblici [84]. Difatti, qualora la legge o l’autorità di regolazione non imponessero alle imprese regolate una serie di obblighi qualitativi relativi alle prestazioni erogate all’utenza, il recupero di efficienza imposto dal metodo tariffario (e, segnatamente, dal suo parametro ‘X’) sarebbe tendenzialmente raggiunto dal soggetto regolato intervenendo sulla contrazione delle condizioni di erogazione del servizio piuttosto che attraverso gli assai più onerosi investimenti sul piano del­l’ammodernamento tecnologico e produttivo dei processi aziendali [85]. La scienza economica [86] segnala, in proposito, la presenza di un importante ‘trade-off’ tra il tasso di recupero dell’efficienza e i livelli qualitativi del servizio pubblico: il che impone di affiancare alla regolazione economico-tariffaria dei SIEG la cosiddetta regolazione della qualità. Del resto, questa soluzione è alla base del modello generale di regolazione introdotto dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, recante ‘Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità’ e ‘Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità’, ove, all’art. 2, comma 12, lett. h), si prevede che ciascuna autorità di regolazione «emana le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente, sentiti i soggetti esercenti il servizio e i rappresentanti degli utenti e dei consumatori, eventualmente differenziandoli per settore e tipo di prestazione» [87]. Eppure, la qualità del servizio pubblico genera incrementi significativi dei costi in capo al gestore e, di riflesso, l’aumento delle tariffe: gli economisti [88] sono soliti ricordare che non esistono ‘pasti gratis’ (There ain’t no such thing as a free [continua ..]


5. Il sistema italiano di regolazione tariffaria nel contesto della legge generale n. 481/1995

Il sistema italiano di regolazione tariffaria [99] trova oggi una base normativa generale all’interno della già citata legge n. 481/1995, ferma restando la necessità di integrare tale disciplina con le numerose fonti di settore (europee e nazionali) relative ai diversi SIEG [100] (energia elettrica, gas, telecomunicazioni, servizio idrico integrato, etc.) [101]. In questa sede, al fine di svolgere alcune considerazioni di ordine generale sul tema oggetto di studio, ci si limiterà a evidenziare i principi in materia di regolazione tariffaria ricavabili dalla legge n. 481/1995, pur nella consapevolezza del valore più ‘programmatico’ che ‘prescrittivo’ di quest’ultima [102]. La finalità della suddetta legge (cfr. l’art. 1, comma 1) è di «garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, di seguito denominati “servizi”, nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, tenuto conto della normativa comunitaria in materia e degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo. Il sistema tariffario deve altresì armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse». Ebbene, la legge in commento imposta la regolazione economica dei servizi pubblici sul tendenziale allineamento delle tariffe ai costi di erogazione, con l’obiettivo d’impedire condotte di sfruttamento dell’utenza da parte delle imprese titolari di rilevanti poteri di mercato. In particolare, emerge con evidenza la centralità del binomio economicità-reddività [103]. Il principio di economicità esige l’adozione di sistemi tariffari c.d. Cost-Reflective [104], vale a dire idonei a garantire – in conformità al principio del Full Cost Recovery – l’autosufficienza economica delle gestioni (intesa come equilibrio tra i [continua ..]


6. Segue: la regolazione tariffaria tra politica e neutralità tecnica: criticità e possibili soluzioni

Di là dell’enunciazione dei principi di economicità e redditività alla base del sistema tariffario dei servizi pubblici, la legge n. 481/1995 si connota comunque per avere una natura ambivalente [118], atteso che i suddetti criteri devono essere armonizzati con i differenti – rectius: divergenti – obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse [119]. Un siffatto potere di contemperamento d’interessi sembrerebbe implicare valutazioni espressione di discrezionalità amministrativa o ‘pura’ [120], e dunque sottendere opzioni di c.d. policy [121] tali da richiedere una legittimazione democratica del relativo apparato amministrativo [122]. Per di più, il modello delineato dal legislatore potrebbe – così com’è avvenuto in passato [123] – stimolare un utilizzo dello strumento tariffario quale ‘leva’ per il perseguimento di finalità extra-economiche (la tutela dell’ambiente, la protezione della salute dei cittadini, la conservazione delle risorse, etc.). Questo elemento non è di secondaria importanza, se si considera che la scelta di attribuire le funzioni di regolazione economica dei SIEG ad autorità amministrative indipendenti sottintende il carattere puramente tecnico e ‘neutrale’ di tali potestà [124], peraltro esercitate da soggetti estranei al circuito democratico-rappresentativo e connotati da marcati profili di indipendenza strutturale e funzionale [125]. Posto che nell’attuale ordinamento giuridico le funzioni di regolazione tariffaria relative ai SIEG sono attribuite, in larga misura, a soggetti aventi le caratteristiche appena richiamate, questi dovrebbero limitarsi a svolgere meri accertamenti e valutazioni tecniche, anche complesse, ma pur sempre espressione di quella che è tradizionalmente definita ‘discrezionalità tecnica’ [126]. Diversamente, laddove fossero comunque attribuite per legge ai regolatori indipendenti funzioni implicanti in concreto scelte politico-discrezionali, ne risulterebbe violato il principio democratico sul quale si fonda la legittimazione della pubblica amministrazione italiana nell’attuale forma di governo parlamentare. La suddetta criticità potrebbe essere risolta, com’è stato [continua ..]


NOTE