L’approccio regolatorio della scala degli investimenti ha prodotto una concorrenza effettiva sui mercati dei servizi di telecomunicazione su rete fissa, anche basata sullo sviluppo di parti di rete di accesso alternative a quella dell’operatore storico. Non si è tuttavia giunti a duplicazioni complete della rete di accesso, in ragione di limiti applicativi di tale paradigma teorico e dei nuovi obiettivi di investimento in reti di accesso in fibra, anche da parte dello stesso operatore storico. Negli anni recenti, l’intervento pubblico si è infatti focalizzato su risultati di politica industriale per una maggiore performance ed estensione delle reti, sia attraverso interventi diretti di supporto finanziario sia indirettamente, per mezzo dell’aggiornamento del quadro regolatorio di settore e dei suoi obiettivi. Sono stati quindi introdotti dal Codice europeo del 2018 nuovi strumenti e modelli regolatori, fra cui il co-investimento aperto, per incentivare la costruzione di nuove reti, ed il modello wholesale-only, in applicazione del principio di proporzionalità della regolazione. Nonostante i piani di finanziamento pubblico, l’ingresso di un nuovo operatore di rete wholesale-only ed il nuovo quadro regolatorio, il mercato italiano presenta tuttavia ritardi comparati nel raggiungimento degli obiettivi europei di costruzione di reti ad altissima velocità. Peraltro, la regolazione in Italia è sottoposta a rilevanti trade-off, anche in ragione della estensione a livello nazionale del modello wholesale-only, ponendosi esso – in questa forma – in discontinuità con il paradigma della scala degli investimenti e della sua possibile evoluzione cooperativa (il co-investimento). In questo contesto, il dibattito di policy nazionale da anni sta ruotando attorno alla possibilità di un consolidamento dei due principali operatori di rete ed anche di una possibile inversione del processo di privatizzazione. Questa evoluzione, anche in uno scenario di separazione verticale dell’operatore storico, può tuttavia incontrare seri ostacoli posti dalla disciplina sulle concentrazioni. Un modello basato su una estensione e rafforzamento del co-investimento, su cui convergano elementi del modello wholesale-only, potrebbe invece trovare un maggiore equilibrio fra le istanze della regolazione e quelle di politica industriale, con minori rischi distorsivi delle dinamiche di mercato, ma con un analogo perseguimento degli interessi pubblici alla base del desiderato consolidamento del mercato upstream in una “rete unica”.
Parole chiave: Telecomunicazioni – Concorrenza – Scala degli Investimenti – Co-investimento – Operatori Wholesale-only – Separazione verticale – Consolidamento Wholesale – Monopolio pubblico della rete.
The ladder of investments approach has introduced an effective competition in the fixed telecom markets by incentivising a growing infrastructure-based competition between alternative operators and the incumbent. However, this process did not lead to an extensive duplication of access network, due to the operative limitations of that theoretical paradigm and new policy objectives related to the construction of a fibre network. Indeed, public intervention has increasingly focused on industrial policy objectives, i.e. higher performance and extension of the new networks, by means of both direct financial support and an update of regulatory tools and objectives. As for the latter, new market models have been incorporated into the 2018 European Code, namely open co-investment, to provide incentives for the deployment of the new networks, and the wholesale-only model, in application of the proportionality principle applied to regulation. Despite the public funds, the start-up of a new wholesale-only network operator and the new regulatory framework, the Italian sector is experiencing delays in pursuing the European objectives as far as the deployment of very high-capacity networks is concerned. Moreover, the regulatory framework has been subject to significant trade-offs, also due to an extension of the wholesale-only model at national level, which created a discontinuity with the ladder of investments approach and its possible cooperative evolution (i.e., co-investments). In this context, for the last few years, the national policy debate has been revolving around the possibility of a merger between the two main network operators, possibly also reversing the privatisation process. This evolution, even in a scenario of vertical separation of the incumbent, may however encounter untrivial obstacles from EU (and national) merger rules. Instead, a new convergent model, in-between co-investment and wholesale-only, might find a better balance between regulation and industrial policy, also reducing risks of market disruption and pursuing those public interest objectives underlying the policy vision of a consolidated “single network”.
Keywords: Telecom markets – Competition – Ladder of Investments – Co-investment – Wholesale-only operator – Vertical separation – Upstream Consolidation – Public network monopoly.
1. Introduzione: lo sviluppo della concorrenza nelle Telecomunicazioni - 1.2. Problemi attuativi dell’approccio teorico e declinazione geografica degli investimenti - 1.3. La “scala corta” e lo sviluppo delle reti di nuova generazione - 2. L’evoluzione degli obiettivi e degli strumenti regolatori - 2.2. Il complesso bilanciamento fra obiettivi alla base dei nuovi modelli di mercato e regolatori - 3. Il modello di Co-investimento - 3.2. La disciplina regolamentare del coinvestimento nel CECE e nelle linee Guida BEREC - 4. Il modello Wholesale-only - 4.2. Le diverse implementazioni del modello ed il loro diverso impatto - 5. Il contesto di marcato e regolatorio italiano - 5.2. Il piano “Italia a 1 Giga” ed il progetto di Co-investimento aperto - 5.3. La sovrapposizione di vari modelli di mercato e di intervento pubblico - 6. “Rete unica”: modello per l’evoluzione dello scenario nazionale? - 6.2. La separazione verticale come rimedio regolatorio, strategia aziendale o rimedio antitrust? - 6.3. Un modello alternativo “convergente”: fra politica industriale e regolazione, fra wholesale-only e co-investimento - NOTE
1.1. La regolazione dell’accesso e la “scala degli investimenti” L’evoluzione tecnologica ha avuto un rilevante impatto sulla struttura dei costi delle imprese di telefonia fissa, modificando progressivamente il paradigma teorico del monopolio naturale [1]. Questo ha garantito la sostenibilità economica dei processi di liberalizzazione dei mercati ed al contempo il mantenimento dell’universalità del servizio [2]. Accanto alla rimozione delle barriere legali all’ingresso di nuovi operatori (liberalizzazione formale), la liberalizzazione ha acquisito carattere sostanziale attraverso l’introduzione di un quadro regolatorio pro-concorrenziale, che aveva il fine di controbilanciare il potere di mercato dell’incumbent ex monopolista, imponendogli obblighi di accesso alla sua infrastruttura. La conseguente eliminazione (o meglio riduzione) delle barriere tecniche ed economiche all’ingresso di nuovi operatori ha così prodotto una liberalizzazione sostanziale dei mercati, introducendo quindi una concorrenza economicamente sostenibile nel lungo periodo. Il quadro normativo pro-concorrenziale di settore del 2002 [3] ha introdotto una regolazione convergente con la tutela della concorrenza, non solo per quanto concerne la definizione degli obiettivi pro-concorrenziali, ma anche nella definizione dei principi, degli strumenti e potenzialmente degli effetti sul mercato [4]. È infatti previsto l’uso da parte dell’Autorità nazionale di regolazione (ANR) dei concetti antitrust di mercato rilevante, posizione dominante, e leveraging del potere di mercato. È inoltre previsto che solo quando un operatore sia designato come detentore di un significativo potere di mercato (SPM) in uno specifico mercato rilevante – concetto equivalente ad una posizione dominante antitrust – la ANR possa imporre, in funzione delle circostanze, obblighi regolatori pro-concorrenziali [5]. Infine, tali obblighi (e.g., accesso ed interconnessione, controllo dei prezzi, trasparenza, non discriminazione, separazione contabile, separazione verticale), esplicitamente individuati dal quadro regolatorio [6], corrispondono ai tipici rimedi antitrust in casi di abuso di posizione dominante. La dimensione pro-concorrenziale della regolazione di settore è definita non solo dal fine, ma anche dalla necessaria proporzionalità [continua ..]
Nell’approccio della “scala degli investimenti”, la regolazione pro-concorrenziale dell’accesso è chiamata a facilitare l’ingresso dei nuovi entranti, attraverso un’assistenza transitoria all’ingresso, e ad incentivare una graduale evoluzione nel continuum fra una concorrenza basata sui servizi ad una concorrenza basata sulle infrastrutture. Tuttavia, nella pratica regolatoria, diversamente dall’approccio teorico, le ANR europee, inclusa AGCOM in Italia, hanno favorito l’ingresso simultaneo a ciascun livello della scala (splintering) e per ogni tipo di tecnologia, con regole e incentivi tendenzialmente neutri. Questo diverso approccio è stato realizzato sia in ragione del principio di neutralità tecnologia [13] sia (soprattutto) per evidenti problemi attuativi dell’approccio teorico. In effetti, per realizzare l’approccio teorico della scala degli investimenti nella sua completezza, le ANR avrebbero dovuto avere costante accesso alle informazioni necessarie per micro-gestire gli obblighi ed i prezzi di accesso e, con essi, l’evoluzione del mercato, della infrastrutturazione verticale dei concorrenti ed, infine, del tipo di concorrenza [14]. In particolare, il regolatore avrebbe dovuto avere informazioni estremamente dettagliate e sofisticate per neutralizzare l’effetto sostituzione, ovvero il prezzo di riserva ed il costo marginale dei servizi di accesso per ogni operatore e per ogni livello della sua domanda [15]. Questo tipo di informazione non è ovviamente nelle disponibilità di un’autorità pubblica, e probabilmente neanche degli stessi attori di mercato. Peraltro, anche assumendo informazioni e competenze perfette dal lato regolamentare, non sarebbe semplice risolvere il problema dall’effettiva dinamica di ingresso dei concorrenti. Infatti, un ingresso sequenziale di concorrenti e in diversi livelli della scala, come quello cui si è assistito in realtà, pone un complesso problema di coerenza temporale. Al fine di preservare, da un lato, l’incentivo a superare l’effetto di sostituzione per alcuni concorrenti e creare, dall’altro lato, il trampolino di lancio per altri (fornendo così a tutti i concorrenti le stesse condizioni di accesso), le tariffe di accesso avrebbero dovuto variare non solo per ogni livello di accesso in funzione di un tempo oggettivo [continua ..]
L’approccio della scala degli investimenti è orientato ad intensificare la concorrenza a valle attraverso un’incentivazione al cambiamento della struttura verticale dei nuovi entranti concorrenti dell’incumbent, verso una progressiva integrazione verticale. Salendo i gradini della scala, i nuovi entranti si muovono in diagonale nella tassonomia della figura 1, dal quadrante I (concorrenza sui servizi e separazione verticale) al quadrante II (concorrenza infrastrutturale ed integrazione verticale). L’approccio della “scala degli investimenti” è dunque basato su una correlazione tra il tipo (e l’intensità) della concorrenza e la struttura verticale dei concorrenti dell’incumbent. Come descritto nella precedente sezione, la promozione di una concorrenza fra operatori sempre più verticalmente integrati è basata su: 1) la regolazione dell’accesso all’infrastruttura dell’operatore storico; 2) la modulazione della regolazione, a livello temporale e geografico; 3) la gradualità degli investimenti, guidati dalla domanda, a livello temporale, ma soprattutto a livello geografico. Anche in ragione dei problemi attuativi e della mancanza di misure regolamentari chiare e diffuse per controbilanciare l’effetto sostituzione, l’approccio della ‘scala degli investimenti’ ha funzionato parzialmente, solo nella “scala corta” (short ladder) [21]. In altre parole, l’infrastrutturazione degli operatori alternativi è giunta estensivamente sino alla disaggregazione della rete di accesso (LLU/ SLU) differenziata a livello geografico in accordo con la domanda. [22] Su queste basi, l’ulteriore innovazione tecnologica ed in particolare lo sviluppo delle reti di accesso di nuova generazione in fibra ottica (fiber to the cabinet, FTTC o fiber to the home, FTTH) e il conseguente sviluppo dei servizi digitali a banda ultra-larga hanno cambiato nuovamente lo scenario economico, commerciale e di politica industriale nei mercati delle telecomunicazioni. Nel dibattito politico e pubblico, le considerazioni sulla tecnologia, sulla competitività dei mercati nazionali e del mercato unico europeo hanno iniziato a diventare predominanti, focalizzandosi sempre più su questioni di politica industriale, come appunto il passaggio dal rame alla fibra e lo sviluppo estensivo di asset tecnologici a prova di futuro, [continua ..]
2.1. Il progressivo maggior peso della promozione degli investimenti ed il rapporto con la concorrenza La progressiva preminenza degli obiettivi di politica industriale di investimento in nuove reti ha comportato una trasformazione del ruolo dell’incumbent: da soggetto che, oltre a garantire il servizio universale, deve dare accesso alla sua rete storica a nuovi operatori per uno sviluppo sostanziale della liberalizzazione, a soggetto che deve anche investire per creare una nuova rete. Parallelamente, si è assistito ad un’evoluzione del quadro normativo ed in particolare del rapporto fra i principali obiettivi regolatori e del loro peso relativo [29]: la promozione della concorrenza, da un lato, e la promozione degli investimenti, dall’altro lato. La promozione degli investimenti è sempre stata una finalità interna al quadro normativo delle telecomunicazioni, anche se la sua configurazione è variata nel tempo e la sua importanza è diventata progressivamente sempre maggiore. Nel quadro regolatorio del 2002, come descritto, la promozione degli investimenti non era considerata un obiettivo in sé, quanto uno strumento per promuovere una concorrenza sostenibile e duratura (basata sulle infrastrutture), considerando quindi rilevanti (nel modello della scala degli investimenti) esclusivamente gli investimenti dei concorrenti dell’operatore storico. In questo contesto, promozione degli investimenti (dei concorrenti all’incumbent) e promozione della concorrenza erano quindi obiettivi perfettamente sinergici e complementari. L’art. 8(2)c della direttiva quadro infatti recitava: «Le autorità nazionali di regolamentazione promuovono la concorrenza … tra l’altro … incoraggiando investimenti efficienti in materia di infrastrutture e promuovendo l’innovazione». Il contesto di riferimento del quadro regolatorio del 2002 era infatti quello di una liberalizzazione in cui la piena concorrenza è considerata un’alternativa superiore a qualsiasi forma di potere di mercato, in quanto i costi fissi irrecuperabili per la costruzione della rete erano già stati sostenuti dall’ex monopolista legale ed i concorrenti potevano entrare nel mercato solo pagando il costo dell’accesso alla rete esistente [30]. In un contesto dinamico, in cui l’innovazione e i nuovi investimenti in rete [continua ..]
In questo contesto di politica industriale per la diffusione generalizzata delle nuove reti ad altissima capacità (VHCN) [43], oltre alle dinamiche di mercato e concorrenziali a valle risultanti dall’approccio della scala degli investimenti, hanno acquisito rilevanza le dinamiche di mercato a monte, che estendono le possibilità di bilanciamento fra gli obiettivi di promozione della concorrenza ed incentivazione agli investimenti. Questi nuovi assetti di mercato a monte ampliano le dimensioni rilevanti della tassonomia di cui alla figura 1, rappresentante la scala degli investimenti, che si basava su una corrispondenza biunivoca fra tipo (e intensità) di concorrenza e struttura verticale dei concorrenti. Le nuove soluzioni di mercato a monte, rappresentati nella figura 4, sono sia di tipo competitivo sia di tipo cooperativo [44], ovvero: • la concorrenza infrastrutturale solo a monte di un operatore verticalmente separato, che fornisce accesso a valle – modello wholesale-only (quadrante III); • la cooperazione a monte di società verticalmente integrate impegnate in accordi infrastrutturali e di condivisione di costi e rischi di investimento, che continuano tuttavia a competere a valle sui servizi (e su quelle infrastrutture sviluppate separatamente) – modello del co-investimento (quadrante IV). Sul quadrante IV della tassonomia si trovano le forme di cooperazione a monte e concorrenza a valle tra operatori che non hanno completato il processo di integrazione verticale sulla scala degli investimenti (tipicamente nuovi entranti che hanno sviluppato la propria infrastruttura fino alla disaggregazione della rete locale, LLU, o alla disaggregazione della rete secondaria, SLU, ma non oltre). Per questo motivo, considerando gli operatori alternativi, il co-investimento rappresenta evoluzione cooperativa endogena alla scala degli investimenti, ovvero la naturale evoluzione degli investimenti di rete già effettuati, guidati dalla domanda e coerenti con le altre caratteristiche economiche del mercato, che non hanno portato allo sviluppo di infrastrutture alternative end-to-end. La cooperazione fra operatori ha infatti come risultato primario proprio il cambiamento degli economics di mercato: «in considerazione dell’attuale incertezza circa il tasso di materializzazione della domanda di servizi a banda larga ad altissima capacità nonché, in generale, per le [continua ..]
3.1. Le ragioni economiche, la ratio regolatoria e l’impatto sulle dinamiche concorrenziali Il co-investimento, come descritto, rappresenta un’evoluzione cooperativa, endogena alla scala degli investimenti, del processo di infrastrutturazione e di integrazione verticale di operatori alternativi, che non hanno consentito uno sviluppo efficiente di infrastrutture alternative end-to-end in alcune (o molte) aree geografiche. Tale dinamica di mercato può includere o meno l’operatore incumbent, ma è previsto un ruolo centrale dell’incumbent nel modello regolatorio incentivante di cui all’art. 76 del CECE. Attraverso il coinvestimento e la condivisione di infrastrutture, gli operatori riescono a modificare gli economics di mercato (e.g., economie di scala, varietà e densità), il rischio e la funzione di domanda di impresa, rendendo efficiente e prospetticamente sostenibile un investimento che altrimenti non lo sarebbe stato. La condivisione dei costi riguarda essenzialmente (i) costi fissi derivanti dall’implementazione di un’infrastruttura comune piuttosto che di reti duplicate e (ii) costi operativi (variabili), nella misura in cui le imprese coinvolte vogliano e riescano a spartirsi anche le spese di manutenzione della nuova infrastruttura “comune”. Nell’intento di condividere costi e rischi derivanti dallo sviluppo delle nuove infrastrutture di accesso di nuova generazione, varie forme di cooperazione a monte tra operatori verticalmente integrati sono emerse. Le principali categorie di coinvestimento sono: (i) joint-venture, quando un operatore ed i coinvestitori sono comproprietari di una nuova entità o società responsabile della costruzione di reti di accesso; (ii) accesso reciproco, se un operatore ed i coinvestitori raggiungono un accordo di condivisione del rischio a lungo termine in base al quale ciascuno di essi è responsabile dell’installazione e della gestione delle rispettive reti in aree geograficamente separate, alle quali viene concesso accesso reciproco; e (iii) accesso unidirezionale, quando un operatore costruisce la rete di accesso e concede l’accesso agli altri co-investitori sulla base di accordi di condivisione del rischio a lungo termine attraverso un co-finanziamento (ad es. schemi che prevedono impegni per minimi di acquisto) o contratti di acquisto (es. accesso basato su contratti pluriennali e [continua ..]
Il Codice europeo delle Comunicazioni Elettroniche definisce all’art. 76 il trattamento normativo delle nuove reti ad altissima capacità realizzate mediante impegni di co-investimento offerti ai sensi dell’art. 79. Gli artt. 76 e 79 del CECE, al fine di incentivare le dinamiche di co-investimento in reti VHC definiscono una deregolazione quasi completa, eliminando tutti gli obblighi di accesso per l’operatore SPM che si è impegnato in un’offerta di co-investimento aperta a condizioni FRAND (Fair Reasonable And Non-Discriminatory), consentendo l’accesso anche ai non co-investitori. Solo le imprese designate come detentrici di un SPM possono offrire impegni per aprire al co-investimento lo sviluppo di nuove reti VHC. Secondo l’art. 76 il co-investimento può assumere la forma di comproprietà o condivisione del rischio a lungo termine mediante cofinanziamento o accordi di acquisto che diano origine a diritti specifici di carattere strutturale da parte di altri fornitori di reti e / o servizi di comunicazione elettronica. Se l’ANR accerta che gli impegni di co-investimento offerti sono conformi alle condizioni di cui all’art. 76, paragrafo 1 e al relativo allegato IV, rende vincolanti gli impegni proposti e non impone obblighi aggiuntivi ai sensi dell’art. 68 per quanto riguarda elementi della nuova VHCN oggetto degli impegni. Le ANR possono derogare a questo ultimo principio imponendo obblighi supplementari, in conformità degli artt. da 68 a 74, solo nel solo caso in cui, viste le caratteristiche specifiche dei mercati coinvolti, notevoli problemi concorrenziali persistano in tali mercati e questi non siano quindi risolvibili attraverso gli impegni associati al coinvestimento [59]. Sembra questa deroga avere caratteri di eccezionalità, anche perché, similarmente a quanto avviene nella disciplina di tutela della concorrenza, la formulazione di impegni da parte delle imprese è sempre oggetto di una trattativa informale con le Autorità preposte, che porta ad una risoluzione ex-ante di possibili problemi concorrenziali. Peraltro, l’aggiunta di obblighi regolamentari caratterizzata da un certo grado di sostituibilità con il co-investimento, come gli obblighi di accesso, potrebbe promuovere comportamenti opportunistici da parte dei partecipanti, riducendo la partecipazione al coinvestimento stesso. Al contrario, le disposizioni [continua ..]
4.1. Le ragioni economiche e di politica industriale del modello Wholesale-only La caratteristica principale di un operatore wholesale-only è per definizione il suo essere attivo esclusivamente nei mercati a monte dell’offerta wholesale di servizi di accesso (passivo e attivo) alle infrastrutture di rete [70]. Le motivazioni economiche principali per la scelta di un modello “solo all’ingrosso” per lo sviluppo di infrastrutture VHC sono state individuate ne: (i) la maggiore efficacia nell’attrarre i necessari investimenti a lungo termine per le nuove infrastrutture; (ii) l’essere svincolati (in genere) da reti legacy in rame, sì da consentire una concentrazione finanziaria e gestionale sulle nuove infrastrutture FTTH; (iii) lo sviluppo di una concorrenza a monte con l’incumbent in grado di spingere anche quest’ultimo ad effettuare maggiori investimenti in nuove infrastrutture FTTH; (iv) lo sviluppo di una rete di accesso “naturalmente aperta”, che implica che la rete a prova di futuro è messa a disposizione di tutti gli operatori a condizioni eque e non discriminatorie; e la conseguente (v) maggiore diversificazione di offerte nei mercati geografici (o città) caratterizzate da una rete passiva solo all’ingrosso rispetto a quelle caratterizzate dalla concorrenza tra operatori integrati verticalmente [71]. Per quanto riguarda l’attrazione dei capitali di investitori privati, imprese specializzate nella costruzione e vendita di servizi di accesso ad infrastrutture in fibra possono avere flussi di cassa prevedibili e per questo essere molto attrattive. In particolare, la fornitura di servizi di telecomunicazioni fissi e mobili al dettaglio all’utente finale, così come la fornitura di contenuti, è soggetta ad una domanda abbastanza variabile, in forte concorrenza, con cicli commerciali relativamente brevi, che rende gli investimenti a lungo termine in tecnologia innovativa più impegnativi. L’infrastruttura sottostante ha invece alcune caratteristiche di servizio “essenziale”, con un ciclo di vita che abbraccia diversi decenni, attirando quindi investimenti e investitori a lungo termine [72]. Questa differenziazione è una tendenza generale, tanto più vera quanto è ampio il differenziale dell’intensità di concorrenza a monte ed a valle. Ovviamente, si [continua ..]
Un modello wholesale-only limitato ad aree geografiche circoscritte (locali o regionali rurali) può risultare un efficiente complemento alla scala degli investimenti, andando a “riempire i vuoti ed il divario digitale” risultanti dalle dinamiche di mercato, dove gli operatori integrati e, soprattutto, l’operatore incumbent, non hanno trovato profittevole investire. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, lo sviluppo di una rete wholesale-only è finanziato da denaro pubblico, al fine di sviluppare una politica di investimenti ‘supply-driven’, non guidata (o solo parzialmente guidata) da considerazioni di profittabilità e quindi dal livello di domanda in relazione ai costi di sviluppo. La ratio di tali investimenti è infatti un più ampio interesse pubblico tendente a valorizzare le esternalità di sistema di una nuova rete, che non si riflettono nell’attuale domanda, al fine di aumentare l’equità nella distribuzione di servizi ritenuti “essenziali”. A questo riguardo è interessante osservare che un approccio non guidato dalla domanda trova naturale sfogo in un modello wholesale-only anche in ragione della sua separazione verticale e quindi della cesura con la domanda finale. Tuttavia, paradossalmente, questo può rappresentare un grande problema operativo nelle aree a fallimento di mercato in quanto la separazione verticale crea maggiori costi di transizione per lo sviluppo della nuova domanda, che non è appunto quella che ha guidato gli investimenti, o la sua migrazione dai servizi basati sulla rete legacy. Un modello wholesale-only si può, tuttavia, ben sviluppare anche in ragione di strategie di ingresso e investimento selettivo (cherry picking) guidate da considerazioni di redditività residua del mercato derivante da una domanda sofisticata e avanzata e da una disponibilità a pagare non soddisfatta dall’offerta esistente. In entrambi i casi, l’infrastrutturazione dell’operatore wholesale-only non si basa sull’essential facility dell’incumbent ma al contrario mira proprio a sviluppare investimenti complementari a quella infrastruttura. Questo processo ha luogo attraverso investimenti complementari, sia (i) ove esista una redditività residua ed una domanda non soddisfatta dall’offerta esistente, sia (ii) nel caso di investimenti “pubblici” nelle [continua ..]
5.1. Il ritardo infrastrutturale, il piano “BUL aree bianche” e l’operatore Wholesale-only Gli indicatori DESI 2022 (relativi al 2021) collocano l’Italia è al 24° posto nell’Unione europea per quanto concerne la categoria “connettività fissa” [83]. Con specifico riguardo allo sviluppo infrastrutturale di reti fisse ad alta capacità, ovvero quelle reti su cui sono costruiti gli obiettivi di politica industriale posti dalla Unione Europea, l’Italia scende ancora, fino al 25° posto, avendo una copertura VHCN del 44,2% delle unità abitative, contro il 70,2% della media UE (dati 2021). Di seguito, nelle figure 5 e 6, sono rispettivamente riportati il benchmark UE al 2021 ed il confronto dell’andamento della media UE con l’Italia (in cui si evidenzia il diverso andamento ed i periodi di maggiore incremento del ritardo). [84] [85] Molto migliore è invece la situazione se si considera la connettività broadband NGA (ovvero tutte le connessioni fisse superiori a 30 Mbps): in questo ambito la copertura nazionale al 2021 è del 97% delle unità abitative, sopra la media UE, che è pari al 90% circa [86]. Per quanto concerne la domanda, varie analisi economiche hanno dimostrato che la disponibilità a pagare per servizi innovativi è relativamente bassa, in particolare per i servizi a banda larga ad altissima velocità [87], e questo è ancor più vero nel mercato italiano. Questa conclusione teorica è in linea con i dati: nel 2021 la domanda di servizi BB veloci si sono rivelati relativamente bassi rispetto alla copertura delle infrastrutture NGA esistenti. Questo è vero a livello di media UE, dove il 57,5% delle famiglie ha una connessione maggiore o uguale a 30 Mbps e soprattutto in Italia, dove la domanda e le percentuali di take-up sono ancor più basse, 48%, inferiori alla media UE nonostante la maggiore copertura [88]. Il ritardo nella copertura per le reti a banda ultra-larga in Italia deriva da una ben nota eredità strutturale specifica, ovvero la tradizionale assenza di collegamenti via cavo, che invece caratterizza altri paesi europei. Per questo motivo, in Italia l’intera copertura VHCN è basata su reti FTTH (fiber to the home). A questo dato, si associa il fatto che buona parte dell’elevata copertura NGA in Italia [continua ..]
L’avanzamento progressivo della copertura VHCN, come evidenziato dalla figura 5, è nel complesso ancora lontano dagli obiettivi della “Gigabit Society” [103], e ben al di sotto della media europea. Inoltre, l’incremento registrato nella copertura FTTH è stato accompagnato da un basso livello di migrazione e quindi di adozione di servizi. Per rimediare i “fallimenti” dal lato della domanda, si sono avviati piani a suo sostegno (voucher connettività) sia per le famiglie sia, più recentemente, specificamente per le imprese. Per quanto concerne l’offerta, il 25 maggio 2021, è stata approvata dal Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD) la nuova strategia italiana per la banda ultralarga – verso la gigabit society, che si pone in continuità con la Strategia nazionale per la banda ultralarga del 2015. La nuova strategia si compone di sette interventi, fra questi il piano “Italia a 1 Giga” (con dotazione finanziaria 3,7Mld€) che intende fornire connettività ad almeno 1 Gbps in download e 200 Mbps in upload entro giugno 2026 alle unità immobiliari a “nuovo fallimento di mercato”. Considerando l’evoluzione tecnologica e l’evoluzione delle nuove esigenze di servizio universale, il finanziamento pubblico avverrà aree in cui non è presente, né lo sarà entro i prossimi cinque anni, alcuna rete idonea a fornire velocità di almeno 300 Mbit/s in download nell’ora di picco del traffico. A seguito della mappatura delle infrastrutture presenti o pianificate al 2026 dagli operatori di mercato, sono risultate “a nuovo fallimento di mercato” aree molto frammentate rientranti nelle aree cosiddette grigie e nere della precedente strategia, contenenti complessivamente circa 7 milioni di unità abitative. Il 15 gennaio 2022 è stato pubblicato il bando Italia a 1 Giga, suddiviso in 15 aree geografiche (lotti), con un tetto di aggiudicazione di massimo 8 lotti, senza alcun punteggio aggiuntivo per operatori wholsale-only. Il piano ha adottato il modello cosiddetto “a incentivo” (o gap funding), ovvero un co-finanziamento pubblico dell’investimento, fino al 70% delle spese sostenute per la costruzione delle infrastrutture, che rimangono poi di proprietà dell’impresa aggiudicataria. L’aggiudicatario [continua ..]
Il contesto di mercato ed industriale nazionale, come emerge dalla sintetica descrizione che precede, è caratterizzato dalla sovrapposizione ed intersezione di vari modelli commerciali, regolatori e di politica industriale. Per quanto concerne gli incentivi pubblici agli investimenti, in Italia così come nel resto d’Europa, questi sono attuati contestualmente attraverso: (a) la regolazione, con incentivi indiretti che passano attraverso i nuovi strumenti del CECE, in primis il co-investimento; e (b) l’intervento pubblico diretto, con contributi finanziari, nelle diverse modalità: (bi) “a concessione”, ovvero di co-finanziamento di reti di proprietà pubblica, in concessione pluriennale (20 anni) all’aggiudicatario – come nei bandi BUL aree bianche; (bii) “ad incentivo” o gap funding, ovvero di co-finanziamento alle imprese per la costruzione di reti di proprietà privata – come nel bando PNRR. È necessario che questi interventi, seppur diversi e separati, siano coordinati negli obiettivi, nella tempistica e nella considerazione reciproca dei diversi incentivi che vengono forniti al mercato. Il coordinamento è complicato dal fatto che questi diversi incentivi sono forniti da soggetti diversi. Ovviamente, gli incentivi regolatori sono di competenza di AGCOM e l’intervento diretto di competenza governativa. Tuttavia, anche all’interno dello stesso Governo, è stata amplificata, senza un motivo sostanziale, la frammentazione attuativa[108]. Per quanto concerne i modelli di mercato, come descritto, si ha nelle stesse aree geografiche una sovrapposizione di: (a) la scala (o scacchiere) degli investimenti, in cui gli operatori verticalmente integrati decidono in che misura realizzare la propria infrastruttura o acquistare servizi di accesso dall’operatore storico TIM (scelta make or buy), con la sua evoluzione cooperativa di coinvestimento (FlashFiber, prima ed il nuovo progetto FiberCop ai sensi dell’art. 76 CECE); (b) il modello di operatore solo all’ingrosso esteso a livello nazionale, Open Fiber, che si sviluppa in modalità supply-driven ed in cui gli operatori richiedenti accesso non investono in reti proprie ed operano in concorrenza esclusivamente sui mercati al dettaglio a valle. Guardando ai comportamenti passati, nelle 29 città coperte da FlashFiber, la coesistenza di due modelli – [continua ..]
6.1. Un approccio di politica industriale La composita evoluzione degli scenari regolatori, di mercato e di politica industriale, così come le dinamiche societarie e di management dei due principali operatori di rete nazionali, sono stati al centro del dibattito pubblico e politico degli ultimi anni. In questo contesto, con alterne vicende, la fusione dei due operatori di rete, TIM e Open Fiber, è stata individuata come un possibile scenario, al fine di creare la così detta “rete unica”. Sintetizzando e sistematizzando gli elementi di riflessione teorica che hanno accompagnato (invero in modo spesso disordinato) il dibattito di policy, questa soluzione dovrebbe portare a: (a) un coordinamento territoriale degli investimenti all’ingrosso, che eviti duplicazioni inefficienti in alcune aree e sotto-investimenti in altre; (b) l’accelerazione e ottimizzazione dei piani di investimento, concentrando in modo efficiente le risorse, private e pubbliche, in modo da accelerare in modo significativo il dispiegamento di una rete FTTH e lo switch-off della rete in rame a livello nazionale; (c) l’amplificazione delle effettive complementarità tecniche tra le infrastrutture di TIM e OF, in modo da aumentare economie di scala, varietà e densità associate alla condivisione di reti, asset, capitale umano, capitale finanziario, servizi di attivazione e assistenza al cliente finale; (d) la realizzazione di un sistema integrato per la definizione e per il monitoraggio dei protocolli relativi alle comunicazioni e alla sicurezza della rete in generale. A questo proposito si deve innanzi tutto chiarire che, a differenza degli altri modelli descritti, la “rete unica” non è un modello regolatorio. Questa possibile soluzione è infatti in chiara controtendenza con l’approccio regolatorio degli ultimi decenni, confermato con modifiche dal CECE, che ha fra i suoi obiettivi lo sviluppo della concorrenza: «le autorità nazionali di regolamentazione e le altre autorità competenti, nonché il BEREC, la Commissione e gli Stati membri perseguono ciascuno dei seguenti obiettivi generali … promuovere la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica e delle risorse correlate, compresa un’efficace concorrenza basata sulle infrastrutture, e nella fornitura dei servizi di comunicazione elettronica e dei servizi [continua ..]
Il consolidamento dei due operatori TIM/FiberCop ed OpenFiber, alla luce della legislazione pro-concorrenziale, è ritenuto astrattamente possibile solamente preservando una concorrenza effettiva nel mercato a valle, in primis, attraverso una separazione verticale di TIM. Infatti, come descritto in precedenza con riferimento agli operatori wholesale-only, la separazione verticale ha un impatto positivo sulla concorrenza a valle in quanto “rimuove ab origine gli incentivi ad attuare condotte discriminatorie sotto il profilo economico e tecnico da parte del gestore della rete”. Infatti, come si afferma nell’indagine conoscitiva congiunta AGCM-AGCOM, sebbene non in riferimento ad una concentrazione, “tale configurazione di mercato è idonea a garantire lo sviluppo di un assetto altamente competitivo nel mercato della fornitura retail di servizi broadband” [121]. Nel dibattito di policy sul progetto politico-industriale di “rete unica” si è quindi discusso, a largo raggio, di quale fossero i percorsi e gli strumenti più idonei per portare a compimento una separazione verticale dell’operatore incumbent: come rimedio regolatorio, strategia aziendale o rimedio antitrust? Come descritto in precedenza, la separazione funzionale è uno dei rimedi pro-concorrenziali previsti dal CECE, che tuttavia una ANR può imporre all’impresa SPM verticalmente integrata solo “in casi eccezionali … ove non si sia riusciti a conseguire un’effettiva non discriminazione in alcuni dei mercati interessati e ove siano scarse o assenti le prospettive di concorrenza a livello delle infrastrutture in un lasso di tempo ragionevole, anche dopo aver fatto ricorso ad una o più misure correttive precedentemente ritenute appropriate” [122]. Si considera quindi la separazione verticale come rimedio di ultima istanza perché (a) è un rimedio strutturale molto invasivo, la cui applicazione deve essere ben delimitata e ristretta secondo il principio di proporzionalità, e per questo l’art. 77 prevede un’approvazione preventiva da parte della Commissione sulla base di una dettagliata richiesta presentata dalla ANR [123]; (b) implica una deviazione dal principio base del quadro regolatorio tendente a promuovere, quando efficiente, una concorrenza infrastrutturale e, conseguentemente, è difficile da sostenere la sua [continua ..]
La tassonomia descritta alla figura 4, dove i nuovi modelli di mercato e regolatori “a monte” si innestano, più o meno in continuità, sul classico approccio della “scala degli investimenti”, considera come variabile la struttura verticale dei soli concorrenti agli operatori storici. L’integrazione verticale di questi ultimi è, invece, considerata una costante. Tuttavia, alla luce delle riflessioni prima elaborate, la struttura verticale dell’incumbent si potrebbe ben configurare come valore limite della variabile quantitativa del rapporto di cooperazione a monte. In altri termini, uno degli assunti alla basa della politica delle “rete unica” è che la cooperazione necessaria a monte per intensificare gli investimenti innovativi potrebbe essere così intensa da rendere più efficace, o per alcuni aspetti efficiente, rispetto ad un co-investimento, la sua internalizzazione in un’unica impresa, mediante una concentrazione. In questo caso, le garanzie concorrenziali fornite da un operatore wholesale-only separato verticalmente diventano estremamente rilevanti sia per la regolazione sia per il diritto della concorrenza, anche se forse non sarebbero completamente dirimenti. Possono, infatti, residuare rilevanti problematiche antitrust anche nello scenario in cui la concentrazione è accompagnata da una separazione strutturale come rimedio e, a maggior ragione, se la concentrazione ha carattere meramente orizzontale fra due soggetti attivi solo nel mercato a monte. La classica analisi delle concentrazioni, soprattutto in ambito esclusivamente orizzontale, tende infatti a focalizzarsi sugli ambiti di concorrenza diretta e quindi le sovrapposizioni geografiche (oltre ovviamente a quelle di prodotto). La Commissione probabilmente selezionerebbe le aree più profittevoli in cui la duplicazione delle infrastrutture è già avvenuta, come quelle dove applicare un possibile rimedio strutturale geografico: in quelle aree, infatti, la duplicazione e la concorrenza infrastrutturale è desiderabile (se e per quanto avvenuta seguendo la domanda ed il mercato) e una sua eliminazione creerebbe una sostanziale riduzione della concorrenza diretta [134]. La possibile contropartita concorrenziale incrementale, a cui condizionare l’autorizzazione della concentrazione, sarebbe dunque rappresentata dal mantenimento di un certo livello di [continua ..]