Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il «Fit for 55» unpacked: un´analisi multi-disciplinare degli strumenti e degli obiettivi delle proposte settoriali per la decarbonizzazione dell´economia europea (di Gianluca Cavalieri, PhD in diritto e scienze umane e docente a contratto di diritto pubblico dell’economia sostenibile, Università degli Studi dell’Insubria – Benedetta Celati, PhD in Diritto pubblico e dell’economia, Università di Pisa  – Simone Franca, Assegnista di ricerca in diritto amministrativo, Università di Trento – Marta Gandiglio, Ricercatrice, dipartimento di energia, Politecnico di Torino. PhD in energetica – Anna Rita Germani, Professoressa associata in politica economica, dipartimento di studi giuridici ed economici, “Sapienza” Università di Roma – Andrea Giorgi, Dottorando di ricerca in diritto amministrativo, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – Gianluca Scarano, Assegnista di ricerca in sociologia economica e del lavoro, Politecnico di Torino)


Il contributo mira a esaminare criticamente, in chiave multi-disciplinare, le proposte formulate dalla Commissione Europea con il pacchetto «Fit for 55» e con le comunicazioni successive alla crisi russo-ucraina, per verificare se e in quale misura gli strumenti d’intervento ipotizzati siano idonei a conseguire gli ambiziosi obiettivi prefigurati.

Parole chiave: Commissione Europea – Fit for 55 – decarbonizzazione – ambiente.

The «Fit for 55» unpacked: a multi-disciplinary analysis of the tools and objectives of the sectoral proposals for the decarbonisation of the European economy

The contribution aims to critically examine, in a multi-disciplinary perspective, the proposals formulated by the European Commission with the «Fit for 55» package and with the communications following the Russian-Ukrainian crisis, to verify whether and to what extent the intervention tools hypothesized are suitable for achieving the ambitious objectives set.

Parole chiave: European Commission – Fit for 55 – decarbonization – environment.

SOMMARIO:

Introduzione: scopo del lavoro e premesse metodologiche - Sezione I – ETS e rafforzamento dei limiti emissivi [1] - 1.2. Gli strumenti oggi vigenti per perseguire gli obiettivi dichiarati dall’UE - 1.2.1. La «Condivisione degli sforzi» - 1.2.2. L’Emission Trading System - 1.2.2.1. Il sistema «cap-and-trade» - 1.2.2.2. L’incentivo costituito dai segnali di prezzo - 1.2.2.3. L’introduzione dell’ETS in Europa - 1.2.2.3.1. Genesi e aspetti di legittimazione normativa - 1.2.2.3.2. Evoluzione dell’ETS: le diverse fasi di applicazione - 1.3. Gli strumenti proposti con il pacchetto «Fit for 55» per perseguire gli obiettivi dichiarati dall’UE - 1.3.1. L’aggiornamento del meccanismo di «Condivisione degli sforzi»: la previsione di nuovi target di riduzione delle emissioni entro il 2030 - 1.3.2. Il “nuovo” ETS - 1.3.2.1. Abbassamento del cap - 1.3.2.2. Riduzione dell’assegnazione gratuita delle quote - 1.3.2.3. Intervento sui settori coperti dall’ETS - 1.3.2.3.1. Il parallelismo con la «Condivisione degli sforzi» - 1.3.3. ETS e tecnologie low-carbon - 1.3.3.1. La previsione di standard più rigorosi nel prisma della “politica indu­striale verde” - 1.4. Valutazione degli strumenti e della loro idoneità a realizzare gli obiettivi nei tempi ipotizzati - 1.4.1. La revisione dell’Effort Sharing Regulation – valutazione degli scenari alla luce dei dati - 1.4.2. Valutazione dell’ETS rispetto agli obiettivi fissati dall’UE - 1.4.2.1. Valutazione dell’ETS alla luce delle criticità emerse nelle diverse fasi di implementazione - 1.4.2.2. La difficile identificazione del contributo effettivamente apportato dal carbon trading alla decarbonizzazione - 1.4.3. Valutazione degli strumenti di policy e delle strategie regolatorie adottate per contrastare il cambiamento climatico - 1.4.3.1. Considerazioni di sintesi sull’adeguatezza dell’armamentario regolatorio e del modello di governance disegnati per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica - 1.4.3.2. Riflessioni sul cambiamento impresso dal Next Generation EU Fund - Sezione II – Energia ed efficientamento energetico [73] - 2.2. Strumenti attualmente vigenti per perseguire tali obiettivi - 2.3. Descrizione delle principali misure previste nelle proposte della Commissione di revisione della direttiva rinnovabili (2018/2001) e della direttiva efficienza energetica (2012/27) - 2.4. Considerazioni circa l’idoneità degli strumenti ipotizzati dalla Commissione Europea a conseguire gli obiettivi nei tempi ipotizzati - 2.4.1. Individuazione delle soglie relative alle rinnovabili e all’efficien­tamento energetico - 2.4.2. Profili inerenti alla Governance - 2.4.3. Tasso di installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili - 2.4.4. Relazione tra proposte della Commissione, politiche fiscali euro­pee e ruolo della BEI - 2.4.5. La questione relativa alla tassonomia - Sezione III – Suolo ed ecosistemi [141] - 3.1. Gli Obiettivi dichiarati dall’UE - 3.1.1. Il Green Deal europeo tra crisi climatica e crisi eco-sistemica - 3.1.2. La Normativa europea sul clima e la strategia duplice dell’Unione per la decarbonizzazione - 3.1.3. Il pacchetto «Fit for 55» tra protezione degli ecosistemi e rafforzamento dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio - 3.1.4. La valorizzazione dell’apporto del settore del suolo quale pozzo naturale di immagazzinamento del carbonio - 3.2. Gli strumenti già esistenti per realizzare gli obiettivi dell’UE - 3.2.1. L’attuale regime LULUCF - 3.3. Gli strumenti ulteriori previsti dal pacchetto «Fit for 55» - 3.3.1. Il “nuovo” regime LULUCF - 3.4. La prospettiva “macro”: un quadro di sintesi delle principali iniziative europee in materia di protezione dei suoli e degli ecosistemi, tra soft e hard law - 3.4.1. La strategia dell’UE per la protezione dei suoli tra weak e strong (ecological) sustainability - 3.4.2. La protezione degli ecosistemi forestali tra politiche climatiche e strategie di mercato - 3.4.3. Le sfide dei global commons e dell’approccio ecocentrico - 3.5. Valutazioni conclusive circa l’idoneità degli strumenti a realizzare gli obiettivi previsti e osservazioni critiche - Sezione IV – Misure a carattere sociale [207] - 4.2. Lo status quo: il finanziamento delle misure a carattere sociale tra Fondo per la transizione giusta e Fondo per la modernizzazione - 4.3. I nuovi strumenti dedotti nel pacchetto «Fit for 55»: la riforma del Fondo per la Modernizzazione e l’introduzione del Fondo sociale per il clima - 4.4. Valutazione critica delle misure a carattere sociale dedotte nel pacchetto «Fit for 55» - 4.4.1. L’idoneità degli obiettivi: profili generali - 4.4.2. L’idoneità degli obiettivi nel prisma delle politiche del lavoro - 4.4.3. L’idoneità degli strumenti: la dotazione finanziaria e la governance dei fondi - 4.4.4. L’idoneità delle misure finanziabili - 4.4.4.1. Le misure di riqualificazione professionale - 4.4.4.2. Le misure di sostegno temporaneo al reddito - NOTE


Introduzione: scopo del lavoro e premesse metodologiche

Il 14 luglio 2021 la Commissione Europea ha proposto il pacchetto di misure «Fit for 55», allo scopo di ridurre del 55% il livello delle emissioni registrato nel 1990 entro il 2030 e di conseguire, entro il 2050, l’obiettivo di neutralità climatica, coerentemente con il traguardo prefigurato nella Legge Europea sul clima, introdotta con il Regolamento (UE) 2018/1999, e con il Green deal europeo. Il pacchetto è obiettivamente corposo ed è articolato in tredici proposte legislative – alcune di revisione di normative già esistenti, altre che prevedono l’introduzione di nuove regolamentazioni – che riguardano diversi settori economici e contemplano logiche e strumenti d’intervento anche molto differenti tra loro. Le misure proposte dalla Commissione – come, del resto, il Green deal nel suo complesso – in astratto non mancano certamente di ambizione, perché di fondo mirano a modificare profondamente l’economia, la società e il rapporto dell’uomo con la natura e l’ambiente, e a riconoscere all’Unione Europea il ruolo di leader globale nella guida al processo di transizione ecologica. La crisi russo-ucraina ha poi impresso un’ulteriore decisiva accelerazione all’iniziativa politica della Commissione, che, principalmente allo scopo di superare progressivamente la dipendenza europea dal gas russo, il 18 maggio 2022 ha presentato il piano Repower EU, contenente ulteriori proposte, in parte modificative rispetto a quelle precedentemente formulate nel luglio 2021, tese a rafforzare ulteriormente il quadro degli interventi in materia energetica e a rendere ancora più ambiziosi gli obiettivi a medio-breve termine. È, tuttavia, ben noto che interventi complessi e strutturali come quello ipotizzato dalla Commissione, nel passaggio dall’astratta affermazione di principio alla concreta applicazione, non sempre si rivelano all’altezza delle aspettative: per questa ragione, è parso necessario e opportuno esaminare puntualmente tali proposte e verificare se, e in quale misura, gli strumenti d’intervento prescelti possano ritenersi effettivamente in grado di conseguire gli ambiziosi obiettivi delineati nel pacchetto. A tal fine, le misure proposte dalla Commissione sono state esaminate in una prospettiva multi-disciplinare, per poter cogliere e valutare nella misura più completa possibile le [continua ..]


Sezione I – ETS e rafforzamento dei limiti emissivi [1]

1.1.   Gli obiettivi dichiarati dall’UE Come già brevemente illustrato nell’Introduzione, il pacchetto «Fit for 55», presentato a luglio 2021 dalla Commissione [2], contiene varie normative settoriali che concorrono, con logiche e strumenti differenti, a realizzare per il 2030 l’obiettivo della riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990, in linea con il traguardo intermedio previsto dalla Normativa europea sul clima [3]. Quest’ultima ha un peso specifico importante all’interno del Green Deal europeo [4], con il quale la Commissione europea ridisegna, su nuove e più ambiziose basi, l’impegno dell’Unione nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella protezione dell’ambiente: la finalità, esplicitata fin dalle prime battute, è il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Tale ambizione fa emergere con forza la necessità, tanto assiologica quanto pragmatica e geopolitica, di un’Europa alla guida del processo di transizione ecologica (global leader), capace di imporre in materia regole e standard universalmente riconosciuti (rule-maker) [5]. Sarebbe riduttivo, tuttavia, interpretare il Green Deal europeo come un semplice e lineare sviluppo del diritto europeo dell’ambiente. La sua realizzazione postula, infatti, l’elaborazione e l’implementazione di una serie di politiche «profondamente trasformative» [6], che investono numerosi settori economici interconnessi e abbracciano differenti discipline: prova ne è la difficoltà di inquadrare la “neutralità climatica” all’interno di un singolo policy-field. Attorno a un obiettivo apparentemente tecnico e asettico, quale la decarbonizzazione, si coagulano numerose scelte di fondo dal carattere intrinsecamente politico, che investono l’economia, la società e la natura nel suo complesso e plasmano il modo in cui tali componenti interagiscono e si relazionano tra loro. La preminenza assiologica e funzionale accordata all’interesse pubblico alla transizione ecologica schiude nuove prospettive di analisi nel rapporto tra poteri pubblici – ai quali viene richiesto di riorientare funzionalmente e finalisticamente il sistema economico verso obiettivi ecologici – e mercato, ovvero nella relazione tra quest’ultimo – inteso come sviluppo [continua ..]


1.2. Gli strumenti oggi vigenti per perseguire gli obiettivi dichiarati dall’UE

I più importanti strumenti normativi con cui l’Unione europea interviene per perseguire gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra sono costituiti dal c.d. meccanismo di “Condivisione degli sforzi” e dall’Emission Trading System (ETS).


1.2.1. La «Condivisione degli sforzi»

Il meccanismo di «Condivisione degli sforzi», seguendo un’impostazione di tipo command and control, si fonda sulla previsione di obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per i settori esclusi dall’ETS (piccola-media industria, trasporti, edilizia, agricoltura, rifiuti), assegnati, in base al PIL pro capite [10], a ciascuno Stato membro, con adeguamenti finalizzati a tener conto dell’ef­ficienza in termini di costi. Per il periodo 2013-2020, la materia è stata disciplinata attraverso la decisione n. 406/2009/CE [11] (ESD), con la quale i settori coperti dall’ETS dell’UE sono stati espunti dai target stabiliti per gli Stati membri, lasciando gli obiettivi nazionali differenziati solo per i settori non ETS. Nel 2015, tutti gli Stati membri tranne Malta hanno raggiunto i loro obiettivi annuali previsti dalla ESD [12]. Per il periodo 2021-2030, i nuovi obiettivi relativi ai rispettivi contributi minimi degli Stati sono stati fissati dal regolamento sulla condivisione degli sforzi, adottato il 30 maggio 2018 [13] (ESR). Le assegnazioni annuali, espresse in tonnellate di CO2 equivalente, vengono stabilite dalla Commissione attraverso atti di esecuzione. Gli Stati sono vincolati a raggiungere l’obiettivo determinato dalla Commissione ma hanno piena discrezionalità relativamente alle misure e alle strategie da adottare per realizzare le riduzioni assegnate. Sono altresì previste alcune tipologie di flessibilità: di tipo temporale (le assegnazioni di emissioni possono essere depositate e prese in prestito, per alcuni periodi di tempo) [14]; geografico (sono possibili trasferimenti di assegnazioni annuali tra Stati membri) [15]; con i settori ETS [16] e con il regolamento LULUCF [17]. Per quanto attiene ai meccanismi di enforcement, il regolamento prevede una sanzione di carattere non pecuniario che scatta in maniera automatica in caso di non-compliance e che tiene conto del costo ambientale del ritardo accumulato nelle azioni di riduzione: le emissioni in eccesso, moltiplicate per un fattore di 1,08, vengono aggiunte alle emissioni dell’anno successivo in modo che l’obiettivo diventi più severo [18]. Finché il Paese non sarà di nuovo in regola, inoltre, esso non potrà scambiare le sue quote o il suo surplus con altri Stati membri [19]. Anche se l’ESR stabilisce obiettivi annuali [continua ..]


1.2.2. L’Emission Trading System

L’altro strumento chiave per le politiche climatiche dell’UE è costituito dall’Emission Trading System (ETS) che coinvolge le industrie europee a più alta intensità energetica produttrici di gas climalteranti, oltre al trasporto aereo. Diversamente dall’ESR, l’ETS stabilisce un obiettivo di riduzione non ripartito tra i vari Stati membri ma fissato a livello europeo, trattandosi di un sistema applicato in maniera armonizzata e centralizzata.


1.2.2.1. Il sistema «cap-and-trade»

L’ETS, che è stato introdotto con la direttiva 2003/87/CE [21], rappresenta, invero, l’elemento portante della strategia dell’UE per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra [22] ed è strutturato secondo il modello del cap-and-trade. Il regolatore fissa un cap, ovvero un obiettivo generale coincidente con la quantità massima di gas a effetto serra che può essere emesso nel­l’atmosfera (livello accettabile di inquinamento). Viene poi determinata un’equivalenza tra quantità di emissioni e diritti di inquinamento: ogni tonnellata di CO2 corrisponde a un permesso di emissione. Alle imprese viene attribuito un numero predefinito di diritti di emissione, gratuitamente o tramite asta (auctioning). Se queste non riescono a rispettare il limite fissato dall’autorità, possono acquistare i permessi dalle imprese che hanno quote in eccesso. Il prezzo delle quote viene determinato, pertanto, dalla domanda e dall’offerta: chi inquina esegue azioni di mitigazione fino al momento in cui non diventa più conveniente acquistare un permesso sul mercato invece che ridurre un’ul­teriore unità di emissione. L’ETS, dal punto di vista dell’analisi economica del diritto, è inquadrabile come uno strumento di regolazione indiretta, nel quale le emissioni di gas serra vengono interpretate come “esternalità negative” e al regolatore viene attribuito il compito di assicurare la presenza di diritti di proprietà (coincidenti con i permessi di emissione) perfettamente definiti, poiché proprio dall’assenza o dalla cattiva definizione di questi ultimi deriverebbe un fallimento del mercato [23].


1.2.2.2. L’incentivo costituito dai segnali di prezzo

Il prezzo serve a fornire un incentivo progressivo per la decarbonizzazione, mentre le allocazioni gratuite delle quote mirano a mitigare il rischio del c.d. carbon leakage, che si riferisce a una situazione in cui una politica climatica realizzata in un certo ordinamento (come l’EU ETS) porta a un trasferimento della produzione in altri ordinamenti che hanno regolamentazioni meno severe sulle emissioni di gas serra. In particolare, il metodo attraverso il quale le quote vengono distribuite gratuitamente ai partecipanti al sistema sulla base delle emissioni storiche, alternativo all’auctioning, prende il nome di grandfathering.


1.2.2.3. L’introduzione dell’ETS in Europa

L’introduzione dell’ETS in Europa può essere analizzata sia come l’esito di un duplice fallimento – rappresentato dall’impossibilità di realizzare una carbon tax in tutta l’UE [24], nonché dall’inefficacia dell’opposizione esercitata dalle istituzioni europee nei confronti della proposta, sostenuta dagli Stati Uniti, di includere nel protocollo di Kyoto meccanismi flessibili, come il commercio internazionale dei diritti di emissione [25] – sia come un esempio di “leadership epistemica”, incarnata dalla Commissione europea, o meglio da una Direzione Generale capace di mobilitare un crescente sostegno attorno alla validità del carbon trading [26].


1.2.2.3.1. Genesi e aspetti di legittimazione normativa

Inoltre, la genesi dell’EU ETS appare strettamente correlata a due dei principali approcci teorici su cui poggia il processo di integrazione europea: il liberal intergovernmentalism [27] – nella misura in cui sull’assetto iniziale fortemente decentrato ha inciso la negoziazione interstatale – e la multilevel governance – trattandosi di un sistema costruito attorno alle interazioni tra istituzioni europee (in primis la Commissione), attori pubblici (Stati membri) e privati (imprese e ONG).


1.2.2.3.2. Evoluzione dell’ETS: le diverse fasi di applicazione

Le prime due fasi di applicazione dell’ETS (2005-2007 e 2008-2012) si sono contraddistinte per una grande eccedenza delle quote in circolazione e per la prevalenza del meccanismo di allocazione gratuita delle stesse, elementi che hanno comportato un indebolimento del segnale di prezzo e dunque uno scarso incentivo per la riduzione delle emissioni [28]. Per correggere questa inefficienza, nel 2019 è stata messa in funzione una riserva stabilizzatrice del mercato volta a gestire gli squilibri tra domanda e offerta di quote e garantire una stabilità nei mercati del carbonio. Gli ultimi due anni della terza fase (2013-2020) sono stati caratterizzati, pertanto, da un rafforzamento del segnale del prezzo del carbonio. Fino alla fine della terza fase, per gli Stati membri è stato inoltre possibile avvalersi del sistema dei crediti internazionali del protocollo di Kyoto, che permettevano di compensare le emissioni di carbonio e di adempiere agli obblighi di conformità, sostenendo progetti di riduzione delle emissioni realizzati altrove. Analizzando l’ETS attraverso le lenti del diritto amministrativo europeo, occorre sottolineare che, a partire dalla terza fase, il sistema ha subito un processo di centralizzazione: viene definito un unico cap comunitario (si applica un tetto massimo comune a livello di UE, in sostituzione del sistema precedente che prevedeva tetti massimi nazionali), entra in esercizio un unico registro dei permessi di emissione, i benchmark per l’assegnazione gratuita delle quote sono stabiliti a livello europeo e le aste dei titoli sono svolte su una piattaforma comune. Inoltre, nella terza fase, è stata prevista la vendita all’asta come sistema predefinito per l’assegnazione di quote. Nel 2018, con la direttiva 2018/410/UE [29], è stata disciplinata la quarta fase di implementazione dell’EU ETS (2021-2030), nella quale è stato aumentato il fattore di riduzione lineare – corrispondente alla percentuale che indica di quanto, di anno in anno, viene diminuito il tetto [30] – dall’1,74% al 2,2%, e sono state introdotte nuove norme per il calcolo dell’assegnazione gratuita delle quote in funzione del livello di attività.


1.3. Gli strumenti proposti con il pacchetto «Fit for 55» per perseguire gli obiettivi dichiarati dall’UE

Per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, la Commissione europea prevede, con il pacchetto «Fit for 55», l’aggiornamento sia del meccanismo di «Condivisione degli sforzi» sia dell’ETS, in modo da rendere questi strumenti adeguati e coerenti con il nuovo e più elevato livello di ambizione dell’UE.


1.3.1. L’aggiornamento del meccanismo di «Condivisione degli sforzi»: la previsione di nuovi target di riduzione delle emissioni entro il 2030

La proposta di regolamento che modifica il regolamento (UE) 2018/842 relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 [31] è basata principalmente sulla previsione di nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni, in modo da portare, entro il 2030, a una loro diminuzione del 40 % rispetto al 2005 [32]. La logica del­l’intervento è dunque di stabilire nuovi target annuali vincolanti per le emissioni di gas serra per gli Stati membri, che conseguono collettivamente tale riduzione. Qualora la normativa rimanesse invariata, infatti, i settori attualmente soggetti al regolamento «Condivisione degli sforzi» conseguirebbero congiuntamente una riduzione delle emissioni entro il 2030 pari al -32 % rispetto al 2005. Anche se ciò significherebbe superare il contributo pari al -30 %, stabilito nel 2018, si tratterebbe comunque di un risultato insufficiente per un obiettivo globale pari ad almeno -55 % rispetto al 1990 [33]. L’ambito di applicazione del regolamento rimane inalterato, così come le previsioni riguardanti le misure correttive e le verifiche di conformità. La proposta interviene, invece, sui meccanismi di flessibilità rivedendo, in particolare, la flessibilità LULUCF, il cui utilizzo viene limitato e suddiviso in due periodi di cinque anni (2021-2025 e 2026-2030), per ognuno dei quali può essere utilizzata al massimo la metà dell’importo totale consentito. Viene altresì creata una nuova riserva volontaria, la riserva supplementare, destinata ad aiutare gli Stati membri a conseguire i loro obiettivi individuali, consentendo agli stessi di utilizzare gli assorbimenti netti non utilizzati generati nel periodo 2026-2030, a condizione che l’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’Unione pari al 55% sia raggiunto entro il 2030, con un contributo massimo di assorbimenti netti fissato a 225 Mt CO2eq, come richiesto dalla Normativa europea sul clima.


1.3.2. Il “nuovo” ETS

La Commissione propone, poi, di rafforzare l’ETS esistente, attraverso quattro distinti atti legislativi: la proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra all’interno dell’Unione (COM(2021)551 final); la proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/87/CE per quanto riguarda il contributo del trasporto aereo all’obiettivo di riduzione delle emissioni (COM(2021)552); la proposta di decisione che modifica la direttiva 2003/87/CE per quanto riguarda la notifica della compensazione in relazione a una misura basata sul mercato globale per gli operatori aerei con sede nell’Unione (COM(2021)567 final); la proposta di decisione che modifica la decisione (UE) n. 2015/1814 per quanto riguarda il quantitativo di quote da integrare nella riserva stabilizzatrice del mercato per il sistema dell’Unione per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra fino al 2030 (COM(2021) 571 final).


1.3.2.1. Abbassamento del cap

La revisione dell’ETS, segnatamente, mira a innalzare, a partire dal 2024, il fattore di riduzione lineare dall’attuale 2,2% al 4,2%, per ridurre, entro il 2030, le emissioni del sistema EU ETS del 61% rispetto ai livelli del 2005, a seguito di una riduzione una tantum del tetto complessivo delle stesse, in modo che il nuovo fattore di riduzione lineare abbia il medesimo effetto che avrebbe avuto se fosse stato applicato a partire dal 2021.


1.3.2.2. Riduzione dell’assegnazione gratuita delle quote

La Commissione, nell’ottica di realizzarne una graduale eliminazione, interviene, altresì, sul tema dell’assegnazione gratuita delle quote, stabilendo che la stessa continui a essere basata su parametri di riferimento che rappresentano il livello di performance dei migliori impianti, aggiungendo però nuovi attori economici che utilizzano tecnologie low-carbon. L’assegnazione gratuita dovrà essere subordinata agli sforzi di decarbonizzazione, ed è previsto che, per gli impianti che non implementeranno le misure raccomandate negli audit energetici, le quote gratuite verranno decurtate fino al 25% [34]. Viene inoltre disciplinata la correlazione tra quote gratuite e il nuovo meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM), previsto come pienamente operativo, per alcuni settori, a partire dal 2026. La Commissione ha infatti formulato anche una proposta di regolamento che istituisce tale meccanismo [35], concepito come un’alternativa all’assegnazione gratuita di quote per far fronte al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (si veda supra, § 1.2.2.). Il CBAM, che si basa sull’incorporazione del prezzo del carbonio nel costo delle merci importate da Paesi extra-UE, prevedendo l’obbligo per l’importatore di certificare le emissioni effettive generate dalla produzione del bene posto in commercio, rappresenta uno strumento di politica climatica con cui l’Europa “impone” a livello globale i propri standard in materia ambientale.


1.3.2.3. Intervento sui settori coperti dall’ETS

Uno specifico intervento nell’ambito delle proposte riguarda l’aviazione, nella misura in cui viene determinata la limitazione agli attuali livelli del numero totale di quote per il trasporto aereo nell’ETS, che verrà poi ridotto ogni anno del fattore lineare del 4,2%. Il sistema sarà inoltre rafforzato, prevedendo che nessuna assegnazione gratuita di quote avvenga più a partire dal 2027, onde creare un segnale di prezzo più forte e allinearsi al sistema globale di compensazione e riduzione del carbonio per l’aviazione internazionale (CORSIA) [36]. Viene, altresì, stabilita l’inclusione nell’ETS delle emissioni del trasporto marittimo per coprire le emissioni di CO2 delle grandi navi (oltre 5000 tonnellate di stazza lorda), indipendentemente dalla loro bandiera [37]. L’elemento sicuramente più rilevante delle proposte della Commissione è, però, rappresentato dall’estensione dell’ETS ai trasporti su strada e all’edilizia, per i quali viene previsto un sistema autonomo e separato. Segnatamente, viene profilato un nuovo sistema di scambio di emissioni per la distribuzione di combustibili per il trasporto stradale e gli edifici, che dovrebbe prendere avvio nel 2025, con il rilascio di quote e gli obblighi di conformità applicati a partire dal 2026, sulla base dei dati rilevati nell’ambito del regolamento sulla condivisione degli sforzi, trattandosi di settori storicamente soggetti a misure nazionali adottate in attuazione di quest’ultimo. Il tetto nel nuovo ETS sarà abbassato ogni anno per produrre una riduzione delle emissioni del 43% nel 2030 rispetto al 2005. I destinatari della nuova misura sono i fornitori di carburante e non gli emettitori, venendo regolamentata l’attività di immissione in consumo dei combustibili impiegati in tali ambiti [38]. Il 25% delle entrate del nuovo sistema di scambio dovrà essere destinato al Fondo Sociale per il Clima [39], sia per sostenere investimenti nell’efficienza energetica degli edifici e nei nuovi autoveicoli, sia per supportare economicamente le fasce della popolazione più colpite da questa misura potenzialmente regressiva. Interessante è la relazione che siffatta modifica crea col meccanismo di «Condivisione degli sforzi», dal momento in cui circa la metà delle emissioni coperte da [continua ..]


1.3.2.3.1. Il parallelismo con la «Condivisione degli sforzi»

Viene promossa l’integrazione tra le due politiche, quella di tipo command and control della «Condivisione degli sforzi» e quella basata sul cap-and-trade dell’ETS, intese come complementari, essendo previsto che il trasporto su strada e l’edilizia siano regolati da entrambi gli strumenti normativi. Viene infatti considerato “prematuro” lasciare la diminuzione mirata delle emissioni generate da questi settori esclusivamente all’ETS [40].


1.3.3. ETS e tecnologie low-carbon

La Commissione, inoltre, fa molto affidamento sulle soluzioni tecnologiche a basse emissioni, il cui sviluppo verrebbe incentivato dall’ETS. Analizzando gli studi di scenario proposti dall’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) [41], due terzi delle riduzioni cumulative di emissioni (tra lo scenario business as usual, senza inasprimenti normativi, e quello di net zero emissions al 2050) provengono, da qui al 2070, da tecnologie che sono attualmente in fase di prototipo o di dimostrazione. Dati i tempi e gli obiettivi, appare chiara la necessità che l’innovazione sia intensificata adesso per assicurare che le applicazioni chiave siano disponibili sul mercato nel prossimo decennio. A tale riguardo, è opportuno evidenziare che l’aumento, nell’ultimo anno, del prezzo del carbonio ha spinto molte aziende a interessarsi ai processi della cattura della CO2, volti a un suo futuro utilizzo (CCU) o sequestro (CCS). Se il tema della cattura seguita da sequestro geologico è esplicitamente citato come strumento di contenimento delle emissioni e costituisce una riduzione certificata e quindi una diminuzione delle spese per ETS nei settori industriali interessati, ad oggi rimane, invece, poco chiaro come verrà considerato e incentivato il processo di cattura e riutilizzo della CO2. Numerose applicazioni di CCU sono, peraltro, già ampiamente diffuse, tra cui l’adsorbimento chimico della CO2 dalla produzione di ammoniaca e dalla lavorazione del gas naturale, l’uso di CO2 nella produzione di fertilizzanti (urea), il trasporto su lunghe distanze tramite pipeline e l’iniezione di CO2 per l’EOR (Enhanced Oil Recovery).


1.3.3.1. La previsione di standard più rigorosi nel prisma della “politica indu­striale verde”

Nel pacchetto «Fit for 55», vengono prospettati anche una serie di interventi, ascrivibili a misure di tipo command and control, riguardanti il rafforzamento dei limiti emissivi per il settore dei trasporti e dei carburanti. In particolare, con riguardo alla modifica del regolamento che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 per autovetture e furgoni [42] (COM(2021)556 final) [43], la misura proposta prevede il rafforzamento dei requisiti di riduzione dallo stesso previsti, imponendo, in maniera assai significativa, che le emissioni delle nuove autovetture diminuiscano del 55%, a partire dal 2030, e del 100%, a partire dal 2035, rispetto ai livelli del 2021. L’idea, riconducibile a una logica di politica industriale verde [44] promossa dalla Commissione europea, è quella di incentivare, tramite la previsione di standard sempre più rigorosi, l’immissione sul mercato europeo di una quota maggiore di veicoli a zero emissioni [45].


1.4. Valutazione degli strumenti e della loro idoneità a realizzare gli obiettivi nei tempi ipotizzati

Per valutare se gli strumenti messi in campo dalla Commissione col pacchetto «Pronti per il 55» siano “fit for purpose”, appare necessario distinguere tra una valutazione fondata sui risultati raggiunti in base ai target stabiliti dall’Unione europea, e dunque legata agli scenari che, alla luce dei dati, sembrano prospettabili, e una considerazione incentrata, invece, sull’analisi dei meccanismi di policy, ovvero volta a esaminare l’adeguatezza dell’arma­mentario regolatorio e del modello di governance disegnati a livello europeo per conseguire il macro-obiettivo – tecnico e politico – della neutralità climatica (si veda supra, §. 1.1.).


1.4.1. La revisione dell’Effort Sharing Regulation – valutazione degli scenari alla luce dei dati

Stando ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), le emissioni di gas serra dell’UE coperte dagli obiettivi nazionali di riduzione sarebbero diminuite del 15% tra il 2005 e il 2020, con un abbattimento del 6% tra il 2019 e il 2020, superando il target previsto dalla Decisione sulla condivisione degli sforzi (ESD). Si tratterebbe di riduzioni in gran parte alimentate dai miglioramenti in materia di efficienza energetica e dal passaggio a combustibili a minore intensità di carbonio, comprese le energie rinnovabili. L’AEA sottolinea che le emissioni sono scese tra il 2005 e il 2014, anche se in misura inferiore rispetto ai settori coperti dall’ETS, riflettendo la diversità di questi ultimi, mentre nel periodo 2015-2019 i livelli di emissioni sarebbero, invece, rimasti al di sopra di quelli del 2014, principalmente a causa dell’aumento delle emissioni nel settore dei trasporti, sebbene sia stato osservato un forte calo tra il 2019 e il 2020, che può essere in gran parte attribuito alla crisi del Covid-19 [46]. Stando alle proiezioni nazionali sui gas serra, con l’attuazione delle misure aggiuntive al momento previste a livello nazionale (dunque non allineate con il nuovo obiettivo del «Fit for 55»), solo 14 Stati membri dovrebbero poter raggiungere l’attuale obiettivo di condivisione degli sforzi per il 2030. I nuovi target di riduzione previsti dalla proposta di revisione del regolamento Effort Sharing richiederanno, pertanto, l’implementazione di ulteriori e più ambiziose strategie di abbattimento dei gas climalteranti da parte degli Stati membri.


1.4.2. Valutazione dell’ETS rispetto agli obiettivi fissati dall’UE

È opinione prevalente tra gli economisti a livello internazionale [47] che il pacchetto «Fit for 55» sia coerente con gli obiettivi prefissati e possa fornire un quadro efficiente e stabile per mobilitare gli sforzi in tutti i settori economici, mediante strumenti diversificati (prevalentemente meccanismi di mercato da combinare con azioni correttive di policy). Per formulare le proposte contenute nel «Fit for 55», la Commissione si è avvalsa delle evidenze raccolte nel­l’Impact Assessment svolto in occasione della precedente revisione dell’EU ETS, conclusasi nel 2018 [48], dei risultati dell’Impact Assessment del piano per l’obiettivo climatico 2030 [49], dei dati raccolti nel quadro di altre iniziative concomitanti del Green Deal, nonché delle attività di consultazioni pubbliche online (anche attraverso la somministrazione di questionari) [50] dalle quali è emerso un ampio sostegno all’EU ETS come strumento strategico.


1.4.2.1. Valutazione dell’ETS alla luce delle criticità emerse nelle diverse fasi di implementazione

Ai sensi dell’art. 10, par. 5, della direttiva 2003/87/CE, peraltro, la Commissione fornisce ogni anno una relazione sul funzionamento del mercato del carbonio e sul raggiungimento dei suoi obiettivi. Tali relazioni consentono di valutare l’efficacia dell’ETS e di correggere i difetti di progettazione del sistema, come avvenuto, ad esempio, con la revisione del metodo del grandfathering che ingenerava una sovrallocazione di quote a titolo gratuito, o con gli interventi legati all’aumento del fattore lineare ovvero con le modifiche legislative concordate negli ultimi anni per affrontare il problema dell’eccedenza dei permessi in circolazione. Stando alle valutazioni effettuate dalla Commissione [51], l’ETS risulta presentare un tasso di conformità molto elevato: ogni anno circa il 99 % delle emissioni sarebbe compensato in tempo utile dal numero richiesto di quote [52]. Occorre, tuttavia, distinguere la valutazione inerente al buon funzionamento dell’Emission Trading System, basata sul rispetto delle disposizioni previste dalla direttiva 2003/87/CE, dal giudizio espresso sul carbon trading in quanto approccio capace di apportare un contributo effettivo alla decarbonizzazione.


1.4.2.2. La difficile identificazione del contributo effettivamente apportato dal carbon trading alla decarbonizzazione

Tale verifica, dal punto di vista economico, si basa sulla realizzazione di valutazioni di impatto delle performance dell’ETS. A ben vedere, però, non sempre sono disponibili indicatori oggettivi e quantitativi chiari legati ai risultati di quest’ultimo, mancando, in particolare, evidenze empiriche, in tal senso, a partire dall’inizio della terza fase. In conclusione, sembra possibile inferire che, nonostante le emissioni nei settori coperti dall’ETS appaiano diminuite significativamente negli ultimi anni, meno manifesta sembra essere la diretta correlazione tra carbon trading e decarbonizzazione, sia per la mancanza di dati, sia per la difficoltà insita nel separare l’effetto dell’ETS da quello di altre politiche o eventi esterni, [53], quale è ad esempio la «tendenza secolare alla diminuzione dell’intensità di energia dei prodotti industriali”», fenomeno, «ben visibile anche prima del 2005» determinato dal concorso di una molteplicità di fattori [54].


1.4.3. Valutazione degli strumenti di policy e delle strategie regolatorie adottate per contrastare il cambiamento climatico

Oltre al grande affidamento riposto nell’ETS – strumento di mercato basato sugli incentivi costituiti dai segnali di prezzo –, la Commissione sembra fare leva anche sul ruolo delle non-price policies [55], come evidenziato dal rafforzamento dei limiti emissivi per il settore dei trasporti nonché dei vincoli di riduzione imposti dal regolamento «Condivisione degli sforzi». Al contempo, per quanto attiene al secondo, alcune criticità appaiono riscontrabili con riguardo alle misure di enforcement, basate principalmente – anche se permane l’extrema ratio della procedura di infrazione – sulla previsione di una sanzione di carattere non pecuniario (si veda supra, § 1.2.1.) oltre che sulla presentazione di un piano d’azione correttivo da parte degli Stati, volto a indurre la compliance. La solidità di quest’ultimo viene valutata dalla Commissione con un parere che gli Stati devono tenere nella massima considerazione [56]. La norma non specifica però se gli stessi debbano giustificare l’eventuale decisione di non dare seguito alle indicazioni contenute nel parere, circostanza, questa, che impedisce di valutare – tanto sul piano politico quanto, e soprattutto, su quello giuridico – il possibile diverso apprezzamento tra Stati membri e Commissione circa la corretta strategia da intraprendere [57]. Nell’ETS, le misure di enforcement – i cui destinatari non sono gli Stati ma soggetti privati – appaiono, invece, maggiormente incisive. Gli Stati membri sono tenuti, infatti, a pubblicare i nomi dei gestori e degli operatori aerei che violano i requisiti per la restituzione delle quote [58], nonché a imporre al gestore o all’operatore aereo che, entro il 30 aprile di ogni anno, non restituisce un numero di permessi sufficiente a coprire le emissioni rilasciate durante l’anno precedente, il pagamento di un’ammenda per le emissioni in eccesso. Inoltre, con riferimento al trasporto marittimo, settore incluso nell’ETS dal «Fit for 55», la proposta della Commissione prevede che siano emanati provvedimenti di espulsione nei confronti di navi sotto la responsabilità di una società di navigazione che non ha restituito quote per due o più periodi di riferimento consecutivi [59], con la possibilità, non certo anodina, che le stesse siano trattenute dallo [continua ..]


1.4.3.1. Considerazioni di sintesi sull’adeguatezza dell’armamentario regolatorio e del modello di governance disegnati per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica

Infine, con riferimento al tema più ampio dell’adeguatezza dell’armamen­tario regolatorio e del modello di governance disegnati dall’UE per conseguire il macro-obiettivo della neutralità climatica, sembra emergere una certa asimmetria tra le ambizioni – dal respiro profondamente trasformativo – espresse dal Green Deal e gli strumenti predisposti per garantirne la realizzazione. La Normativa europea sul clima, in quanto cornice giuridica volta ad attuare il processo di transizione ecologica dell’Unione, all’interno della quale si inserisce la legislazione settoriale di implementazione del pacchetto «Fit for 55», oltre ad avere spogliato, nella sua versione definitiva, la Commissione europea del potere di adottare atti di delega per identificare una traiettoria vincolante a livello europeo per la riduzione dei gas serra – prerogativa, che le avrebbe consentito di reagire più efficacemente a violazioni e inadempimenti degli Stati [60]– se conferisce ad essa un importante ruolo di supervisione e coordinamento, incaricandola del monitoraggio della compliance e della valutazione delle performance sia a livello nazionale che europeo [61], tuttavia non prevede misure sufficientemente robuste per indurre il rispetto delle norme. Tale rilevante compito si fonda, infatti, sullo strumento, non coercitivo, delle raccomandazioni. La logica seguita appare simile a quella che caratterizza il c.d. Metodo Aperto di Coordinamento [62], con la differenza sostanziale che in questo caso l’obiettivo della neutralità climatica ha carattere giuridicamente vincolante, venendo, così, delineato un sistema di governance che rischia di non essere coerente con le tempistiche stringenti fissate per il conseguimento della decarbonizzazione [63]. Questo sistema di “experimentalist governance” [64] si basa fondamentalmente sulla capacità della Commissione di valutare regolarmente le prestazioni degli Stati membri e di strutturarne la compliance attraverso mezzi non vincolanti come le raccomandazioni, prevedendo (o sperando) che qualche tipo di sanzione politica o reputazionale possa influenzare la condotta dei poteri pubblici nazionali [65] attraverso un meccanismo di “public naming and shaming”, ma senza sottoporre gli Stati inadempienti a misure coercitive, al controllo giudiziale e a eventuali sanzioni in caso di [continua ..]


1.4.3.2. Riflessioni sul cambiamento impresso dal Next Generation EU Fund

Rimane, infine, il tema degli investimenti, apparendo improbabile che il solo segnale di prezzo legato all’ETS – sul quale il pacchetto «Fit for 55» ripone un grande affidamento – sia sufficiente a consentire lo sviluppo e la diffusione di tecnologie innovative a basse emissioni necessarie per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica. In questo senso e in un’ottica di politica industriale verde realizzata su impulso delle istituzioni europee, è sicuramente da salutare con favore il cambio di passo impresso dal Next Generation EU Fund, e più specificamente del dispositivo per la ripresa e la resilienza, il cui regolamento [69] impone agli Stati membri specifiche condizionalità per poter accedere ai cospicui finanziamenti elargiti dall’UE per rilanciare le economie nazionali colpite dalla crisi pandemica [70]. I beneficiari vengono infatti chiamati ad effettuare determinati investimenti e riforme, secondo un meccanismo di conformazione “ecologica” dell’iniziativa economica [71] che trova attraverso questa via una garanzia di attuazione, seguendo un processo che, come evidenziato in dottrina, appare determinare un orientamento surrettizio delle attività su cui insiste la competenza mancante dell’Unione in materia di politica economica, con il risultato di una maggiore effettività rispetto a quella ottenuta dalla governance economico-finanziaria europea, perché coniugata all’elargizione di risorse, piuttosto che rimessa alle procedure di infrazione per deficit eccessivi [72].


Sezione II – Energia ed efficientamento energetico [73]

2.1.   Obiettivi dichiarati dall’Unione Europea Ai fini del conseguimento degli ambiziosi obiettivi climatici sanciti dal­l’Unione Europea con il regolamento n. 2021/1119/UE del 30 giugno 2021 (Legge europea sul clima) – che, come è noto, prevede il traguardo finale della neutralità climatica entro il 2050 e l’obiettivo intermedio, al 2030, della riduzione del 55% [74] delle emissioni rispetto ai livelli registrati nel 1990 [75] – «la transizione verso un sistema energetico sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell’energia ben funzionante e sul miglioramento dell’efficienza energetica, riducendo nel contempo la povertà energetica» è considerata indispensabile, alla luce del rilievo decisivo che assume la produzione e il consumo di energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra [76]. Si osservi che, prima dell’adozione del citato regolamento europeo sul clima, l’obiettivo dichiarato dall’Unione per il 2030 corrispondeva alla riduzione del 40% delle emissioni rispetto ai livelli registrati nel 1990 e, a tal fine, era stato calcolato che, nel medesimo orizzonte temporale, dovesse essere conseguito: a) il 32% di fonti rinnovabili nel mix energetico [77]; b) il 32,5% di efficientamento energetico [78]. Per poter ulteriormente innalzare al 55% il livello di abbattimento delle emissioni, la Commissione Europea ritiene necessario conseguire i seguenti obiettivi: a) il 40% di fonti rinnovabili nel mix energetico; b) il 36% di efficientamento energetico.


2.2. Strumenti attualmente vigenti per perseguire tali obiettivi

Nel quadro attuale, per quanto attiene alla diffusione delle energie rinnovabili, gli strumenti previsti per perseguire gli obiettivi sanciti a livello europeo sono prevalentemente “di mercato”, volti cioè ad attrarre gli investimenti privati e a creare un mercato unico. In particolare, è stato istituito e progressivamente rafforzato un sistema fondato essenzialmente su due elementi attrattivi per gli investitori, vale a dire l’implementazione di misure di sostegno economico [79] e la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti di produzione da fonti rinnovabili [80]. Anche l’introduzione di obiettivi vincolanti a livello europeo è da considerarsi, sia pure più indirettamente, uno strumento “di mercato”, avendo come dichiarato scopo quello di creare fiducia negli investitori, garantendo la stabilità del sistema, e di stimolare al contempo il progresso tecnologico in questo settore [81]. Allo stesso modo, il coinvolgimento dei cittadini e degli utenti finali nel processo di transizione energetica – che si concretizza essenzialmente nella promozione dell’autoconsumo, nella diffusione delle comunità energetiche e nelle garanzie d’origine dell’energia da fonti rinnovabili – ha importanti riflessi di mercato, e in particolare sull’attrazione di ulteriori capitali privati e sulla maggiore accettazione degli impianti – e, dunque, sulla più semplice realizzazione degli stessi – a livello locale [82]. Per quanto attiene all’efficientamento energetico, invece, l’art. 7, co. 10 della direttiva 2012/27/UE consente agli Stati membri, alternativamente: a) di istituire un regime obbligatorio di efficienza energetica, ai sensi del­l’articolo 7-bis della direttiva 2012/27/UE [83], mediante la previsione di un obbligo quantitativo di riduzione dell’uso di energia in capo ai distributori energetici e/ alle società di vendita al dettaglio; b) di adottare misure politiche alternative, a condizione che i risparmi conseguiti siano verificati mediante sistemi di controllo e misurazione, come previsto dall’art. 7-ter della direttiva 2012/27/UE [84]; c) di combinare un regime obbligatorio di efficienza energetica con misure politiche alternative. Si tratta, dunque, di un quadro flessibile, che rimette in larga misura agli Stati membri la [continua ..]


2.3. Descrizione delle principali misure previste nelle proposte della Commissione di revisione della direttiva rinnovabili (2018/2001) e della direttiva efficienza energetica (2012/27)

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, la proposta di direttiva della Commissione Europea «che modifica la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva n. 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio» [85] interviene su alcuni aspetti puntuali della disciplina vigente, contenuta essenzialmente nella direttiva Red II. L’aspetto senza dubbio più rilevante della proposta della Commissione attiene alla quota di energia rinnovabile da conseguire entro il 2030, che dovrebbe essere innalzata dal 32%, attualmente fissato nella direttiva 2018/2001, al 40% [86]: e ciò, in quanto la Commissione ritiene la soglia attuale del 32% insufficiente per conseguire, entro il 2030, l’obiettivo della riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai livelli registrati nel 1990 [87]. Ciononostante, la Proposta prevede che la nuova soglia del 40% sia da considerarsi vincolante solo per l’Unione Europea, mentre non si traduce in obblighi cogenti per i singoli Stati membri. La proposta prevede, poi, una serie di misure puntuali, destinate ad incidere su specifici aspetti della disciplina vigente. Le principali possono essere raggruppate in: (i) modifica e aggiornamento delle definizioni contenute nella direttiva Red II, anche per tenere conto dei più recenti sviluppi tecnologici; [88] (ii) aggiornamento del metodo di calcolo della quota di energie rinnovabili da parte degli Stati membri [89]; (iii) interventi nel settore dell’edilizia, e in particolare relativi ai sistemi di riscaldamento e raffrescamento degli edifici alla diffusione di contratti di compravendita di energia elettrica da fonti rinnovabili a lungo termine; si segnala l’obiettivo della quota del 49% di energie rinnovabili impiegate in tali sistemi entro il 2030 [90]; (iv) misure volte a garantire la qualificazione degli installatori di impianti di teleriscaldamento e teleraffreddamento di edifici [91]; (v) misure volte a migliorare l’integrazione dei sistemi energetici e favorire una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori di energia; [92] (vi) misure volte ad innalzare la quota di energie rinnovabili impiegate nel settore dei trasporti, in particolare tramite la [continua ..]


2.4. Considerazioni circa l’idoneità degli strumenti ipotizzati dalla Commissione Europea a conseguire gli obiettivi nei tempi ipotizzati

Così sinteticamente delineate le principali misure contenute nelle due Proposte formulate dalla Commissione Europea e nelle Comunicazioni del 2 febbraio, dell’8 marzo e del 18 maggio 2022, è ora possibile formulare al riguardo alcune considerazioni di fondo, che attengono in particolare: a) all’individua­zione delle soglie relative alle rinnovabili e all’efficientamento energetico; b) ai profili inerenti alla Governance; c) al tasso di installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili; d) alla relazione tra le proposte della Commissione, le politiche fiscali europee e il ruolo della BEI; e) alla questione relativa alla tassonomia.


2.4.1. Individuazione delle soglie relative alle rinnovabili e all’efficien­tamento energetico

Si osservi innanzitutto che, almeno sul piano astratto, gli obiettivi delineati dalla Commissione con riferimento ai settori dell’energia rinnovabile e dell’efficientamento energetico sono decisamente ambiziosi e almeno astrattamente coerenti con lo sforzo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 sancito dal Regolamento n. 1119/2021. Del resto, come emerge nelle premesse di entrambe le proposte, la Commissione è partita dagli obiettivi e, in particolare, dalla soglia del 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030, per poi individuare puntualmente i livelli di energia da fonte rinnovabile e di efficientamento energetico necessari ai fini del conseguimento degli stessi, considerando anche possibili alternative a quelle in concreto prescelte; e ciò, avvalendosi anche dei dati emersi dalla prima tornata di verifica dei PNIEC elaborati dagli Stati membri per delineare la traiettoria verso il 2050 e, soprattutto, verso l’obiettivo intermedio del 2030, in modo consapevole.


2.4.2. Profili inerenti alla Governance

È invece palesemente non coerente con tali ambiziosi obiettivi la scelta della Commissione di insistere con la soluzione compromissoria del metodo c.d. “aperto” di coordinamento [104] accolta nel Regolamento n. 2018/1999 e sostanzialmente confermata nelle due Proposte. È noto che il metodo “aperto” di coordinamento prevede il riconoscimento alla Commissione di poteri fondamentalmente di soft law, che si traducono nella formulazione di “raccomandazioni” – a cui, peraltro, gli Stati possono sottrarsi, con l’onere di motivare puntualmente la scelta – e non sono supportati da alcuna specifica potestà coercitiva [105]. Già prima della pubblicazione delle Proposte, riguardo all’applicazione del metodo “aperto” di coordinamento per l’attuazione del Green Deal sono state sollevate diverse perplessità, che trovano ora dunque piena conferma [106] anche con specifico riguardo al settore energetico. In particolare, anche laddove il rapporto tra Commissione e Stati membri sia imperniato su tecniche di soft regulation, la Commissione potrebbe ricorrere ai suoi strumenti ordinari di reazione, tra cui, innanzitutto, le procedure d’infrazione, se ravvisasse una o più violazioni dei principi e delle regole delineati nella disciplina attuativa del Green Deal da parte di uno Stato membro [107]. Tuttavia, come è stato osservato, i tempi e la stessa incertezza sugli esiti di tali possibili procedure di infrazione non sembrano oggettivamente compatibili con l’urgenza degli interventi da realizzare [108]. D’altro canto, la circostanza che la decisa accelerazione impressa dalla Commissione Europea alle politiche di decarbonizzazione non sia in concreto supportata da una altrettanto netta presa di posizione da parte degli Stati membri trova piena conferma anche negli esiti delle consultazioni che hanno preceduto la pubblicazione delle due proposte: in modo più indiretto, per quanto riguarda le rinnovabili [109], in modo viceversa più esplicito, sul versante dell’efficientamento energetico [110], è senza dubbio emersa la ritrosia degli Stati membri a tradurre gli obiettivi sanciti globalmente a livello europeo in impegni cogenti per ciascun singolo Stato. Nel contesto politico descritto, è perciò obiettivamente irrealistico immaginare che al Parlamento possano [continua ..]


2.4.3. Tasso di installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili

2.4.3.1. Un punto dell’intero impianto di misure ipotizzato dalla Commissione che appare critico attiene al tasso di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili: è bene tenere presente che questo aspetto non riguarda solo il perseguimento della quota del 40%-45% di energie green nel mix energetico, ma condiziona anche fortemente il conseguimento degli obiettivi relativi all’efficientamento, specialmente per quanto attiene al teleriscaldamento e teleraffrescamento L’intervento prefigurato dalla Commissione per quanto attiene alla diffusione delle energie rinnovabili, come si è detto, non re-introduce obiettivi nazionali giuridicamente vincolanti, il che appare un limite rilevante dell’intervento prefigurato nella Proposta: è infatti evidente che la previsione di obiettivi nazionali vincolanti garantirebbe maggiore certezza agli investitori, responsabilizzerebbe ulteriormente i governi, consentirebbe alla Commissione di disporre di poteri di endorsement più penetranti e, nel complesso, rafforzerebbe la credibilità politica del progetto «Fit for 55». La fissazione di standard elevati per la quota di energie rinnovabili appare comunque condivisibile per stimolare il superamento delle barriere che limitano la diffusione degli impianti per la produzione di energia green e fornire il necessario supporto finanziario e normativo [111], cercando anche di introdurre meccanismi di superamento delle tensioni tra obiettivi europei e nazionali, da un lato, e regionali e locali, dall’altro (il riferimento è al noto problema della sindrome nimby, not in my backyard [112]). Va però segnalato che, secondo diverse fonti autorevoli [113], la traiettoria di crescita della capacità rinnovabile nel periodo 2021-2026 indica che l’incremento dell’energia rinnovabile nell’Unione europea nel suo insieme è destinata a superare ciò che gli attuali piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC) prevedono per il 2030, ma questa tendenza è largamente insufficiente rispetto agli obiettivi in fase di definizione nell’ambito del programma «Fit for 55». La figura sottostante riporta lo share delle rinnovabili nei consumi energetici in Europa al 2020 (European Environmental Agency, EEA, 2022) [114]-[115]. Con una quota del 21,3% di energia consumata da fonti rinnovabili nel 2020, l’UE ha [continua ..]


2.4.4. Relazione tra proposte della Commissione, politiche fiscali euro­pee e ruolo della BEI

Un altro punto critico consiste nel fatto che il Green Deal sembra non avere alcuna relazione con la politica fiscale complessiva dell’Unione Europea [136]. Al momento, gli Stati membri difficilmente possono espandere i loro disavanzi di bilancio per finanziare la spesa in investimenti verdi; un primo passo in questa direzione potrebbe essere l’introduzione di una golden rule che escluda gli investimenti ambientali pubblici dai vincoli fiscali europei [137]. Inoltre, la stessa Commissione riconosce la necessità di un’ampia strategia industriale europea, ma le attuali misure di politica industriale restano di portata troppo ristretta e si basano sulla consueta dipendenza dai presunti vantaggi del mercato unico europeo. Non è chiaro, ad esempio, se le misure sulla transizione ecologica verranno esentate dalle attuali norme europee in materia di concorrenza e aiuti di Stato [138]; anzi, nella proposta sull’efficienza energetica la sottoposizione delle eventuali politiche alternative implementate dagli Stati membri a tale normativa trova alcune esplicite conferme [139]. Il Green Deal europeo prevede inoltre che la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) non debba più finanziare progetti relativi alla produzione di energia da combustibili fossili, accelerando gli investimenti nell’energia pulita, nell’efficientamento energetico e nelle energie rinnovabili; tuttavia, a questo cambiamento non corrisponde ancora una visione del ruolo che la BEI potrebbe svolgere nel sostenere il profondo cambiamento strutturale delle economie europee.


2.4.5. La questione relativa alla tassonomia

Infine, per quanto attiene alla tassonomia, la questione riguarda essenzialmente l’opportunità di inserire il gas naturale e l’energia nucleare tra le risorse utili ai fini del conseguimento degli obiettivi climatici. È noto che su questo tema si sono registrate notevoli tensioni tra gli Stati membri, divisi tra chi considera indispensabile prevedere un periodo di adattamento e chi, viceversa, ritiene che soluzioni diverse da una drastica sterzata verso le rinnovabili non farebbe che rallentare il processo di transizione. Queste tensioni sono state oggetto di una soluzione fortemente compromissoria, secondo cui gas naturale ed energia nucleare sono considerate risorse utili ai fini della transizione, ma con la fissazione di standard ambientali molto elevati e condizioni rigorose. Un punto certamente critico attiene al rapporto con le rinnovabili: al riguardo, è la stessa Commissione a sembrare poco convinta, laddove afferma che il ricorso al gas naturale e al nucleare «non dovrebbe» ostacolare lo sviluppo delle fonti rinnovabili [140]. Ma vi è anche un secondo elemento di criticità, che attiene all’incongruenza tra l’atto delegato e la successiva comunicazione dell’8 marzo 2022. È ovvio che tra i due atti, distanti solo un mese l’uno dall’altro, è intervenuto un profondo cambiamento del quadro geopolitico, ma non è chiaro se e in quale misura la forte spinta verso il superamento della dipendenza dal gas russo condizionerà anche la questione relativa alla tassonomia.


Sezione III – Suolo ed ecosistemi [141]

Premessa: il livello “micro” e il livello “macro” dell’indagine L’analisi del tema oggetto della presente sezione si presta ad essere condotta secondo una duplice prospettiva. La prima è una prospettiva dichiaratamente circoscritta e settoriale, incentrata sul contributo offerto dal settore suolo, quale pozzo naturale di immagazzinamento del carbonio, nel quadro della complessiva strategia di decarbonizzazione dell’economia prevista dalla Comunicazione sul Green Deal europeo [142] e articolata dagli atti normativi che, da essa, discendono a cascata. La seconda assume, invece, un punto di vista più ampio e trasversale, allargando il perimetro dell’indagine alle numerose iniziative della Commissione, elaborate e formalizzate attraverso strumenti tanto di soft quanto di hard law, che mirano alla protezione dei suoli e degli ecosistemi. Si tratta, a ben vedere, di due livelli di analisi distinti, ancorché connessi: un livello “micro”, dedicato esclusivamente alla proposta di revisione del regime LULUCF («Land Use, Land Use Change and Forestry») [143]; un livello “macro”, che colloca tale iniziativa nel quadro delle proposte e delle strategie europee volte alla protezione, al ripristino e alla valorizzazione degli ecosistemi e del capitale naturale. La scelta di tenere distinti i due piani di lettura consente di evidenziare le diverse logiche, finalità e problematiche che caratterizzano ciascuna disciplina, all’interno di un affresco che rimane tuttavia unitario.


3.1. Gli Obiettivi dichiarati dall’UE

a) L’obiettivo generale/trasversale Con l’adozione della Comunicazione sul Green Deal europeo la Commissione riformula, su nuove e più ambiziose basi, l’impegno dell’Unione nel contrasto ai cambiamenti climatici, nella protezione dell’ambiente e nella tutela del capitale naturale europeo. Il macro-obiettivo, reso esplicito fin dalle prime battute, è il raggiungimento della neutralità climatica europea entro il 2050.


3.1.1. Il Green Deal europeo tra crisi climatica e crisi eco-sistemica

La Comunicazione prosegue nel solco già tracciato dalla precedente strategia «Un pianeta pulito per tutti» [144] e, soprattutto, dagli orientamenti politici annunciati dall’agenda presentata dall’allora candidata alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen [145]. All’interno di quest’ultimo documento, emerge fin dalle prime battute lo stretto legame che intercorre tra crisi climatica, perdita della biodiversità, deforestazione e degrado del suolo. La conservazione e il ripristino degli ecosistemi vengono presentati come valori e obiettivi trasversali a tutti i settori economici, al cui conseguimento deve essere improntata l’intera attività di policy-making dell’Unione in materia climatica [146]. La decarbonizzazione dell’economia europea, descritta dalla Comunicazione sul Green Deal come una «sfida pressante» e non più rinviabile, diventa allora l’occasione propizia per elaborare «una nuova strategia di crescita» che miri, tra le altre cose, a «proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’UE e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze» [147]. Preservazione del capitale naturale europeo, conservazione e ripristino degli ecosistemi, costruzione di relazioni e interazioni più armoniche ed equilibrate tra esseri umani e natura [148] rappresentano quindi chiari obiettivi del Green Deal europeo fin dalle sue prime formulazioni. Gli stessi costituiscono inoltre (e inevitabilmente) altrettanti fondamentali parametri sui quali misurare, ex post, la riuscita del processo di transizione ecologica dell’Unione.


3.1.2. La Normativa europea sul clima e la strategia duplice dell’Unione per la decarbonizzazione

Nel quadro dell’ingente sforzo regolatorio profuso dall’Unione in materia di cambiamenti climatici si colloca la recente Normativa europea sul clima [149], con cui – come detto – il legislatore europeo fornisce per la prima volta una definizione tecnico-giuridica di neutralità climatica [150]. Tale concetto presuppone «la riduzione irreversibile e graduale delle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra dalle fonti e l’aumento degli assorbimenti dai pozzi regolamentati nel diritto dell’Unione», al fine di raggiungere «l’equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti di tutta l’Unione […] al più tardi nel 2050», realizzando così l’azzeramento delle emissioni nette entro tale data [151]. L’idea di fondo che emerge dalla lettura in combinato disposto dei due articoli è, sostanzialmente, la seguente: poiché oggi si emette più anidride carbonica di quanta se ne possa assorbire – e ciò contribuisce drammaticamente al riscaldamento globale –, occorre trovare un nuovo equilibrio per compensare le emissioni antropogeniche; da un lato, riducendo le emissioni e tenendole sotto controllo; dall’altro, promuovendone la rimozione e la cattura attraverso soluzioni tecnologiche o naturali. Se le prime rimandano allo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate e performanti di cattura e stoccaggio del carbonio (carbon capture and storage), le seconde implicano la protezione e valorizzazione dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio (foreste, suoli, oceani) e l’impegno ad aumentarne resilienza e capacità di assorbimento. I pozzi naturali, oltre a fornire servizi ecosistemici fondamentali per la vita, la salute e il benessere dell’uomo, svolgono infatti un ruolo centrale nel processo di transizione ecologica dell’Unione. Come ricorda in apertura lo stesso regolamento, il ripristino degli ecosistemi contribuisce «a mantenere, gestire e migliorare i pozzi naturali e a promuoverne la biodiversità, contrastando nel contempo i cambiamenti climatici» [152]. Protezione della biodiversità e contrasto ai cambiamenti climatici vanno quindi necessariamente di pari passo. In definitiva, la strategia ideata dalla Commissione per conseguire la neutralità climatica è duplice e i due assi di intervento – riduzione e [continua ..]


3.1.3. Il pacchetto «Fit for 55» tra protezione degli ecosistemi e rafforzamento dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio

Sarebbe errato, tuttavia, ritenere la Normativa europea sul clima una legislazione auto-sufficiente, capace da sola di condurre l’Europa e gli Stati al traguardo della neutralità climatica. Più correttamente, tale legge deve essere calata nel contesto del processo regolatorio dalla stessa innescato. È una legge che guarda al futuro in termini giuridici (non più solo politici) e che serve da base – da primo step – per un nuovo tipo di policy-making funzionalmente orientato alla transizione ecologica [154]. Il suo impatto (e il suo successo) dipenderà quindi non solo dalla qualità, tempestività ed efficacia delle misure adottate dai pubblici poteri nazionali, chiamati a riorientare il sistema economico verso obiettivi ambientali ed ecologici [155]; ma anche – e soprattutto – dalla sua capacità di dialogare con le numerose legislazioni settoriali che dovranno implementarla, a partire dal pacchetto «Fit for 55» presentato a luglio 2021 dalla Commissione [156], contenente una serie di proposte legislative per revisionare e modificare numerose discipline in settori chiave dell’economia, funzionali al raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione. Per quello che qui interessa, il pacchetto conferma, da un lato, i nessi indissolubili tra crisi climatica e crisi della biodiversità, evidenziando la necessità di una risposta unitaria ai due problemi; dall’altro, presenta il ripristino degli ecosistemi e della natura come operazione funzionalmente orientata non solo alla tutela della biodiversità, ma anche (e soprattutto) al raggiungimento della neutralità climatica, attraverso un maggior apporto degli assorbimenti naturali di carbonio. Nelle parole della Commissione, il filo che lega la preservazione della natura alla compensazione delle emissioni è evidente: se infatti «contribuiamo alla ripresa di delicati ecosistemi terrestri e marini, questi possono assicurare la vita sul pianeta e svolgere il loro ruolo nella lotta contro i cambiamenti climatici. Il ripristino della natura e la ricostituzione della biodiversità sono essenziali per assorbire e immagazzinare più carbonio: dobbiamo aumentare la capacità di foreste, suoli, zone umide e torbiere, oceani e corpi idrici nell’UE di fungere da pozzi di assorbimento e riserve di [continua ..]


3.1.4. La valorizzazione dell’apporto del settore del suolo quale pozzo naturale di immagazzinamento del carbonio

Nelle intenzioni della Commissione, la proposta di modifica del regolamento LULUCF mira ad invertire la tendenza “ribassista” di assorbimento del carbonio nel settore del suolo e ad incrementare il contributo di tale comparto al raggiungimento della neutralità climatica europea [159], in linea con i traguardi climatici fissati per l’Europa [160]. La logica che ispira la proposta di revisione si coglie immediatamente: se l’Unione ha innalzato le proprie ambizioni in materia climatica, puntando a ridurre le proprie emissioni di almeno il 55 % entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), è necessario che tutti i settori economici riparametrino i loro sforzi sul nuovo e più sfidante obiettivo, contribuendo in misura maggiore alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Il settore del suolo, grazie alla sua naturale capacità di assorbimento del carbonio, è chiamato a giocare un ruolo centrale nella compensazione delle emissioni, in linea con la strategia delineata nella Normativa europea sul clima per il raggiungimento della decarbonizzazione, fondata sulle due leve – distinte ma funzionalmente integrate – della riduzione e della compensazione delle emissioni. Il suo uso sostenibile, unito al ripristino di ecosistemi in salute in grado di assorbire carbonio e di impedirne la fuga nell’atmosfera, rappresenta la chiave per affrontare con successo le due crisi climatiche e della biodiversità: due emergenze fortemente connesse, in grado di alimentarsi e rinforzarsi a vicenda. Se queste sono le premesse teoriche da cui muove la Commissione, occorre valutare, tuttavia, se il nuovo regolamento LULUCF introduca modifiche solamente quantitative al quadro normativo precedente (in termini di maggiori assorbimenti netti richiesti al settore del suolo) o se ad esse si accompagnino anche cambiamenti di tipo qualitativo. Per far ciò, è indispensabile raffrontare la proposta di modifica con l’attuale regolamento, evidenziando elementi di continuità e di discontinuità.


3.2. Gli strumenti già esistenti per realizzare gli obiettivi dell’UE

L’adozione del regolamento LULUCF, entrato in vigore nel 2018 ma applicabile solo a partire dal 2021, aveva segnato un deciso passo in avanti dell’acquis europeo sull’energia e il clima [161] e certificato, al contempo, la vis espansiva della regolazione sovranazionale in materia di cambiamenti climatici, capace di abbracciare materie e settori ritenuti storicamente problematici da regolare (tanto da un punto di vista tecnico quanto politico) [162], ma indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni. In particolare, la presa d’atto della centralità del settore del suolo – quale fonte e pozzo naturale di assorbimento di carbonio – nel contrasto ai cambiamenti climatici aveva indotto la Commissione ad includerlo espressamente, nell’ambito del quadro europeo per le politiche dell’energia e del clima, tra i settori che partecipavano all’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni per il 2030, al fine di sfruttarne appieno il potenziale di mitigazione [163]. Scartata tanto l’ipotesi di includere il settore del suolo all’interno del sistema di scambio di quote di emissioni (Emission Trading System: ETS) quanto quella di assoggettarlo al regime del regolamento sulla «Condivisione degli sforzi» (Effort Sharing Regulation: ESR) [164], l’opzione prescelta è stata quella di creare un regime a sé stante per il settore del suolo, connesso tuttavia – per il tramite delle c.d. flessibilità – a quello sulla condivisione degli sforzi.


3.2.1. L’attuale regime LULUCF

La disciplina adottata dal legislatore europeo detta le regole generali e settoriali per contabilizzare le emissioni e gli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dal settore del suolo e della silvicoltura per il periodo 2021-2030 e stabilisce le norme per controllare il corretto adempimento degli impegni da parte degli Stati. Come tale, si dirige prioritariamente agli Stati membri, cui viene chiesto il rispetto di obiettivi minimi di mitigazione, senza imporre ai singoli gestori di terreni e foreste obblighi di monitoraggio, rendicontazione o compliance. L’ambito di applicazione abbraccia una serie di categorie contabili del suolo [165], definite dal regolamento stesso, sulle quali si misura la performance e il rispetto degli impegni degli Stati. Il regime ruota essenzialmente attorno al rispetto del principio del «no-debit», secondo il quale gli Stati sono tenuti a garantire che le emissioni contabilizzate sul proprio territorio, relative a tutte le categorie contabili del suolo, siano interamente compensate dagli assorbimenti, in modo tale che il saldo tra le prime e i secondi sia (almeno) pari a zero [166]. Se le rimozioni non sono sufficienti a pareggiare le emissioni, si genera un debito a carico dello Stato, che deve essere compensato da un aumento degli sforzi di mitigazione delle emissioni ai sensi della disciplina sulla condivisione degli sforzi [167]; nel caso in cui gli assorbimenti superino invece le emissioni, parte del credito generato potrà essere utilizzato dallo Stato per conseguire gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni, grazie alla previsione di un meccanismo di flessibilità tra settore LULUCF e regime Effort Sharing [168]. Sugli Stati grava inoltre il compito di presentare alla Commissione i propri Piani nazionali di contabilizzazione forestale, contenenti i “livelli di riferimento” [169] proposti per le foreste. Tali piani sono oggetto di una valutazione tecnica da parte della Commissione (coadiuvata dagli esperti nominati dagli Stati membri) quanto al rispetto dei principi e degli obblighi stabiliti dal regolamento per la determinazione dei livelli di riferimento per le foreste. La stessa Commissione, se necessario (in caso di incongruenze), può formulare delle raccomandazioni tecniche agli Stati, che questi ultimi devono tenere in considerazione nella rimodulazione dei livelli di riferimento proposti per le foreste, nell’ottica [continua ..]


3.3. Gli strumenti ulteriori previsti dal pacchetto «Fit for 55»

Su questo quadro regolatorio si innesta la proposta di modifica del regolamento LULUCF, contenuta nel pacchetto «Fit for 55», con cui la Commissione intende affrontare alcune problematiche emerse nella regolamentazione del settore: il declino delle rimozioni di carbonio basate sulla natura, una scarsa integrazione del suolo nelle politiche climatiche dell’Unione e nelle strategie degli Stati membri in materia di energia e clima, alcune difficoltà legate all’im­plementazione amministrativa delle regole e delle procedure di contabilizzazione, rendicontazione e monitoraggio del settore, caratterizzate da costi regolatori e lacune informative [170].


3.3.1. Il “nuovo” regime LULUCF

Il nuovo regolamento apporta una serie di modifiche al precedente, sia di ordine quantitativo che qualitativo, con l’obiettivo unionale di conseguire la neutralità climatica del settore suolo entro il 2035 [171]. Tale obiettivo passa per la fissazione di target nazionali più ambiziosi nel settore LULUCF, l’ottimiz­zazione dei processi di pianificazione delle azioni di mitigazione incentrate sul suolo e l’aggiornamento degli obblighi di monitoraggio e comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti, con conseguente miglioramento della qualità dei dati necessari ad adempiere tali obblighi. Più nel dettaglio, la strategia europea per il raggiungimento della neutralità climatica del settore del suolo entro il 2035 si fonda sui seguenti assi: i) il rafforzamento del contributo del settore LULUCF alla decarbonizzazione, attraverso la fissazione di un obiettivo più ambizioso di assorbimenti netti di gas a effetto serra (si passa dai 225 ai 310 milioni di tonnellate di anidride carbonica nel 2030); ii) il rafforzamento dell’obbligo per gli Stati di predisporre e presentare piani di mitigazione integrati per il settore del suolo, al fine di favorire sinergie tra le varie azioni di mitigazione; iii) la previsione di obiettivi nazionali vincolanti di assorbimenti delle emissioni per il settore del suolo da conseguire nel 2030; iv) il conferimento di un ruolo proattivo alla Commissione nel determinare, attraverso la formulazione di proposte, i contributi nazionali al target previsto per il 2035, ossia la neutralità climatica europea nel settore del suolo. Occorre distinguere, però, tra i diversi periodi di conformità previsti dalla nuova disciplina. Mentre per il primo periodo di conformità (2021-2025) non si registrano cambiamenti o modifiche sostanziali del quadro regolatorio dettato dal vigente regolamento [172], basato sulla regola aurea del “non debito”, il secondo periodo (2026-2030) si caratterizza per una decisa discontinuità con il regime precedente. Tale discontinuità può essere apprezzata sotto vari aspetti. Innanzitutto, in un’ottica di semplificazione, le regole e le categorie di contabilizzazione del suolo stabilite nel regolamento precedente e mutuate dal regime di Kyoto cessano di essere applicate, in quanto rivelatesi di difficile attuazione amministrativa e di scarsa accuratezza nel misurare e [continua ..]


3.4. La prospettiva “macro”: un quadro di sintesi delle principali iniziative europee in materia di protezione dei suoli e degli ecosistemi, tra soft e hard law

Benché la proposta di modifica del regolamento LULUCF sia l’unica iniziativa, all’interno del variegato pacchetto «Fit for 55», ad occuparsi espressamente di rafforzamento della capacità del suolo e degli ecosistemi di assorbire le emissioni di carbonio, la stessa non può essere analizzata in maniera atomistica. Esistono, infatti, numerose strategie e iniziative della Commissione che mirano alla protezione e al ripristino degli ecosistemi, al rafforzamento degli assorbimenti di carbonio basati sulla natura, alla valorizzazione delle foreste e al miglioramento della loro resilienza ai cambiamenti climatici, alla tutela dei suoli e al ripristino dei terreni degradati [178]. Tali iniziative, elaborate e formalizzate attraverso strumenti tanto di soft quanto di hard law, operano in stretta sinergia con la disciplina LULUCF, cui sono direttamente o indirettamente connesse. Nel prosieguo si darà brevemente conto, attraverso un quadro di sintesi, degli interventi e delle iniziative che appaiono più strettamente connessi con il regime LULUCF, evidenziando al contempo alcuni profili problematici sollevati da tali discipline.


3.4.1. La strategia dell’UE per la protezione dei suoli tra weak e strong (ecological) sustainability

Nel complesso di interventi preordinati al conseguimento degli obiettivi in materia di clima e biodiversità stabiliti dal Green Deal europeo, alcuni appaiono degni di precipua attenzione. Tra di essi risulta certamente annoverabile la strategia dell’UE per il suolo per il 2030 [179], ancorata alla strategia sulla biodiversità [180] e alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici [181]. L’iniziativa, imperniata sulla combinazione di azioni volontarie e legislative finalizzate a garantire per il suolo lo stesso livello di protezione stabilito per l’acqua, l’ecosistema marino e l’aria, si fonda sulla previsione di alcuni obiettivi a medio termine entro il 2030, tra i quali figura l’assorbimento netto dei gas a effetto serra pari a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente nel settore LULUCF, che costituisce, dunque, una delle componenti essenziali di tale strategia [182]. Tra gli ambiziosi obiettivi a lungo termine, da conseguire entro il 2050, spiccano invece il consumo netto di suolo pari a zero, la riduzione del­l’inqui­namento a livelli non nocivi per la salute umana e gli ecosistemi naturali e, comunque, il suo confinamento entro soglie di sostenibilità per il pianeta – secondo i dettami della nota teoria scientifica dei «Planetary Boundaries» [183] – nonché il raggiungimento, a livello unionale, della neutralità climatica del settore suolo entro il 2035. La Commissione si propone, in particolare, di presentare, entro il 2023, una proposta legislativa volta a garantire un buono stato di salute dei suoli in tutta l’Unione nel 2050, ossia ad assicurare che i medesimi siano in grado di fornire in modo continuativo il maggior numero possibile di una serie di servizi ecosistemici ritenuti essenziali per la salute e la vita dell’uomo [184]. La strategia conferma quindi la logica duplice alla base della protezione e preservazione dei suoli, quali naturali depositi di carbonio del pianeta, funzionali al conseguimento della neutralità climatica e, al contempo, preziosi patrimoni di biodiversità nonché fonti di fondamentali servizi ecosistemici. Emerge, inoltre, lo stretto legame sussistente tra il suolo e l’economia circolare, radicato in termini generali nel pensiero ecologico e nella concettualizzazione che lo stesso offre della natura, quale sistema dinamico e [continua ..]


3.4.2. La protezione degli ecosistemi forestali tra politiche climatiche e strategie di mercato

Contestualmente alla strategia sul suolo, la Commissione ha adottato nuove strategie a protezione degli ecosistemi forestali [189] e ha proposto nuove norme per frenare la deforestazione e il degrado forestale [190], finalizzate a innalzare gli standard ambientali nell’Unione europea e nel mondo, secondo quel ruolo di rule-maker che porta l’Europa a esercitare il proprio “potere normativo” [191], attraverso l’elaborazione di modelli di protezione ambientale in grado di influenzare e quindi, de facto, regolare i mercati globali [192]. In specie, la proposta di regolamento volta a frenare il disboscamento e il degrado forestale imputabili all’UE intende assicurare che i prodotti acquistati, usati e consumati nel mercato interno non contribuiscano al disboscamento e al degrado delle foreste nel mondo, obbligando le imprese che intendono commercializzare questi prodotti a esercitare la dovuta diligenza. Al contempo, la proposta prevede un sistema di “benchmarking” dei paesi finalizzato a valutarne il rispettivo livello di rischio di commercializzazione di prodotti e materie prime associati a pratiche di deforestazione e degrado forestale, sulla cui base modulare le obbligazioni degli operatori economici, dei traders e delle autorità degli Stati membri. Si tratta perciò di una politica climatica che costituisce, a ben vedere, uno strumento di politica commerciale, con il quale l’Europa intende “ingiungere” agli Stati extra-UE di allinearsi agli standard e ai target europei in materia di riduzione delle emissioni e di tutela della biodiversità. È possibile ravvisare, in questo senso, un interessante parallelismo con il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism: CBAM) [193] previsto nel pacchetto “Fit for 55” per prevenire il rischio di dispersione del carbonio (carbon leakage) [194], con cui l’Unione mira al contempo a difendere la competitività delle industrie europee. Quanto alla nuova strategia forestale europea [195], la stessa conferma il ruolo doppiamente cruciale svolto dalle foreste quali pozzi naturali di assorbimento del carbonio – in un’ottica strumentale al raggiungimento della neutralità climatica – e quali ecosistemi preziosi depositari di una fetta consistente della biodiversità europea. La strategia è [continua ..]


3.4.3. Le sfide dei global commons e dell’approccio ecocentrico

Le foreste, se analizzate in un’ottica di salvaguardia della biodiversità, ossia di conservazione e ripristino delle essenziali funzioni ecosistemiche dalle stesse svolte, si prestano, tuttavia, ad essere inquadrate anche secondo logiche meno mercato-centriche, ovvero basate sull’emersione della categoria dei “global commons” [197], all’interno della quale è possibile distinguere tra due differenti approcci interpretativi. Il patrimonio forestale, infatti, può essere considerato nel prisma dei “global public goods” oppure valutato secondo una lettura che ne esalti, invece, la natura di “bene comune”. A fronte di obiettivi comuni di lotta contro la deforestazione, il degrado e il disboscamento illegale, l’elemento che fa da discrimine tra queste due impostazioni è costituito dalla modalità con cui vengono assunte le decisioni di governance [198]: se la prima fa leva sul ricorso agli strumenti della cooperazione internazionale, la seconda, invece, valorizza il ruolo delle comunità locali nel governo delle risorse comuni, esaltando la gestione cooperativa e la capacità di auto-organizzazione dei c.d. commoners, come messo in luce dagli studi del premio Nobel Elinor Ostrom [199]. L’inquadramento delle foreste come commons non risulta funzionale unicamente a prospettare modelli gestori alternativi rispetto ai più tradizionali meccanismi di mercato, ma appare coerente anche con la possibilità di concettualizzare un differente approccio di custodia e tutela efficiente ed ecologicamente sostenibile delle risorse naturali incardinato sul paradigma sistemico-relazionale tipico del pensiero ecologico. Le foreste, in quanto beni che esprimono utilità ulteriori rispetto a quelle suscettibili di appropriazione individuale, sono, infatti, considerate parte del patrimonio di una comunità – locale o globale – che se ne prende cura avendo riguardo non solo al proprio interesse, ma soprattutto a quello delle generazioni future, essendo intrinseca nella nozione di commons anche la dimensione del dovere [200]. Viene in rilievo, in questo senso, un aspetto cruciale della visione ecosistemica, ossia la necessità di riconoscere la presenza di limiti allo sfruttamento dei beni ambientali da parte dell’uomo, in un’ottica di responsabilità finalizzata a garantire l’equilibrio [continua ..]


3.5. Valutazioni conclusive circa l’idoneità degli strumenti a realizzare gli obiettivi previsti e osservazioni critiche

Alla luce della disamina fin qui condotta, è possibile formulare alcune osservazioni conclusive, tenendo conto della duplice prospettiva (“micro” e “macro”) attraverso la quale è stata condotta l’indagine. Come sottolineato, il nuovo regolamento LULUCF proposto dalla Commissione apporta una serie di modifiche al precedente regime del 2018, sia di ordine quantitativo che qualitativo. Le seconde, segnatamente, corrispondono al rafforzamento delle misure, ascrivibili alla strumentazione di comando e controllo, che impongono agli Stati membri il raggiungimento di obiettivi vincolanti di assorbimenti delle emissioni per il settore del suolo da conseguire nel 2030. Evidente appare il parallelismo con il regolamento Effort Sharing, sulla cui falsariga sembra essere stata predisposta la disciplina concernente il settore del suolo, sia in termini di target di assorbimenti netti dell’Unione distribuito tra gli Stati sotto forma di obiettivi nazionali annuali vincolanti, sia avendo riguardo ai meccanismi di governance saldamente ancorati alle mani della Commissione. Se chiara risulta l’intenzione di rendere maggiormente incisivo il ruolo proattivo di quest’ultima, alcuni dubbi emergono, tuttavia, sulla sua capacità di enforcement relativamente al rispetto degli obiettivi climatici, apparendo debole e scarsamente deterrente la sanzione prevista dal regolamento in caso di inadempienza degli Stati. Si registra, inoltre, una certa tendenza al “gradualismo” [204], espressione della volontà delle istituzioni europee di procedere per passaggi progressivi. Tale approccio gradualista è rinvenibile nella previsione di due diversi periodi di conformità previsti dalla disciplina – dei quali il primo mantiene immutata la regolamentazione dettata dal precedente regolamento, basata sulla “no-debit rule”, e il secondo, dal 2026 al 2030, prevede, invece, l’entrata in vigore effettiva delle nuove previsioni – nonché nel mantenimento di meccanismi di flessibilità intersettoriale volti ad affrontare e mitigare il rischio di non compliance da parte degli Stati membri. Infine, l’analisi fin qui condotta consente di evidenziare una tensione immanente allo stesso progetto regolatorio del Green Deal europeo, nella misura in cui viene in rilievo una discrasia tra la visione programmatica espressa dai documenti di policy e dalle [continua ..]


Sezione IV – Misure a carattere sociale [207]

4.1.   Gli obiettivi sul fronte sociale del pacchetto «Fit for 55» Nell’ambito del pacchetto «Fit for 55», la Commissione ha affermato la necessità di accompagnare la transizione ecologica con misure di carattere sociale, capaci di distribuire in modo equo costi e vantaggi delle stesse e anche di ridurre le disuguaglianze oggi esistenti [208]. A tale scopo, il pacchetto ha proposto l’istituzione di un nuovo Fondo sociale per il clima (FSC) [209] e il rafforzamento del Fondo per la modernizzazione (FM) [210], strumenti che andranno ad aggiungersi al Fondo europeo per la transizione giusta (EJTF) [211]. In via preliminare, per inquadrare le misure sociali del pacchetto Fit for 55, si rende necessario illustrare gli obiettivi del FSC e del FM, giustapponendoli a quelli dell’EJTF. Per quanto riguarda il FSC, l’obiettivo specifico è orientato al sostegno di soggetti vulnerabili (famiglie, microimprese e utenti), nella prospettiva di assicurare loro forme di sostegno diretto temporaneo al reddito, nonché misure e investimenti nell’ambito di settori specifici, ossia edilizia e trasporti [212]. In sostanza, si tratta di fronteggiare le conseguenze dell’estensione dell’ETS, evitando che conducano ad un incremento della povertà energetica [213]. Con riferimento al FM, la sua revisione si colloca nella più ampia riforma del sistema di scambio di quote [214] contenuta nella proposta di direttiva COM(2021)551. Entro questo processo di riforma, l’obiettivo del FM consiste nel fronteggiare gli effetti distributivi e sociali della transizione, finanziando unicamente gli Stati membri con un PIL pro capite a prezzi di mercato inferiore ad una data soglia percentuale rispetto alla media dell’Unione [215]. Per quanto riguarda, infine, lo EJTF, esso si distingue per una maggiore ampiezza, ponendosi l’obiettivo di consentire alle regioni e alle persone di affrontare gli effetti sociali, occupazionali, economici e ambientali della transizione verso gli obiettivi 2030 dell’Unione [216].


4.2. Lo status quo: il finanziamento delle misure a carattere sociale tra Fondo per la transizione giusta e Fondo per la modernizzazione

Come anticipato, tramite il FM e lo EJTF il legislatore eurounitario era già intervenuto a prevedere la possibilità di finanziare misure a carattere sociale. Al fine di poter apprezzare la portata dei due fondi è opportuno passarne in rassegna alcune caratteristiche, in particolare: dotazione finanziaria; destinatari; tipologie di misure previste; governance dei fondi. Per quanto riguarda lo EJTF, esso ha una dotazione finanziaria di circa 17,5 miliardi [217]. Le risorse sono stanziate a tutti gli Stati membri, per essere impiegate a favore di tutti i cittadini, pur se un particolare risalto è dato ai soggetti vulnerabili [218]. La dotazione è destinata al finanziamento di misure sociali, fra cui figurano misure per il miglioramento delle competenze e riqualificazione professionale dei lavoratori, per l’assistenza nella ricerca di lavoro e per l’inclusione attiva delle persone in cerca di lavoro, nonché misure relative ad «altre attività nei settori dell’istruzione e dell’inclusione sociale» [219], secondo quanto previsto dal regolamento istitutivo [220]. Le risorse complessive, tuttavia, sono destinate a finanziare anche misure di tipo differente, come iniziative imprenditoriali e attività nell’ambito di ricerca e innovazione tecnologica, nel quadro dei piani per la transizione giusta [221]. La governance dell’EJTF è strutturata in modo da erogare le risorse del Fondo – individuate in base alla previa determinazione della dotazione attribuita a ciascuno Stato membro [222] – a condizione [223] che lo Stato richiedente abbia elaborato uno o più piani per la transizione giusta [224]. Tali piani devono essere approvati poi della Commissione [225] e sottoposti a monitoraggio secondo le regole dei fondi attuati in gestione concorrente [226]. Con riferimento al FM esso ha una dotazione di circa 14 miliardi [227], somma destinata, attualmente, agli Stati membri con un PIL pro capite, a prezzi di mercato, inferiore al 60 % della media dell’Unione nel 2013 (Bulgaria, Croazia, Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria). Le risorse del FM sono utilizzate per finanziare, per il 70%, investimenti prioritari, ossia investimenti a favore dell’efficienza energetica nei settori dei trasporti, dell’edilizia, dei rifiuti e [continua ..]


4.3. I nuovi strumenti dedotti nel pacchetto «Fit for 55»: la riforma del Fondo per la Modernizzazione e l’introduzione del Fondo sociale per il clima

Tramite il pacchetto «Fit for 55», come anticipato, la Commissione propone la modifica del FM e la creazione del FSC. Rispetto al FM, le modifiche operate possono essere sintetizzate in almeno quattro punti. In primo luogo, si ha un ampliamento della dotazione finanziaria di circa 8,75 miliardi, corrispondente al 2,5% delle quote messe all’asta tra la data di entrata in vigore della proposta e il 2030 [232]. In secondo luogo, la nuova quota del 2,5 % ha una platea più ampia di beneficiari. Se per l’ammontare equivalente al 2% dell’ETS cap i beneficiari erano (e restano) quelli individuati supra, per l’ammontare aggiuntivo equivalente al 2,5% dell’ETS cap, sono beneficiari anche gli Stati membri con un PIL pro capite a prezzi di mercato inferiore al 65 % della media dell’Unione nel corso del periodo dal 2016 al 2018, ossia anche Grecia e Portogallo [233]. In terzo luogo, la quota di risorse del fondo riservate a investimenti prioritari passa da 70% a 80%, sicché si riduce la quota di risorse che può essere destinata a finanziare investimenti non prioritari. In quarto luogo, viene esclusa la possibilità di usare il FM per finanziare il teleriscaldamento con combustibili fossili [234]: in questo modo, il fondo si indirizza con maggiore rigore al finanziamento della transizione ecologica. Con riferimento all’introduzione del FSC può invece rilevarsi quanto segue. Come già specificato [235], il fondo permette il finanziamento di misure sociali nei settori dei trasporti e dell’edilizia e la sua dotazione finanziaria ammonta a circa 72,5 miliardi [236] e, benché sia rivolto a tutti gli SM, i destinatari sono prevalentemente specifici soggetti ossia famiglie, microimprese e utenti vulnerabili [237]. Tramite il FSC è possibile finanziare misure riguardanti l’efficienza energetica e i trasporti a zero emissioni, oltre a misure a carattere sociale come: garantire l’accessibilità̀ economica del riscaldamento, del raffrescamento e della mobilità; forme di sostegno diretto temporaneo al reddito per ridurre l’impatto dell’aumento del prezzo dei combustibili fossili derivante dall’inclusione dell’edilizia e del trasporto su strada nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/87/CE [238]. La governance si segnala per essere particolarmente strutturata, [continua ..]


4.4. Valutazione critica delle misure a carattere sociale dedotte nel pacchetto «Fit for 55»

Rispetto al quadro sinora sintetizzato possono essere avanzate alcune valutazioni critiche tanto in relazione agli obiettivi, quanto agli strumenti descritti, con particolare riferimento alla struttura dei fondi e ad alcune delle misure finanziabili sulla base di essi.


4.4.1. L’idoneità degli obiettivi: profili generali

Per quanto riguarda gli obiettivi, va considerato che, se appare importante garantire la massima ampiezza dell’impatto sociale da prendere in considerazione rispetto alla transizione ecologica [242], appare opportuno che gli obiettivi siano sufficientemente circostanziati. In questo senso, una possibile criticità si rinviene rispetto all’individuazione dei soggetti vulnerabili, categoria richiamata rispetto all’EJTF e al FSC. Una definizione di tali soggetti è presente solo nella proposta relativa al FSC, ma presenta tratti di vaghezza, nella misura in cui i soggetti vulnerabili coincidono con coloro che risentono «in modo significativo dell’impatto sui prezzi dell’in­clusione dei settori di trasporti ed edilizia nell’ambito applicativo della direttiva 2003/87/CE» [243]. è evidente che la corretta individuazione dei soggetti vulnerabili non può che essere rimessa agli Stati membri – e, in particolare, ai soggetti pubblici e agli attori della società civile che in essi operano – in quanto questi ultimi si trovano nella migliore posizione per poter individuare, nei rispettivi territori, tale tipologia di soggetti [244]. Senza peraltro trascurare la difficoltà nell’individuare i soggetti vulnerabili, una nozione generica di vulnerabilità appare foriera di incertezze, considerando che la vaghezza di un elemento centrale nella definizione dell’o­biettivo delle misure può portare più facilmente allo sviluppo di dinamiche corruttive che sono frequenti nella fase di gestione dei fondi [245].


4.4.2. L’idoneità degli obiettivi nel prisma delle politiche del lavoro

A ciò occorre aggiungere, più in generale, la necessità che gli obiettivi si colleghino più strettamente alla previsione dei fabbisogni di competenze e risultati occupazionali attesi. Questi diventano prerequisiti fondamentali, affinché si possa raggiungere un intervento efficace sul mercato del lavoro, tanto sul fronte di politiche “passive”, quanto su quello di politiche “attive” [246]. Nel primo ambito, per i lavoratori interessati dalla transizione ecologica, la stabilità del reddito è essenziale. L’assicurazione contro la disoccupazione e altri programmi che offrono sostegno al reddito a chi viene licenziato sono pertanto imprescindibili. Questo riguarda soprattutto i lavoratori vulnerabili e le loro comunità, al fine di scongiurare il rischio che ricadano su di loro gli oneri più gravosi della transizione ecologica. I posti di lavoro creati potrebbero essere inferiori o superiori in termini di soddisfazione dei dipendenti e di retribuzione, per esempio, e questo dovrebbe essere preso in considerazione quando si progettano i programmi di riqualificazione. Ci si riferisce all’offerta di adeguati servizi per l’occupazione, per cui è essenziale [247]: far corrispondere i posti di lavoro con i candidati qualificati; promuovere il benessere dei dipendenti; facilitare la formazione sul posto di lavoro e fuori dal posto di lavoro; garantire reti di sicurezza per l’occupazione, insieme a misure per facilitare la mobilità del lavoro, come le sovvenzioni per il trasferimento.


4.4.3. L’idoneità degli strumenti: la dotazione finanziaria e la governance dei fondi

Concentrandosi sulle criticità che riguardano i regimi dei Fondi, e prescindendo dai problemi concernenti il reperimento delle risorse per finanziarli [248], giova osservare, anzitutto, uno squilibrio che riguarda la dotazione finanziaria di questi: l’EJTF, infatti, nonostante abbia gli obiettivi più ambiziosi e l’ambito applicativo più ampio (non essendo né settoriale come il FSC né destinato solo ad alcuni Stati membri come il FM), si caratterizza, paradossalmente, per essere anche il fondo meno finanziato (17,5 miliardi, a fronte dei 72,5 del FSC e dei 20 del FM) [249]. Ulteriori considerazioni possono essere svolte con riferimento alla governance dei fondi. Per quanto attiene alla fase di progettazione degli interventi, nell’ambito dei diversi fondi, un primo profilo critico consiste nell’assegnare la regia ai singoli Stati Membri. Pur se i contenuti delle proposte sono dettagliati dalle norme che li disciplinano, si segnala che le istituzioni eurounitarie hanno uno scarso margine di intervento rispetto al drafting, laddove la programmazione degli interventi sia poco ambiziosa [250], tenendo conto altresì della differente capacità pianificatoria degli Stati [251]. Un altro profilo critico, sempre in questa fase, attiene al tasso di partecipazione degli stakeholders. Nella fase propositiva, in effetti, le proposte mostrano generalmente [252] indifferenza rispetto al coinvolgimento di altri attori istituzionali, degli operatori del mercato e della società civile. Invece, la previsione della partecipazione di questi soggetti potrebbe garantire un rafforzamento della legittimazione delle proposte senza con ciò pregiudicare l’autonomia procedurale degli SM [253]. Sarebbe, inoltre, auspicabile allineare i sistemi di monitoraggio tra i diversi fondi, in modo anche da favorire un maggiore raccordo tra di essi, cosicché eventuali irregolarità rispetto all’impiego di uno di essi possa attivare il controllo anche rispetto a finanziamenti riconducibili agli altri [254]. In particolare, la previsione, di requisiti più stringenti sui sistemi di monitoraggio nazionali, sul modello dello EJTF, appare particolarmente utile per guidare gli SM, allineandoli così ad uno standard comune, senza considerare che essendo un regime già consolidato, non è ad essi sconosciuto [255].


4.4.4. L’idoneità delle misure finanziabili

Un ultimo gruppo di riflessioni va svolta rispetto al tenore delle misure a carattere sociale finanziabili attraverso i fondi, in particolare misure di riqualificazione professionale e di sostegno al reddito.


4.4.4.1. Le misure di riqualificazione professionale

Anzitutto, l’ampia discrezionalità degli SM – pur sotto il controllo delle autorità competenti afferenti all’ordinamento eurounitario – potrebbe tradursi nell’adozione di misure poco strutturate e troppo generiche, pensate in una logica compensativa, col rischio di non inserirsi entro un quadro sufficiente di interventi di politica attiva. Si consideri, ad esempio, la possibilità di finanziare misure di riqualificazione professionale. La riqualificazione professionale deve essere riconfigurata in maniera tale da creare processi di mobilità lavorativa da settori meno sostenibili ed evitare il rientro in questi ultimi. Questo obiettivo per essere raggiunto richiede un cambio di paradigma negli approcci di policy esistenti. Interventi di riqualificazione professionale vengono, infatti, solitamente erogati quando i settori affrontano licenziamenti di massa. Ciononostante, in questi casi i programmi di riqualificazione – certamente necessari – hanno poco impulso trasformativo, dal momento che intervengono laddove potenziali processi di ristrutturazione aziendale sono stati già vanificati. Sarebbe, al contrario, più efficace indirizzare la riqualificazione ai lavoratori dei settori (ancora) redditizi, ma meno sostenibili. Questo approccio non è sempre facile, perché molte professioni in settori non sostenibili sono ben remunerate. Allo stesso modo, non è da escludere il rischio che i lavoratori abusino della riqualificazione per rilanciare le loro carriere negli stessi settori non sostenibili. In questi casi, i programmi di riqualificazione potrebbero andare a costituire un incentivo economico per industrie non sostenibili, rendendo il settore più competitivo e ritardando la sua graduale eliminazione [256].


4.4.4.2. Le misure di sostegno temporaneo al reddito

Per quanto attiene più specificamente alle misure di sostegno temporaneo al reddito, merita attenzione la disciplina relativa al FSC. Secondo la proposta, le misure di sostegno al reddito finanziate tramite il FSC devono recare una scadenza e la loro previsione nei piani sociali per il clima deve essere motivata tanto in base ad una stima quantitativa, quanto ad una spiegazione qualitativa (in ordine alla capacità della misura di ridurre la povertà energetica e dei trasporti, nonché la vulnerabilità di famiglie, microimprese e utenti in ragione dell’aumento dei prezzi di carburanti per il trasporto e il riscaldamento [257]. Anche se si è rilevato che le misure previste nel FSC paiono incentrate sull’efficienza energetica degli edifici e sull’incentivazione all’acquisto di veicoli a basse emissioni [258], va rilevato che misure a carattere temporaneo di questo tipo possono avere effetti benefici nel breve termine [259] e sono, in certa misura, imprescindibili, ma, oltre ad avere effetti non assicurati nel lungo termine, possono rivelarsi non egualmente efficaci in ogni contesto socio-econo­mico [260].


NOTE
Fascicolo 1 - 2022