Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti tra matière pénale e divieto di bis in idem (note a margine della sentenza Corte EDU, Grande Stevens e altri c. Italia, 4 marzo 2014) (di Feliciano Palladino)


«1. Il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di severità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata (Engel e altri c. Paesi Bassi), e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta. […] Alla luce di quanto è stato esposto e tenuto conto dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle cui erano passibili i ricorrenti, la Corte ritiene che le sanzioni [per l’illecito di manipolazione del mercato] rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale. […]

2. La Corte reputa che il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfi tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale […]

Per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, la Corte nota che il regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra organi incaricati dell’indagine e organo competente a decidere sull’esistenza di un illecito e sull’applicazione delle sanzioni […] Rimane comunque il fatto che l’ufficio IT, l’ufficio sanzioni e la commissione non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Secondo la Corte, ciò esprime il consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione; ora, in materia penale tale cumulo non è compatibile con le esigenze di imparzialità richieste dall’art. 6 § 1 della Convenzione. […]

3. La Corte rammenta che, nella causa Serguei Zolotukhin c. Russia, la Grande Camera ha precisato che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo ‘illecito’ nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi […]. La Corte osserva che, contrariamente a quanto sembra affermare il Governo, dai principi enunciati nella causa Serguei Zolotukhin sopra citata risulta che la questione da definire non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti previsti dagli articoli 187-ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dalla CONSOB e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta […].

Secondo la Corte, si tratta chiaramente di un’unica e stessa condotta da parte delle stesse persone alla stessa data. […] Di conseguenza, la nuova azione penale riguardava un secondo ‘illecito’, basato su fatti identici a quelli che avevano motivato la prima condanna definitiva».

  

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Il procedimento sanzionatorio CONSOB in materia di abusi di mercato e la matière pénale - 3. Sanzioni amministrative e principi del giusto processo: l’esten­sione della portata applicativa dell’art. 6 CEDU al procedimento sanzionatorio CONSOB - 4. Il divieto di bis in idem tra procedimento sanzionatorio (formalmente) amministrativo e giudizio penale - 5. Problemi aperti nel diritto vivente: la necessità di un ripensamento del sistema sanzionatorio a doppio binario - NOTE


1. Il caso

Il caso oggetto della pronuncia in commento trae origine da un procedimento sanzionatorio avviato dalla CONSOB nei confronti di alcuni esponenti di primo piano del management del gruppo FIAT e dei loro consulenti, accusati di aver diffuso un falso comunicato nell’ambito della complessa vicenda finanziaria generata da un prestito convertibile contratto da FIAT S.p.a. con alcune banche. L’accordo prevedeva che, in caso di mancato rimborso, gli istituti di credito avrebbero potuto compensare gli importi dovuti acquisendo il controllo della società debitrice mediante sottoscrizione di azioni di nuova emissione. Secondo l’ipotesi accusatoria, i responsabili avrebbero volontariamente o­messo di menzionare nel comunicato le trattative in corso tra l’Avv. Grande Stevens e la banca d’affari Merril Lynch International Ltd per la rinegoziazione di un contratto di equity swap, la cui modifica avrebbe consentito agli azionisti di riferimento di FIAT di non perdere il controllo della società. Al termine dell’istruttoria, la CONSOB ha riconosciuto gli accusati colpevoli dell’illecito di manipolazione del mercato (art. 187-ter t.u.f.) ed ha conseguentemente inflitto loro pesanti sanzioni pecuniarie ed interdittive, la cui misura è stata successivamente ridotta dalla Corte d’Appello di Torino e confermata definitivamente dalla Cassazione con sentenza del 23 giugno 2009. Sulla base dei medesimi fatti contestati in sede amministrativa, i responsabili della diffusione del comunicato sono stati accusati del delitto di cui all’art. 185 t.u.f. (manipolazione del mercato) e rinviati a giudizio innanzi al Tribunale di Torino. Nelle more della definizione del primo grado di giudizio, gli interessati hanno proposto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, denunciando una serie di violazioni dei principi sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli addizionali. In via preliminare, i ricorrenti hanno sostenuto che, a dispetto della scelta classificatoria operata dal legislatore italiano, l’illecito contestato dall’Autorità di Vigilanza dovesse qualificarsi come sostanzialmente penale ai fini dell’ap­plicazione delle garanzie previste dalla CEDU. Muovendo da tale assunto, gli interessati hanno censurato la procedura sanzionatoria svoltasi innanzi alla CONSOB per violazione delle garanzie in materia [continua ..]


2. Il procedimento sanzionatorio CONSOB in materia di abusi di mercato e la matière pénale

Le censure promosse dai ricorrenti muovono tutte da un assunto comune: nonostante la dichiarata qualificazione amministrativa del procedimento svoltosi innanzi alla CONSOB, le sanzioni inflitte ai responsabili dei comunicati devono considerarsi sostanzialmente penali e, come tali, interessate dal sistema di tutele che la Convenzione riserva alla matière pénale. Come è noto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha da tempo elaborato una nozione di illecito penale del tutto autonoma rispetto alle classificazioni operate dagli ordinamenti interni, ciò al fine di evitare che i legislatori nazionali possano eludere le garanzie convenzionali riservate alla materia penale semplicemente attribuendo a determinati illeciti carattere amministrativo o disciplinare [1]. Nella celebre pronuncia sul caso Engel ed altri c. Paesi Bassi [2], la Corte EDU ha enucleato tre criteri a ricorrere dei quali un’infrazione può essere attratta nell’orbita penale [3]. Il primo attiene alla qualificazione operata dal diritto interno, che tuttavia assume un’importanza relativa nel ragionamento della Corte e serve soltanto come punto di partenza del percorso ermeneutico: se l’illecito è qualificato come penale dall’ordinamento nazionale, trovano immediata applicazione le garanzie convenzionali, senza necessità di ricorrere ad ulteriori indagini [4] [5]. Non vale, invece, il reciproco, di talché, in assenza di tale requisito formale, il Collegio procede a valutare la natura sostanziale della fattispecie applicando i restanti parametri [6] [7]. Il secondo criterio riguarda la natura dell’infrazione, che viene accertata alla luce delle finalità perseguite dal legislatore attraverso l’adozione della norma sanzionatoria. In particolare, occorre verificare che la sanzione connessa all’illecito sia posta a salvaguardia di interessi generali – normalmente tutelati dal diritto penale – e si caratterizzi per la sua funzione deterrente e repressiva, non potendosi qualificare come penali sanzioni aventi un carattere meramente risarcitorio o ripristinatorio [8]. L’ultimo criterio attiene, infine, alla gravità della sanzione. Secondo la Corte, tale parametro deve essere valutato in astratto, prendendo [continua ..]


3. Sanzioni amministrative e principi del giusto processo: l’esten­sione della portata applicativa dell’art. 6 CEDU al procedimento sanzionatorio CONSOB

Muovendo da tale approdo preliminare, la Corte di Strasburgo ha accolto parzialmente le doglianze promosse dai ricorrenti con riferimento all’art. 6 CEDU, censurando sia il mancato rispetto dei canoni di equità e pubblicità della procedura sia l’insufficiente imparzialità dell’organo preposto a decidere sulla fondatezza dell’accusa. Quanto al primo profilo, il Collegio ha innanzitutto dato atto che la sanzione era stata inflitta sulla base di quanto riportato in un documento predisposto dagli organi investigativi dell’Autorità e rispetto al quale i ricorrenti non erano stati posti in condizione di difendersi in maniera adeguata [14]. Come è noto, il principio di parità delle armi tra accusa e difesa è espressione del più generale principio del giusto processo consacrato dall’art. 6 §1 CEDU, per cui gli Stati firmatari hanno l’obbligo di tutelare il diritto dell’interes­sato a partecipare attivamente al giudizio che lo vede coinvolto, garantendogli la miglior difesa possibile. Sul punto, l’orientamento espresso dalla Corte è costante nel­l’af­fermare che le parti hanno sempre il diritto di poter contraddire eventuali osservazioni formulate dall’accusa, specie quando il parere reso dagli organi inquirenti possa influire in maniera determinante sulla decisione finale [15]. Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la mancata comunicazione del documento predisposto dagli organi investigativi dell’Autorità aveva di fatto impedito ai ricorrenti di controdedurre all’ipotesi accusatoria, violando il diritto degli interessati di partecipare al procedimento e di influire attivamente sulla formazione del convincimento dell’organo giudicante. Ciò detto, la Corte ha posto l’accento sulla mancata celebrazione di un’u­dienza pubblica nel corso del procedimento e nella successiva fase di opposizione innanzi alla Corte d’Appello di Torino evidenziando come tale vizio procedimentale non potesse ritenersi sanato dall’udienza – questa sì, aperta al pubblico – svoltasi davanti alla Corte di Cassazione, attesa la limitata cognizione affidata al Giudice di legittimità [16]. Passando al secondo profilo di doglianza, il Collegio ha innanzitutto richiamato i criteri elaborati dalla giurisprudenza per definire il [continua ..]


4. Il divieto di bis in idem tra procedimento sanzionatorio (formalmente) amministrativo e giudizio penale

Come anticipato in premessa, accanto alla violazione delle norme che regolano l’equo processo secondo Convenzione, i ricorrenti hanno dedotto la violazione del loro diritto a non essere giudicati e puniti due volte per lo stesso fatto. Come è noto, tale diritto è sancito dall’art. 4, Protocollo 7, della CEDU, a mente del quale «no one shall be liable to be tried or punished again in criminal proceedings under the jurisdiction of the same State for an offence for which he has already been finally acquitted or convicted in accordance with the law and penal procedure of that State». La norma non esclude che una stessa condotta possa essere astrattamente sussunta in più fattispecie sanzionatorie, ma vieta soltanto l’esercizio del­l’azione penale in relazione ad una “offence” che sia stata già punita con un provvedimento (amministrativo o giurisdizionale) di carattere definitivo e non più soggetto ad impugnazione. Il perimetro applicativo del divieto di bis in idem è dunque strettamente connesso alla verifica del corretto significato da attribuire al termine “offence”. Secondo l’opinione prevalente, tale espressione non identifica la fattispecie astratta tipizzata dalla norma sanzionatoria, bensì il fatto storico che ha determinato l’irrogazione della sanzione [29]. Pertanto, al fine di verificare la violazione del divieto di bis in idem, occorre accertare la condotta oggetto di contestazione in sede penale sia sostanzialmente identica a quella che ha determinato una condanna definitiva all’esito di un procedimento qualificabile come penale in base agli Engel criteria. Tale orientamento ha trovato conferma nella nota sentenza Serguei Zolotukhin c. Russia, in cui la Grande Camera ha stabilito che l’art. 4, Protocollo 7, CEDU «deve essere interpretato nel senso che vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo ‘reato’ nella misura in cui alla base di quest’ulti­mo vi sono fatti identici o che sono sostanzialmente gli stessi» che hanno già condotto all’irrogazione di una sanzione (formalmente o sostanzialmente) penale [30]. Nel caso di specie, il Governo italiano ha contestato la fondatezza delle do­glianze [continua ..]


5. Problemi aperti nel diritto vivente: la necessità di un ripensamento del sistema sanzionatorio a doppio binario

La parabola interpretativa che emerge dalle sentenze Grande Stevens e Nykanen solleva una serie di interrogativi di non facile soluzione. Se da un lato, infatti, l’applicazione del divieto di doppio giudizio anche a procedimenti che il diritto interno qualifica come formalmente amministrativi rappresenta la logica evoluzione dell’approccio sostanzialista della Corte rispetto alla matière pénale, è del pari evidente che l’estensione della garanzia del ne bis in idem anche a procedimenti di natura non strettamente penale potrebbe determinare conseguenze sistemiche di non poco momento. Nei commenti che hanno seguito a stretto giro il deposito della sentenza, illustri Autori [33] hanno infatti condivisibilmente osservato che i principi espressi dalla Corte EDU nel caso Grande Stevens in materia di abusi di mercato potrebbero trovare applicazione anche in altri settori dell’ordinamento caratterizzati da un sistema sanzionatorio che preveda la sostanziale sovrapposizione di illeciti di natura amministrativa ed omologhe fattispecie di natura penale volte a reprimere le medesime condotte (c.d. sistema sanzionatorio a doppio binario). Si pensi, ad esempio, alle norme poste a tutela del corretto esercizio del­l’attività svolta dalle Autorità di Vigilanza, ove alle figure di reato previste dal­l’art. 2638 c.c. si affiancano numerose ipotesi di illecito amministrativo che sanzionano condotte astrattamente sussumibili anche nella norma incriminatrice prevista dal Codice Civile [34]. Altro settore di rilievo è quello tributario, in cui pure si riscontra un sistema di doppio binario di procedimenti amministrativi e penali destinati ad incidere sulle medesime condotte. Tale sovrapposizione viene in rilievo soprattutto con riferimento agli illeciti amministrativi di omesso versamento periodico delle ritenute o dell’IVA, cui, come è noto, si affiancano gli omologhi reati previsti dagli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74/2000. In queste ipotesi, se dall’applicazione degli Engel criteria dovesse emergere la natura convenzionalmente penale degli illeciti amministrativi previsti dal diritto interno, lo Stato italiano potrebbe essere chiamato nuovamente a rispondere della violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2014