Il contributo offre una riflessione sulle ragioni e sugli obiettivi della riforma dei contratti pubblici. Il saggio evidenzia come la principale innovazione sia costituita dal conferimento di una ancora più ampia discrezionalità alle stazioni appaltanti che deve ispirare e orientare la loro azione in tutte le fasi delle procedure di affidamento.
This paper offers a reflection on the reasons and the objectives of the latest italian public procurement reform. The essay highlights that the main innovation is constituted by the conferral of a wider discretion to the contracting authorities which must inspire and guide their action in all phases of public tenders.
1. Cenni introduttivi - 2. La legge n. 78/2022: finalità, principi e criteri direttivi - 3. Le riforme sistematiche del 2006 e del 2016 - 4. I correttivi - 5. Le deroghe - 6. Il “contesto” di riferimento e le “ragioni” della nuova riforma - 7. Gli obiettivi della nuova riforma - NOTE
In Italia, il primo intervento legislativo che ha riguardato la materia dei contratti pubblici risale alla legge 20 marzo 1865, n. 2284, All. F, con la quale furono affidate al Ministero dei lavori pubblici attribuzioni nel settore dei lavori pubblici e furono definite le regole sulla gestione amministrativa ed economica, poi ulteriormente dettagliate da ulteriori provvedimenti che ne disciplinarono specifici aspetti (regolamento n. 350, 25 maggio 1895, sulla direzione, contabilità e collaudazione dei lavori; capitolato generale di appalto del 28 maggio 1895; regolamento del 29 maggio 1895 per la compilazione dei progetti). Sul piano sistematico, la disciplina dei contratti pubblici fu invece ricollegata alla materia della contabilità dello stato di cui al r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e al successivo r.d. 23 maggio 1924, n. 827. Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 si sono succeduti altri interventi normativi che hanno interessato il quadro giuridico preesistente. Contesto, quest’ultimo, che era tradizionalmente finalizzato a tutelare l’interesse pubblico a conseguire l’assetto contrattuale più favorevole alla pubblica amministrazione, previa selezione del contraente nel rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza. A partire dai primi anni ’70 la disciplina interna ha subito una profonda influenza da parte del diritto europeo. Il diritto UE ha, infatti, portato all’affermazione di un sempre più dettagliato sistema europeo delle procedure per l’aggiudicazione dei contratti pubblici, che ha inciso profondamente l’ordinamento interno e provocato la serie di riforme che hanno determinato un complessivo riassetto della materia, originando un processo evolutivo in continuo divenire. Ciò è dimostrato dalla recente legge 21 giugno 2022, n. 78, che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici e ha avviato il percorso, recentemente conclusosi con l’emanazione del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che ha portato alla nuova riforma cui è dedicato questo contributo.
La legge 21 giugno 2022, n. 78 ha avviato il percorso che ha condotto alla nuova riforma. Le finalità della delega sono state definite al primo comma dell’art. 1, ove il Governo è stato incaricato di adeguare la nuova disciplina al diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionale, nonché di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente. Il tutto nella prospettiva di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate [1]. Ai principi e criteri direttivi (ben trentadue) per l’esercizio della delega, individuati al secondo comma del citato art. 1, è stata assegnata una portata eterogenea. Questi ultimi, infatti, a grandi linee, possono essere ripartiti in sette maro-categorie: (i) i principi e i criteri caratterizzati da un ambito di applicazione trasversale, in quanto tesi a guidare legislatore delegato nell’attuazione della riforma nel suo complesso. Su tutti, può essere richiamato quello sancito dalla lett. a), laddove si prevede che la nuova disciplina deve perseguire «obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse» – ferma restando «l’inderogabilità delle misure a tutela del lavoro, della sicurezza, del contrasto al lavoro irregolare, della legalità e della trasparenza» – con la precisazione che il divieto di gold plating è finalizzato ad «assicurare l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo fra gli operatori dei mercati dei lavori, sei servizi e delle forniture» [2]; (ii) i principi e criteri che attengono ad aspetti organizzativi e operativi delle stazioni appaltanti e delle autorità amministrative coinvolte nel settore del public procurement. Si pensi a quello definito dalla lett. b), in base al quale la nuova disciplina dovrà prevedere una revisione delle competenze dell’ANAC in materia di contratti pubblici. O a quello definito dalla lett. c), laddove si prevede una «ridefinizione e un rafforzamento della disciplina in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti […] al fine di conseguire la loro riduzione [continua ..]
La nuova riforma è la terza che, nell’ultimo ventennio, ha l’obiettivo di disciplinare, in chiave sistematica, l’intera materia dei contratti pubblici. Più precisamente, la nuova riforma interviene a distanza di sedici anni dall’adozione del d.lgs. n. 163/2006 e di soli sei anni dall’entrata in vigore del più recente d.lgs. n. 50/2016. Il codice del 2006 era stato emanato per recepire le direttive n. 2004/17/CE e 2014/18/CE in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture [4]. Il d.lgs. n. 50/2016, invece, è stato emanato nell’esercizio della delega conferita al Governo dalla legge n. 11/2016 ai fini del recepimento delle direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, tutt’ora in vigore, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure per l’affidamento dei contratti da parte degli enti aggiudicatori nei c.d. settori speciali [5]. I due decreti legislativi che hanno preceduto la nuova riforma hanno costituito, quindi, attuazione del vincolo esterno prodotto sull’ordinamento interno dal diritto europeo e sono entrambi espressione dell’effetto conformativo che quest’ultimo ha avuto sul diritto nazionale, nel settore dei contratti pubblici. Ma non è questo l’unico elemento accomuna i codici del 2006 e del 2016. Ognuno di essi è stato ispirato dal «mito della semplificazione a mezzo della codificazione e della raccolta in testi unici» [6]. Ho utilizzato questa espressione perché entrambi, pur avendo contribuito a riordinare la materia, alla prova dei fatti non hanno prodotto i risultati sperati, avendo la loro emanazione dato il via a un’opera di continua e ripetuta «codificazione a diritto costante» [7]. Basti pensare che il d.lgs. n. 163/2006, cui ha fatto seguito il D.P.R. n. 207/2010, si è tradotto in un corpus normativo di oltre 600 articoli [8], i quali sono stati oggetto di ripetuti correttivi, tanto che in dieci anni di vigenza solo poco più del 40% degli articoli è rimasto invariato [9]. Inoltre, il d.lgs. n. 163/2006 è stato connotato da complessità sul piano soggettivo (sono state censite oltre 32.000 stazioni appaltanti) e sul piano procedurale (per il proliferare di procedure di gara diverse dai modelli comunitari), dando luogo a incertezza [continua ..]
Il primo intervento riconducibile alla categoria dei correttivi risale al d.lgs. n. 56/2017, con cui sono state apportate poche correzioni formali e molte modifiche di sostanza alla disciplina che era entrata in vigore pochi mesi prima. Nel dicembre del 2018, è stato poi emanato il d.l. n. 135/2018 (convertito nella legge n. 12/2019), che ha integrato le cause di esclusione previste dall’originario art. 80, comma 5, tipizzandone due aggiuntive – quelle di cui alle lett. c-bis) e c-ter) – che in precedenza erano ricondotte alla fattispecie aperta del c.d. grave illecito professionale di cui alla originaria lett. c). Anche in questo caso si è trattato di un correttivo, perché la modifica dell’art. 80 è stata realizzata con la codificazione di due cause (facoltative) di esclusione destinate a trovare applicazione in modo stabile nel tempo. Il terzo correttivo è stato apportato dal d.l. n. 32/2019 (convertito con modificazioni nella legge n. 55/2019), nella parte in cui, all’art. 1 comma 20, ha novellato e/o abrogato ben venti articoli del d.lgs. n. 50/2016 e, al successivo art. 2, ha sostituito l’art. 110 del d.lgs. n. 50/2016 con nuove norme sulle procedure di affidamento in caso di crisi di impresa [15]. La portata delle innovazioni introdotte dal d.l. n. 32/2019 è stata ampia: le innovazioni hanno riguardato una pluralità di istituti, quali, ad esempio, la progettazione, gli appalti sotto-soglia, la disciplina dei consorzi stabili, ancora una volta le cause di esclusione di cui all’art. 80 e il regime giuridico alle stesse applicabile, la disciplina della verifica dell’anomalia delle offerte, l’istituto della finanza di progetto. Tuttavia, la qualità delle norme che hanno introdotto tali innovazioni è risultata sotto molteplici aspetti carente. Si pensi, ad esempio, all’inserimento, nell’art. 47 del d.lgs. n. 50/2016, di un ulteriore comma (il comma 2-bis), a tenor del quale: «La sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati. In caso di scioglimento del consorzio stabile per servizi e forniture, ai consorziati sono attribuiti pro-quota i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi maturati a [continua ..]
Ai correttivi appena descritti, si è affiancata una sequenza di decreti legge con cui sono state istituite una pluralità di deroghe, al dichiarato obiettivo di rilanciare il settore dei contratti pubblici, di accelerare gli interventi infrastrutturali, di incentivare gli investimenti. Le prime deroghe risalgono al già menzionato decreto “sblocca cantieri”, con il quale nell’aprile del 2019 è stato innescato un profondo processo di revisione della disciplina a regime che è stato a tal punto pervasivo da condurre: (i) sia alla sospensione sperimentale di una serie di istituti previsti dal d.lgs. n. 50/2016. La sospensione è stata inizialmente disposta fino al 31 dicembre 2020 e, successivamente è stata prorogata, da ultimo, fino al 20 giugno 2023 [21]; (ii) sia a una generalizzazione del c.d. «Modello Genova», con il conferimento alla Presidenza del Consiglio di un potere generale di nomina di commissari straordinari preposti all’esecuzione di interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità, o da un rilevante impatto sul tessuto socio – economico, i quali sono stati abilitati ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e a operare in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. n. 159/2011, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea [22]. L’irrompere della pandemia ha poi determinato la necessità di istituire, anche nel settore della contrattualistica pubblica, “misure urgenti” a fronteggiare l’emergenza sanitaria e a superare la crisi economica ad essa consequenziale [23]. In ambito UE, la Commissione europea ha dapprima adottato orientamenti con cui ha concesso agli Stati membri la possibilità di attuare procedure accelerate e di urgenza per acquistare rapidamente forniture e servizi di prima necessità, come pure, se necessario, infrastrutture supplementari [24]. Sul fronte interno, invece, la disciplina dei contratti pubblici è stata oggetto di ripetuti interventi operati dal “Governo legislatore” [25], con il d.l. n. 76/2020 (convertito nella legge n. 120/2020), il successivo d.l. n. 77/2021 (convertito nella [continua ..]
La rassegna dei correttivi e delle deroghe che hanno interessato la disciplina dei contratti pubblici non è stata proposta con un intento meramente compilativo. Al contrario, il suo esame è utile a comprendere il contesto nel quale è maturata la necessità della nuova riforma. I correttivi e le deroghe, come si è visto, hanno riguardato una pluralità di istituti e hanno portato a una maturata consapevolezza dei limiti che caratterizzavano – e caratterizzano tutt’ora – il sistema delineato dal d.lgs. n. 50/2016. La spinta verso una maggiore flessibilità nelle procedure di affidamento, ad esempio, costituisce una risposta alla iper-regolazione delle procedure di gara e all’imposizione di obblighi, formalismi e adempimenti che, oltre non essere (necessariamente) previsti dal diritto UE, rallentano gli affidamenti e la realizzazione delle opere e dei servizi. La predeterminazione per via legislativa di tempi certi per la conclusione delle gare e per la stipula del contratto, la previsione dell’obbligo di esercizio di poteri sostitutivi, l’introduzione di misure acceleratorie del c.d. rito appalti, sono misure funzionali, a loro volta, a contrastare la “paura della firma”, in cui si esprime quella “burocrazia difensiva” [36] che, sovente, contraddistingue l’operato delle stazioni appaltanti e genera scarsa fiducia degli operatori economici nell’attività compiuta da queste ultime. Quello che accade nel contenzioso in materia di appalti pubblici ne fornisce una oggettiva dimostrazione: la casistica, infatti, dimostra come sia sufficiente la notifica di un ricorso avverso un provvedimento di aggiudicazione di una gara per bloccare la stipula del contratto oltre i termini di stand-still anche in caso di rinuncia alla domanda cautelare da parte del ricorrente [37]. L’istituzione dell’obbligo, a carico dei Comuni di minori dimensioni, di procedere all’acquisizione di lavori, servizi e forniture in forma aggregata o avvalendosi di stazioni appaltanti più qualificate, è invece una risposta alla constatazione, sempre più diffusa, di una scarsa preparazione e organizzazione delle stazioni appaltanti in termini di procurement capacity, cui ha contribuito la mancata attuazione agli artt. 37 e 38 del d.lgs. n. 50/2016 [38]. La (re-)introduzione dell’obbligo di corredare i [continua ..]
La nuova riforma, dunque, è funzionale a superare i limiti emersi nel contesto su cui è intervenuta, attraverso una sistemazione organica della materia che, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi della legge n. 78/2021, deve realizzare una semplificazione normativa, intesa nell’accezione virtuosa del termine: ovvero quale semplificazione che è ottenuta attraverso un coordinamento, in un quadro sistematico, delle norme e dei principi che afferiscono alla materia dei contratti pubblici [52]. La semplificazione normativa, a sua volta, identifica lo strumento attraverso cui realizzare la (diversa, ma correlata alla prima) semplificazione di carattere amministrativo cui è pure preordinata la nuova riforma, nella rinnovata convinzione che la riduzione di oneri e di adempimenti non strettamente necessari – tanto più se valutati alla stregua dei livelli di regolazione minima richiesti dalle direttive UE – alla selezione del migliore contraente, la riorganizzazione e razionalizzazione del numero di soggetti pubblici abilitati a contrattare, la riduzione dei tempi di durata delle gare, l’introduzione di un livello maggiore di flessibilità nella gestione dei contratti durante la loro fase esecutiva (specie al verificarsi di circostanze sopravvenute e imprevedibili tali da alterare l’equilibrio sinallagmatico del contratto), non operano contro la concorrenza, ma la promuovono e la preservano, contribuendo al raggiungimento del risultato – inteso quale obiettivo prioritario da raggiungere [53] – cui è preposta l’attività contrattuale della pubblica Amministrazione. Affinché tutto questo sia possibile, il d.lgs. n. 36/2023 ha così introdotto una serie di norme che hanno conferito alle amministrazioni aggiudicatrici un maggior livello di discrezionalità, rispetto a quella di cui disponevano in base alle norme del d.lgs. n. 50/2016. Ad esempio, un maggior livello di discrezionalità è stato attribuito dal d.lgs. n. 36/2023: (i) nella fase preparatoria delle procedure di gara, con il superamento del divieto generale del c.d. appalto integrato e con l’individuazione un criterio che consenta un impiego di questo istituto al ricorrere di presupposti che lo rendano compatibile, sia con la capacità delle stazioni appaltanti di verificare la qualità del progetto affidato all’esecutore del [continua ..]