Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Collusione e rettifica del prezzo nell'OPA obbligatoria: fattispecie e sanzioni (di Amal Abu Awwad)


«La “collusione” rilevante ai fini dell’aumento del prezzo dell’offerta da parte del­l’autorità di vigilanza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 106, comma 3, lett. d), n. 2, t.u.f., presuppone l’esistenza di un accordo, o comunque di un’intesa in senso lato, diretta a perseguire l’obiettivo di eludere le norme che presidiano la formazione del prezzo dell’opa. […] Il principio di certezza del diritto, a tutela dell’in­te­resse alla chiarezza e alla stabilità dei rapporti giuridici, impone che i contenuti della funzione amministrativa assegnata alla Consob siano ricavabili attraverso l’ausilio di “indici normativi di sistema” idonei a riempire di contenuto le manifestazioni di indirizzo legislativo non circostanziate. […] Non è sufficiente, ai fini dell’au­mento del prezzo dell’offerta da parte dell’autorità di vigilanza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 106, comma 3, lett. d), n. 2, t.u.f., l’obiettiva idoneità del comportamento dei soggetti coinvolti a conseguire l’effetto di eludere le norme che presidiano la formazione del prezzo dell’opa; dovendosi evitare che all’auto­rità di vigilanza sia attribuito uno spazio di discrezionalità illimitato nella valutazione ex post dei comportamenti dell’offerente e del venditore, precludendo agli operatori del mercato di valutare preventivamente la correttezza delle condotte assunte».

   

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Segue: la sentenza del Consiglio di Stato - 3. Il significato di 'collusione' secondo il Consiglio di Stato: critica - 4. I profili di disciplina rilevanti ai fini della ricostruzione della fatti­specie - 5. La genesi della previsione comunitaria e ulteriori spunti - 6. L''intesa' nella giurisprudenza sul diritto antitrust - 7. Principio di effettività. OPA e certezza del diritto - NOTE


1. Il caso

Il caso c.d. “Camfin”, che ha avuto ampia risonanza [1] anche in altri sistemi [2] e sui mezzi di stampa, essendo stato oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia [3], ha visto coinvolto il gruppo Pirelli, da una parte, e alcuni azionisti della società bersaglio (Fondi Antares e altri soci di minoranza), dall’altra. In particolare, il 5 giugno 2013, Lauro Sessantuno s.p.a. (newco costituita ad hoc per la formulazione dell’offerta dal gruppo Tronchetti Provera, Intesa San Paolo s.p.a. e Unicredit s.p.a.) lanciava un’OPA obbligatoria su Camfin s.p.a. per un corrispettivo pari ad Euro 0,80 per azione [4]. L’operazione si collocava nel­l’ambito della riorganizzazione della partnership fra le due famiglie (Pirelli e Malacalza) [5], in funzione della quale era stato stipulato (in data 4 giugno 2013) un accordo di investimento e un patto parasociale, al fine di razionalizzare l’assetto proprietario in Camfin per il conseguimento del delisting della società [6]. Il 5 giugno 2013 (nella medesima data della promozione dell’OPA): – venivano svincolate dal sindacato di blocco relativo a Pirelli & C. s.p.a. tutte le azioni detenute da Allianz S.p.A., una parte delle azioni di titolarità di Fondiaria-Sai s.p.a. e di Camfin; – Malacalza Investimenti s.r.l. (MCI) comunicava di avere acquistato, sempre il 5 giugno 2013, «da soggetti aderenti al sindacato di blocco Pirelli, a ciò debitamente autorizzati», azioni ordinarie Pirelli (pari al 6,98% del capitale sociale), al prezzo di euro 7,80 per azione e di aver venduto, sempre il 5 giugno 2013, «per un controvalore complessivo pari a circa 160 milioni di Euro, le proprie partecipazioni pari, rispettivamente, al 30,94% e al 12,37% del capitale sociale di Gruppo Partecipazioni Industriali s.p.a. e Camfin S.p.A. queste ultime ad un prezzo unitario di 0,80 Euro» [7]. Alcuni soci di minoranza di Camfin presentavano, dunque, un esposto alla CONSOB, la quale, con delibera n. 18662 del 25 settembre 2013, concludeva nel senso che sussistevano «elementi sufficienti a ritenere accertata una collusione tra Malacalza Investimenti S.r.l. e Lauro Sessantuno S.p.A. e i soggetti che [avevano agito] di concerto con il medesimo da cui [sarebbe emerso] il [continua ..]


2. Segue: la sentenza del Consiglio di Stato

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato, dopo una digressione sugli interessi sottesi alla disciplina dell’OPA obbligatoria [13], ha riformato le sentenze del TAR Lazio. Due sono i problemi affrontati: quello del presupposto di applicazione della disciplina che accorda alla CONSOB la possibilità di procedere con una rettifica del prezzo dell’OPA in alcune ipotesi, cioè nel caso in cui vi sia stata collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori; e quello della natura giuridica dei (conseguenti) provvedimenti suscettibili di essere adottati dall’autorità di vigilanza del mercato finanziario. In relazione alla prima questione, secondo il Consiglio di Stato, ai fini del­l’integrazione della collusione rilevante per la correzione del prezzo, è necessario accertare l’esistenza di un accordo, o comunque di un’intesa in senso lato volti ad eludere la disciplina dell’OPA, essendo insufficiente dimostrare che la condotta dei soggetti coinvolti nell’operazione abbia, quale effetto, detta elusione [14]. Una tale conclusione si imporrebbe in forza dell’operatività del principio di certezza del diritto a tutela dell’interesse alla chiarezza e alla stabilità dei rapporti giuridici. Il tema impone all’interprete di confrontarsi sul significato del termine «collusione». È noto che l’art. 106, comma 3, lett. d), n. 2), T.U.F. prevede che, in forza di un provvedimento motivato della CONSOB, possa essere promossa l’OPA ad un prezzo superiore a quello più elevato pagato se «vi è stata collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto» [15]. Secondo la CONSOB, per “collusione” s’intende un’intesa in senso lato, a forma libera: non è necessario che venga fornita la prova della tenuta di una condotta volontariamente diretta ad eludere la disciplina sull’OPA, essendo sufficiente che si determini un simile effetto [16]. Detta soluzione è stata accolta dal TAR Lazio, con le sentenze (riformate dalla pronuncia in commento) nn. 3009, 3011 e 3012/2014. Di diverso avviso – come anticipato – è il Consiglio di Stato nella sentenza in esame. Ad una nozione oggettiva di collusione, per cui sarebbe sufficiente che una [continua ..]


3. Il significato di 'collusione' secondo il Consiglio di Stato: critica

A proposito della prima fra le due questioni sopra anticipate, non condivisibile appare il percorso argomentativo seguito dal Consiglio di Stato per giungere alla conclusione sopra ricordata, nella misura in cui si risolve nel passare in rassegna i diversi settori dell’ordinamento per attribuire un significato univoco al termine «collusione». Un tale modo di procedere rischia di evocare il tema – ben noto alla dottrina giuscommercialistica – della “magia delle parole” [17]. Gli equivoci che si annidano in un simile approccio, fondato sulla “lettera” delle locuzioni, si rendono manifesti ove si guardi alla diatriba, che ha interessato per decenni la letteratura, in ordine alla nozione di “piccolo imprenditore” e di “imprenditore artigiano” e ai tentativi diretti a “coordinare” le diverse definizioni rispettivamente contenute nella disciplina codicistica, per un verso, e in quella fallimentare [18] e della legislazione speciale, per l’altro [19]. Il rischio che si configura è di “troppo pretendere” dal legislatore, assumendone una razionalità ed una capacità di coordinamento eccessiva [20]: appare improbabile che le parole abbiano necessariamente il medesimo significato nei diversi contesti in cui sono utilizzate. A nulla vale, pertanto, il richiamo alle previsioni del codice penale e quelle del codice civile, nonché del codice di procedura civile. Del resto, l’espressione risulta priva di uno “statuto culturale” definito [21], avendo, proprio nei diversi contesti citati dal Consiglio di Stato, una portata differente: lo stesso Consiglio di Stato, nel rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, aveva evidenziato (contrariamente alla soluzione accolta nella sentenza in commento) che appariva difficile operare «una trasposizione» nel contesto normativo dell’OPA del significato che il termine ha in altri settore dell’ordina­mento [22]. In un simile quadro, non può procedersi ad una ricostruzione aprioristica della nozione di «collusione» ricavata da una lettura sinottica (e ipostatizzante) di varie aree del diritto. Volendosi anticipare quanto verrà ripreso più avanti, l’unico ambito normativo, in realtà, che può essere di ausilio per l’in­ter­pretazione [continua ..]


4. I profili di disciplina rilevanti ai fini della ricostruzione della fatti­specie

È nota la contrapposizione fra sistema “a soggetto”, che caratterizza il diritto privato, e “sistema ad attività”, che connota il fenomeno dell’impresa [28]. E se una simile contrapposizione può forse essere motivo di discussione in particolari ambiti [29], lo stesso non può dirsi con riferimento al diritto dei mercati finanziari, in cui l’interesse alla tutela dei terzi, funzionale all’interesse generale dello sviluppo dei mercati, deve considerarsi prevalente [30]. La visione soggettiva, se già rende difficile cogliere la specialità del diritto dell’impresa rispetto al diritto privato, non sembra consentire di comprendere il fondamento di talune disposizioni che hanno, quale unica chiave di lettura, le regole di esercizio di un’attività nel mercato. Nella prospettiva dei soci, il fenomeno non è più riconducibile ai diritti soggettivi, dovendo essere per contro inquadrato nella “dimensione oggettiva” dei beni [31], tanto che appare configurarsi una sorta di “proprietà passiva”, che ha, quale presupposto, il funzionamento del mercato [32]. La disciplina dell’OPA obbligatoria si caratterizza per la sua oggettività. Il presupposto di applicazione è oggettivo: le previsioni che impongono il lancio dell’offerta sono norme di condotta in capo a chiunque acquisti una partecipazione qualificata nella società. È irrilevante che vi fosse l’intenzione di eludere tale disciplina, nel senso che l’intenzione elusiva della regola oggettiva non è elemento costitutivo della fattispecie della norma oggetto di elusione. Le stesse sanzioni, soprattutto quelle speciali – la sterilizzazione del diritto di voto e l’obbligo di alienare le azioni in eccedenza –, perseguono obiettivamente una finalità ripristinatoria dello status quo ante [33]. Depone nella direzione sopra individuata il processo che ha visto il passaggio dal criterio di determinazione del prezzo della media matematica tra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie, ad un’opzione per il «valore negoziato» (il prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall’offerente e [continua ..]


5. La genesi della previsione comunitaria e ulteriori spunti

A questa visione oggettiva conduce altresì la ricostruzione della genesi della previsione comunitaria, elaborata – come rilevato dalla stessa CONSOB nel­l’atto di accertamento – anche alla luce delle raccomandazioni contenute nella Relazione conclusiva del gruppo di esperti ad alto livello in materia di diritto societario [37]. In detta Relazione, si annovera, fra le diverse ipotesi che potrebbero dar luogo ad un caso di rialzo del prezzo verso l’alto, una collusione, da intendersi come un accordo con il venditore volto ad eludere la disciplina sul prezzo dell’OPA [38]. L’obiettivo perseguito era quello di fissare indicazioni per la determinazione del prezzo, ma, al contempo, di riconoscere una certa flessibilità per tener conto di circostanze particolari. La stessa Direttiva fa riferimento a situazioni che si apprezzano nella loro obiettività: non vi è alcun riferimento alla collusione, che, per contro, sembra trovare la sua “origine” nella citata Relazione (non già nella Direttiva) [39]. Come è stato sottolineato in dottrina, particolarmente rilevante appare il considerando (6) [40] ai sensi del quale, ai fini dell’efficacia delle previsioni ivi contenute, le norme dovrebbero essere «flessibili e adattabili ad eventuali nuove circostanze e, di conseguenza, contemplare la possibilità di eccezioni e deroghe». Nel citato caso “Ansaldo”, l’autorità giudiziaria ha inoltre posto l’accento su un profilo che non appare essere stato adeguatamente messo in rilievo nella sentenza in commento: la CONSOB, ai fini del rialzo del prezzo, deve comunque svolgere una valutazione discrezionale in funzione degli interessi in gioco. Si può avere correzione del prezzo «purché ciò sia necessario per la tutela degli investitori». Il che – ove s’intenda accogliere una simile impostazione, tutt’altro che pacifica [41] – potrebbe sembrare una conferma di come la previsione, essendo priva di valenza sanzionatoria, si connoti per la sua portata oggettiva. Nella stessa direzione paiono muoversi anche altri sistemi giuridici europei, e quindi la disciplina di attuazione della Direttiva 2004/25/CE da parte di alcuni ordinamenti. Il riferimento è, in particolare, alle ipotesi in cui è stata prevista la [continua ..]


6. L''intesa' nella giurisprudenza sul diritto antitrust

Un’ulteriore conferma circa la portata oggettiva della “collusione” può trarsi – come anticipato – anche dalla giurisprudenza in tema di antitrust, richiamata dallo stesso Consiglio di Stato nella sentenza in commento [43]. Anzi, è proprio un esame più attento delle pronunce della giurisprudenza amministrativa sull’accertamento e la prova delle intese illecite che sembra indurre a non condividere le conclusioni per contro accolte dalla sentenza che ci occupa. Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ricorda come, nell’ipotesi in cui la collusione fra le imprese sia implicita, ovvero nel caso di accordo tacito, la prova possa essere «indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti» e come l’autorità di vigilanza debba provare «il coordinamento di fatto e consapevole dell’attività», e quindi un accordo o quanto meno un’intesa in senso lato [44]. Si rendono opportune, al riguardo, alcune precisazioni. Per un verso, sembrano essere stati sovrapposti due piani: il problema degli elementi costitutivi della fattispecie con quello dell’onere della prova. La circostanza che detto onere possa essere assolto mediante il ricorso a presunzioni è pacifica. Il punto è differente: si tratta di capire che cosa deve formare oggetto di dimostrazione. Concentrandosi sulla fattispecie dell’art. 106 T.U.F., si ritiene che, ai fini dell’in­te­gra­zione della collusione, sia sufficiente valutare gli effetti della condotta nella loro obiettività, essendo irrilevante l’elemento soggettivo-volitivo. Il modo di procedere è il seguente: si considerano gli effetti della condotta da cui si inferisce l’esi­sten­za di un accordo. Il richiamo all’intesa in senso lato/all’ac­cordo è, tuttavia, fuorviante, perché può indurre erroneamente l’interprete a ri-inquadrare la questione nella prospettiva soggettiva. Il fatto è che detto “accordo” – come si dirà – non deve essere ricondotto ad alcuna delle categorie civilistiche, non essendo necessario accertare la volontà di eludere la disciplina sull’OPA. L’accordo è già di per sé configurabile (e già provato) in ragione della dimostrazione degli effetti. Che conti solo (la [continua ..]


7. Principio di effettività. OPA e certezza del diritto

La citata «decostruzione» delle categorie “tradizionali” utilizzate al fine di verificare se una disciplina sia applicabile emerge anche nella prospettiva del diritto europeo [56]. Si è sottolineata «la pretesa da parte della Corte di Giustizia UE di assegnare agli istituti del diritto privato un significato indipendente da quello che hanno assunto nel diritto statuale», al contempo ponendosi in evidenza la tendenza ad allentare lo stesso nesso di causalità con riferimento alla regola della responsabilità, assumendo che «le conseguenze negative delle attività umane devono essere sopportate da coloro che si trovano nella posizione migliore per ridurre i rischi futuri al costo minore» [57]. Un simile approccio è funzionale ad accordare tutela all’interesse sotteso alla disciplina dell’OPA nella prospettiva dei soci di minoranza. La soluzione interpretativa accolta dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, nella misura in cui, nel ritenere imprescindibile l’accertamento del momento soggettivo ai fini della collusione, rende difficilmente operativa la protezione accordata agli oblati e non sembra affatto in linea con i principi giurisprudenziali europei [58]. Infine, non appaiono condivisibili gli ulteriori argomenti della certezza del diritto, del legittimo affidamento, della non discriminazione e della trasparenza a cui fa ricorso il Consiglio di Stato per accogliere l’appello in riforma delle sentenze di primo grado. Una lettura obiettiva della disposizione, avuto riguardo agli effetti della condotta, tutela maggiormente il principio di certezza del diritto, atteso che gli operatori hanno la possibilità di valutare a priori le conseguenze del proprio contegno. Anzi, si è posto in evidenza come le circostanze rilevanti ai fini della correzione del prezzo siano formulate con locuzioni dal tenore ampio (la nozione di collusione appare forse «volutamente sfumata dal legislatore») per consentire all’autorità di vigilanza l’esercizio del suo potere conformativo e discrezionale tempestivamente [59]. E sul punto, parte della dottrina ha avuto modo di porre in rilievo, proprio all’esito degli interventi delle Corti Superiori, «l’irruzione di valori nuovi», fra i quali «la giustizia del caso concreto, o equità, contrapposta alla [continua ..]


NOTE