Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Liberalizzazioni, regolazione e ora anche 'ri-regolazione' (di Camilla Buzzacchi)


Corte costituzionale sentenza 15 maggio 2014, n. 125

La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (ex multis, sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007).

In questa seconda accezione, attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenza n. 401 del 2007).

Come questa Corte ha più volte osservato, «si tratta dell’aspetto più precisamente di promozione della concorrenza, che costituisce una delle leve della politica economica statale e, pertanto, non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’acce­zione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenze n. 299 del 2012, n. 80 del 2006, n. 242 e n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004). In particolare, con riferimento alle misure di liberalizzazione, questa Corte ha avuto modo di affermare che «la liberalizzazione da intendersi come razionalizzazione della regolazione, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Una politica di “ri-regolazione” tende ad aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte, l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva – cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) – genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale» (sentenze n. 299 e n. 200 del 2012).

Infine, si deve precisare che la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere «finalistico», non è una «materia di estensione certa» o delimitata, ma è configurabile come «trasversale», corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall’intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004).

Corte costituzionale sentenza 18 giugno 2014, n. 178

Questa Corte, in più occasioni, ha ricondotto le misure legislative di liberalizzazione di attività economiche alla materia «tutela della concorrenza» che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. In particolare si è detto che: «la liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Una politica di “ri-regolazione” tende ad aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte, l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva – cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) – genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’elimi­nazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale» (sentenza n. 200 del 2012).

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SOMMARIO:

1. Regolazione, concorrenza e liberalizzazioni: nodi sempre attuali per il giudice delle leggi - 2. La regolazione del commercio nella sent. n. 125/2014 - 3. La regolazione delle professioni nella sent. n. 178/2014 - 4. La giurisprudenza costituzionale in tema di liberalizzazioni-rego­lazione: la qualificazione della materia - 5. La giurisprudenza costituzionale in tema di liberalizzazioni/rego­lazione: la qualificazione delle competenze - 6. La razionalizzazione della regolazione - 7. La regolazione tra Stato e autonomie - Conclusioni - NOTE


1. Regolazione, concorrenza e liberalizzazioni: nodi sempre attuali per il giudice delle leggi

Un paio di decisioni della Corte costituzionale dello scorso anno – le sentenze 15 maggio 2014, n. 125 in materia di commercio e 18 giugno 2014, n. 178 in tema di professioni – pongono all’attenzione una tematica che a dieci anni esatti dalla sentenza 13 gennaio 2004, n. 14 [1] il giudice delle leggi si è ripetutamente trovato ad affrontare ed a risolvere: quella della partecipazione delle autonomie regionali a funzioni di regolazione in ambito di regime concorrenziale delle attività economiche. In entrambi i casi, che scaturiscono da impugnazioni di normative regionali concernenti settori economici del tutto differenti, la Corte costituzionale individua una risposta che fa riferimento ad un modello dei rapporti tra Stato ed autonomie che merita un’apposita riflessione: tale modello parte dalla materia della tutela della concorrenza, passando attraverso le politiche di liberalizzazione e focalizzandosi sullo strumento della regolazione, che è appunto quello conteso tra livello centrale e livello dotato di autonomia. L’ambito nel quale si muove il giudice costituzionale appare pertanto particolarmente delicato e complesso, perché opera su due versanti sui quali da anni egli sta fornendo soluzioni interpretative, che a quanto pare continuano a sollevare interrogativi rilevanti, ai quali la giurisprudenza costituzionale riesce a fornire risposte ampiamente, ma non totalmente, uniformi: il versante della ripartizione delle com­petenze da un lato; e quello del rapporto tra liberalizzazione/concorrenza e regolazione dall’altro. I suddetti versanti continuano a riproporsi al giudizio della Corte costituzionale, che da alcuni anni ha reso più contorta la propria interpretazione integrandola con la categoria della ‘ri-regolazione’, che da un lato va compresa nei suoi tratti distintivi rispetto alla regolazione; e dall’altro va valutata per accertarne la sua possibile estensione all’ambito di spettanza della potestà legislativa regionale. Sul piano metodologico il presente contributo parte anzitutto dalla ricostruzione delle controversie che hanno dato luogo alle decisioni del giudice costituzionale; analizza poi il quadro che tale giudice considera legittimo per l’e­sercizio delle competenze contese, in particolare alla luce dell’inquadra­mento della materia della tutela della concorrenza come effetto della libertà [continua ..]


2. La regolazione del commercio nella sent. n. 125/2014

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 9, 43 e 44 della legge della Regione Umbria 6 maggio 2013, n. 10 recante disposizioni in materia di commercio per l’attuazione del d.l. n. 201/2011 e del d.l. n. 1/2012. La violazione riguarda gli artt. 41 e 117, commi 1 e 2, lett. e), Cost. In particolare l’art. 9, che rientra nella disciplina dei ‘poli commerciali’ che già una legge regionale del 1999 aveva regolamentato, introdurrebbe regole discriminatorie e restrittive della concorrenza rendendo più difficoltosa l’aper­tura di nuovi esercizi commerciali; e si porrebbe in contrasto con i principi di liberalizzazione della disciplina statale attrattiva della competenza in materia di tutela della concorrenza. La disposizione impugnata aggiunge un insieme di criteri a quelli che la disciplina umbra del 1999 già prevedeva per l’apertura di poli commerciali: e dunque indica i soggetti a cui l’autorizzazione di polo commerciale possa essere rilasciata; disciplina le procedure di autorizzazione per le superfici di vendita degli esercizi commerciali presenti in un polo commerciale; individua le modalità di classificazione degli esercizi commerciali come ‘polo commerciale’ (edifici contigui i cui perimetri si tocchino; edifici nei quali sono inseriti più e­sercizi commerciali in piani sovrastanti; edifici adiacenti i cui perimetri si trovino ad una distanza lineare inferiore a 40 metri; edifici adiacenti i cui perimetri si trovino ad una distanza lineare superiore a 40 metri, qualora vi siano collegamenti strutturali di qualsiasi tipo tra detti edifici; un unico edificio dotato di più ingressi autonomi e indipendenti e servizi non gestiti unitariamente); precisa il perimetro dell’edificio e le modalità di calcolo delle distanze tra gli edifici, anche alla luce del codice della strada; infine prescrive i calcoli da effettuare per ciascun edificio ai fini della valutazione delle dotazioni territoriali minime e degli standard urbanistici degli esercizi presenti in un polo commerciale. Il giudice costituzionale reputa fondata la questione sollevata dallo Stato, poiché rileva come la norma impugnata vada effettivamente ad introdurre vincoli all’apertura degli esercizi commerciali che nel 1999 non erano stati contemplati; e così facendo viola principi di liberalizzazione posti dalla disciplina nazionale ed [continua ..]


3. La regolazione delle professioni nella sent. n. 178/2014

Oggetto della seconda decisione in esame è ancora una disciplina della Regione Umbria, la legge regionale 23 luglio 2013, n. 13 in materia di turismo: il Governo impugna gli artt. 62, comma 1; 63, comma 1, lett. b), e 2; 68 e 73. La prima disposizione impugnata – l’art. 62, comma 1 – prescrive i requisiti professionali che i titolari o i legali rappresentanti di agenzie di viaggio e turismo devono possedere per la gestione tecnica delle medesime: la prescrizione fa riferimento al d.lgs. n. 206/2007, che ha attuato la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., che la Corte costituzionale riconosce sussistente, sorge nella misura in cui la norma contestata, che concerne la materia concorrente delle professioni, non rispetta il principio secondo il quale l’individuazione delle figure professionali con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata alla competenza legislativa statale di principio. La disciplina di quadro del legislatore statale è rappresentata dall’art. 20, comma 1, dell’Allegato 1 del d.lgs. n. 79/2011 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), che rinvia a regolamenti governativi la determinazione dei requisiti professionali a livello nazionale dei direttori tecnici delle agenzie di viaggio e turismo. L’errore della normativa regionale consiste nel differenziare i requisiti professionali che devono possedere i titolari o i legali rappresentanti delle agenzie di viaggio da quelli previsti per il cosiddetto ‘direttore tecnico’ di agenzia di viaggio, che la legge regionale 23 luglio 2003, n. 13 prevede nel successivo art. 63, comma 1, perché così facendo individua figure professionali nuove che la legislazione statale di riferimento non contempla. La norma impugnata è manchevole nel riferirsi solo al d.lgs. n. 206/2007, senza richiamarsi anche all’Allegato 1 del d.lgs. n. 79/2011: alla Regione, secondo la giurisprudenza della Corte in materia di professioni, è fatto obbligo di «rispettare il principio secondo cui [continua ..]


4. La giurisprudenza costituzionale in tema di liberalizzazioni-rego­lazione: la qualificazione della materia

Così esposte le questioni su cui la Corte ha dovuto esprimersi, è ora opportuno collocarle nel più ampio filone giurisprudenziale riguardante la materia-funzione della tutela della concorrenza [11], all’interno del quale è gradualmente emersa l’attenzione per il binomio liberalizzazioni/regolazione. Una volta ricostruita la rilevanza che a queste due ultime categorie viene assegnata nell’in­terpretazione della materia trasversale della concorrenza diventa poi possibile evidenziare un’ulteriore e particolare categoria concettuale che tale giurisprudenza ha enucleato: quella della ‘ri-regolazione’. Proprio la prima delle due decisioni analizzate, la sent. n. 125, riporta la costante giurisprudenza costituzionale volta ad affermare una nozione di concorrenza che rispecchia quella operante in ambito comunitario e che si articola in due accezioni: essa da un lato comprende «gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione»; e dall’altro si fonda su «misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche». Fin dalla sent. n. 14/2004 è stata indicata l’interpretazione da dare alla nozione di concorrenza a seguito della revisione costituzionale del 2001: essa «comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza». Più in particolare «la tutela della concorrenza costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le [continua ..]


5. La giurisprudenza costituzionale in tema di liberalizzazioni/rego­lazione: la qualificazione delle competenze

L’aver posto, nel 2001, la materia della tutela della concorrenza nella disposizione della Carta fondamentale – l’art. 117 – che presiede al meccanismo di riparto delle competenze tra Stato e Regioni ha fatto sì che le questioni attinenti tale rilevante bene costituzionale sarebbero poi sorte proprio a seguito di contese tra livelli di governo in merito all’esercizio di una competenza che, stando alla lettera della norma, è riservata in via esclusiva allo Stato. E infatti proprio da una controversia di tale natura è scaturita la prima delle decisioni che ha affrontato la complessa problematica della possibilità delle Regioni di intervenire in via legislativa nel sistema dei rapporti economici. Tutte le impugnazioni che hanno condotto alla sent. n. 14/2004 hanno posto «sia pure senza evocarla espressamente, la questione cruciale del rapporto tra le politiche statali di sostegno del mercato e le competenze legislative delle Regioni nel nuovo Titolo V, p. II, della Costituzione». Il giudice costituzionale ha riformulato la questione in maniera tale da domandarsi «se lo Stato, nell’orientare la propria azione allo sviluppo economico, disponga ancora di strumenti di intervento diretto sul mercato, o se, al contrario, le sue funzioni in materia si esauriscano nel promuovere e assecondare l’attività delle autonomie»; ciò ha spinto la Corte a volgersi al tema più generale degli interventi pubblici qualificati nel diritto comunitario come aiuti di Stato, i quali coinvolgono i rapporti con l’Unione europea e incidono sulla concorrenza e la cui disciplina si articola “nell’attuale fase di integrazione sovranazionale, su due livelli: comunitario e statale” [28]. Il giudice delle leggi ha dunque prestato relativa considerazione alle argomentazioni delle Regioni, spostando immediatamente la riflessione dal piano delle modalità di distribuzione delle competenze a quello della cosiddetta «politica della concorrenza», che è stata individuata anzitutto come settore di intervento comunitario, e successivamente come specifico campo di intervento del diritto interno, dove innegabilmente si incrociano le competenze di più livelli di governo – Stato e Regioni – secondo criteri che la pronuncia stessa ha provveduto a definire. Con questa diversa prospettiva di lettura il giudice ha potuto [continua ..]


6. La razionalizzazione della regolazione

Il quadro fin qui tracciato permette ora di aprire una riflessione che da un lato si pone l’obiettivo di comprendere il significato e la portata della nozione della ‘ri-regolazione’, che nella logica della giurisprudenza della Corte costituzionale è stata assimilata al principio della liberalizzazione; e dall’altro si vuole interrogare sull’opportunità del coinvolgimento, o dell’esclusione, delle autonomie territoriali sul terreno della regolazione. Occorre qui, necessariamente, riprendere gli approdi ormai ampiamente consolidati della letteratura in tema di liberalizzazioni, di regolazione, di libertà economica e di tutela della concorrenza: questo è infatti il contesto di riferimento, sia che si parli di commercio sia che si parli di professioni, sia che si parli di altri ulteriori ambiti che, benché distinti dalla materia-funzione della tutela della concorrenza, finiscono per essere da questa attraversati e condizionati. Cosicché il ragionamento, se si muove nella prospettiva della creazione di mercati aperti e senza vincoli, è di natura unitaria e discende dall’art. 41 Cost., tanto con riguardo alla finalità delle liberalizzazioni, che attestano il manifestarsi della libertà di iniziativa economica; quanto con riferimento alla regolazione, che interviene laddove si voglia salvaguardare l’utilità sociale ed altri beni costituzionalmente rilevanti. È chiaramente impossibile dare conto, in questa sede, della consistente produzione scientifica che si è occupata della libertà di iniziativa economica, della sua valorizzazione attraverso le politiche europee e nazionali di liberalizzazione, della funzione pubblica della regolazione associata strettamente al processo delle liberalizzazioni, e infine dei fini sociali che impongono l’eser­cizio di tale funzione. Si procede a ricostruire i punti irrinunciabili di tale quadro concettuale, perché a partire da quelli pare possibile riflettere poi sulla categoria della ‘ri-regolazione’ e sulla possibilità che la funzione regolativa – o ri-regolativa – venga condivisa dallo Stato con le autonomie regionali. Partendo dalla nozione delle liberalizzazioni, di cui si è affermato che è “riassuntiva di fenomeni eterogenei” [42], essa si riferisce a quel complesso di azioni di ripristino nel settore [continua ..]


7. La regolazione tra Stato e autonomie

Le riflessioni finora svolte consentono di fissare un primo punto fermo del quadro interpretativo dal quale è possibile valutare la legittimità della regolazione di derivazione regionale [68]: se la competenza trasversale o materia-fun­zione della tutela della concorrenza, un tempo desunta dalla libertà di iniziativa economica [69] ma ora direttamente protetta dall’art. 117, comma 2, lett. e), incontra nei concetti generali dell’“utilità sociale” e dei “fini sociali” i presupposti legittimanti un intervento di regolazione da parte dei pubblici poteri, la funzione regolativa non è più in alcun modo contrapponibile all’obiettivo del perseguimento di quel contesto dove liberamente possono accedere e confrontarsi una pluralità di operatori economici, che si qualifica come ‘mercato’. La revisione costituzionale del 2001, che ha assegnato allo Stato la potestà esclusiva non in materia di concorrenza bensì di “tutela della concorrenza”, e­sige da esso interventi destinati a “una situazione di fatto da conservare (se c’è), o una situazione da promuovere o da instaurare (quando non c’è)” [70]. La regolazione amministrativa rappresenta una prerogativa che non può più essere intesa in senso conformativo, ma di tutela rivolta tanto alle imprese quanto ai consumatori [71] e destinata ad assicurare la complessiva efficienza del sistema e la corretta allocazione delle risorse, secondo il valore costituzionale dell’utilità sociale. Tutela della concorrenza e regolazione costituiscono pertanto un binomio non più scindibile, e quindi a seconda dell’assegnazione della competenza in tema di concorrenza, risulterà definita anche l’assegnazione dell’attribuzione in tema di regolazione. Ed esattamente questo della spettanza della competenza è un secondo punto da chiarire. La portata della tutela della concorrenza come clausola trasversale è quella di investire tutte le materie, anche quelle affidate alla potestà residuale delle Regioni: tenendo in considerazione la necessità di utilizzare regole non schematiche, tecniche e percorsi flessibili [72], la promozione della concorrenza va reputata un bene pubblico, dal cui perseguimento non è possibile escludere le molteplici [continua ..]


Conclusioni

Le considerazioni di chiusura vogliono ricomporre il quadro da cui si è partiti, rispetto al quale ci si è interrogati circa l’opportunità, da parte della giurisprudenza costituzionale, a insistere su una accentuata preclusione alle Regioni ad occuparsi di regolazione delle attività economiche dei rispettivi territori; e circa la collocazione della categoria della ‘ri-regolazione’ accanto a quelle già utilizzate della concorrenza e della regolazione. A prescindere dalle decisioni da cui sono scaturite queste osservazioni, che verosimilmente hanno riguardato situazioni nelle quali il legislatore regionale aveva effettivamente introdotto vincoli [84] che male si prestavano a promuovere logiche efficienti di mercato in alcuni particolari settori del commercio e dei servizi professionali, la ricomposizione dei vari interrogativi può essere così realizzata: nessuna liberalizzazione può oggi essere impostata in assenza di regole o anche solo con una logica volta a vedere nelle regole dei gravami, che quindi vanno minimizzati. La nozione di ‘ri-regolazione’ sembra aprire ormai a una fase matura del processo di liberalizzazione, in cui lo sforzo è quello di valutare efficienza ed efficacia delle regole, perché esse possano produrre al meglio gli effetti a cui sono preposte: effetti che nella maggior parte dei casi riguardano valori che il mercato non salvaguarderebbe adeguatamente, e che invece devono essere garantiti proprio allorché si vuole che il sistema economico si ispiri alla logica della libera concorrenza. La nozione di ‘ri-regolazione’ appare volta a coniugare in maniera collaborativa il versante della liberalizzazione con quello della formulazione delle regole, affinché la promozione del mercato avvenga all’unisono con la promozione di molteplici e diversi valori costituzionali, siano essi di natura sociale o economica. Tale ‘ri-regolazione’ rende però ancora più arduo lo sforzo di concepire in maniera coordinata l’intervento dei vari livelli istituzionali nel settore ampio ed articolato della concorrenza. Se il primo approccio regolatore si è avviato all’insegna della centralizzazione delle competenze, la sfida affinché l’approc­cio ‘ri-regolatore’, volto ad individuare ed eliminare regole poco efficienti, non spodesti ulteriormente le [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2015