Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Dalla tutela informativa alla product governance: nuove strategie regolatorie dei rapporti tra clientela e intermediari finanziari (di Antonella Sciarrone Alibrandi)


  

SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6.


1.

Le strategie di regolazione a tutela della clientela degli intermediari finanziari stanno vivendo a livello europeo, anche in ragione della recente crisi che ha scosso equilibri normativi assestati nel tempo, un’interessante fase di cambiamento e di introduzione di nuovi orientamenti. In particolare, alcuni recenti regolamenti e direttive esprimono un mutato approccio del legislatore europeo, che, andando ben oltre il paradigma della mera trasparenza, è volto a stabilire una stretta interdipendenza tra normativa a tutela della clientela e sana e prudente gestione dell’attività con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza diffusa in seno all’impresa dei rischi cui l’attività è esposta e la capacità di gestire e prevenire tali rischi, affinché i clienti continuino ad avere fiducia nell’attività bancaria, finanziaria e assicurativa percependola come idonea a soddisfare effettivamente i loro bisogni ed esigenze. Mentre infatti, in una prima stagione, si era fiduciosi nella efficacia di regole volte a superare l’opacità derivante dalle asimmetrie sussistenti fra intermediari e clientela attraverso l’imposizione di dettagliati e minuziosi obblighi informativi, oggi – all’esito di una forte mancanza di fiducia negli intermediari, nonché di indagini condotte da studiosi di behavioural economics che hanno messo fortemente in discussione l’idea del cliente come soggetto razionale – si è assai più scettici sull’effettiva utilità, al fine del superamento delle asimmetrie, di una più intensa circolazione di informazioni. La preferenza va invece a regole di taglio diverso, volte a introdurre vincoli diretti ad assicurare una maggiore corrispondenza fra i prodotti offerti alla clientela e le reali esigenze di que­st’ultima e, più in generale, un adeguato equilibrio tra le posizioni contrattuali delle parti. Non può certo dirsi che questo tipo di approccio rappresenti nel panorama europeo una totale novità. Sin dagli anni Novanta, infatti, accanto a discipline settoriali di trasparenza in senso stretto (come, ad esempio, quella sul credito al consumo) la prospettiva del riequilibrio è stata seguita sia pure nell’ambito di interventi non specificamente rivolti al settore bancario-finan­ziario ma di tratto generale (relativi cioè a [continua ..]


2.

Vi è poi un altro tratto della normativa di trasparenza, presente sin dalle sue origini, che ne costituisce una evidente ragione di crisi: la sua frammentazione in numerose serie disciplinari oggi coesistenti in Europa (fra loro abbastanza disomogenee per estensione ma anche per intensità di intervento regolamentare) e, per effetto della trasposizione, anche nel nostro ordinamento che pure è uno dei pochi ad essere dotato di alcune regole di trasparenza generale per i contratti bancari. Da questa stratificazione di normative «trasversali», sono emersi nel tempo seri interrogativi sia sui precisi contorni delle varie fattispecie che ne costituiscono l’oggetto, sia, e ancor prima, sull’opportunità di fondo di una frammentazione talmente elevata da ridurre le norme di trasparenza generale ad una sorta di disciplina residuale. È bene peraltro precisare che il tema ha una rilevanza forte, nel senso che il riferimento all’una o all’altra disciplina di trasparenza non significa solo rendere applicabili le specifiche norme in esso contenute (ad es. in punto di forma e contenuto dei contratti, piuttosto che di ius variandi oppure di comunicazioni periodiche) ma porta con sé anche altre e importanti conseguenze. In primo luogo quella dell’attribuzione di competenze in ordine alla vigilanza sul rapporto intermediario/cliente ad una piuttosto che altra autorità di settore; e ancora la possibilità per il cliente di rivolgersi ad uno piuttosto che ad altro organismo di ADR (alternative dispute resolution) al fine di risolvere in via stragiudiziale una controversia insorta con l’intermediario. Sotto questo profilo, preferibile sembrerebbe, invece, un approccio regolatorio basato sul binomio disciplina generale/discipline speciali, nel senso di un affiancamento di alcune regole di trasparenza «speciali» – costruite in funzione della natura di particolari tipologie di attività e dei relativi contratti (finanziamenti, servizi di pagamento, servizi di investimento e altro) – a un plesso di regole di trasparenza davvero «generale»: nel senso cioè di regole applicabili a tutti contratti posti in essere dalle banche/altri intermediari nell’esercizio delle varie attività d’impresa, purché di natura finanziaria, a condizione che non ricadano sotto discipline dotate di maggior [continua ..]


3.

Sempre con riguardo alla pluralità di normative di trasparenza esistenti, va peraltro segnalato come, a livello europeo, si stia vivendo una stagione per certi versi contraddittoria. Da un lato, si continua, infatti, ad assistere all’in­cessante produzione di testi normativi (direttive e regolamenti) volti a regolare, nella prospettiva della tutela del cliente, specifiche – e spesso parecchio circoscritte – aree del settore finanziario, come pure si è assistito all’edificarsi di una nuova architettura istituzionale fondata sulla presenza di tre ESAs (EBA, ESMA, EIOPA) in ossequio alla tradizionale tripartizione del settore finanziario nei comparti bancario, mobiliare e assicurativo. D’altro canto, però, sempre in Europa si è cominciato ad avvertire l’esigenza di un approccio più trasversale alla tutela del cliente che vada oltre la presenza di una pluralità di normative come pure di una pluralità di autorità. Da quest’angolo visuale, due sono gli aspetti che si è presentano di particolare interesse: uno più strettamente connesso a scelte compiute a livello di produzione normativa primaria; l’altro riguardante invece il ruolo delle ESAs e la valorizzazione di un organismo di raccordo fra le medesime, denominato Joint Committee. Sotto il primo profilo, il riferimento va al recente Regolamento europeo n. 1286/2014 concernente i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi pre­assemblati (Packaged Retail and Insurance-based Investment Products – PRIIPs), guardati per la prima volta in maniera trasversale – a prescindere cioè dalla specifica forma giuridica assunta (polizza assicurativa, deposito strutturato, derivato) – allo scopo di introdurre a livello dell’Unione norme uniformi in materia di trasparenza, per rafforzare la protezione della clientela retail innalzando la comparabilità di questi prodotti attraverso la redazione del Key Investment Product (KID). La ratio di tale assetto normativo è da rintracciare principalmente nella volontà di superare la disomogeneità oggi esistente tra le normative dei diversi Paesi dell’Unione europea e fornire alcune informazioni chiave di immediata comprensibilità per la clientela retail, necessarie per confrontare i [continua ..]


4.

Merita ora soffermarsi in particolare sulla product governance perché, come si è accennato in esordio a queste riflessioni, essa un mutato approccio del legislatore europeo, divenuto maggiormente consapevole del fatto che condotte scorrette degli intermediari nei confronti dei propri clienti – come l’in­serimento di clausole vessatorie o non trasparenti all’interno di contratti piuttosto che l’offerta di prodotti manifestamente inadeguati rispetto ai bisogni e alle aspettative dei clienti medesimi – non solo comportano un danno significativo per questi ultimi sul piano della diretta relazione con l’intermediario (retail conduct failure), ma possono anche minare la fiducia nel mercato, nonché mettere a repentaglio la stabilità e l’integrità del sistema finanziario (market conduct failure). Di conseguenza, questioni relative al comportamento tenuto da intermediari finanziari verso i clienti hanno cominciato ad essere prese in considerazione dai regulator internazionali non solo nell’ottica della protezione della clientela, ma anche in una prospettiva prudenziale e in relazione alle finalità di vigilanza concretantisi nel perseguimento della fiducia verso il mercato, nella stabilità finanziaria e nell’integrità del sistema a livello sia nazionale che europeo. Esattamente in questa linea si spiega il fatto che – accanto a un incessante processo di elaborazione di normative di tutela del cliente nel segno di una maggiore trasparenza e correttezza sostanziale (risultano ormai regolati, a livello europeo, praticamente tutti i settori dell’attività bancaria: dal credito ai consumatori ai mutui immobiliari, dai servizi di pagamento ai conti correnti; e ugualmente regolati sono il settore dei servizi di investimento e quello assicurativo) – si stia verificando una crescita di interesse anche per il processo di “produzione” e di “distribuzione” dei contratti bancari-finanziari-assicurativi allo scopo di pervenire ad una limitazione del c.d. conduct risk. Più precisamente, si assiste ad un sempre più deciso superamento della tutela basata sull’informazione, in favore di una Product Oversight and Governance (POG) che mira ad assicurare l’adeguatezza del prodotto bancario-finanziario-assicurativo rispetto alle [continua ..]


5.

La scelta di fondo compiuta dall’EBA sotto il profilo soggettivo è quella di limitare l’ambito di riferimento delle Guidelines al solo cliente consumatore (definito, in linea con il quadro europeo, alla stregua di “natural person, who is acting for purposes which are outside his trade, business or profession”) e di lasciar valutare alle Autorità nazionali competenti se estendere la medesima protezione a soggetti ulteriori, quali le microimprese e le piccole e medie imprese. Le ragioni di tale impostazione risultano per certi versi comprensibili poiché le Guidelines si applicano ai produttori e ai distributori di prodotti offerti e venduti ai consumatori e specificano i dispositivi di governance e di controllo sui prodotti in relazione a: – l’art. 74, par. 1, della direttiva 2013/36/UE (la “direttiva sui requisiti patrimoniali IV (CRD IV)”), l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2007/64/CE (la “direttiva sui servizi di pagamento (PSD)”) e l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2009/110/CE (la “direttiva sulla moneta elettronica (EMD)”) in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva PSD; e – l’art. 7, par. 1, della direttiva 2014/17/UE (la “direttiva sui contratti di credito ai consumatori relativi a immobili residenziali, o direttiva sul credito ipotecario (MCD)”). direttiva, quest’ultima, che introduce l’idea che pure in relazione ad alcuni prodotti di credito sia richiesto all’intermediario non solo di informare esaurientemente il cliente ma anche di vagliare a monte la “compatibilità” dei prodotti offerti rispetto al profilo del medesimo. Va segnalato, tuttavia, che la (eventuale) mancata scelta rimessa dall’EBA alle Autorità nazionali competenti di estendere l’ambito di applicazione soggettivo anche a soggetti diversi dai consumatori potrebbe essere un vulnus per il nuovo approccio. In tale eventualità, verrebbe infatti a crearsi una differenza piuttosto significativa rispetto all’ambito di riferimento delle norme in tema di product oversight and governance della MIFID II che è costruito sulla distinta (e ben più ampia) nozione di cliente retail (posta alla base anche di [continua ..]


6.