Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La tutela del consumatore-utente tra Autorità Antitrust e Autorità di regolazione (di Beatrice Rabai)


This paper aims to propose some reflections about consumer protection, with particular references to the role assigned by the legislator respectively with the antitrust authority and the regulatory authorities. In particular, after examining the European legislation, in order to provide an essential framework to the reader, it will analyze the national legislation, inquiring about emerging issues, including different ways to avoid the conflict of competence among the independent administrative authorities.

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SOMMARIO:

1. La derivazione europea della protezione dei diritti dei consumatori e la tutela dell'utente. Considerazioni introduttive - 2. Le competenze attribuite alle Autorità di settore a tutela del­l'utente: l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico (Aeegsi) e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) - 3. Le competenze attribuite alla Autorità Antitrust e la tutela del consumatore - 4. Prima fase. Il Consiglio di Stato pone un limite alla trasversalità delle competenze dell'Agcm applicando il principio della 'specialità tra settori' - 5. Seconda fase. Il TAR Lazio sancisce il rapporto di 'complementarietà' tra disciplina settoriale e disciplina di cui al codice del consumo - 6. Terza fase. L'Adunanza Plenaria afferma il principio di 'specialità per norme' - 7. Quarta fase. Il legislatore interviene per cercare di risolvere l'impasse generata dall'Adunanza Plenaria - 8. Quinta (e forse non ultima) fase. Il revirement dell'Adunanza Plenaria e l'introduzione dei principio di 'assorbimento o consunzione'. Riflessioni conclusive - NOTE


1. La derivazione europea della protezione dei diritti dei consumatori e la tutela dell'utente. Considerazioni introduttive

Solo in tempi relativamente recenti il legislatore italiano ha dedicato una specifica attenzione al tema della protezione del consumatore e dell’utente di servizi pubblici a carattere imprenditoriale. Fino a qualche decennio fa, infatti, il nostro ordinamento giuridico era caratterizzato da un vero e proprio «deserto normativo» [1] in materia. Una forte spinta verso l’emersione di una disciplina consumeristica è provenuta dal legislatore europeo, il quale, a partire dagli anni Settanta del Secolo scorso, ha cominciato a muovere i primi passi verso la costruzione di un castello programmatico di riforme, volte specificamente alla promozione degli interessi dei cittadini-consumatori, soggetti consapevoli e razionali in grado di collaborare al corretto funzionamento del mercato, ma svantaggiati da asimmetrie informative idonee a limitarne la libertà di scelta [2]. Nell’obiettivo di integrazione del mercato unico, la politica europea in materia si è nel corso degli anni tradotta in una serie di interventi capillari a tutela di detta categoria di soggetti – relativamente ai profili risarcitori, contrattuali ed informativi intercorrenti tra questi ultimi e gli operatori economici – contribuendo alla introduzione, nel contesto nazionale, di un vero e proprio “diritto dei consumatori”, disciplina oggi interamente contenuta nel codice del consumo che – come si vedrà nel prosieguo – affianca agli strumenti privatistici di tutela contrattuale anche mezzi di tutela di natura pubblicistica [3]. Occorre, al contempo, rilevare che il periodo a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del Novecento si caratterizza, altresì, per il progressivo abbandono di un modello di “Stato imprenditore” – il quale prevede (e aveva previsto fino a quel momento, in particolare in Italia) una forte e diretta “presenza pubblica” in svariati settori dell’economia – e l’affermarsi del c.d. “Stato regolatore”, che prospetta il graduale ritiro dello Stato dai mercati e l’istituzione di organismi ad hoc, cui affidare la “cura” di specifici settori, ovvero assegnare rilevanti poteri di enforcement, tesi a contrastare lo sviluppo di fenomeni anticoncorrenziali costituenti i cosiddetti “fallimenti del mercato” [4]. È in tale [continua ..]


2. Le competenze attribuite alle Autorità di settore a tutela del­l'utente: l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico (Aeegsi) e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom)

Del resto, è proprio la natura imperfetta, sotto il profilo concorrenziale, dei succitati settori – nei quali la presenza dell’ex monopolista rende sostanzialmente impossibile un effettivo confronto concorrenziale fra diversi operatori economici – ad imporre la messa a punto di un apparato di strumenti volti a tutelare quei soggetti, fruitori di servizi, i quali, a cagione della “debolezza eco­nomica” che li caratterizza e delle asimmetrie informative che si rinvengono nel rapporto che i medesimi instaurano con gli operatori economici, abbisognano dell’intervento regolatore dell’Autorità, funzionale a ristabilire un contraddittorio paritario tra le parti [10]. Prendendo in esame, due fra i più rilevanti, i settori dell’energia elettrica e del gas e quello delle telecomunicazioni, occorre osservare che le principali misure regolative adottate al fine di proteggere gli interessi di detti soggetti sono da rinvenirsi in quelle volte ad imporre agli operatori obblighi di trasparenza (concernenti le condizioni di erogazione del servizio e i costi dello stesso, le modalità di scioglimento dal vincolo contrattuale, ecc.), la fissazione di standard qualitativi, la definizione di tariffe nonché, infine, il potere di intervenire in via autoritativa sulla libertà contrattuale degli operatori, operando un controllo sulle condizioni generali del contratto di somministrazione da essi predisposte [11]. In particolare, con precipuo riferimento a tale ultima ipotesi, la legge affida alle Autorità di settore il potere di integrare in via diretta il contenuto della carta dei servizi adottata da ogni operatore, consentendo in via indiretta l’elimina­zione – da parte delle Autorità medesime – di clausole del contratto di utenza ritenute lesive del diritto dell’utente, mediante un’operazione di c.d. eterointegrazione del contratto [12]. Ciascuna Autorità, come si è accennato poc’anzi, è inoltre chiamata sia ad emanare direttive aventi ad oggetto l’erogazione dei servizi, al fine di definire i livelli di qualità da garantire all’utente [13] – prevedendo, peraltro, un sistema di valutazione di reclami, istanze e segnalazioni presentati da utenti, singoli o associati, in ordine al rispetto degli standards imposti ai soggetti esercenti – sia a [continua ..]


3. Le competenze attribuite alla Autorità Antitrust e la tutela del consumatore

All’interno del quadro fino ad ora descritto si inserisce la direttiva 2005/29/CE, concernente «unfair business-to-consumer commercial practices in the internal market», diretta ad uniformare, mediante una armonizzazione piena, le legislazioni nazionali degli Stati membri poste a protezione dei consumatori, con particolare riferimento alle politiche commerciali realizzate dalle imprese, caratterizzate da differenze notevoli «which can generate appreciable distorsions of competition and obstacles to the smooth functioning of the internal market» [21], al fine di soddisfare la necessità che «consumers and business will be able to rely on a single regulatory framework based on clearly defined legal concepts regulating all aspects of unfair commercial practices across the European Union» [22]. Con l’intervento in parola, il legislatore europeo ha inteso chiarire diritti e obblighi che le parti sono tenute a rispettare «before, during and after a commercial transaction in relation to a product» [23], dettando a tal fine un articolato complesso di regole a tutela del consumatore c.d. “medio”– cioè «reasonably well-informed and reasonably observant and circumspect, taking into account social, cultural and linguistic factors, as interpreted by the Court of Justice» [24]– idonee a far sì che l’operatore economico professionale mantenga un comportamento conforme a correttezza e trasparenza in tutti i segmenti relativi ad un’operazione commerciale (fase di promozione e vendita di fornitura di beni o servizi ai consumatori) [25]. Al riguardo, è stato osservato come la normativa in parola, diversamente dalle precedenti discipline, sposti il baricentro di attenzione del diritto dei consumatori «dall’atto e dalla struttura del contratto, ovvero dal profilo statico, all’attività e al profilo funzionale del comportamento, ovvero al profilo dinamico e, di conseguenza, all’operazione economica, come tale valutabile solo in concreto, ribaltando la prospettiva [continua ..]


4. Prima fase. Il Consiglio di Stato pone un limite alla trasversalità delle competenze dell'Agcm applicando il principio della 'specialità tra settori'

Nel 2008 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha formulato un quesito alla Sezione prima del Consiglio di Stato [34], concernente la verifica dell’ambito di applicazione della disciplina generale del Codice del Consumo e, di conseguenza, della competenza dell’Autorità Agcm ad accertare la scorrettezza delle condotte degli operatori del settore ad irrogare le relative sanzioni, laddove vengano in rilievo pratiche commerciali scorrette poste in essere dai professionisti che operano nei servizi finanziari, soggetti alla regolazione della Consob [35]. In assenza di limiti “estrinseci” dettati a livello ordinamentale ed idonei a risolvere alla radice il problema delle possibili interferenze tra differenti Autorità, il Consiglio di Stato ha tentato di elaborare una soluzione ricorrendo al principio di specialità di cui al comma terzo dell’art 19 del codice del consumo [36], modellato (apparentemente) su concetti espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza penale in materia di concorso ideale di norme [37]. A giudizio del Consiglio di Stato, non essendo possibile irrogare, per la medesima condotta e sotto il medesimo profilo, «due sanzioni aventi medesima natura (pecuniaria), l’una comminata dall’organo con competenza speciale di settore (la CONSOB) e l’altra dall’organo con competenza generale (l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato)», pena la violazione del ne bis in idem (formale), è necessario procedere ad una comparazione non tanto tra le singole fattispecie di illecito previste dalla normativa generale (il che comporterebbe l’applicazione di un principio di specialità per norme), bensì tra «settori sui cui tale intervento correttivo o sanzionatorio va ad essere dispiegato», privilegiando una valutazione che si basi, più che sul riferimento soggettivo (che guardi, cioè, al tipo di operatore o di soggetto tutelato), sull’oggetto del­l’intervento e sull’interesse generale perseguito [38]. Così, in considerazione del fatto che i due “ordinamenti di settore”, secondo la tesi dei giudici, paiono perseguire il medesimo interesse generale (e cioè la tutela del contraente c.d. debole), se pur con caratteristiche diverse, la naturale conclusione deve essere quella [continua ..]


5. Seconda fase. Il TAR Lazio sancisce il rapporto di 'complementarietà' tra disciplina settoriale e disciplina di cui al codice del consumo

All’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato si contrappone parallelamente un diverso ragionamento del Tar Lazio, chiamato a pronunciarsi su un caso riguardante una pratica commerciale scorretta interessante il settore delle telecomunicazioni [42]. In tale contesto, l’impianto argomentativo del giudice di prime cure si sviluppa attraverso un’analisi dei rapporti tra Autorità Antitrust e Autorità di regolazione, ricostruiti in termini di complementarietà. Dopo aver rilevato la diversa mission istituzionale delle due autorità, per cui l’Agcm esplica le funzioni generali proprie di vigilanza e tutela della concorrenza nei mercati e di protezione dei consumatori, mentre l’Agcom svolge poteri di regolazione e vigilanza nello specifico settore delle comunicazioni elettroniche, la sentenza giunge a ritenere che gli eventuali atti di regolazione emanati dall’Agcom, quand’anche «finalizzati ad una protezione dei consumatori e degli utenti in materia di contratti e ad una specificazione settoriale degli obblighi informativi e delle procedure per la conclusione di contratti a distanza», non possano implicare l’attribuzione di una competenza esclusiva all’Au­torità di settore, con riferimento all’accertamento e repressione delle pratiche commerciali scorrette, perché in tal modo si verrebbe a sottrarre tale funzione all’Autorità Antitrust, cui è precipuamente affidata la tutela dei consumatori. E, difatti, come affermato in altra pronuncia, «l’Autorità di settore delinea ex ante il quadro degli obblighi specificamente gravanti sugli operatori vigilati, ma non possiede alcuna competenza in ordine alla definizione del modello di professionista diligente ricavabile dal Codice del Consumo, ed applicato di volta in volta, nelle fattispecie concrete, dall’Autorità Antitrust» [43]. Il rapporto tra le due Autorità è dunque da intendersi nel senso della parallela coesistenza, in virtù della quale la disciplina di protezione relativa alle pratiche commerciali scorrette si aggiunge agli ordinari strumenti di tutela contrattuale (attivabile dai singoli), e agli altri connessi a specifiche discipline in settori oggetto di precipua regolazione, di guisa che queste ultime, in ragione della diversità degli interessi pubblici [continua ..]


6. Terza fase. L'Adunanza Plenaria afferma il principio di 'specialità per norme'

In questo clima di fervore e di incertezza si colloca l’intervento, nel 2012, dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale si è pronunciata, in via giurisdizionale, sulla applicabilità della disciplina delle pratiche commerciali scorrette con riferimento ai settori delle telecomunicazioni e del credito, intervenendo, conseguentemente, sulla questione dei rapporti tra Agcm ed Autorità di settore [50]. In particolare, nelle ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato critica l’applicazione non rigorosa, nel parere del 2008, del principio di specialità, in quanto riferito ai settori normativi complessivamente considerati e non alle singole fattispecie di illecito, condividendo, tuttavia, la necessità di un approccio caso per caso, «attento alla effettiva contestazione mossa, allorché la disciplina di settore si limiti a regolare soltanto alcuni specifici aspetti dell’attività circa la quale vi è bisogno di intervento» [51], coerente con il principio di specialità espresso nell’art. 19, comma 3, del codice del consumo. Del resto, ad avviso del giudice remittente, le esigenze sottese alla disciplina europea risponderebbero ad una duplice esigenza, ovvero quella di evitare la configurazione di un ne bis in idem (sostanziale) e quella di circoscrivere il carattere residuale della disciplina generale alle sole ipotesi in cui «le regolamentazioni di settore prevedano fattispecie corrispondenti a quelle delineate dalla disciplina generale, ancorché rispetto a queste speciali (per specificazione o per aggiunta)», delimitando così il possibile verificarsi di “vuoti di tutela” pregiudizievoli per il consumatore [52]. Al contrario, l’applicazione di un criterio di specialità “per settori” reca con sé il rischio di ritenere aprioristicamente speciale l’intera disciplina di settore, con conseguente esclusione di qualsiasi margine di operatività della disciplina generale dettata a tutela del consumatore nonostante, in ipotesi, solo nelle fattispecie sanzionatorie da quest’ultima delineate (e non in quelle contemplate dalla regolamentazione di settore) sia riconducibile la condotta che in concreto si intende contestare all’operatore. In sede di Adunanza Plenaria il Consiglio di Stato, utilizzando i criteri [continua ..]


7. Quarta fase. Il legislatore interviene per cercare di risolvere l'impasse generata dall'Adunanza Plenaria

In seguito alle pronunce dell’Adunanza Plenaria, e al fine di scongiurare il rischio, per nulla peregrino, del concretarsi di un vuoto di tutela, ovvero del configurarsi di un conflitto permanente di competenza tra Autorità c.d. trasversale e Autorità settoriali, il legislatore nazionale è intervenuto in materia, introducendo l’art. 23, comma 12-quinquesdecies, d.l. n. 95/2012, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, volto a riaffermare il ruolo dell’Agcm. In particolare la disposizione in parola, nel prevedere l’innalzamento dell’importo massimo delle sanzioni per le ipotesi di pratiche commerciali scorrette, ha cura di precisare che la competenza ad accertare e sanzionare le pratiche commerciali scorrette permane in capo all’Autorità garante della concorrenza, escluso unicamente «il caso in cui le stesse siano poste in essere in settori in cui esista una regolamentazione di derivazione europea, con finalità di tutela del consumatore, affidata ad altra autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati». In tale sede il legislatore, lasciato in disparte qualsiasi tentativo di risolvere i contrasti creatisi circa la disciplina da applicare (generale o speciale), si è limitato ad escludere la competenza dell’Autorità Antitrust in presenza di una regolamentazione specifica, non risolvendo, di fatto, il succitato rischio di vuoti di tutela [58]. È in questo quadro che ha fatto il suo ingresso la Commissione europea, la quale, con lettera di messa in mora del 18 ottobre 2013, ha dato avvio ad una procedura di infrazione per scorretta attuazione delle direttive 2005/29/CE e 2002/22/CE, sull’argomento per cui la mera esistenza di una normativa settoriale non valga ad escludere la normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette. Nell’intento di porre fine alla procedura d’infrazione in parola, il Governo, in occasione del recepimento della direttiva 2011/83/CE, ha provveduto ad abrogare il comma 12-quinquesdecies, dell’art. 23, d.l. n. 95/2012, sostituendolo con la disposizione di cui al nuovo comma 1-bis dell’art. 27, cod. cons., ai sensi del quale «anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una [continua ..]


8. Quinta (e forse non ultima) fase. Il revirement dell'Adunanza Plenaria e l'introduzione dei principio di 'assorbimento o consunzione'. Riflessioni conclusive

Il dibattito in materia non si è sopito nemmeno a seguito della predetta novella legislativa. A poco più di tre anni di distanza, il Supremo consesso è stato nuovamente chiamato a fare chiarezza su i delicati rapporti di delimitazione degli ambiti di competenza delle diverse Autorità (Antitrust e di regolazione), nel tentativo di dirimere (definitivamente) i dubbi interpretativi riguardanti la materia delle pratiche commerciali scorrette (e il rapporto tra la medesima e i settori “regolati”). In particolare, con le ordinanze del 18 settembre 2015, nn. 4351 e 4352, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza Plenaria (con l’intenzione, pare, di fornire l’assist per un rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia) l’interpretazione da riconoscere all’art. 27, comma 1-bis, del Codice del consumo, il quale, a dispetto della presunta limpidezza del dato letterale, risulterebbe foriero di rilevanti criticità applicative e di coerenza con la normativa europea. In particolare, le ordinanze succitate sottopongono al vaglio della Plenaria due tesi. La prima, basata su una lettura meramente testuale del succitato art. 27, comma 1-bis, è volta a sostenere l’attribuzione all’Agcm, in via generale ed esclusiva, della competenza ad intervenire in materia di pratiche commerciali scorrette, anche nei settori regolati (e dunque anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea), a detrimento della competenza delle Autorità di regolazione  [59]. La seconda interpretazione, ritenuta dal giudice rimettente maggiormente aderente alle indicazioni fornite, nel 2012, dall’Adunanza plenaria e rispettosa del principio di specialità delineato dal legislatore europeo (cfr. considerando n. 10 e art. 3, comma 4, direttiva 2005/29/CE), afferma, di converso, che la disciplina generale del codice del consumo deve essere applicata in via esclusiva da parte di Agcm, anche nei settori regolati, solamente nei casi in cui la normativa settoriale non abbia previsto «ex ante-in modo completo ed esaustivo-la regola comportamentale applicabile, individuando nell’autorità di Regolazione il soggetto competente a sanzionare la violazione delle disposizioni». In tale ipotesi, di conseguenza, «la lacuna di tutela troverebbe [continua ..]


NOTE