Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il mercato come oggetto della regolazione (di Bruno Tonoletti)


The legal studies concerning regulation are still mostly divided along the traditional line running between private and public law. The present essay, on the contrary, points out the benefits of keeping a unitary approach to regulation, which can usefully make use of both private and public law principles, but always finds its focal point in the problematic relationship it maintains with the market. Taking the cue from two sectors that currently appear to be particularly critical, such as financial markets and online services, the essay proposes to shed light on the very different shapes that the market can assume depending upon the elements of reality that are considered relevant with respect to regulation, suggesting to discern, in the legal analysis, between the market as outlined in theoretical models and the real dynamics of markets that are effectively existing. It is indeed impossible to fully understand regulation without a realistic and non-biased image of the market that constitutes its subject.

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SOMMARIO:

1. Il mercato come oggetto problematico della regolazione e l’indeterminatezza di campo dell’analisi giuridica - 2. La natura proteiforme del mercato e la concorrenza a significato variabile sulla Rete. Il caso Google. - 2.1. La competition on the merits, l'innovazione e le scelte dei consumatori. La DG Competition a Mountain View - 2.2. Un mercato infinitamente elastico, senza estensione, senza struttura e senza tempo - 2.3. Un super-mercato feudale di tipo winner-take-all dominato dalle strategie di conquista delle imprese - 3. Il mercato finanziario tra efficienza allocativa e distruzione creativa - 3.1. Da Wall Street a Piazza Affari, il mercato non si ferma … finché c'è liquidità - 3.2. Un mercato di rilevanza macroeconomica (de)regolamentato in una logica microeconomica - 3.3. Global players, concorrenza e rischio, standardizzazione, aspettative e telematica: one way market boom and bust - 4. L'immagine del mercato nella regolazione e la regolazione come oggetto di apprendimento da parte del mercato - NOTE


1. Il mercato come oggetto problematico della regolazione e l’indeterminatezza di campo dell’analisi giuridica

L’analisi giuridica della regolazione è un campo di ricerca interessante perché si trova a cavallo tra diritto pubblico e diritto privato [1]. La regolazione può essere attuata con tipici strumenti autoritativi di diritto pubblico, ma anche ricorrendo a istituti tradizionali del diritto privato, come la proprietà, il contratto e la responsabilità [2]. Il ricorso a strumenti che si trovano sull’uno o sull’altro dei due grandi versanti dell’esperienza giuridica è spesso presentato come una scelta dettata da criteri di opportunità scientificamente valutabili, ad esempio attraverso l’analisi costi-benefici o altri ragionamenti di analisi economica del diritto [3]. Lo stesso è a dirsi per il ricorso a strumenti diversi all’interno dello stesso versante. Così, ad esempio, viene presentata come una scelta possibile e razionalmente valutabile quella tra property rules e liability rules all’interno della regolazione attuata con istituti di diritto privato [4]. Analogamente, per la regolazione attuata con strumenti di diritto pubblico, spesso viene posta l’alternativa tra il ricorso a tecniche di command and control oppure a regole incentivanti [5]. In ogni caso, l’osservatore di questi e altri dibattiti percepisce acutamente il senso di una indistinzione dell’ambito giuridico coperto dalla riflessione sulla regolazione [6]. Una tale indistinzione trova la propria ragion d’essere se si considera la regolazione come “problema”: suscettibile di presentarsi sotto svariate forme in settori differenti, ma unificato dal suo oggetto, il mercato. Nella cultura anglosassone è presente l’idea che possa essere considerato regulation qualsiasi vincolo giuridico che interferisca con la libertà degli operatori di mercato [7]. Non sono né la forma né la modalità né il contenuto della regulation a definire la categoria, ma l’oggetto a cui si rivolge, perché la relazione tra il vincolo giuridico e l’autodeterminazione dei soggetti che operano in un mercato è considerata problematica di per sé [8]. Proprio perché qualsiasi vincolo imposto agli operatori di mercato è considerato in via di principio problematico rispetto alla logica del mercato, una regolazione [continua ..]


2. La natura proteiforme del mercato e la concorrenza a significato variabile sulla Rete. Il caso Google.

God becomes man becomes fish becomes barnacle goose becomes featherbed mountain [12].


2.1. La competition on the merits, l'innovazione e le scelte dei consumatori. La DG Competition a Mountain View

Il Commissario europeo alla concorrenza Almunia, rendendo noto il suo orientamento favorevole all’accoglimento degli impegni presentati da Google nell’indagine per abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca, ha sottolineato che «lo scopo dell’enforcement antitrust deve essere di permettere ai consumatori di beneficiare di una competizione sui meriti il più velocemente possibile» e che le sue preoccupazioni nella difficile trattativa con Google sono state di «fare in modo che i servizi di ricerca verticali concorrenti possano competere a armi pari con Google, cosa che attualmente non avviene a causa di una scorretta diversione del traffico internet» [13]. Il Commissario si riferisce qui al principale rilievo mosso al noto motore di ricerca, accusato di alterare i risultati naturali delle ricerche orizzontali degli utenti, mettendo sempre in evidenza e al primo posto i link ai propri servizi verticali, e relegando in posizioni deteriori i servizi verticali dei concorrenti. In questo modo, anche se un servizio di ricerca verticale rivale fosse quello preferito dagli utenti in tutto il mondo, in prima posizione verrebbero visualizzati non i suoi risultati, ma quelli del corrispondente servizio di Google. Grazie questa alterazione del ranking nelle ricerche orizzontali, ovviamente, la realtà finisce in poco tempo per confermare l’illusione: i risultati che si piazzano al primo posto delle ricerche orizzontali vengono invariabilmente cliccati, mentre quelli nelle posizioni deteriori lo sono molto meno o quasi per nulla, per modo che il ranking dei servizi specializzati di Google cresce velocemente e quello dei servizi rivali decresce altrettanto rapidamente, finché in tutti i servizi di ricerca specializzati più importanti i servizi di Google finiscono per apparire come quelli più cliccati dagli utenti [14]. La proposta fatta da Google, di presentare, in maniera comparabilmente attrattiva per gli utenti, almeno tre servizi concorrenti, secondo Almunia risponderebbe alle preoccupazioni della Commissione, perché «questo darà agli utenti una reale possibilità di scelta tra diverse opzioni. Spetterà quindi agli utenti – e solo a loro – scegliere quella che preferiscono. In questo modo, sia Google sia i suoi rivali saranno in grado di e incoraggiati a innovare e migliorare le loro [continua ..]


2.2. Un mercato infinitamente elastico, senza estensione, senza struttura e senza tempo

Non interessa in questa sede discutere il merito dei contrapposti punti di vista sul caso in esame, ma cercare di mettere a fuoco l’immagine del mercato che si riflette nella posizione adottata dal Commissario Almunia. A tal fine, occorre anzitutto esaminare il modo con cui la Commissione ha costruito il caso e orientato gli impegni di Google, spostando sensibilmente il fuoco dell’analisi rispetto alle denunce che erano state presentate dai concorrenti. Questi, operatori in diversi ambiti nei settori delle ricerche specializzate di prodotti e servizi sul web (c.d. motori di ricerca verticali), lamentavano che Google, manipolando nel modo sopra detto i risultati del suo motore di ricerca, si sia garantito l’assoluta predominanza nella raccolta pubblicitaria sul web, che avviene attraverso i click degli utenti sui prodotti segnalati nei siti dei motori di ricerca verticale. Secondo i concorrenti, con questa pratica Google «avrebbe costruito un immenso effetto di leveraging estendendo la propria posizione dominante nel search su una serie spaventosa di mercati adiacenti», servendosi per di più dei contenuti prelevati senza permesso dai motori verticali concorrenti, «all’insegna di un free riding generalizzato», per cui «si comprende come l’accusa sia di privatizzazione di buona parte del web» [18]. In complesso, secondo le denunce, «l’effetto principale della condotta di Google sarebbe quello di sortire, attraverso una combinazione di vantaggi strutturali e strategie anticoncorrenziali, un effetto escludente per i propri concorrenti nei mercati rilevanti identificati. Effetto che non si tradurrebbe in una vera e propria “esclusione”, o foreclosure, per i concorrenti, ma nella deprivation of scale, nell’impedire ai concorrenti di acquisire la dimensione minima necessaria a competere in modo efficace e paritario con il colosso di Mountain View» [19]. Con la valutazione preliminare del 13 marzo 2013, la Commissione europea ha fatto proprie in gran parte queste accuse [20], ma ne ha modificato profondamente il significato, ritenendo irrilevanti le posizioni rispettive di Google e dei suoi rivali sul mercato e concentrandosi unicamente sui riflessi limitativi della libertà di scelta degli utenti derivanti dalle pratiche denunciate. Non dando spazio all’ipotesi della [continua ..]


2.3. Un super-mercato feudale di tipo winner-take-all dominato dalle strategie di conquista delle imprese

Lasciando i rigidi paletti dell’illecito antitrust [24], per entrare in un’ottica più vicina a quella regolatoria, si può rilevare che l’immagine del mercato offerta dallo speech di Almunia non costituisce certo l’unica rappresentazione possibile dell’ambiente in cui si muovono Google e i suoi concorrenti. Esiste un’altra immagine possibile, nella quale vengono in primo piano la struttura e il collegamento tra mercati, l’intenzionalità strategica, la lotta tra le imprese per la conquista della posizione chiave sul mercato, la rilevanza del decorso temporale e l’attrito che la realtà acquisita oppone alle dinamiche evolutive del mercato. Nella visione di Almunia il tempo non conta da nessun punto di vista. Irrilevante appare la domanda su come abbia fatto Google a raggiungere la posizione in cui si trova attualmente: non si cerca di ricostruire i tasselli della sua strategia, né di intrepretarne il senso economico, né di mettere in relazione le possibilità acquisite con le possibilità sfruttate dall’azienda e con i risultati che ne sono scaturiti in termini di assetto attuale del mercato. Inoltre, le aziende sembrano non possedere altra intenzionalità e altra strategia se non quelle rivolte a contendersi l’attenzione degli utenti mediante l’innovazione di prodotto. Irrilevante appare anche l’influenza del passato sul futuro. Il modo con cui nello speech si considerano gli impegni di Google risolutivi dei problemi riscontrati esprime la convinzione che il presente possa essere «resettato», cancellando del tutto il passato e facendo ripartire da zero una dinamica di mercato priva di condizionamenti. Tuttavia, come è stato osservato, «nei mercati caratterizzati da forti esternalità di rete e un susseguirsi irrefrenabile di innovazioni tecnologiche le imprese tendono a competere “per” il mercato, più che “nel” mercato» [25]. Secondo analoga prospettazione, si tratta di mercati winner-take-all, nei quali il concorrente che raggiunge per primo la vetta schiaccia invariabilmente tutti gli altri [26]. Google ha sviluppato un modello di monetizzazione dell’attenzione degli utenti del web, che si è rivelato vincente nella corsa per la conquista del mercato, attraversando una traiettoria ricostruibile a [continua ..]


3. Il mercato finanziario tra efficienza allocativa e distruzione creativa

yet say this to the Possum: a bang, not a whimper, with a bang not with a whimper,To build the city of Dioce whose terraces are the colour of stars [32]


3.1. Da Wall Street a Piazza Affari, il mercato non si ferma … finché c'è liquidità

Il 9 marzo 2009 la Borsa di Wall Street ha toccato il suo minimo storico, ma nei cinque anni trascorsi da allora ha continuato a crescere a ritmi sostenuti. Il 9 marzo 2014, lo Standard & Poor’s 500 era salito del 177%, il Dow Jones del 151%, il Nasdaq del 242% e il Russell 2000 del 251%, rispetto alla stessa data di cinque anni prima [33]. L’impetuosa crescita di Wall Street si è svolta in parallelo rispetto all’altrettanto intensa e prolungata politica monetaria espansiva della Fed, motivata dall’esigenza di sostenere la crescita dell’economia reale. Se l’incidenza della politica monetaria sulle determinanti macroeconomiche della crescita è incerta e discussa, l’effetto sui mercati finanziari è viceversa diretto e determinante. Com’è stato sottolineato, «la prima iniezione di liquidità del 2009 aveva avuto efficacia in termini di stabilità finanziaria, evitando una crisi ancor più profonda di Wall Street e le sue banche», ma oggi il problema è diventato quello di «far cessare una politica monetaria ultra espansiva, prima che da tendenzialmente neutrale per la crescita diventi prima o poi addirittura tossica attraverso il rischio di bolle, inflazionistiche e/o finanziarie». Ma l’atteggiamento della Fed sul punto appare diviso tra quelli «più preoccupati del rischio bolle» e quelli che vedono l’espansione monetaria come «una medicina per la crescita, magari con un costo da pagare in termini di rischio bolle, comunque ragionevole». Questo secondo scenario «piace molto a chi vede nella liquidità il suo carburante a basso costo, appunto Wall Street», che «accarezzava il sogno di uno stop al rientro dell’inondazione monetaria» [34]. In effetti, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ci sono stati a Wall Street solo altri quattro periodi di sostenuto e prolungato rialzo paragonabili a quello attuale, che comunque li supera tutti per intensità. Ma nessuno dei precedenti periodi di crescita impetuosa è durato più di cinque anni e due di essi si sono conclusi con un crollo: quello del 1987 e, appunto, quello del 2007, di cui si stanno ancora pagando le conseguenze. In Italia, la recessione dell’economia reale è ben lontana dall’essere stata superata, le aziende continuano a chiudere a un [continua ..]


3.2. Un mercato di rilevanza macroeconomica (de)regolamentato in una logica microeconomica

La crisi del 2008 ha minato molte certezze sui mercati finanziari, ma non quella sulla quale si reggono, ovvero la fiducia nella possibilità di calcolare adeguatamente il rischio [43]. Proprio per questo, i maggiori dubbi si sono concentrati non sul funzionamento in sé di questi mercati, bensì sull’adeguatezza del relativo sistema regolatorio. Le caratteristiche dei mercati sono state date per note, la diagnosi della malattia è stata presto fatta e si è passati immediatamente alla progettazione dei rimedi [44]. Questa sicurezza sulle cause della crisi finanziaria appare per certi versi inspiegabile, perché, se le criticità erano davvero tanto evidenti, non si riesce a comprendere come esse non possano essere state viste chiaramente prima della crisi. Il contrasto tra la cecità pre-crisi e la chiara visione post-crisi è troppo netto per non far sorgere il dubbio che anche ora si continui a procedere senza tener conto (non importa se più o meno consapevolmente) delle determinanti effettive di questo genere di mercati [45]. La risposta che alcuni commentatori hanno dato, ossia che il prevalere di una visione utopica dell’economia di mercato avesse accecato le autorità di controllo, non soddisfa appieno [46]. Certamente la liberalizzazione dei mercati finanziari è stata sorretta da una eccessiva fiducia nella capacità di autoregolamentazione del mercato e probabilmente questa fiducia non è ancora venuta meno del tutto, anzi. Tuttavia, c’è un ulteriore aspetto che merita di essere sottoposto a verifica nell’ambito delle discussioni sulla riforma della regolazione del settore. Nel suo famoso articolo del 1970 sull’ipotesi di efficienza dei mercati finanziari, Eugene Fama riassumeva così la visione neoclassica standard: «the primary role of the capital market is allocation of ownership of the economy’s capital stock. In general terms, the ideal is a market in which prices provide accurate signals for resource allocation: that is, a market in which firms can make production-investment decisions, and investors can choose among the securities that represent ownership of firms’activities under the assumption that security prices at any time ‘fully reflect’all available information» [47]. Il mercato finanziario è un mercato perché i capitali [continua ..]


3.3. Global players, concorrenza e rischio, standardizzazione, aspettative e telematica: one way market boom and bust

Il fatto che a sette anni dallo scoppio della crisi nessuna riforma organica sia ancora operativa, mentre, come si è visto, continuano a restare attive le politiche di allentamento monetario d’emergenza, che assicurano ai mercati finanziari una disponibilità illimitata di liquidità e incentivano ulteriormente la propensione al rischio incontrollato, suggerisce di spostare il fuoco dell’analisi dall’assunzione del rischio (variabile del comportamento individuale degli operatori) al rischio insisto nelle stesse modalità di funzionamento dei mercati finanziari (variabile oggettiva e strutturale). Sotto questo profilo, decisivo per l’affermarsi della globalizzazione finanziaria è stato «il processo di consolidamento a livello internazionale degli intermediari bancari e finanziari, che a seguito di fusioni e acquisizioni ha drasticamente ridotto il numero dei global players attivi sul mercato, accrescendone, nel contempo, le dimensioni e le potenzialità operative» [57]. I global players sono i protagonisti della globalizzazione finanziaria. La loro caratteristica è di essere presenti simultaneamente in tutti i paesi e in tutti i mercati, di utilizzare un’ampia serie di strumenti finanziari e di esercitare cumulativamente una pluralità di funzioni (investimento di risparmi dei clienti, investimenti propri, copertura di rischi, speculazione). Tutte queste attività sono svolte secondo una strategia complessiva di massimizzazione del profitto, che dovrebbe essere bilanciata dall’esigenza di contenimento del rischio entro limiti accettabili, considerate le riserve di liquidità dell’azienda. Ma l’equilibrio tra rischio e prudenza appare davvero precario, perché l’ambiente entro cui operano i global payers è altamente competitivo e ciò determina la tendenza di fondo del mercato finanziario: «poiché il meccanismo della concorrenza tende a ridurre i rendimenti sugli investimenti meno rischiosi, la ricerca di margini più elevati passa necessariamente attraverso finanziamenti di contropartite o clientela più rischiosa o con limitato accesso al mercato e quindi disposta a pagare maggiori interessi». Siccome «la ricerca di più alti rendimenti comporta l’assunzione di maggiori rischi», si comprende perché «la [continua ..]


4. L'immagine del mercato nella regolazione e la regolazione come oggetto di apprendimento da parte del mercato

Go, go, go, said the bird: human kindCannot bear very much reality [58] L’intervento regolatorio è sempre il frutto di una scelta. La questione regolatoria si pone, infatti, quando vi siano delle alternative rispetto a un profilo di funzionamento del mercato, che genera o potrà generare problemi in ordine a valori o interessi da salvaguardare [59]. Ogni questione regolatoria richiede al decisore di stabilire, date la realtà attuale del mercato e le sue modalità di funzionamento, quali potrebbero essere gli effetti dell’intervenire o del non intervenire o dell’intervenire in un modo piuttosto che in un altro. Pertanto, una qualche immagine del mercato deve essere sempre assunta dal regolatore come presupposto della propria valutazione, sia per quanto riguarda la situazione attuale sia per quanto riguarda la sua proiezione futura. Siccome la complessità del mercato e l’imponderabilità della previsione in ordine ai suoi sviluppi futuri generano delicati problemi di valutazione, occorre chiedersi se l’immagine del mercato utilizzata dal regolatore corrisponda, o quantomeno si sforzi di corrispondere, alla realtà effettiva del particolare mercato preso in considerazione [60]. Un recente studio ha rilevato la tendenza a ridurre l’indeterminatezza legale del concetto giuridico di mercato mediante presunzioni e semplificazioni, che veicolano un’immagine astratta e fittiziamente universale del mercato, invece di confrontarsi con la realtà particolare del singolo mercato che forma oggetto della questione regolatoria da risolvere [61]. Molto spesso gli argomenti relativi agli effetti benefici o dannosi del mercato presuppongono tacitamente la unexamined assumption secondo cui the markets we are referencing are particular types or structures of markets, ma la presenza di presupposti impliciti espone l’analisi al rischio di cadere nella seductive reification fallacy of assuming that extant markets mimic the ideal abstraction of the market [62]. Questo rischio appare tanto più accentuato quanto meno il quadro normativo entro cui s’inscrive la questione regolatoria definisca le caratteristiche rilevanti del mercato da prendere in considerazione. Come si è visto dai due esempi esaminati nei paragrafi che precedono, il significato dei problemi regolatori è suscettibile di variare in maniera [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2014