The transposition of the new European directives on public procurement has been completed in Italy, with the overhauling of the old discipline and the enactment of a new national law (d.lgs. n. 50/2016), The new discipline provides for a large array of soft regulation powers, mostly attributed to the ANAC (Autorità nazionale AntiCorruzione). These powers are not well defined both in nature and for their effects. Anac has produced a number of guidelines and submitted them to the Council of State for its advice. The analysis of both the guidelines and of the Council of State observation on them provide materials for a discussion of the features and the problems concerning this new kind of regulation.
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1. Una regolazione flessibile, ma vincolante: la collocazione nel sistema - 2. Le prime linee guida dell'Anac - 3. Il mercato dei contratti pubblici preso sul serio - NOTE
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) contiene molte novità rispetto al passato, sia perché recepisce un nuovo pacchetto di direttive europee in materia [1], sia perché il legislatore italiano ha ritenuto di introdurre nuove regole e nuovi istituti, anche al di là e al di fuori dell’operazione di recepimento.
Fra le novità più importanti c’è l’attribuzione di significativi poteri all’Anac, configurata come una vera e propria autorità di vigilanza del settore, dotata anche di poteri regolatori, da esercitarsi mediante «strumenti di regolazione flessibile» (art. 213, comma 2, del Codice).
La formula è stata letta come una traduzione dell’espressione “soft law” di origine anglosassone, anche se sono evidenti le differenze fra le due. La soft law si caratterizza in genere, infatti, come autoregolazione adottata da soggetti che operano in attività o su mercati per i quali non vale né una unica regolazione pubblica nazionale, né una sicura disciplina internazionale [2]. Si tratta quindi di un diritto per definizione atipico, composto di regole basate sul consenso e la cui efficacia dipende dall’adesione dei soggetti interessati, che raramente danno adito a controversie e difficilmente sono sottoposte al sindacato di un vero e proprio giudice, mentre possono essere oggetto di arbitrato [3].
Il “trapianto” della nozione e dell’esperienza della soft law sono resi, peraltro, ancora più difficili dal terreno di destinazione. A differenza di altri settori per i quali vale una esperienza ormai pluridecennale di attività delle autorità di regolazione – i mercati finanziari, il mercato dell’energia e del gas, il mercato delle comunicazioni elettroniche – i contratti pubblici sono stati considerati tradizionalmente una materia (di studio e di disciplina), ma non un settore e tantomeno un mercato
La finalità dell’attribuzione di poteri regolatori all’Anac è stata subito chiara e dichiarata: il superamento del regolamento di attuazione ed esecuzione in materia di appalti pubblici, tanto quanto a contenitore come quanto a contenuto.
Quanto a contenitore, il regolamento è sembrato un veicolo normativo troppo pesante e rigido, da sostituire, appunto, con una regolazione flessibile e più facilmente aggiornabile. Quanto al contenuto, la nuova regolazione dovrebbe sostituire prescrizioni minute e spesso farraginose con un insieme di regole e principi di più semplice applicazione.
I problemi, a partire dall’apparente ossimoro della formula normativa che mette insieme flessibilità e vincolatività [4], sono stati subito segnalati, specie per quanto riguarda la collocazione dei nuovi atti nell’assetto delle fonti. Caratteristica principale ed originaria delle fonti nel nostro ordinamento è la loro tipicità, mentre la soft law è per definizione atipica quanto alla produzione come al meccanismo di produzione degli effetti. La formula del Codice sembra far pensare, invece, ad una regolazione flessibile quanto alla produzione, ma vincolante quanto agli effetti.
Non è un caso, quindi, che nelle prime analisi dedicate al tema [5] si sia dubitato della legittimità costituzionale della norma attributiva dei poteri di regolazione, sia in ragione dell’assenza di criteri di esercizio di quei poteri, sia per la mancata definizione e tipizzazione, appunto, degli effetti.
Può darsi che la Corte costituzionale si troverà prima o poi ad occuparsi della questione. Nel frattempo, però, qualche indicazione su una possibile ricostruzione dei nuovi poteri di regolazione entro il quadro giuridico vigente è venuta dal parere che il Consiglio di Stato ha reso sullo schema di decreto delegato contenente il nuovo Codice dei contratti pubblici [6].
Secondo il criterio “distingue frequenter”, nel parere si separa, innanzitutto, la potestà regolamentare ministeriale (in questo caso attribuita al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) dalla potestà regolatoria dell’Anac. L’esercizio della prima potestà porta all’adozione di regolamenti dotati di natura normativa e quindi di efficacia innovativa dell’ordinamento, mediante diposizioni generali ed astratte [7]. Si tratta di regolamenti che presentano tratti tipici ben conosciuti: sono soggetti alla disciplina dell’art. 17, commi 3 e 4, legge n. 400/1988, resistono all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate, possono essere disapplicati dal giudice amministrativo.
Sussiste anche qui, però, una dissonanza rispetto al modello tradizionale, perché alcuni di questi regolamenti sono adottati dal Ministro su proposta o previo parere dell’Anac. Si tratta di un modulo procedimentale relativamente nuovo per l’ordinamento italiano – un precedente si trova per alcuni atti del Mise, adottati previo parere dell’AEEGSI – che mette insieme, per così dire, la “voce” di un’autorità indipendente e la “voce” di un’autorità politica, senza peraltro indicare le modalità di soluzione di possibili conflitti o differenze, come accade invece, ad esempio, per la determinazione degli standard tecnici per i mercati finanziari nel diritto europeo. Gli standard vengono adottati dalla Commissione su proposta delle autorità europee di regolazione dei mercati creditizi e finanziari, ma in qual caso sono determinati anche i margini di discrezionalità di ciascun soggetto e le modalità procedurali di coordinamento [8].
Sempre proseguendo nell’opera di distinzione, il Consiglio di Stato divide poi, nel suo parere, gli atti dell’Anac in due categorie. Alla prima categoria appartengono gli atti privi di carattere vincolante, qualificati come atti amministrativi in senso proprio. Alla seconda categoria appartengono, invece, le linee guida o gli altri atti dottati con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes o, ancora gli altri atti innominati, ma comunque riconducibili all’espressione «altri atti di regolamentazione flessibile» utilizzata dal Codice.
Per questa seconda categoria di atti, che qui specificamente ci interessa, il Consiglio di Stato esclude che sussista una vera e propria natura normativa e cerca di ricondurli al genere degli atti di regolazione, combinando la valenza certamente generale di questi atti e la natura del soggetto emanante, vale a dire l’Anac. L’Anac è annoverata fra le autorità amministrative indipendenti, con funzioni (non solo ma) anche di regolazione. Gli atti definiti dal Codice come atti di regolamentazione flessibile a carattere vincolante possono allora essere ricondotti alla categoria degli atti di regolazione delle autorità indipendenti: una categoria di atti ormai sufficientemente definita dalle norme, dall’esperienza e, last but not least, dalla giurisprudenza, per poterne trarre alcuni tratti caratteristici, come la sottoposizione a procedure di consultazione, la necessità di analisi di impatto, la sindacabilità [9].
Questa soluzione è stata messa subito alla prova, perché l’Anac, pur non essendovi tenuta, ha richiesto il parere del Consiglio di Stato – e delle commissioni parlamentari competenti –sulle prime linee guida adottate, dopo averle sottoposte a consultazione.
I pareri del Consiglio di Stato sono stati resi su alcune linee guida vincolanti (relative al responsabile unico del procedimento e ai criteri di scelta dei commissari di gara), su alcune linee guida non vincolanti (relative all’offerta economicamente più vantaggiosa, ai servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, alle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici) e sul regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso [10].
Quest’ultimo atto può essere escluso dall’analisi che segue, perché si tratta di un regolamento sostitutivo di regolamenti precedenti ed è stato qualificato dal Consiglio di Stato come un regolamento di organizzazione, non incluso quindi nel novero degli atti di regolamentazione flessibile individuati dal Codice.
Senza voler ripercorrere qui in dettaglio i contenuti di ciascun parere, si possono segnalare, invece, alcune questioni di fondo affrontate dal Consiglio di Stato sull’ampiezza e la portata del potere di regolazione attribuito all’Anac.
La prima questione è relativa, appunto, al modo in cui la legge – il Codice dei contratti – ha definito il potere di regolazione flessibile dell’Anac rispetto ai poteri attribuiti ad altre autorità indipendenti. Per queste ultime la legge in genere definisce lo scopo e le finalità da perseguire, senza tipizzare il potere di determinazione delle regole: questa possibilità, che la giurisprudenza ha definito come una «delega in bianco» [11], è compensata con le garanzie di un procedimento rafforzato, utilizzando la legalità procedurale per supplire all’indebolimento della legalità sostanziale.
Per quanto riguarda l’Anac, invece, la legge, secondo il Consiglio di Stato, «ha definito in modo più preciso le condizioni ed i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e di dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi». Ciò non comporta, peraltro, un alleggerimento delle garanzie procedimentali, che anzi dovrebbero essere rafforzate, ad esempio mediante una consultazione sistematica, l’indicazione dei cambiamenti attesi dalla nuova regolazione, la verifica ex post dei risultati raggiunti.
Per quanto riguarda specificamente le linee guida vincolanti, il Consiglio di Stato interviene innanzitutto sulla struttura, suggerendo che l’esposizione discorsiva sia distinta dal precetto vincolante, in modo che questo sia chiaramente individuabile e percepibile nella sua portata.
Più articolata e non sempre esente da contraddizioni è, invece, la ricostruzione dell’effetto vincolante. Nei pareri si legge che la natura vincolante delle regole comporta l’obbligo di dar loro attuazione, ma che, allo stesso tempo, la vincolatività non esaurisce la discrezionalità delle stazioni appaltanti [12]. Questa discrezionalità viene qualificata come discrezionalità esecutiva: formula nuova, che cerca di tenere insieme vincolo e libertà di scelta, senza cancellare la seconda a favore del primo, al quale non si può non attribuire, però, un effetto riconoscibile. La conseguenza sembra essere la possibilità per la stazione appaltante di discostarsi dalla piena applicazione della regola, purché fornisca un’adeguata e puntuale motivazione della scelta.
Il Consiglio di Stato si preoccupa, inoltre, di perimetrare la potestà regolatoria per quanto riguarda le linee guida vincolanti, individuando alcuni limiti direttamente derivanti dalle norme primarie.
Queste non possono essere, in primo luogo, integrate dalla regolazione e quindi le linee guida non possono, ad esempio, imporre la riparametrazione come doverosa [13], o introdurre nuove preclusioni legate allo status soggettivo degli operatori o, ancora, imporre un affidamento separato della relazione geologica non previsto dalle norme.
Di converso non è possibile, in secondo luogo, estendere l’imputazione soggettiva di obblighi che le norme circoscrivono in capo a determinate categorie. Non si possono, ad esempio, estendere gli obblighi valevoli per le amministrazioni aggiudicatrici anche agli enti aggiudicatori. o utilizzare l’elenco annuale Istat per identificare le amministrazioni pubbliche [14], in quanto l’elenco contiene soggetti sicuramente privati, inseriti secondo i criteri statistici elaborati per la misurazione del debito pubblico, mentre le linee guida contengono regole applicabili ai dipendenti pubblici.
Anche per quanto riguarda le linee guida non vincolanti – ricondotte alla categoria degli atti d’indirizzo generale [15] – si sottolinea la necessità di salvaguardare la discrezionalità delle stazioni appaltanti, in questo caso ricordando che non possono essere imposti obblighi di motivazione per le scelte comunque consentite direttamente dalla legge, come nel caso degli affidamenti sotto soglia.
Sul piano della sindacabilità si rievoca, invece, un fenomeno conosciuto, qualificando la violazione delle linee guida come un sintomo del vizio di eccesso di potere, al pari della violazione delle circolari [16]. Il Consiglio di Stato espressamente afferma, peraltro, che le considerazioni espresse in sede consultiva non hanno valenza cogente o preclusiva rispetto alle questioni che dovessero essere sollevate in sede contenziosa [17], data anche l’espressa previsione normativa sulla piena sindacabilità e impugnabilità delle determinazioni dell’Anac.
Dall’esperienza delle prime linee guida emerge, dunque, una ancora incerta qualificazione dell’effetto vincolante, che andrà misurato rispetto alle concrete circostanze. Quanto alla natura delle linee guida, esse vengono comunque ricondotte alla categoria degli atti amministrativi generali [18], ma si differenziano perché le linee guida vincolanti pongono precetti, mentre le linee guida non vincolanti contengono indirizzi. Per verificare quanto questa differenza rileverà rispetto alla discrezionalità esercitabile dalle stazioni appaltanti e alla specifica attuazione dei precetti e degli indirizzi è necessario, però, attendere che si sviluppi l’esperienza concreta di applicazione.
L’attribuzione della potestà regolatoria all’Anac pone, peraltro, oltre ai problemi specifici sinora analizzati, una più generale questione di fondo: si tratta di un fenomeno assimilabile a quello dei mercati regolati, o si tratta di una nuova evenienza, dotata di caratteri propri?
Se si guarda al mercato dei contratti pubblici come un mercato regolato appaiono subito evidenti le differenze rispetto agli altri mercati sottoposti a regolazione indipendente, come ad esempio i mercati finanziari o il mercato delle comunicazioni elettroniche.
La prima importante differenza è relativa ai destinatari della regolazione: prevalentemente soggetti privati sui mercati regolati tradizionali, prevalentemente amministrazioni pubbliche, nella loro qualità di stazioni appaltanti, nel caso del mercato dei contratti pubblici. La stessa strutturazione del mercato appare, quindi, diversa, perché le stazioni appaltanti, almeno per ora, non possono certo, a differenza degli operatori privati, scegliere se e quando entrare o uscire dal mercato di riferimento.
Questa condizione potrebbe peraltro modificarsi una volta che sarà a regime il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, in base al quale, almeno in ipotesi, non tutte le amministrazioni pubbliche potranno accedere alla qualifica e la stessa capacità di indire e gestire le gare sarà graduata a seconda dei requisiti acquisiti [19]. Anzi, come già oggi avviene per i soggetti aggregatori, le stazioni appaltanti dovrebbero divenire veri e propri operatori di mercato, che agiscono non solo per sé, ma anche per altre amministrazioni e che utilizzano quindi la loro capacità di gestire le gare come un fattore di produzione e di attrazione di commesse da parte di altre amministrazioni pubbliche.
Una seconda importante differenza rispetto ad altri mercati regolati sta nel rapporto tra atto di regolazione, soggetti regolati e soggetti che concorrono per l’acquisizione di un contratto pubblico. L’atto di regolazione potrà essere invocato, infatti, da questi ultimi soggetti contro la stazione appaltante che non abbia correttamente applicato la regola, facendo valere l’illegittimità dell’atto amministrativo in contrasto con l’atto di regolazione. La violazione dell’atto di regolazione può comportare, per altro verso, un procedimento sanzionatorio a carico della stazione appaltante con effetti sulla sua reputazione. Negli altri mercati regolati, invece di norma l’atto di regolazione si applica direttamente agli operatori, che possono eventualmente contestarne la legittimità in sede giurisdizionale.
Ancora: sui mercati regolati, di norma, le autorità indipendenti intervengono primariamente per garantire la concorrenza e la parità fra gli operatori (e la tutela degli utenti), mentre nel caso dei contratti pubblici la tutela della concorrenza è compito di ogni singola stazione appaltante. Proprio la necessità di tutelare la concorrenza è, del resto, fra le principali giustificazioni del ricorso ad una regolazione indipendente dall’indirizzo governativo, perché l’autorità politica potrebbe essere più incline a scegliere fa i giocatori, invece che far rispettare le regole del gioco. Questo schema è, però, più difficilmente applicabile al mercato dei contratti pubblici, proprio per la sua maggiore complessità, dovuta al fatto che agli operatori in concorrenza fra loro (in ogni singola procedura di gara) si aggiungono le amministrazioni pubbliche nella loro qualità di stazioni appaltanti.
È evidente, infine, che la presenza di un’autorità indipendente di regolazione è divenuta ormai, per la maggior parte dei mercati regolati, necessaria e obbligata in conseguenza dell’integrazione europea: così è sicuramente per i mercati finanziari, per il mercato elettrico e per il mercato delle comunicazioni elettroniche, per i quali, peraltro, i regolatori nazionali trovano la propria proiezione nei nuovi regolatori europei.
Le direttive europee non prevedono, invece, la costituzione di un’autorità indipendente per il mercato dei contratti pubblici e in effetti nella maggior parte dei paesi europei la regolazione è rimessa ad autorità governative. Di qui anche una ulteriore ragione di incertezza circa la qualificazione dei poteri regolatori, per la mancanza di un quadro di riferimento generale e diffuso negli altri ordinamenti soggetti alle regole delle direttive europee in materia [20].
A fronte di queste difficoltà, sta però la possibilità di prendere sul serio la possibilità di costruire un vero mercato dei contratti pubblici, come un mercato regolato, concorrenziale, trasparente ed efficiente.
Il riconoscimento di poteri regolatori in capo all’Anac può essere visto come un’occasione importante per sviluppare una capacità di regolazione economica in senso proprio del mercato, con l’utilizzo degli strumenti tipici della regolazione economica, quali ad esempio le analisi di mercato, l’individuazione di regole proconcorrenziali diverse a seconda delle dimensioni dei contratti e delle stazioni appaltanti chiamate ad aggiudicarli, la periodica valutazione ex post dei risultati raggiunti dalla regole e la conseguente opera di affinamento e modifica, la raccolta e l’elaborazione di dati ed informazioni oggi dispersi in mille rivoli. Per fare solo un esempio, è evidente che il mercato dei contratti pubblici in Italia soffre di un duplice problema dimensionale, relativo sia alla frammentazione delle stazioni appaltanti, sia alla diffusa presenza di microimprese con limitata capacità di offrire prestazioni di qualità, sviluppare ricerca, produrre innovazione. L’elaborazione di strumenti di analisi di questo problema e la produzione di regole che l’affrontino e lo correggano sarebbe un contributo importante della regolazione indipendente alla costruzione di un mercato dei contratti pubblici più efficiente.
[1] Si tratta delle direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014, relative alla disciplina dei contratti pubblici nei settori ordinari, nei settori speciali e in materia di concessioni.
[2] Fra i primi studi in materia negli ordinamenti a diritto amministrativo v. R.J. DUPUY, Droit déclaratoire et droit programmatoire: de la coutume sauvage à la soft law, in L’élaboration du droit international public, Colloque de Toulouse, Société Française de Droit International, Paris, 1975, pp. 132-148. Con specifico riferimento all’ordinamento europeo v. F. BEVERIDGE-S. NOTT., A hard look at soft law, in P. CRAIG, C. HARLOW, (a cura di), Law making in the European Union, The Hague, Kluwer Law International, 1998. Con riferimento in termini generali all’ordinamento italiano v. S. CASSESE, Introduzione allo studio della normazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 2, 1992, pp. 307-330.
[3] V. Conseil d’Etat, Le droit souple, Etude annuelle 2013, Doc. fr. n. 64, dove le caratteristiche di queste regole vengono individuate in tre caratteri: «ils ont pour objet de modifier ou d’orienter les comportements de leurs destinataires en suscitant, dans la mesure du possible, leur adhésion; ils ne créent pas par eux-mêmes de droits ou d’obligations pour leurs destinataires; ils présentent, par leur contenu et leur mode d’élaboration, un degré de formalisation et de structuration qui les apparente aux règles de droit».
[4] Il riferimento è all’art. 1, lett. t) della legge di delega n. 11/2016, che indica quale criterio direttivo l’attribuzione «all’ANAC di più ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l’impugnabilità di tutte le decisioni e gli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa».
[5] V. C. DEODATO, Le linee guida dell’Anac: una nuova fonte del diritto?, consultabile sul sito www.giustizia-amministrativa.it; M.P. CHITI, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, n. 4, 2016.
[6] Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere n. 855/2016.
[7] Fra questi regolamenti il Consiglio di Stato annovera il regolamento sui requisiti dei progettisti delle amministrazioni aggiudicatrici, previsto dall’art. 24, comma 2 del Codice, o il regolamento in materia di direzione dei lavori, previsto dall’art. 111, commi 2 e 3.
[8] Per un esame del ruolo dei regolatori e della Commissione nella determinazione degli standard tecnici e nella adozione dei relativi atti sia consentito il rinvio a L. TORCHIA, I poteri amministrativi delle autorità di controllo, in Regole del mercato e mercato delle regole. Il diritto societario e il ruolo del legislatore, Collana della Rivista delle società, Giuffrè, Milano, 2016.
[9] V., in termini generali, M. CLARICH, I procedimenti di regolazione, in Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 1999, p. 91 ss.; E. CHITI, La disciplina procedurale della regolazione, in Rivista. trimestrale di diritto pubblico, 2004, p. 679 ss.; E. FERRARI-M. SICA-M. RAMAJOLI, Il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, Giappichelli, Torino, 2006; M. RAMAJOLI, Procedimento regolatorio e partecipazione, in E. BRUTI LIBERATI-F. DONATI (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 189-219.
[10] Consiglio di Stato Commissione speciale, parere 6 luglio 2016, n. 1767; parere 30 agosto 2016, n. 1903; parere 30 agosto 2016, n. 1424; parere 14 settembre 2016, n. 1919
[11] V., ex multis, Cons. St., sez. VI, n. 2006/2007.
[12] Nel parere n. 1273/2016 in materia di responsabile unico del procedimento, offerta economicamente più vantaggiosa e servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria si legge: «È bene puntualizzare che la ‘vincolatività’ del provvedimenti in esame non esaurisce sempre la ‘discrezionalità’ esecutiva delle amministrazioni. Occorre, infatti, valutare di volta in volta la natura del precetto per stabilire se esso sia compatibile con un ulteriore svolgimento da parte delle singole stazioni appaltanti di proprie attività valutative e decisionali. La particolare natura delle linee guida in esame comporta che, in mancanza di un intervento caducatorio (da parte della stessa Autorità, in via di autotutela, o in sede giurisdizionale), le stesse devono essere osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali».
[13] Secondo il Consiglio di Stato, «poiché nessuna disposizione primaria la impone, la riparametrazione attiene a una scelta discrezionale della stazione appaltante e, per essere legittimamente adotta, come criterio di computo del punteggio, dev’essere espressamente e chiaramente prevista nel bando».
[14] Si tratta dell’elenco predisposto sulla base del regolamento europeo sul Sistema europeo dei conti, che contiene una specifica definizione del «settore amministrazioni pubbliche», connessa al rispetto degli obblighi finanziari imposti dall’ordinamento europeo e dal patto di stabilità interno. Il legislatore italiano ha, però, frequentemente richiamato l’elenco Istat come strumento di individuazione di una complessiva platea di soggetti ai quali imporre regole organizzative o finanziarie.
[15] Secondo il Consiglio di Stato le linee guida non vincolanti «costituiscono innanzitutto uno strumento di ricognizione normativa e del suo tessuto connettivo, attraverso l’enucleazione dei principi generali in materia e la loro riconduzione in un quadro organico. Inoltre, sotto quest’ultimo profilo, nel contesto della loro non vincolatività, le linee guida si prestano a svolgere la fondamentale funzione di atto di indirizzo generale, al precipuo fine di delimitare la cornice della discrezionalità della committenza pubblica».
[16] A proposito di sindacabilità, è interessante notare come il Conseil d’Etat in Francia abbia ritenuto ammissibili i ricorsi contro un comunicato dell’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari e contro una “presa di posizione” dell’Autorità antitrust (decisioni nn. 368082 e 390023 del 2016); v. anche D. COSTA, La normatività graduata in diritto amministrativo francese: le linee direttrici, in Le fonti del diritto amministrativo, Annuario Aipda 2015, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, pp. 187-192.
[17] Si esclude, infatti che il controllo in sede consultiva possa poi fungere da “cappello protettivo di legittimità” ai fini dell’eventuale contenzioso.
[18] Nel parere n. 1903/2016 si legge che anche le linee guida non vincolanti «sono anch’esse atti amministrativi generali, con conseguenziale applicazione dello statuto del provvedimento amministrativo e perseguono lo scopo di fornire indirizzi e istruzioni operative alle stazioni appaltanti».
[19] V. L. DONATO (a cura di), La riforma delle stazioni appaltanti. Ricerca della qualità e disciplina europea, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica, n. 80, febbraio 2016; M.P. GUERRA, Dalla spending review a un “sistema” del public procurement? La qualificazione delle stazioni appaltanti tra centralizzazione e policentrismo, in F. MANGANARO-F. SAITTA-F. ASTONE (a cura di), Studi in memoria di Antonio Romano Tassone, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016.
[20] La questione è resa inoltre complessa dall’attribuzione all’Anac di poteri ulteriori e diversi rispetto al potere di regolazione, non sempre coordinati fra loro: v. L.TORCHIA, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in Giornale di diritto amministrativo, n. 5, 2016; E. D’ALTERIO, Regolare, vigilare, punire, giudicare: l’Anac nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, n. 4, 2016; S. VALAGUZZA, La regolazione strategica dell’Autorità nazionale Anticorruzione, in Rivista della regolazione dei mercati, n. 1, 2016.