Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Le concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo tra meccanismi normativi di proroga e tutela dei principi europei di libera competizione economica: profili evolutivi alla luce della pronuncia della Corte di giustizia resa sul caso Promoimpresa-Melis (di Francesco Sanchini )


Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15

«L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati».

 

«L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico‑ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo».

  

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La proroga delle concessioni demaniali marittime nel complesso confronto con il contesto europeo - 3. Il sindacato del giudice costituzionale sulle proroghe introdotte dalle leggi regionali e i dubbi di compatibilità eurounitaria espressi dal giudice amministrativo sulla disciplina nazionale - 4. La presa di posizione dell'Avvocato generale sull'incompati­bilità con il diritto europeo del quadro normativo interno nelle conclusioni sul caso Promoimpresa-Melis - 5. La Corte di giustizia non riserva sorprese: la proroga automatica impedisce una selezione imparziale e trasparente. Riflessioni a margine della pronuncia sulle cause riunite C-458-14 e C-67-15 del 14 luglio 2016 - 6. Alcune osservazioni conclusive alla luce delle prospettive di riordino della materia - NOTE


1. Introduzione

Il tema della proroga delle concessioni demaniali marittime, con particolare riguardo a quelle aventi scopo turistico-ricreativo, costituisce da tempo oggetto di attenta indagine da parte degli interpreti e il suo studio assume oggi un peculiare interesse alla luce di alcuni fondamentali sviluppi che impongono una riflessione aggiornata in ordine a talune problematiche originatesi in sede teorica e applicativa.

Una simile analisi pare doverosa anche alla luce del recente ed atteso intervento della Corte di giustizia sulla questione della compatibilità con la disciplina europea di meccanismi di dilazionamento temporale automatico delle concessioni a scopo turistico-ricreativo in essere.

Questa decisione, per vero, consente di comprendere il diverso approccio che l’ordinamento nazionale e quello sovranazionale spesso adottano in relazione a principi che ricoprono un ruolo di primaria importanza nel quadro dei valori del mercato comune, primi tra tutti quelli di libera competizione economica.

Infatti, è dal delicato confronto di controversi (e talvolta risalenti) istituti previsti nel contesto nazionale con siffatti principi, che sono emerse le preminenti questioni ermeneutiche affacciatesi nel dibattito giuridico, sulle quali più volte si è pronunciato il giudice nazionale, tanto amministrativo, quanto costituzionale.

Tale condizione impone, una volta ripercorsi gli snodi fondamentali del percorso evolutivo sviluppatosi nel tempo, l’esigenza di soffermarsi sulla necessità di un ripensamento del settore coerente con l’interpretazione fornita dalla Corte di Lussemburgo, che si è espressa nel senso della doverosa sussistenza di procedure di selezione per l’affidamento in concessione di beni del demanio marittimo preposti a simili finalità.

L’opportunità di una regolamentazione conforme con i parametri europei non risulta inoltre limitata alla dimensione nazionale, bensì, stante la molteplicità di competenze interessate, ancorata anche al livello regionale.

Quest’ulteriore ambito non ha a sua volta mancato di dimostrare tutte le sue criticità, come testimoniato da un costante orientamento giurisprudenziale consolidatosi in seno al giudice costituzionale e da ultimo dal contenzioso istauratosi in seguito all’approvazione della l.r. Toscana n. 31 del 2016.

Siffatta considerazione, pertanto, conferisce ancor più la misura di quanto sia attuale la necessità di un approfondimento su tale campo di studio, celandosi dietro al tema della compatibilità eurounitaria della proroga delle concessioni demaniali marittime, pur tecnico e di settore, complicate questioni teoriche di principio che rendono quanto mai sentita l’esigenza di un intervento, ormai non più procrastinabile, di riassetto della materia.


2. La proroga delle concessioni demaniali marittime nel complesso confronto con il contesto europeo

Al fine di predisporre un adeguato inquadramento circa gli aspetti di maggiore criticità cui ha dato luogo il regime delle proroghe delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo, pare opportuno svolgere una preventiva, seppur succinta, ricognizione di quelli che sono stati i passaggi-chiave dell’excursus normativo e del suo travagliato raffronto con il diritto europeo.

L’indagine appare essenziale, infatti, al fine di individuare, a mo’ di “griglia concettuale”, le coordinate di riferimento per un’adeguata comprensione di tutta la successiva evoluzione interpretativa affermatasi in materia.

Il corretto inquadramento della disciplina consolidatasi a livello interno, per di più, permette di coglierne i profili di differenziazione rispetto ad altre esperienze europee, come quella spagnola, che spesso è stata accostata a quella nazionale per istituti e problematiche in realtà solo apparentemente ad essa sovrapponibili [1].

Ciò premesso, le disposizioni che, come noto, hanno sin dall’origine posto problemi di coerenza con il quadro sovranazionale sono il comma secondo dell’art. 37 del codice della navigazione e l’art 1, comma 2, del d.l. n. 400 del 1993, disciplinanti rispettivamente il c.d. “diritto di insistenza” e il regime di durata e rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime.

Se infatti la regolamentazione del codice della navigazione – più volte reinterpretata dal giudice amministrativo [2] – prevedeva che in presenza di più domande per il rilascio del provvedimento concessorio fosse accordata preferenza al precedente concessionario [3], l’altra disposizione individuava, oltre che un termine di sei anni per la durata della concessione, un meccanismo di rinnovo automatico di ulteriori sei anni per il caso in cui il medesimo concessionario avanzasse la relativa richiesta [4].

Un simile impianto di disciplina finiva, così, inevitabilmente per entrare in collisione con il diritto dell’Unione sia a livello di Trattato, in specie sotto il profilo della violazione della libertà di stabilimento sancita dall’art. 49 T.F.U.E., sia sul versante del diritto derivato, con particolare riguardo alla direttiva sulla libera circolazione dei servizi n. 123 del 2006, meglio conosciuta come direttiva Bolkestein.

In base all’art. 12 di questo articolato normativo, invero, nel caso in cui sussista una scarsità di risorse naturali o di capacità tecniche utilizzabili e di conseguenza il numero di autorizzazioni per una data attività sia limitato, è necessario l’espletamento di una procedura di selezione imparziale, trasparente e dotata di adeguata pubblicità tra i candidati potenziali [5].

È peraltro espressamente contemplato dalla medesima disposizione il divieto della previsione di procedure di rinnovo automatico, nonché di vantaggi per il prestatore uscente [6].

I profili di frizione della regolamentazione interna con il contesto europeo erano stati in passato posti in evidenza dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato nella segnalazione AS481 del 20 ottobre 2008 [7].

Se da un lato, in particolare, coerentemente con l’interpretazione del Consiglio di Stato, il diritto di insistenza era ritenuto conforme ai principi europei in ipotesi del tutto residuali, quale quella in cui fossero presentate offerte tra loro paritarie, dall’altro, il rinnovo automatico appariva uno strumento inadatto ad incentivare l’offerta di migliori servizi e al contrario incentivante la perpetrazione di pratiche collusive tra i titolari delle concessioni [8].

Per questo si auspicava che il rilascio delle concessioni avvenisse all’esito di procedure dotate di adeguata pubblicità, in modo da non pregiudicare gli interessi concorrenziali degli operatori economici diversi dal concessionario uscente [9].

Si ricorda, inoltre, come alla richiamata segnalazione dell’Autorità fece seguito l’avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione, con la quale a sua volta si auspicava un intervento sulla legislazione interna poco sopra richiamata [10].

L’impianto normativo era ritenuto, anche da parte dell’organo europeo, contrastante con il principio della libertà di stabilimento e con la direttiva Bolkestein, poiché ostacolava la possibilità per operatori diversi dai precedenti concessionari di vedersi assegnatari della concessione, rendendosi in tal modo doveroso l’espletamento di procedure di gara.

Al fine di adeguarsi a siffatti rilievi il Governo italiano adottò il d.l. n. 194 del 2009 [11], con il quale fu soppresso il diritto di preferenza per il concessionario uscente previsto dal comma secondo dell’art. 37 cod. nav.; lo stesso decreto prorogò altresì il termine di durata delle concessioni demaniali in essere alla data di entrata in vigore del decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, fino a tale data [12].

Una simile misura, tuttavia, sembrò solo formalmente adeguarsi ai rilievi formulati dalla Commissione, la quale non tardò a riscontrare talune divergenze contenutistiche tra il testo del detto decreto e la corrispondente legge di conversione, specie nella parte in cui contemplava un rinvio indiretto all’art. 1, comma 2, del d.l. n. 400 del 1993.

Siffatto rinvio, proprio in virtù del rinnovo automatico di sei anni in sei anni contemplato dalla disposizione cui mediatamente si rifaceva, finiva per neutralizzare gli effetti del d.l. n. 194 del 2009 e per porsi conseguentemente in contrasto con il diritto dell’Unione.

Per questo, in seguito ai rilievi avanzati dalla Commissione con una lettera di messa in mora complementare, si procedette ad eliminare la disposizione con la legge n. 217 del 2011 (ossia la legge comunitaria del 2010) e la procedura di infrazione trovò così il suo epilogo [13].

Il termine di proroga delle concessioni fino al 2015 fu poi successivamente esteso fino al 31 dicembre 2020 attraverso l’art. 34-duodecies del d.l. n. 179 del 2012 [14] – intervenuto a modificare l’art. 1 comma 18 del d.l. n. 194 del 2009 – disposizione sulla quale i giudici amministrativi hanno espresso forti perplessità di compatibilità eurounitaria e su cui poi è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia [15].

Il complesso impianto di disciplina sin qui sinteticamente ripercorso, oltre a costituire il corpus normativo su cui si è sviluppato il sindacato giurisdizionale di cui si darà conto nel prosieguo della trattazione, è stato sovente posto a confronto, come sopra accennato, con altre esperienze europee prese a riferimento per l’ordinamento interno.

Ci si riferisce, in particolare, al modello spagnolo della Ley de Costas n. 22 del 1988, come modificata dalla Ley de protección y uso sostenible del litoral n. 2 del 2013, che ha prolungato le concessioni demaniali marittime fino ad un massimo di settantacinque anni, così suscitando grande scalpore tra gli addetti ai lavori [16].

Tale disciplina, malgrado taluni aspetti di somiglianza, cela tuttavia profili di differenziazione rispetto al sistema italiano, che non parrebbero consentire giustapposizioni di sorta.  

Difatti in Spagna le spiagge, in quanto libere, non costituiscono oggetto di concessione, ragion per cui l’esercizio di attività turistico-ricreative deve necessariamente svolgersi al di fuori delle stesse; eventuali attività di questo tipo, così, sono soggette ad una mera autorizzazione e pertanto non subordinate al rilascio di alcun provvedimento concessorio, doveroso al contrario per l’utilizzazione dello spazio confinante con la spiaggia medesima [17].

Il lungo periodo di proroga contemplato nell’esperienza spagnola riguarda in realtà le concessioni rilasciate ai proprietari per l’utilizzo dei beni immobiliari sorti in zone riacquisite al demanio marittimo: quello stesso periodo non concerne invece il regime delle autorizzazioni per l’erogazione di servizi sulle spiagge attraverso infrastrutture mobili, non prorogate ed assoggettate ad una durata massima di quattro anni [18].

Il termine di proroga, che si atteggia così come una sorta di indennizzo per la sottrazione immobiliare subita dai privati, risponde alla finalità di soddisfare esigenze di certezza del diritto, causata dall’indeterminatezza regolatoria generatasi nelle coste spagnole in seguito alla reversione dei fondi [19].

È invece notorio come le ragioni sottese al meccanismo di proroga approntato dal legislatore nazionale obbedisca alla diversa pretesa di dilazionare l’estensione temporale del titolo legittimante lo svolgimento di servizi a carattere economico (che, come tali, assumono pregnanza ai fini dell’applicazione della direttiva Bolkestein), piuttosto che all’utilizzo di beni immobili preposti a fini eterogenei [20].

La diversità del regime previsto dal legislatore spagnolo rispetto alla disciplina prevista in Italia – e le conseguenti giustificazioni poste a fondamento dell’approvazione della riforma della Ley de Costas che non trovano riscontro nel contesto interno [21] – hanno costituito peraltro la ragione principale in base alla quale, per stessa affermazione della Commissione, il primo non pone problemi di coerenza rispetto al diritto dell’Unione.

Dal quadro così tracciato si comprende, dunque, come il problema della proroga delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo, oltre a costituire l’oggetto di un complesso iter normativo spesso entrato in collisione con i principi fondamentali del mercato comune, presenti aspetti del tutto singolari rispetto all’esperienza spagnola, i cui caratteri vengono da più parti ritenuti, spesso senza la dovuta cautela, mutuabili nell’esperienza nazionale [22].


3. Il sindacato del giudice costituzionale sulle proroghe introdotte dalle leggi regionali e i dubbi di compatibilità eurounitaria espressi dal giudice amministrativo sulla disciplina nazionale

Prima di analizzare gli aspetti della disciplina interna sui quali il giudice amministrativo ha espresso forti dubbi di compatibilità con il contesto europeo, giova ricordare come un ampio sindacato sia stato altresì esercitato dalla Corte costituzionale sulle discipline regionali che hanno previsto, pur con procedure tra loro differenti, meccanismi di proroga delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo [23].

L’indagine sulla giurisprudenza costituzionale appare particolarmente interessante, avendo il giudice di Palazzo della Consulta nel tempo consolidato una posizione sostanzialmente unitaria nel censurare le previsioni delle legislazioni territoriali, ritenute in linea di massima orientate a porre barriere nel­l’accesso al mercato di altri potenziali concorrenti e quindi tese a favorire il consolidarsi di situazioni monopolistiche.

L’argomentazione di fondo su cui ruotano le varie pronunce del giudice costituzionale, difatti, consiste nel ritenere che le previsioni regionali contrastino con gli obblighi di derivazione europea in materia di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, in tal modo violando il parametro interposto rappresentato dall’art. 117, comma 1, Cost.

La Corte non ha così ritenuto plausibile qualsivoglia ragione giustificativa di simili previsioni che fosse fondata sulla tutela del legittimo affidamento dei concessionari uscenti, talvolta invocata dalle difese regionali.

Una simile soluzione è stata prospettata, ad esempio, nel contenzioso poi conclusosi con la sentenza n. 180 del 2010 che ha censurato l’art. 1 della l. r. Emilia-Romagna n. 8 del 2009 nella parte in cui prevedeva la possibilità per i titolari di concessioni di richiedere una proroga operante in via automatica di durata nel massimo fino a venti anni [24].

Il giudice costituzionale non ha tuttavia avallato l’impostazione del legislatore emiliano, trattandosi di un sistema avente lo scopo di prorogare concessioni ormai esauritesi e in relazione alle quali conseguentemente non poteva ipotizzarsi la necessità di salvaguardare alcun affidamento, conoscendo il concessionario il termine entro il quale poter eventualmente rientrare dagli investimenti effettuati [25].

L’incostituzionalità delle discipline regionali [26], dichiarata anche in relazione alle legislazioni friulana [27], toscana [28], marchigiana [29] e veneta [30] non ha rinvenuto tuttavia il proprio fondamento unicamente nel comma primo dell’art. 117 Cost., avendo la Corte talvolta richiamato, in qualità di parametro integrativo, anche il comma 2, lett. e), della medesima disposizione, che conferisce al legislatore statale la competenza esclusiva in materia di concorrenza.

È quanto è accaduto nella pronuncia n. 213 del 2011 [31] in cui si è ritenuto che la disciplina regionale di cui all’art. 2, della l.r. Abruzzo n. 3 del 2010 [32] (che statuiva che la dilazione prescritta per le concessioni in essere fosse operativa anche per il rilascio ab origine delle stesse il cui procedimento fosse in corso), interferisse con la competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale l’accesso da parte dei possibili beneficiari del titolo concessorio ai beni del demanio marittimo [33].

L’orientamento della giurisprudenza costituzionale non è stato esente da critiche, avanzate in particolare da una dottrina che ha posto in evidenza come la Corte abbia optato per un indirizzo ermeneutico uniforme pur in presenza di fattispecie in realtà tra loro eterogenee [34].

Si è rilevato, difatti, come non tutte le discipline sottoposte al vaglio del giudice delle leggi prevedessero analoghi meccanismi di proroga poiché, mentre in taluni casi la dilazione temporale era disposta in via automatica, in altri era subordinata al riscontro da parte dell’amministrazione di certi requisiti ed in assenza talvolta di una preventiva delimitazione a livello di durata [35].

Per questo la Corte è sembrata non aver preso in adeguata considerazione il diverso bilanciamento di interessi confliggenti sotteso alle diverse ipotesi considerate, sì da far assurgere la tutela del principio di concorrenza ad un “super-interesse, capace di imporsi isolatamente, senza bilanciamenti, su qualsiasi altro interesse di rilievo costituzionale e di rilievo nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea” [36].

La riflessione parrebbe cogliere nel segno, in quanto orientata a far luce su un aspetto effettivamente delicato emergente dal complesso delle pronunce, dirette a frapporre una preclusione forse troppo netta rispetto alle previsioni delle diverse discipline regionali, dal canto loro orientate alla salvaguardia di esigenze di carattere più sostanzialistico che formale.

Ad ogni modo, è sempre a partire dall’esigenza del rispetto dei principi posti a tutela della libera competizione economica che sono scaturite le censure mosse dall’altro plesso giurisdizionale interno, quello amministrativo, che hanno poi condotto all’adozione della recente pronuncia della Corte di giustizia del 14 luglio 2016 sulle cause riunite Promoimpresa-Melis.

La sentenza del giudice europeo ha trovato origine, come noto, dai rilievi avanzati dal T.a.r. Lombardia [37] e dal T.a.r. Sardegna [38] che, nell’enucleare i profili di incompatibilità eurounitaria della disciplina nazionale, hanno interrogato il giudice del Lussemburgo al fine di veder chiarita la questione inerente la legittimità della proroga automatica prevista dalla normativa nazionale.

Conviene anzitutto far presente come il percorso logico seguito dal giudice lombardo appaia interessante in quanto, oltre a prospettare con chiarezza gli aspetti di criticità della regolamentazione interna, sembra idealmente raccordarsi con gli approdi ermeneutici cui è pervenuta la Corte costituzionale nel dichiarare l’illegittimità delle varie previsioni regionali sottoposte al suo giudizio [39].

Il Tribunale amministrativo, invero, dapprima enuclea i propri dubbi in ordine alla conciliabilità della proroga con i canoni di derivazione sovranazionale, per poi soffermarsi, tanto sulla presenza nel caso di specie di un interesse transfrontaliero certo, quanto sulla necessità di procedure di gara che si esplichino in modo coerente con i principi di trasparenza e non discriminazione [40].

Nell’analitico iter motivazionale, proseguendo oltre, si apprezza un richiamo in via analogica alla giurisprudenza del Giudice delle leggi relativa ai rinnovi e alle proroghe automatiche delle concessioni in materia di trasporto pubblico locale, la cui disciplina è preclusa al legislatore regionale in quanto tesa a frapporre limiti nell’ingresso al mercato e quindi lesiva delle fondamentali regole concorrenziali [41].

Il T.a.r. Lombardia approfondisce altresì il problema della conciliabilità della reiterazione della proroga con esigenze di certezza del diritto, precisando come eventuali effetti pregiudizievoli per il concessionario potrebbero in ipotesi verificarsi nel solo caso di anticipazione del termine di cessazione del rapporto concessorio e non, come nel caso della proroga fino al 31 dicembre 2020, di (mancato) dilazionamento dello stesso [42].

Analoghe valutazioni vengono svolte, tra l’altro, anche con riguardo alla necessità di tutelare l’equilibrio finanziario dei concessionari e quindi alla stregua dei principi di adeguatezza e di proporzionalità, che non si ritiene possano essere addotti a giustificazione di una simile normativa che interviene in modo trasversale sui rapporti concessori, senza possibilità, quindi, di alcun riscontro concreto delle singole situazioni di dissesto [43].

Al contrario, la previsione di una proroga generalizzata del termine delle concessioni appare sproporzionata, in quanto non connessa all’effettiva necessità di tutelare la parità di trattamento degli operatori in ordine alla salvaguardia della stabilità economica del concessionario uscente, che finirebbe per avvalersi di un vantaggio irragionevole [44].

Le osservazioni svolte dal giudice amministrativo lombardo hanno rappresentato un percorso interpretativo persuasivo anzitutto per i giudici del Consiglio di Stato che, in un caso riguardante concessioni destinate a porti turistici, hanno fatto proprio il ragionamento di questo T.a.r. e proposto a loro volta domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia [45].

Risultano, ad ogni modo, del pari meritevoli di attenzione i rilievi avanzati dal Tribunale amministrativo sardo che, in seguito ad un’approfondita ricostruzione del quadro ordinamentale di riferimento, conclude nel senso che la normativa italiana finisce per sottrarsi al diritto europeo, in quanto, per effetto della sua vigenza, “continua a consentire e riconoscere un sostanziale “diritto di insistenza” sulle concessioni demaniali marittime in essere” [46].

Si ritiene infatti che un simile impianto normativo, a cagione del prolungato riconoscimento di una sorta di “esclusiva” nell’utilizzazione a fini economici di beni demaniali, non possa che entrare in conflitto con il principio della parità di trattamento tra gli operatori di mercato, nonché con i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi.

Le pronunce dei giudici amministrativi, pertanto, si sono mostrate complessivamente molto critiche rispetto all’impianto normativo predisposto dal legislatore italiano, ritenuto senza mezzi termini integralmente contrastante con il quadro normativo sovranazionale.

Le censure avanzate hanno costituito allo stesso tempo lo stimolo per il successivo sindacato del giudice europeo che, sulla base dei rilievi dell’Avvo­cato generale Maciej Szpunar, non ha tardato a dar seguito alle considerazioni critiche prospettate dai tribunali amministrativi regionali.


4. La presa di posizione dell'Avvocato generale sull'incompati­bilità con il diritto europeo del quadro normativo interno nelle conclusioni sul caso Promoimpresa-Melis

Una riflessione sui contenuti salienti delle conclusioni dell’Avvocato generale rese sulle cause riunite C-458/14 e C-67/15 costituisce uno snodo fondamentale della problematica in analisi, in quanto rappresenta una sorta di “passaggio intermedio” tra le decise osservazioni dei giudici amministrativi e la successiva interpretazione fornita della Corte di giustizia.

Vi si rinviene, infatti, un risoluto allineamento nel senso dell’incompatibilità della proroga automatica con il complesso delle regole e dei principi europei, anche se, come si vedrà di qui a breve, da una lettura approfondita può comunque percepirsi un intento non del tutto preclusivo rispetto alla possibilità di fornire una giustificazione al meccanismo dilatorio, seppur limitatamente ad ipotesi di certo marginali.

Il punto di partenza dell’intero corpus motivazionale può individuarsi nel richiamo alla consolidata giurisprudenza per la quale un’armonizzazione esaustiva formatasi a livello europeo in un dato settore impedisce che qualsiasi atto nazionale possa essere scrutinato in base a disposizioni diverse da quella stessa misura di armonizzazione; se gli Stati potessero aggirare questa disciplina attraverso il diritto primario, essa potrebbe risultare invero privata dell’ef­fetto utile [47].

Identificato così il parametro interpretativo di riferimento nel solo art. 12 della direttiva Bolkestein, del percorso ermeneutico si apprezzano in particolare tre segmenti di rilievo, soffermandosi l’Avvocato generale dapprima sull’appli­cabilità della disposizione alla fattispecie concreta, per poi passare ad una sua dettagliata esegesi, onde conclusivamente indagarne gli effetti nell’ordina­mento giuridico nazionale.

Con riguardo alla parte relativa all’operatività dell’art. 12, viene anzitutto affrontato il problema della distinzione tra le concessioni demaniali marittime e lacuali e la figura della locazione commerciale, ipotesi, quest’ultima, che diversamente da quanto accade nel primo caso riconosce il godimento di un bene pubblico senza un’autorizzazione condizionante l’accesso all’attività di servizio [48].

In disparte questo aspetto, l’attenzione si concentra sulla qualificabilità delle fattispecie in questione in termini di concessioni di servizi (rilevanti ai fini dell’applicazione dei principi e delle norme europee in tema di appalti), piuttosto che come autorizzazioni alle attività di servizi (significative ai sensi della direttiva Bolkestein).

Tale nodo interpretativo viene risolto in quest’ultimo senso alla luce della considerazione per la quale, nel caso delle concessioni di servizi, l’ammini­strazione conferisce al concessionario lo svolgimento di una data attività di servizio – che di norma la stessa è chiamata ad esercitare – subordinandola a puntuali requisiti unilateralmente predeterminati e senza possibilità di rinuncia da parte dell’operatore economico [49].

Per queste ragioni si è escluso che nel caso di specie potesse ritenersi configurabile siffatto tipo di concessione, poiché nessuno dei ricorrenti era stato sottoposto ad alcun obbligo di prestazione, al contrario rimanendo libero di recedere dalla fornitura del servizio.

Tale conclusione, per di più, è coadiuvata da un’interessante puntualizzazione da parte dell’Avvocato generale, il quale non ha mancato di chiarire che, anche volendo assimilare le dette convenzioni a vere e proprie concessioni di servizi con conseguente inapplicabilità della direttiva, le autorità nazionali finirebbero per essere destinatarie, sempre che si sia in presenza di attività economiche di interesse transfrontaliero certo, di requisiti sostanzialmente analoghi, alla luce delle regole e dei principi derivanti dal Trattato [50].

Affrontato in senso affermativo l’ulteriore aspetto della sussistenza di un numero limitato di autorizzazioni a causa della scarsità delle risorse naturali, l’analisi si sposta sull’esegesi dell’art. 12, di cui viene anzitutto posta in evidenza la finalità principale.

Questa disciplina, nella parte in cui dispone che il rilascio di autorizzazioni abbia durata limitata e segua una procedura trasparente e imparziale, risponde in effetti all’esigenza di mantenere un’apertura al mercato di un’attività presupponente un numero limitato di operatori [51].

Con riguardo poi alla compatibilità tra il dilazionamento delle autorizzazioni rilasciate anteriormente alla trasposizione della direttiva e le previsioni dello stesso art. 12, viene avanzata la duplice considerazione per cui, se da un lato un tale meccanismo finisce per collidere con il paragrafo primo della disposizione in cui viene contemplato il necessario espletamento di una procedura di selezione, dall’altro la proroga non può che assimilarsi ad un vero e proprio rinnovo automatico, la cui operatività è radicalmente preclusa dal paragrafo secondo del menzionato articolo [52].

Non sono peraltro ritenute fondate le osservazioni dirette a motivare la previsione nazionale alla stregua di ragioni di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento dei destinatari, quale misura cioè funzionale a garantire il rientro degli investimenti effettuati dai concessionari nella ragionevole aspettativa di un allungamento della durata del titolo legittimante. Per l’Avvocato generale gli interessi dei titolari delle autorizzazioni già sarebbero stati tenuti in debito conto dalla direttiva, che dispone per quel titolo una durata adeguata (art. 12, paragrafo secondo) [53].

È del pari espresso un giudizio negativo in ordine alla possibilità di addurre ragioni connesse a “motivi di interesse generale”, cui il paragrafo terzo della disposizione fa riferimento con riguardo alle regole per il procedimento selettivo, poiché tale disciplina in alcun modo riconosce la possibilità di invocare simili ragioni per esimersi dalla sua stessa indizione [54].

Un richiamo al legittimo affidamento non viene ritenuto, comunque, del tutto privo di fondamento, quanto meno nelle ipotesi in cui sia possibile provare in concreto che il titolare dell’autorizzazione abbia legittimamente riposto un’a­spettativa in ordine al rinnovo del proprio titolo autorizzatorio e abbia compiuto i relativi investimenti [55].

Sta di fatto che una tale ragione è preclusa in relazione ad una proroga automatica del tipo di quella prevista dalla disciplina interna, che si riferisce in modo trasversale alle concessioni demaniali marittime e lacuali intese nella loro generalità [56].

Nell’ultima parte delle conclusioni, infine, l’Avvocato generale rammenta che i giudici nazionali nell’assolvere l’obbligo di interpretazione conforme debbano risolvere il contrasto tra il diritto interno trasponente la normativa sovranazionale e la disciplina nazionale di settore con esso confliggente alla stregua delle particolarità della stessa direttiva n. 123 del 2006, la cui normativa “a carattere orizzontale” di recepimento – a mente di quanto statuito nel manuale per la sua attuazione – deve in ogni caso prevalere sulla normativa speciale [57].

La precisazione è funzionale ad evitare la conseguenza che l’applicazione dell’art. 12, malgrado il formale recepimento, sia poi nella sostanza vanificata dal sopravvenire di una disciplina speciale [58].

Enucleati i contenuti fondamentali delle conclusioni [59], può affermarsi che il ragionamento condotto dall’Avvocato generale in ordine alla incompatibilità eurounitaria della disciplina interna non lascia particolari spazi ad interpretazioni o valutazioni di sorta, avendo questi con precisione tracciato un sentiero ermeneutico lineare.

A fronte di tale chiarezza concettuale non sono mancati tuttavia i rilievi della dottrina che, oltre a dissentire in ordine alla tecnica e al parametro di decisione implicitamente suggerito alla Corte [60], ha altresì riscontrato profili di criticità nella sovrapposizione dei termini “proroga” e “rinnovo automatico”, sui quali sarebbe stata invece opportuna un’adeguata diversificazione [61].

Al di là di tali censure, entrambe fondate, resta il fatto che il messaggio che si è voluto lanciare al giudice europeo è stato puntuale e rigoroso e di ciò si rinviene traccia nella pronuncia del 14 luglio 2016 in cui, come forse era prevedibile, sono state valorizzate gran parte delle osservazioni prospettate nelle conclusioni, seppur attraverso l’aggiunta di ulteriori argomentazioni a sostegno della tesi dell’illegittimità della proroga delle concessioni demaniali.


5. La Corte di giustizia non riserva sorprese: la proroga automatica impedisce una selezione imparziale e trasparente. Riflessioni a margine della pronuncia sulle cause riunite C-458-14 e C-67-15 del 14 luglio 2016

La recente pronuncia della Corte di giustizia sul caso Promoimpresa-Melis costituisce una tappa assai importante e attesa in relazione ad una problematica che, come si è sin qui cercato di illustrare, non ha ancora trovato una definizione stabile.

La decisione ha aderito al filone interpretativo consolidatosi in termini critici relativamente al sistema di proroga automatica concepito a livello nazionale, che aveva lasciato presagire la possibile adozione di una sentenza di senso avverso rispetto al “salvataggio” della travagliata disciplina interna.

L’impianto motivazionale della sentenza appare ordinato su puntuali sno­di concettuali, attraverso i quali il giudice europeo con chiarezza argomentativa muove rigorose censure al meccanismo dilatorio, sulla falsariga di quanto accaduto in occasione delle conclusioni rese dall’Avvocato generale Szpunar, rispetto alle quali si apprezzano tuttavia, come poco sopra accennato, spunti di approfondimento, assieme ad una maggiore sinteticità espositiva.

La Corte si sofferma anzitutto sul principale aspetto qualificatorio emergente dalle fattispecie da cui ha originato il rinvio pregiudiziale, costituendo le concessioni demaniali marittime e lacuali a scopo turistico-ricreativo – a prescindere dal nomen posseduto nel contesto interno – delle vere e proprie autorizzazioni rilevanti ai sensi della direttiva Bolkestein [62].

Con maggiore sforzo esplicativo, viene così richiamata l’attenzione sul fatto che, nei giudizi di rinvio, le concessioni non riguardavano prestazioni di servizi ma l’autorizzazione all’esercizio di un’attività di carattere economico su un bene demaniale [63].

Quest’affermazione transita attraverso il richiamo al considerando 57 della direttiva, in virtù del quale la disciplina in essa contenuta e concernente le autorizzazioni non è applicabile alle concessioni di servizi pubblici, al contrario rilevanti ai sensi della direttiva n. 23 del 2014 [64].

Una concessione di servizi, difatti, si connota per il trasferimento dall’au­torità al concessionario del diritto di gestione di un dato servizio e per la possibilità per il titolare di determinarne l’organizzazione, oltre che per la soggezione ai rischi ad essa collegati [65].

Tali puntualizzazioni non appaiono tuttavia di per sé sufficienti ad affermare l’automatica applicazione dell’art. 12 del provvedimento normativo europeo, poiché, pur essendo certo che si tratti di concessioni relative a risorse naturali, si ritiene esser compito del giudice interno indagare in ordine al carattere limitato delle stesse risorse a cagione della loro scarsità [66].

Il giudice di Lussemburgo, in proposito, ha modo di suggerire come le concessioni di cui ai procedimenti principali fossero rilasciate a livello locale e non nazionale, circostanza questa da tenere in considerazione nell’indagine relativa alla limitatezza del numero delle aree impiegabili a fini economici.

Ciò precisato in ordine alle condizioni di applicazione della disciplina contenuta nella direttiva, il Consesso europeo non tarda a raccordarsi in modo esplicito alle conclusioni dell’Avvocato generale attraverso il richiamo all’argo­mentazione per cui una proroga normativa della scadenza delle autorizzazioni è assimilabile ad un rinnovo automatico, precluso dal paragrafo secondo dell’art. 12 [67].

Nel rammentare, inoltre, che una tale proroga automatica non permette l’e­spletamento di procedure di selezione imparziali, trasparenti e dotate di adeguata pubblicità, la Corte rigetta altresì l’ulteriore rilievo fondato sulla tutela del legittimo affidamento, ricordando come il paragrafo terzo della citata disposizione consenta di tenere conto di motivi imperativi d’interesse generale nel solo momento della determinazione della procedura selettiva e non per giustificare proroghe di autorizzazioni in cui una tale procedura risulti del tutto assente [68].

Di legittimo affidamento potrebbe invero parlarsi solo subordinatamente ad una valutazione concreta tesa a dimostrare che gli investimenti effettuati sono giustificati da un’aspettativa legittima in ordine ad un rinnovo dell’autoriz­zazione, condizione, questa, che evidentemente non può trovare riscontro in una proroga automatica di carattere generalizzato [69].

La Corte si sofferma poi sull’eventualità che i giudici del rinvio, non riscontrando il carattere della scarsità delle risorse, ritengano che la direttiva Bolkestein non debba trovare applicazione: in questa ipotesi, trattandosi di diritti di stabilimento in aree demaniali per lo sfruttamento economico a fini turistico-ricreativi, non potrà che trovare applicazione l’art. 49 T.F.U.E. [70].

Di conseguenza, nel caso in cui una concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, una sua assegnazione in assenza di una procedura trasparente determina una disparità di trattamento a scapito di imprese aventi sede in altri Stati membri [71].

Il giudice di Lussemburgo, peraltro, fornisce una serie di criteri-guida in base ai quali poter condurre un’indagine in ordine all’effettiva sussistenza di un tale tipo di interesse, che vengono individuati – a mente della più recente giurisprudenza europea – nell’importanza economica, nel luogo di esecuzione nonché nelle caratteristiche tecniche dell’appalto [72].

Con riguardo ai procedimenti principali, viene in proposito precisato che, mentre nella vicenda lombarda era stata condotta un’indagine in ordine alla sussistenza di un simile requisito alla stregua della collocazione geografica e del valore della concessione (accertandosi in tal modo un pregiudizio per ulteriori potenziali concorrenti di Stati europei), nella vicenda sarda simili indicazioni non erano state fornite, dovendo pertanto il giudice remittente svolgere una tale verifica in via preventiva rispetto al sindacato della Corte.

Conclude il percorso motivazionale un’ulteriore riflessione in ordine all’in­sussistenza di esigenze di tutela del principio di certezza del diritto, rilevandosi che le fattispecie concessorie oggetto di rilascio fossero venute ad esistenza quando già era noto che i contratti di interesse transfrontaliero certo dovessero sottostare a procedure trasparenti: per questo, non viene ritenuto che un simile principio possa essere ragionevolmente invocato, diversamente inverandosi una disparità di trattamento vietata dal Trattato [73].

Così ripercorsi i passaggi-chiave della pronuncia della Corte di Giustizia, giova svolgere alcune riflessioni a margine del percorso motivazionale che, pur nella sua articolazione strettamente consequenziale,sembra lasciar spazio a talune osservazioni, quanto meno nella parte in cui pare individuare dei piccoli pertugi rispetto alla “via obbligata” costituita dal necessario espletamento di procedure di selezione, che sembrerebbero, anche se in modo limitato, ridimensionare la perentorietà delle conclusioni finali.

Ci si riferisce in specie a quella parte dell’iter argomentativo in cui viene espressamente sancita la necessità che la scarsità delle risorse, la cui sussistenza è imprescindibile ai fini dell’applicazione dell’art. 12 della direttiva, debba essere valutata in concreto da parte del giudice interno, il quale anzitutto deve aver riguardo alla dimensione comunale ai fini di un tale accertamento [74].

Questa precisazione, peraltro, parrebbe idealmente raccordarsi con l’ul­teriore spunto per cui la Corte sembrerebbe mostrarsi indirettamente accondiscendente rispetto all’operatività di meccanismi di proroga nell’ipotesi in cui non venga riscontrato che la concessione presenti, oltre che risorse scarse, un interesse transfrontaliero certo, circostanza sicuramente rara che, comunque, deve essere accompagnata da un’adeguata e concreta motivazione da parte dell’autorità pubblica [75].

Nella sentenza della Corte, per vero, è del tutto assente una puntualizzazione in ordine alla distinzione tra i concetti di proroga e rinnovo automatico che, replicando ciò che era stato in precedenza affermato dall’Avvocato generale, vengono meccanicamente sovrapposti al fine di escludere la compatibilità con il diritto europeo della disciplina interna.

Come già ricordato, questi due elementi sembrerebbero evocare in realtà strumenti tra loro differenti e come tali non riconducibili ad un concetto unitario identificabile nel generico dilazionamento del termine di scadenza di concessioni demaniali in essere, riflettendo ciascuno di essi un diverso bilanciamento tra contrapposti interessi [76].

Deve ad ogni modo apprezzarsi lo sforzo ermeneutico profuso dalla Corte di giustizia che, al di là di ogni possibile valutazione e osservazione, ha fatto avvertire con grande chiarezza che non sono più possibili soluzioni di compromesso e che la via da imboccare è, inevitabilmente, quella di far ricorso a procedure selettive imparziali e trasparenti.


6. Alcune osservazioni conclusive alla luce delle prospettive di riordino della materia

Volendo trarre qualche riflessione conclusiva a margine del complesso di questioni analizzate nel corpo del presente contributo, sembra ragionevole affermare che con la recente bocciatura della Corte di giustizia l’articolazione generale delle concessioni demaniali marittime e lacuali a scopo turistico-ricreativo debba ormai essere riconsiderata, al fine di predisporre un quadro coerente con i principi e le regole europee.

Appare viva, così, la necessità di approntare un intervento il più tempestivo possibile e in grado di soddisfare le molteplici esigenze che si impongono a livello ordinamentale: se da un lato, infatti, un tale intervento potrebbe evitare l’avvio di nuove procedure di infrazione da parte della Commissione, dall’altro, contribuirebbe alla definizione di una situazione giuridica complessivamente più chiara per i privati, che da un contesto di disciplina dai contorni poco nitidi non possono che uscirne in ogni caso danneggiati.

È d’uopo rammentare come poco dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia sia stato introdotto in sede di conversione del d.l. enti locali 2016, un emendamento che dispone la validità delle concessioni già istaurate e pendenti in base all’art. 1, comma 18, d.l. n. 134 del 2009, ossia della disposizione – cui si è più volte fatto riferimento – che ha prorogato la durata delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo in essere alla data di entrata in vigore di quel decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015, sino alla data del 31 dicembre 2020 [77].  

La previsione sembrerebbe tuttavia criticabile in quanto contrastante con i principi del diritto europeo e ciò, maggiormente, alla luce della decisione del giudice di Lussemburgo.

Tale disposizione, invero, attraverso una sorta di “sanatoria” delle concessioni demaniali rilasciate in attuazione del quadro regolatorio dichiarato non conforme con il contesto sovranazionale, parrebbe perpetuare il funzionamento di quegli stessi meccanismi che sono stati esplicitamente censurati dalla Corte di giustizia.

Si auspica tuttavia che questa misura, varata al dichiarato fine di assicurare certezza del diritto e continuità nella gestione del demanio marittimo in attesa del riordino del settore, costituisca un provvedimento autenticamente temporaneo e comunque strumentale all’approvazione di un testo normativo di più ampio respiro che, riconosciuta adeguata tutela ai rapporti concessori in essere, rappresenti un’attuazione effettiva degli indirizzi sovranazionali.

A tal proposito si ricorda come, coerentemente ad una simile esigenza, si siano orientate talune delle più recenti iniziative parlamentari assunte nel corso della XVII legislatura, in linea di massima dirette a riconoscere un congruo periodo transitorio per il rientro degli investimenti effettuati da parte degli operatori economici del settore balneare.

Tra i più recenti progetti presentati in tal senso, è possibile richiamare il disegno di legge A.S. n. 2269 rubricato “Modifiche alle disposizioni in materia di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative” del 3 marzo 2016 [78], che prevede un periodo transitorio adeguatamente esteso finalizzato alla tutela dell’affidamento riposto dai gestori sul rientro degli investimenti effettuati, oltre che al rinnovo delle concessioni attive [79].

Il lasso temporale provvisorio, in particolare, sarebbe funzionale alla ricognizione dei beni demaniali marittimi disponibili e non ancora utilizzati per il riconoscimento di nuove concessioni in base ai piani di utilizzo degli arenili approntati dai Comuni e, soprattutto, per “consentire al Governo di agire in sede europea sulle peculiarità che caratterizzano le imprese del settore turistico-balneare in Italia e per le quali potrebbero essere individuate soluzioni differenti rispetto a quelle previste dalla “direttiva servizi”, ottenendo dalla Commissione europea il via libera per l’applicazione della citata fase transitoria in virtù della specificità del settore” [80].

Si pone in termini non troppo dissimili rispetto a tale iniziativa, il disegno di legge A.S. n. 2336 recante “Revisione e riordino delle disposizioni in materia di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative” del 21 aprile 2016 [81], che nell’obiettivo primario di far sì che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative siano affidate attraverso procedure competitive, contempla anch’esso un lungo regime transitorio a presidio delle concessioni in essere, che verrebbero prorogate fino al 31 dicembre 2050 [82].

Lo scopo del detto disegno è infatti quello di coniugare la necessità di salvaguardare le concessioni attive con l’effettività dei principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi, il cui bilanciamento verrebbe assicurato dalla previsione per cui ogni ente territoriale deve indicare gli spazi demaniali non impiegati per finalità turistico-ricreative da assoggettare a procedure di selezione, la cui proporzione con le aree già sottoposte a rapporti concessori sarebbe definita da un regolamento governativo di tempestiva emanazione [83].

Degno di nota, infine, è anche il disegno di legge A.S. n. 2337 del 5 maggio 2016 [84] rubricato “Disciplina delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative” che persegue l’obiettivo di percorrere un “doppio binario” di azione, operando una distinzione tra le concessioni in essere, soggette ad un differimento transitorio, e quelle di nuovo rilascio, sottoposte all’immediata operatività di procedure di selezione [85].

Si prevede, in particolare, il prolungamento delle concessioni attive al 31 dicembre 2015 per trent’anni a fronte dell’impegno degli operatori ad investire per la riqualificazione delle aree demaniali [86], oltre che un complesso di regole di gara da seguire per l’assegnazione di nuovi titoli concessori su beni demaniali marittimi [87].

Volendo svolgere qualche considerazione a margine dei richiamati disegni di legge, sembra apprezzabile lo sforzo di contemperare le duplici esigenze di tutelare sia gli investimenti effettuati dagli operatori balneari che la necessità di un’apertura alle procedure selettive.

Ciò che pare criticabile all’interno delle iniziative assunte a livello parlamentare, tuttavia, è l’eccessivo periodo di tempo riconosciuto a tutela delle concessioni attive che potrebbe risultare incoerente con i principi espressi dal giudice europeo.

In taluni dei disegni di legge richiamati, difatti, si prevedono periodi anche molto estesi che rischiano di non risultare pienamente compatibili con la necessità, ormai non più differibile, di assicurare l’espletamento di gare imparziali e trasparenti.

Tale considerazione, peraltro, potrebbe essere corroborata dal fatto che, come è stato affermato dalla stessa Corte di giustizia, non sussiste un vero e proprio affidamento legittimo da tutelare in capo agli operatori balneari.

Il regime transitorio dovrebbe pertanto contemplare termini verosimilmente più contenuti, permettendo comunque un’adeguata tutela degli investimenti compiuti, ma, al contempo, evitando ogni possibile radicamento di situazioni di vantaggio in capo a questi stessi operatori.

Ad ogni modo, rispetto alle iniziative di riassetto della materia predisposte a livello nazionale non è apparsa recessiva l’attenzione sul problema anche a livello regionale e di ciò può aversi una dimostrazione con la recente normativa approvata dal legislatore toscano, che assume rilievo anche per il contenzioso costituzionale prontamente istaurato sulla stessa dal Governo in via principale.

Questa disciplina, contenuta nella l.r. Toscana 9 maggio 2016, n. 31, appare interessante poiché, come specificato nel preambolo dell’articolato normativo, trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di individuare un adeguato equilibrio tra i compresenti interessi della tutela della concorrenza e della salvaguardia degli investimenti effettuati dagli operatori economici [88], il tutto nel più generale intento di approntare un’azione tesa a valorizzare le peculiarità del territorio costiero toscano, di cui le imprese del settore balneare costituiscono elemento identitario [89].

L’art. 2 della legge riconosce, infatti, al concessionario uscente, conformemente al quadro regolatorio in vigore a livello nazionale e nell’ambito delle procedure comparative per il rilascio delle concessioni di durata superiore a sei e inferiore a venti anni, il diritto ad un indennizzo da corrispondersi da parte del concessionario subentrante “pari al 90 per cento del valore aziendale dell’impresa insistente sull’area oggetto della concessione, attestato dalla perizia giurata di cui alla lettera c) [90], da pagarsi integralmente prima dell’even­tuale subentro” [91].

Il provvedimento, peraltro, intende valorizzare altresì gli investimenti di riqualificazione ambientale e di valorizzazione paesaggistica [92], oltre che la gestione diretta dell’attività oggetto della concessione [93].

La misura varata dal legislatore toscano costituisce pertanto un interessante modello di analisi, cercando di adeguare il settore balneare al rispetto dei principi europei di libera competizione economica, pur non trascurando l’esi­genza di una concreta salvaguardia delle peculiarità del settore imprenditoriale costiero regionale.

Tale iniziativa, tuttavia, non è stata favorevolmente recepita dal Consiglio dei Ministri che nella seduta del 30 giugno 2016 ha deliberato l’impugnativa dell’arti­colato nella parte in cui invaderebbe taluni ambiti competenziali esclusivi statali ed in particolare quelli di cui all’art. 117, comma secondo, lett. l), e), s) in materia di ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela del paesaggio [94].

Al di là dei vari profili di incostituzionalità che sono stati prospettati dal Governo, la normativa regionale sembra poi prestarsi ad ulteriori rilievi critici.

Desta perplessità, in particolare, la previsione dell’indennizzo in favore dei vecchi concessionari, che potrebbe costituire un ostacolo alla piena operatività del principio di concorrenza.

Il legislatore regionale, difatti, condizionando l’immissione del concessionario subentrante all’integrale pagamento dell’indennizzo pari al 90% del valore aziendale dell’impresa, parrebbe aver interposto uno sbarramento di difficile coordinamento con il principio di libera competizione economica, prefigurandosi un onere di non marginale entità per l’accesso alla concessione medesima, oltre che il rischio di un possibile vantaggio ingiustificato per il concessionario uscente.

La legge toscana, così, non sembrerebbe aver fornito neppure indicazioni adeguatamente puntuali in ordine al calcolo dell’indennizzo dovuto, non risultando pienamente comprensibile se a tal fine debbano essere considerati, ad esempio, l’ammortamento dell’investimento effettuato e gli utili realizzati dallo stesso concessionario.

Tale considerazione, inoltre, potrebbe virtualmente collegarsi con l’osserva­zione, prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato nel ricorso in via principale, in base alla quale il riferimento contenuto nel testo della disposizione al “valore aziendale dell’impresa insistente sull’area oggetto della concessione”, risulta del tutto indeterminato e privo di un’esplicita definizione normativa. Una simile nozione, invero, appare come un “coacervo dai confini incerti, suscettibile di comprendere (…) beni già in proprietà del concessionario uscente e beni, come quelli immobili, che in linea di principio dovrebbero risultare già automaticamente acquisiti al demanio per accessione” [95].

La disciplina regionale sembra in tal modo porre problematiche in realtà non troppo dissimili rispetto a quelle emerse nell’ambito del regime delle concessioni idroelettriche, che è stato sottoposto a censure da parte della Commissione europea [96].

In ogni caso, così ripercorse le più recenti e interessanti iniziative assunte a livello interno, non resta che auspicare che venga predisposto in tempi rapidi un intervento sull’intera materia, al fine di rimuovere un’incertezza normativa non più sostenibile per le moltissime imprese del settore balneare.

Un allineamento pressoché compatto del giudice amministrativo, costituzionale ed europeo, difatti, non lascia ormai più margini di tempo al legislatore nazionale che, non potendo più percorrere la strada – già da troppo tempo esplorata – del ricorso allo strumento della proroga, è chiamato con forza ad approntare una riforma del sistema aperta alla libera competizione economica ma, al contempo, attenta alla salvaguardia delle posizioni degli operatori economici già in possesso di titoli concessori.


NOTE

[1] Per un’analisi d’insieme dei più significativi modelli di gestione del demanio marittimo negli Stati europei, F. DI LASCIO, Le concessioni di spiaggia in altri ordinamenti, in M. DE BENEDETTO (a cura di), Spiagge in cerca di regole. Studio sulla regolazione delle concessioni balneari, il Mulino, Bologna, 2011.

[2] Si veda, ex multis, la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 24 dicembre 2009, n. 8716, con nota di G. GRUNER, L’affidamento ed il rinnovo delle concessioni demaniali marittime tra normativa e principi del diritto dell’unione europea, in Foro amm. CdS, 2010, 3, 678, il quale segnala una vera e propria “decostruzione della disciplina positiva” dell’affidamento e del rinnovo delle concessioni demaniali marittime ad opera della giurisprudenza amministrativa.

[3] Art. 37, comma 2, R.D. 30 marzo 1942, n. 327, codice della navigazione, a mente del quale: “[a]l fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze” . Per l’art. 36 del detto codice, infatti, i be­ni del demanio pubblico marittimo possono costituire oggetto di una concessione.

[4] Art. 1, comma 2, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494), per cui “[l]e concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84”.

[5] Art. 12, par. 1, Direttiva 2006/123/CE.

[6] Art. 12, par. 2, Direttiva 2006/123/CE.

[7] Rubricata “Norme in materia di demanio marittimo con finalità turistico ricreativa”, in Boll. Agcm 12/11/2008, n. 39/2008, p. 70. Giova ricordare, per completezza, come oggetto della segnalazione fossero stati anche l’art. 9 l.r. Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 nonché il decreto del Presidente della Regione n. 32 del 2007.

[8] In questo senso la segnalazione AS481 del 20 ottobre 2008, in Boll. Agcm, cit., p. 70 s.

[9] Secondo l’Autorità, più specificamente, “[t]ali previsioni normative appaiono suscettibili di produrre effetti restrittivi della concorrenza, tenuto conto che né il codice della navigazione né il relativo regolamento di attuazione prevedono come principio generale, per l’assegnazione di concessioni marittime, quello dell’utilizzo di procedure concorsuali trasparenti, competitive e debitamente pubblicizzate né, infine, quello della ragionevole durata delle concessioni demaniali”. Deve farsi presente, tuttavia, come l’Autorità si fosse genericamente occupata della problematica anche nella segnalazione AS152 del 28 ottobre del 1998, rubricata “Misure di revisione e sostituzione di concessioni amministrative”, in Boll. Agcm 2/11/1998, n. 42/1998 (in particolare al punto 3.5) ed abbia altresì affrontato il tema nella segnalazione AS491 del 11 dicembre 2008, rubricata “Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo”, in Boll. Agcm 2/12/2008, n. 46/2008, p. 68.

[10] Procedura di infrazione n. 2008/4908, la cui lettera di messa in mora risale al 29 gennaio 2009.

[11] Poi convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.

[12] Giova far presente che l’art. 1, comma 18, d.l. n. 194 del 2009, nella sua prima versione, pur prevedendo una proroga automatica delle concessioni in scadenza, ne limitava l’estensione temporale fino al 31 dicembre 2012.

[13] Art. 11, comma 1, lett. a), legge 15 dicembre 2011, n. 217 che, oltre ad abrogare il comma 2 dell’art. 1 del d.l. n. 400 del 1993, ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime. Il relativo decreto delegato, tuttavia, non è stato adottato.

[14] Introdotto in sede di conversione dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

[15] È necessario rammentare, a completamento del percorso di disciplina ricostruito, come la legge di stabilità 2013 (e più precisamente l’art. 1, comma 547, l. 24 dicembre 2012, n. 228) abbia esteso i contenuti del modificato art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, anche alle concessioni del demanio marittimo con finalità sportive, a quelle del demanio lacuale e fluviale con finalità turistico-ricreative e sportive, nonché alle concessioni relative a beni preposti a porti turistici, approdi e ormeggi per la nautica di diporto.

[16] Per un confronto tra l’ordinamento italiano e quello spagnolo M. DE BENEDETTO-F. DI LASCIO, La regolazione del demanio marittimo in Italia e Spagna: problemi, riforme e prospettive, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc. 1/2014, p. 28 ss. Pare opportuno inoltre rammentare l’esperienza portoghese, in cui si continua ad accordare una preferenza al concessionario in scadenza.

[17] Ricostruisce in questo modo la disciplina spagnola A. MONICA, Le concessioni demaniali marittime in fuga dalla concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc. 2, 2013, p. 437 ss.

[18] Affronta il problema della compatibilità del sistema spagnolo con il diritto dell’Unione, anche attraverso la disamina della posizione della Commissione nelle varie interrogazioni presentate dai parlamentari europei, A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, in federalismi.it, n. 14/2016, pp. 15-20.

[19] Giova rammentare come anche il Tribunal constitucional de Espana nella pronuncia n. 233 del 5 novembre 2015 abbia avuto modo di precisare che la disciplina spagnola non lede il diritto europeo poiché la concessione di beni demaniali marittimi è soltanto un titolo di occupazione del demanio pubblico, che non riguarda l’attività. Difatti, secondo il giudice costituzionale siffatta concessione “está configurada como un título de ocupación del dominio público, no como medida de intervención en garantía de leyes sectoriales que recaigan sobre la actividad” (punto 10, lett. c), ultimo capoverso).

[20] A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, cit., p. 19. L’Autrice, peraltro, puntualizza a p. 20 come “[q]uella spagnola sembra essere la proroga di un titolo di occupazione del demanio pubblico, non la proroga di un titolo autorizzatorio alla prestazione di una attività, di cui l’occupazio­ne del demanio costituisce solo un presupposto necessario. Questo profilo sembrerebbe rendere l’istituto spagnolo non comparabile alla concessione demaniale italiana ed estraneo all’ambi­to di applicazione della direttiva Servizi”.

[21] A. MONICA, Le concessioni demaniali marittime in fuga dalla concorrenza, cit., pp. 437 ss.. L’Autrice in proposito aggiunge che “[i]n Spagna è così accaduto che i gestori di ristoranti e altre attività (compresi i porti turistici), fossero divenuti col tempo proprietari di beni e la legge aveva posto in essere un esproprio che interessava anche appartamenti di proprietà privata in edifici prospicienti la costa. A compensazione di tale “confisca” il legislatore con la riforma della Ley de Costas vuole offrire una concessione d’uso, la quale può protrarsi fino a 75 anni al massimo, e che tiene conto del tipo di attività, del tipo di bene a suo tempo posseduto in proprietà”.

[22] Pare opportuno richiamare le affermazioni di M. DE BENEDETTO-F. DI LASCIO, La regolazione del demanio marittimo in Italia e Spagna: problemi, riforme e prospettive, cit., p. 28, per i quali: “[l]a recente riforma spagnola della Ley n. 22/1988 (c.d. Ley de Costas) ad opera della Ley n. 2/2013 ha avuto larga risonanza sugli organi di stampa italiani che hanno, però, contribuito ad avvalorare una transplantatio di formule giuridiche fondata su presupposti falsati. L’aspetto che ha catturato maggiore attenzione, infatti, è stato la durata delle concessioni e, in particolare, la loro possibile proroga fino a 75 anni, elemento invocato dalle associazioni rappresentative delle imprese turistico-balneari italiane come un modello da seguire nella prospettiva di garantire gli investimenti effettuati nel corso della concessione e, così, la competitività degli operatori di settore”.

[23] Per una disamina delle proroghe disposte nelle leggi regionali di settore si veda M. D’ADAMO, Rinnovi di concessioni demaniali marittime e concorrenza. Il punto sulla normativa nazionale e regionale , e sulla recente giurisprudenza costituzionale, amministrativa e contabile, alla luce dei principi comunitari, in lexitalia.it, 1/2011.

[24] L’art. 1 della legge regionale romagnola 23 luglio 2009, n. 8, disponeva l’inserimento dell’art. 8 bis nella legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 rubricata “Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale”, il cui comma secondo prevedeva che “[i] titolari di concessioni demaniali marittime di cui al decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 253, della legge 296 del 2006 ed in conformità a quanto disposto dal presente articolo”.

[25] Considerato in diritto, punto 2.1, in cui la Corte puntualizza che “[l]a norma regionale impugnata viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordina­mento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. Infatti la norma regionale prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determina una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza, dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti. Secondo la Regione Emilia-Romagna, invece, la norma impugnata si giustifica perché collega la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture. La norma regionale impugnata prevederebbe, infatti, la possibilità di una proroga della durata della concessione solo a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, solo se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, determinerà una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. Non vi sarebbe, dunque, violazione del principio di libertà di concorrenza, in quanto la norma impugnata sarebbe preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei concessionari, in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione. Questo argomento, però, avrebbe un senso solo se – per ipotesi – la norma impugnata avesse lo scopo di ripristinare la durata originaria della concessione, neutralizzando gli effetti di una precedente norma che, sempre per ipotesi, avesse arbitrariamente ridotto la durata della stessa. Nel caso all’odierno esame, invece, si tratta della proroga di una concessione già scaduta, e pertanto non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento. Al contempo, la disciplina regionale impedisce l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori”.

[26] Per una riflessione generale sulle pronunce di incostituzionalità si vedano le osservazioni di A. GRECO, Il legislatore interviene (ancora) in materia di demanio marittimo. Problemi di costituzionalità e “tenuta comunitaria” nel bilanciamento tra tutela dell’affidamento, libera concorrenza e parità di trattamento, in federalismi.it, n. 14/2011, p. 7 s., che rileva che le decisioni “che conducono alle dichiarazioni di incostituzionalità seguono un percorso logico coincidente, che si snoda in due fasi essenziali […]. In primo luogo, infatti, la Corte supera la formulazione letterale e sottolinea come, in sostanza, le regioni abbiano previsto un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, di fatto consentendo (rectius: continuando a consentire anche a seguito della soppressione del diritto di insistenza) il rinnovo automatico della medesima. […] L’affermazione del principio è poi sostenuta nella pars destruens sulle ragioni sottese al differimento del termine finale sino a 20 anni dal rilascio della concessione, collegato all’entità degli investimenti effettuati o effettuandi da parte del concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture. L’argomento, per il giudice delle leggi, è infondato, in quanto diretto solo ed esclusivamente a dissimulare la proroga di una concessione scaduta”.

[27] Sentenza n. 233 del 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità, tra gli altri, dell’art. 36, comma 2, della l.r. Friuli-Venezia Giulia 30 luglio 2009, n. 13.

[28] Sentenza n. 340 del 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 16, comma 2, della l.r. Toscana, 23 dicembre 2009, n. 77. Sulla pronuncia si vedano le osservazioni di G. LO CONTE, Rinnovo di concessione di beni demaniali e tutela della concorrenza: un matrimonio impossibile, in Gazzetta Amministrativa, n. 2/2011, p. 32 ss.

[29] Sentenza n. 213 del 2011, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4, comma 1, della l.r. Marche 11 febbraio 2010, n. 7.

[30] Sentenza n. 213 del 2011, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 della l.r. Veneto 16 febbraio 2010, n. 13.

[31] Deve altresì segnalarsi la più recente pronuncia n. 171 del 2013 che del pari censura la disciplina regionale ligure (art. 1, l.r. n. 24/2012) anche sulla base del parametro costituito dal comma 2, lett. e), dell’art. 117 Cost.. Nella decisione si evidenzia come la Corte abbia reiteratamente precisato “in ipotesi del tutto analoghe” che “il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordi­namento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, determinando altresì una disparità di trattamento tra operatori economici, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti. Al contempo, la disciplina regionale impedisce l’ingresso di altri potenziali operatori economici nel mercato, ponendo barriere all’ingresso, tali da alterare la concorrenza (sentenze n. 213 del 2011, nn. 340, 233 e 180 del 2010)”.

[32] Il presente articolo deve essere letto in modo coordinato con l’art. 1 della medesima l.r. Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3. Secondo l’art. 1, infatti, “[i] titolari di concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative possono richiedere l’estensione della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio, in ragione dell’entità degli investimenti e secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”. In base all’art. 2 “[l]’estensione della durata della concessione è applicabile anche alle nuove concessioni, per le quali, alla data di approvazione della presente legge, sia in corso il procedimento di rilascio della concessione demaniale”.

[33] Considerato in diritto, punto 8. Per la Corte “[q]uanto all’art. 1, valgono le considerazioni sopra indicate con riferimento all’art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7 del 2010, avendo il legislatore regionale abruzzese previsto, anche in questo caso, la possibilità di estendere la durata delle concessioni demaniali in atto, con ciò attribuendo ai titolari delle stesse una proroga in violazione dei principi di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza. Quanto all’art. 2, esso applica l’estensione disciplinata dal precedente art. 1 alle concessioni il cui procedimento di rilascio sia in itinere al momento dell’approvazione della legge regionale. Per effetto del collegamento tra le due norme, è evidente che l’estensione prevista dall’art. 2 è subordinata all’entità degli investimenti, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 253, della legge n. 296 del 2006, che ha introdotto l’art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993. Il fatto che l’art. 2 si riferisca a nuove concessioni e, quindi, non disponga alcuna proroga o modifica di quelle in corso, non esclude la sua illegittimità; ciò in quanto il rilascio delle concessioni demaniali marittime e, quindi, le regole che disciplinano l’accesso ai relativi beni da parte dei potenziali concessionari sono aspetti che rientrano nella materia della tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato, di cui l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 è espressione”. Si fa presente che tutte le sentenze della Corte costituzionale citate costituiscono oggetto di un’approfondita analisi nel saggio di A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, cit., pp. 5-11.

[34] Ci si riferisce ad A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, cit., p. 21.

[35] Ibidem.

[36] Ibidem.

[37] T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401.

[38] T.a.r. Sardegna, sez. I, 28 gennaio 2015, n. 224. Come noto, i giudici amministrativi sono stati aditi, nell’un caso, per l’annullamento dei provvedimenti con i quali è stato negato il rinnovo della concessione per l’occupazione dell’area demaniale compresa nel demanio del Lago di Garda e, nell’altro, degli atti con cui il Comune di Loiri Porto San Paolo assegnava nuove concessioni, alcune delle quali situate in aree già oggetto di concessione ai ricorrenti.

[39] Si veda in proposito il punto 21 della sentenza del T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401, in cui si fa riferimento alla sentenza n. 171 del 2013 della Corte costituzionale, nonché alla pronuncia n. 2 del 2014.

[40] T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401, punti 11 e seguenti.

[41] Ibidem. Specifica il giudice amministrativo che “[n]e consegue che, rispetto alle concessioni di beni demaniali, cui si riferisce il caso in esame, è solo l’affidamento mediante procedure concorsuali che si realizza un’effettiva apertura di tali settori al mercato così da garantire il superamento di assetti monopolistici”.

[42] T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401, punto 24.

[43] T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401, punto 25.

[44] T.a.r. Lombardia-Milano, sez. IV, 26 settembre 2014, n. 2401, punto 26. Aggiunge peraltro il medesimo giudice che l’art. 1, comma 18, d.l. n. 194 del 2009, costituisce una “misura che, sottraendo al mercato, per un periodo tutt’altro che esiguo, concessioni di beni di rilevanza economica, incide in modo eccessivamente pregiudizievole e, pertanto, sproporzionato nella sfera giuridica degli operatori del settore, cui è preclusa la possibilità di conseguire simili utilità, nonostante l’assenza di ragionevoli e concrete esigenze a fondamento della proroga”.

[45] Consiglio di Stato, sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3936, punti 12 e seguenti.

[46] T.a.r. Sardegna, sez. I, 28 gennaio 2015, n. 224, punto 27.

[47] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 39-46.

[48] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 52-56.

[49] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 62-64. Quest’argomentazione parrebbe trarre conferma anche “dal considerando 14 della direttiva 2014/23, da cui risulta che non dovrebbero configurarsi come concessioni determinati atti quali autorizzazioni o licenze, segnatamente qualora l’operatore economico rimanga libero di recedere dalla fornitura dei lavori o servizi. A differenza di detti atti, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti in virtù dei quali l’esecuzione di tali lavori o servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall’amministrazione aggiudicatrice”.

[50] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punto 69. “Infatti”, si specifica, “purché si tratti di attività economiche di interesse transfrontaliero certo, per quanto riguarda l’obbligo di rispettare tali regole fondamentali e tali principi, un’autorizzazione non si distingue da una concessione di servizi”.

[51] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punto 79. La disposizione pare peraltro trovare il proprio fondamento – come viene precisato al punto 80 – in una giurisprudenza costante della Corte di giustizia (sentenze Belgacom, C-221/12, in tema di concessione di servizi e Engelmann, C-64/08, con riguardo al regime autorizzatorio) per cui la mancanza di procedure trasparenti di gara finirebbe per risultare lesiva della libertà di stabilimento.

[52] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 82-83.

[53] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 84-87.

[54] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punto 91.

[55] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punto 92.

[56] Conclusioni dell’Avvocato generale Maciej Szpunar, 25 febbraio 2016, punti 92-93. Questa argomentazione trova ulteriore conforto nel richiamo alla sentenza ASM Brescia, C-347/07, concernente un caso di applicazione di motivi di interesse generale in relazione al principio di certezza del diritto, che viene indicata dall’Avvocato generale per porre in evidenza come la soluzione adottata in quella pronuncia non potesse trovare accoglimento nelle controversie sottoposte di cui al giudizio principale.

[57] In particolare viene richiamato il punto 1.2.1 di detto manuale che, malgrado non vincolante, è stato dalla Corte di giustizia utilizzato nella sua giurisprudenza pregressa (in particolare, nella sentenza Hiebler, C-293/14) come precisato nella nota 24 delle conclusioni.

[58] Nel ribadire che i contenuti di tale disposizione costituiscono la concretizzazione di obblighi derivanti dal Trattato, è stato poi precisato che ad essi deve in ogni caso riconoscersi effetto diretto poiché tale caratteristica è propria a loro volta, secondo l’interpretazione fornita dal giudice europeo, degli articoli 49 e 56 T.F.U.E. in relazione a controversie involgenti rapporti contrattuali (punti 108-110).

[59] A commento delle conclusioni si veda F. CAPOTORTI, Cronaca di un’incompatibilità annunciata nel caso Promoimpresa: secondo l’avvocato generale Szpunar la direttiva Bolkestein osta al rinnovo automatico dei diritti esclusivi di sfruttamento dei beni del demanio pubblico marittimo e lacuale in Italia, in eurojus.it, 2016.

[60] M. MAGRI, I rapporti tra “direttiva servizi” e concessioni demaniali marittime, in deje.ua.es, 2016, p. 9 s., che in proposito ha osservato che “è lecito dissentire dalle conclusioni cui perviene l’Avvocato Generale (e, prima di lui i giudici rimettenti) nella causa C-67/15, dal punto di vista del parametro e della “tecnica” di decisione che indirettamente si suggerisce alla Corte di adottare. Ad una approfondita disamina, i termini della questione impongono alla Corte di risolvere la controversia sottopostale dai giudici italiani alla luce del diritto primario, senza le mediazioni del diritto derivato; e di non compiere una meccanica sussunzione della norma oggetto di rinvio all’art. 12 della direttiva Bolkestein”. L’Autore, infatti, ha evidenziato che “[s]enza dubbio, la previsione di un cosiffatto regime transitorio può ledere l’art. 49 TFUE, nel momento in cui ritarda irragionevolmente l’effetto utile della direttiva Boklestein, tramutandosi in un ostacolo all’esercizio ivi garantito. Si tratta però di una questione da affrontare nel modo corretto: se il problema nella causa C-67/15 è la ragionevolezza della proroga delle concessioni in corso, rispetto alla garanzia della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, allora la soluzione va ricercata, metodologicamente, nella interpretazione del diritto primario e non – come si afferma nelle conclusioni – esclusivamente nella direttiva Bolkestein”.

[61] A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, cit., p. 15, per la quale “[l]’avvocato generale sostiene che “proroga” (non disciplinata dalla direttiva) e “rinnovo automatico” (vietato dalla direttiva) siano nozioni equivalenti, liquidando la questione senza addurre motivazione. Anche il giudice costituzionale italiano, come visto, raggiunge la medesima conclusione, equiparando le proroghe, comunque configurate dai legislatori regionali, al rinnovo automatico, senza dare alcuna considerazione alla capacità delle fattispecie legali di produrre o meno effetti in via generale ed astratta. Tuttavia, proroga e rinnovo automatico potrebbero essere nozioni diverse, specie ove la prima, pur disposta per legge, sia condizionata, nell’an e nel quantum, ad una valutazione caso per caso della pubblica amministrazione. Ove si riuscisse a dimostrare che i due istituti non sono equivalenti quanto agli effetti sulla concorrenza, la proroga potrebbe essere estranea all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Si dovrebbe immaginare però di argomentare la differenza tra i due istituti non su un piano formalistico (destinato senz’altro a non essere preso in considerazione né dalla Commissione, né dalla Corte di giustizia), ma sostanzialistico, in ordine agli effetti differenti che essi potrebbero produrre con riferimento a fattispecie concrete. Considerando che le conclusioni dell’avvocato generale qui in esame sono pronunciate nell’ambito di una causa pregiudiziale interpretativa, una ar­gomentazione di questo tipo potrebbe essere spesa in sede di eventuale procedura di infrazione che dovesse seguire alla sentenza della Corte di giustizia o nella fase amministrativa della negoziazione con la Commissione”.

[62] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punti 37-40.

[63] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 44. Si precisa inoltre al punto 48 che “[u]n’interpretazione siffatta è inoltre corroborata dal considerando 15 della direttiva 2014/23. Quest’ultimo precisa infatti che taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione, senza acquisire lavori o servizi, non dovrebbero configurarsi come “concessione di servizi” ai sensi di tale direttiva”.

[64] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 44 e 45.

[65] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 46.

[66] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 43.

[67] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 50.

[68] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punti 51-55.

[69] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 56.

[70] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 63. Si afferma al punto 64 “[a] tal riguardo, è stato dichiarato che le autorità pubbliche, qualora intendano assegnare una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, sono tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare (v., in tal senso, sentenza 17 luglio 2008, ASM Brescia, C-347/06, EU:C:2008:461, punti 57 e 58 nonché giurisprudenza ivi citata)”.

[71] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 65.

[72] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 66.

[73] Corte di giustizia, sez. V, 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15, punto 73.

[74] Si vedano in proposito le osservazioni di L.S. ROSSI, Spiagge: vietate le proroghe automatiche delle concessioni senza una procedura di selezione tra potenziali candidati, in Guida al diritto, 33/2016, p. 16, per la quale “[s]i potrebbe dedurre che queste affermazioni della Corte rendano possibile in certe zone (dove appunto non vi sia scarsità) il rilascio di autorizzazioni anziché procedure di evidenza pubblica o il mantenimento delle concessioni in atto. Occorrerebbe probabilmente che il Comune dichiarasse che non vi è scarsità (ma dovrebbe motivare, indicando la percentuale di occupazione)”.

[75] Ibidem. Si puntualizza, infatti, che “[l]a Corte respinge l’argomento del Governo italiano in base al quale la proroga del 2020 risponde all’esigenza di tutelare legittimo affidamento e certezza del diritto, in quanto la questione dell’interesse transfrontaliero – in presenza del quale le concessioni possono essere aggiudicate solo con procedure non discriminatorie e trasparenti – era stata dichiarata con la sentenza Asm. A contrario si potrebbe dunque desumere che una proroga potrebbe essere accordata solo nei casi – per la verità rari – in cui non vi sia né scarsità né interesse transfrontaliero certo. Si tratta, però, di valutazioni che l’amministrazione deve compiere ovviamente caso per caso”.

[76] Si richiamano, anche a commento della pronuncia della Corte, le considerazioni svolte sulle conclusioni generali dell’Avvocato generale da parte di A. COSSIRI, La proroga delle concessioni demaniali marittime sotto la lente del giudice costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, cit., p. 15, che appaiono del pari valide avendo il giudice europeo pienamente aderito alla detta sovrapposizione concettuale nel paragrafo 50 della sentenza.

[77] Recita l’art. 24, comma 3-septies del d.l. 24 giugno 2016, n. 113 recante “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio” come convertito con modificazioni dalla legge7 agosto 2016, n.160,“[n]elle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio, n. 25”.

[78] Reperibile all’indirizzo web http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46574.htm.

[79] In questo senso la relazione introduttiva al disegno di legge A.S. n. 2269, p. 2.

[80] Nota introduttiva al disegno di legge A.S. n. 2269, p.2 s., in cui si aggiunge che tale ambito è “caratterizzato da rilevanti investimenti materiali e occupazionali, della sua unicità a livello europeo, dei motivi di interesse generale, di sicurezza e tutela ambientale previsti dalla direttiva medesima quali fattori di esclusione, del sussistere della libertà di stabilimento in ragione della vastità delle risorse naturali presenti lungo le coste italiane e della conseguente possibilità di rilascio di nuove concessioni”.

[81] Reperibile all’indirizzo web http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46758.htm.

[82] Art. 18, disegno di legge A.S. n. 2336.

[83] Relazione introduttiva al disegno di legge A.S. n. 2336, p.2. Sulla disciplina transitoria, in particolare, si veda l’art. 18 del citato disegno di legge A.S. n. 2336.

[84] Reperibile all’indirizzo web http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46857.htm.

[85] Relazione introduttiva al disegno di legge A.S. n. 2337, p.3

[86] Art. 1, disegno di legge A.S. n. 2337. Nella relazione introduttiva (p.3) si specifica che “[a]l termine del periodo transitorio, il successivo rinnovo delle concessioni avviene attraverso procedure competitive che prevedono, tra le altre cose, un equo indennizzo del concessionario uscente, pari al valore complessivo dell’azienda”.

[87] Art. 2, disegno di legge A.S. n. 2337.

[88] Si veda il punto 4 del Preambolo, in base al quale “[l]’intervento legislativo si rende necessario per garantire, nell’ambito delle procedure amministrative di competenza dei comuni, il rispetto del principio di proporzionalità che impone un corretto bilanciamento tra i principi di concorrenza e libertà di stabilimento e la tutela degli investimenti”.

[89] Specifica infatti il punto 3 del Preambolo che “[l]’intervento legislativo è strumento per valorizzare gli elementi che caratterizzano il paesaggio e la fruizione sostenibile della costa attraverso la qualificazione dell’offerta turistico balneare, nonché per salvaguardare la gestione diretta delle imprese operanti in ambiti demaniali marittimi quale ulteriore elemento identitario e caratterizzante del sistema turistico balneare delle coste della Toscana”.

[90] Che prevede che “in caso di area già oggetto di concessione, l’ente gestore acquisisce il valore aziendale dell’impresa insistente su tale area attestato da una perizia giurata di stima redatta da professionista abilitato acquisita a cura e spese del concessionario richiedente il rilascio della concessione ultrasessennale”.

[91] Art. 2, comma 1, lett.d), l.r. Toscana 9 maggio 2016, n. 31.

[92] Art. 2, comma 1, lett.b), l.r. Toscana 9 maggio 2016, n. 31, a mente del quale “per la valutazione delle domande concorrenti, costituisce elemento di preferenza la presentazione di un progetto di riqualificazione ambientale e di valorizzazione paesaggistica del territorio costiero, in coerenza con gli elementi di valore individuati nell’integrazione del piano di indirizzo territoriale (PIT) avente valenza di piano paesaggistico regionale, approvato con deliberazione del Consiglio regionale 27 marzo 2015, n. 37, con particolare riferimento alle schede dei sistemi costieri e alle schede d’ambito e con le previsioni contenute negli strumenti urbanistici regionali”.

[93] Art. 2, comma 1, lett.a),l.r. Toscana 9 maggio 2016, n. 31, che dispone che “costituisce condizione per il rilascio del titolo concessorio, l’impegno, da parte dell’assegnatario, a non affidare a terzi le attività oggetto della concessione […]”.

[94] Nel comunicato stampa della seduta, reperibile all’indirizzo web http://www.governo.it/
articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-122/5376
, si specifica che “viene disposta l’impugnativa della legge regionale in quanto una norma riguardante le nuove concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo invade la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di tutela della concorrenza e di tutela del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), e) e s), della Costituzione. Un’altra norma riguardante l’affidamento a terzi delle attività oggetto di concessione demaniali marittime a scopo turistico ricreativo invade la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione”.

[95] Punto 1 del ricorso n. 40/2016 per questione di legittimità costituzionale dell’Avvocatura dello Stato del14 luglio 2016, reperibile su cortecostituzionale.it.

[96] Si rammenta in proposito come quest’ultima attraverso la procedura d’infrazione n. 2011/2026 avesse riscontrato, tra gli altri profili di incompatibilità eurounitaria della normativa interna (art. 37 del c.d. “decreto Sviluppo”, d.l. n. 83 del 2012 convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134), un ingiustificato privilegio per il concessionario uscente alla luce del­l’obbligo per il concessionario subentrante di rilevare tutto il ramo d’azienda, anche nell’ipotesi di realizzazione di nuovi impianti. Per la Commissione, invero, si sarebbe determinato un ostacolo per gli operatori non precedentemente concessionari in quanto, diversamente dai concessionari esistenti, sarebbero stati obbligati al pagamento del corrispettivo. Malgrado la dottrina non abbia mancato di porre in evidenza talune perplessità in ordine all’opportunità di una simile procedura d’infrazione e alla fondatezza nel merito del complesso delle contestazioni mosse dalla Commissione (su cui si vedano le considerazioni di F. DONATI, Gli aspetti giuridici del regime delle concessioni idroelettriche, in Atti del convegno “Idroeuropa? Il regime delle concessioni idroelettriche in Europa: lo stato dell’arte, problemi, quali insegnamenti da trarre”, in amministrazioneincammino.it, 2014, pp. 5-12) resta la rilevanza di tale precedente come termine di confronto per comprende i possibili aspetti problematici dell’esperienza toscana rispetto al diritto europeo. Infatti, il riconoscimento per il concessionario uscente di un corrispettivo in relazione agli investimenti dallo stesso effettuati e potenzialmente non vantaggiosi per il subentrante, sembrerebbero costituire una misura non appropriata e limitativa del corretto esplicarsi del principio di concorrenza.

Fascicolo 2 - 2016