Certification and control of food products are topics of great relevance within the growing dimension of Global Food Trade. The paper analyses the main regulatory models adopted by EU during the years to guarantee safety and quality of food products. In European continental countries marked by the adoption of an administrative law system, certainty has been considered for a long time a typical public good, a result of the activity of public administration offering formal guarantees of facts, which have been publicly ascertained. In common law countries, and first of all in the United Kingdom of Great Britain, the early experience of global economic activities performed overseas supported the growth of systems of private certification, whose task was that to guarantee the conformity to standard. In the European Union, with reference to food products, for a certain number of years control, certification, and guarantee of safety and quality have been ruled in each MS on the basis of different regulatory models, procedures and subjects, only partially harmonized. In the new century, after the adoption of the unitary and systemic model of EU Food Law with the approval of Regulation (EC) No 178/2002, in 2004 four Regulations known as the “Hygiene Package” replaced the previous directives and adopted uniform rules and procedures to appoint public and private bodies, entrusted with the task to guarantee conformity of food products to standards of food safety. For some years, those rules remained a corpus of law distinct and separated from rules aimed to guarantee the quality of food products. At the end of the first decade of the new century, the model of control and certification of food safety introduced by the “Hygiene Package” has been progressively adopted in the area of food quality, starting with PDO and PGI products, organic products, and quality wines. The two systems of food control and certification, for safety and for quality, proceeded along similar lines, but maintained their distinction and their autonomy. Recently the new Regulation (EU) 2017/625 totally modified this approach, unifying all control and certification systems of food products within a unitary corpus of law. The new Regulation is market by the adoption of “complexity” and “globalization” as identifying elements: a) “complexity”, assuming as integrated unitary object “food safety, integrity and wholesomeness”, unifying the certification rules previously separated, and extending its area of application to any activity dealing with agriculture and environment, even if not addressed to the food chain; b) “globalization”, unifying activity and responsibility of public and private actors, within and outside the EU, introducing a new unified Data Base of precedents of operators and a shared rating. The paper analyses opportunities and risks arising from this very new approach, underlying the present lack of effective judicial tools capable to interreact with the multiplicity of national, European and international actors operating within this area. The suggested conclusion is that the innovative approach adopted by the new Regulation results in opportunities for operators and consumers in the global market, but in the same time implies costs, not only in terms of financial costs for the certification process, but above all for unresolved emerging uncertainties in regulation and in communication within global markets.
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1. Il tema - 2. Certezze e sicurezze come bene giuridico, e protagonisti pubblici e privati della sicurezza - 3. Le responsabilità nel Regolamento n. 178-2002 - 4. Il pacchetto igiene - 5. La certificazione delle DOP e IGP e la progressiva integrazione dei sistemi di controllo - 6. Responsabilità ed accountability dei protagonisti delle sicurezze e delle certezze - 7. Il Regolamento (CE) n. 765-2008 - 8. Il Regolamento (UE) 2017-625: controlli ufficiali, certificazione e globalizzazione - NOTE
Certificazione e controlli dei prodotti agroalimentari nel mercato globale è formula di sintesi, che individua il perimetro al cui interno si collocano i temi qui discussi.
In particolare il mercato globale [1] è insieme la matrice del sistema di certificazione e controlli quale oggi lo conosciamo, la sua ragion d’essere, e l’area (insieme tematica e territoriale) nella quale operano gli odierni sistemi di certificazione e controllo.
Quanto alla globalizzazione come matrice del sistema, è noto che le società di certificazione sono nate in non occasionale sintonia con l’espansione dell’Impero Inglese.
L’avventura della Compagnia Britannica delle Indie Occidentali sin dal XVII secolo [2], e delle successive Compagnie commerciali con base in Europa destinate ad operare in mercati assai remoti, pose con urgenza il problema della garanzia per la moltitudine di risparmiatori che affidavano i loro risparmi a tali compagnie.
Da qui gli organismi di revisione e certificazione che, muniti di specifiche conoscenze e competenze, analizzavano l’operato di queste grandi Compagnie commerciali, per loro stessa natura operanti su mercati globali ben lontani da quelli domestici, ed attribuivano (o negavano) certe qualità in esito alle loro analisi.
D’altro canto, queste Compagnie, che in larga misura hanno anticipato la globalizzazione che ha segnato il passaggio fra il XX ed il XXI secolo, si assoggettavano alle certificazioni perché queste costituivano strumento irrinunciabile per acquisire la fiducia degli investitori.
La vicenda si è ripetuta con presupposti e caratteristiche comparabili, pur se con oggetto ed elementi diversi, in sede europea. Il presupposto era il medesimo: l’apertura di mercati ben più ampi di quelli tradizionali, in questo caso il mercato unico europeo, nel quale dovevano circolare rapidamente merci provenienti da una molteplicità di paesi, con tradizioni, abitudini di consumo, strutture produttive e di controllo assai diverse [3].
Con specifico riferimento alla qualità dei prodotti alimentari con indicazione geografica, il Regolamento (CEE) n. 2081/92 [4], non casualmente coevo al Trattato di Maastricht, con l’introduzione nel mercato unico del modello dei prodotti DOP e IGP quali prodotti con caratteristiche specifiche e conformi ad un disciplinare dichiarato ex ante, ha previsto il ricorso ad organismi di certificazione come strumenti di controllo e garanzia della conformità ai disciplinari, a tutela del corretto funzionamento della concorrenza nel mercato interno fra prodotti tra loro comparabili e come tali in competizione, nell’interesse sia dei produttori che dei consumatori.
In questa prospettiva, oggetto di attenzione del legislatore europeo erano i due profili, distinti ma strettamente interagenti, della tutela dell’identità come elemento di leale concorrenza, e della trasparenza nell’informazione ai consumatori ai fini della consapevolezza delle scelte di acquisto.
Giova sottolineare che la base giuridica dichiarata del Regolamento del 1992 in tema di DOP e IGP è la Politica Agricola Comune, art. 43 del TCEE [5], e così quella peculiare politica europea che, nell’enunciare le proprie finalità (rimaste immutate dal 1957 ad oggi – come è noto) [6], espressamente pone in relazione gli interessi dei produttori [7] e quelli dei consumatori [8].
Il regolamento si apre con alcuni considerando, che sottolineano l’importanza della diversificazione dell’offerta ed insieme – in una relazione non occasionale – la necessità di “informazioni chiare e sintetiche che forniscano esattamente l’origine del prodotto”, quali strumenti intesi a consentire al consumatore di operare “una scelta ottimale” [9], individuando la fiducia come essenziale elemento nella dinamica che lega produzione e mercato [10].
Verificare e garantire la presenza nel prodotto delle qualità (materiali ed immateriali) dichiarate nelle informazioni indirizzate al consumatore ed al mercato, costituisce dunque presupposto fondante dell’intero modello disciplinare delle DOP e IGP, come già alcuni secoli prima delle grandi Compagnie commerciali d’oltremare.
Da ciò la previsione di affiancare, alle tradizionali strutture pubbliche di controllo, organismi di certificazione pubblici o privati, vincolati al rispetto della “norma EN 45011” e pertanto operanti secondo normative di fonte privata, con costi della certificazione posti a carico dei “produttori che utilizzano la denominazione protetta” [11].
Si è così aperta, nel settore dei prodotti agroalimentari di qualità a indicazione geografica, una fase di coesistenza fra controlli pubblici, tradizionalmente indirizzati alla garanzia di igienicità e salubrità degli alimenti ed alla repressione delle frodi (con strumenti penalistici ed amministrativi), e certificazioni finalizzate a garantire la conformità al disciplinare e dunque l’identità e qualità del prodotto, affidate ad organismi, privati o pubblici [12], ma operanti tutti in regime di mercato e contro corrispettivo, i cui costi sono sostenuti dai produttori, con criticità per certi versi comparabili a quelle rilevate per le società di rating, nell’ambito dei mercati finanziari [13], e per altro verso peculiari in ragione della coesistenza/concorrenza fra enti di certificazione privati e pubblici.
In Italia, in esito ad una complessa vicenda che ha visto l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dei Giudici amministrativi, e dell’ICQRF [14], può dirsi oggi largamente accolto (almeno sul piano dei principi, pur se ancora non compiutamente sul piano delle effettive prassi applicative) il criterio in forza del quale le attività di certificazione dei prodotti agroalimentari devono ritenersi assoggettate alle regole di mercato e di concorrenza, siccome attività d’impresa, a prescindere dalla natura, pubblica o privata, del singolo ente di certificazione.
Ne deriva una peculiare sovrapposizione di ambiti disciplinari: privatistico quanto allo svolgimento delle attività in regime di concorrenza e di economicità di gestione e nel rispetto di contratti stipulati con le singole imprese controllate; pubblicistico quanto all’accreditamento, all’iscrizione nel registro degli organismi abilitati, alla designazione per le singole denominazioni, alle garanzie riconosciute alle imprese assoggettate a certificazione, alle finalità assegnate [15].
In ordine alle finalità assegnate, un profilo centrale, fortemente legato al tema qui discusso, è quello della ricerca di certezze e sicurezze come bene giuridico, e specularmente quello dell’allocazione delle responsabilità a tali fini.
In questa prospettiva rimangono tuttora centrali le considerazioni proposte da Massimo Severo Giannini, in un ben noto saggio del 1960, sulla Certezza pubblica, lì ove individuava nelle “certezze pubbliche … uno dei tratti salienti del mondo moderno”, sottolineando: “Organizzazioni sempre più complicate e perfezionate sono in grado di far conoscere, in breve volger di tempo, agli operatori giuridici ed economici, che vi abbiano interesse, dei dati sufficientemente sicuri, talora anche assolutamente sicuri, che possano o debbano servire per compiere negozi privati o provvedimenti amministrativi, e possano altresì fornire ai soggetti che abbiano bisogno di esibire ad altri questi dati, dei documenti, dei segni, in genere degli strumenti idonei a dare sicurezze … appositi edifici ricoverano registri, piani, mappe, disegni, idonei a dare notizia sicura di eventi avverati, di precetti e di disposizioni, di qualità e di qualifiche. D’altro canto le leggi impongono sempre di più l’uso di certezze pubbliche: sono necessarie per studiare, per lavorare, per tutti i più importanti atti della vita di un soggetto, anche per morire in pace. Le maglie di questa rete fittissima di certezze pubbliche son divenute così consuete, che l’uomo quasi più non se ne accorge, o meglio ne valuta il peso quando per un accidente qualsiasi, taluna gliene venga a mancare” [16].
Rilevato che al “mito della verità” si erano andati sostituendo i “problemi del certo”, Giannini muoveva dalla considerazione che “Punto di partenza è che il privato non può istituire qualificazioni giuridiche che si impongano all’osservanza della generalità, e quindi non può creare certezze efficaci nei confronti di terzi: non esistono quindi certezze legali di fonte privata. Ma non possono esistere neppure certezze informative: una organizzazione privata potrà acquistarsi singolare prestigio per la perizia che ponga nell’acclaramento di fatti di interesse della collettività, e vi sono stati e vi sono cospicui esempi in tal senso; ma gli elaborati relativi rimarranno sempre e solo degli elaborati autorevoli” [17]; e concludeva: “Le certezze pubbliche sono dunque il contenuto di un atto che ha particolare autorevolezza perché promanante da pubbliche autorità, che è il risultato di un acclaramento in senso materiale, e che esterna dei giudizi percettivi o rappresentativi” [18] … “Ciò significa che gli strumenti di certezza consistono necessariamente in segni o in documenti. Il conio, il bollo, il timbro, il punzone, sono segni, i quali esprimono in modo percepibile e permanente dei fatti che l’autorità pubblica rende certi” [19].
Ne risulta una qualificazione della certezza come bene, specificamente identificabile e dichiarato sul mercato, siccome accompagnato da propri segni distintivi; bene che, per sua stessa natura, risponde a bisogni della generalità dei fruitori, così dislocandosi sul versante dei beni pubblici.
Nell’oggi, tuttavia, acquisito che certezze e sicurezze sono beni pubblici, intesi nel senso che gli economisti attribuiscono all’espressione public goods, deve prendersi atto che la funzione certificativa va assumendo in misura crescente contenuti plurali, legati al mercato ed allo svolgimento di attività economiche variamente regolamentate; pur se necessariamente collocati nell’ambito di una posizione di primazia pubblica.
Sicché deve prendersi atto, come è stato ben osservato muovendo dall’analisi delle attività della P.A. finalizzate alla produzione di “certezze” variamente configurate [20], che “quella che viene in vario modo prodotta dall’Amministrazione pubblica non sia sempre l’identica “certezza”, ma che si tratti invece di “certezze” intrinsecamente diverse sul piano qualitativo, e non soltanto – come in genere si prospetta – per l’oggetto su cui l’accertamento ricade” [21].
All’interno di questa prospettiva, la esternalizzazione di funzioni amministrative a soggetti privati autorizzati, tecnicamente qualificati, costituisce modello che ha conosciuto una diffusione crescente anche all’interno di aree tradizionalmente presidiate da canoni pubblicistici, come nel caso delle certificazioni SOA in materia di appalti pubblici [22].
Con il duplice esito, concorrente ma non contraddittorio, che “le attività produttive di certezze [si collocano] tra funzioni autoritative e prestazioni di servizi” [23], e nel medesimo tempo “Su questo fondale si innestano una serie di robuste nervature pubblicistiche, che conformano sia l’organizzazione che lo svolgimento dell’attività di questi organismi” [24].
Su questi temi gli studiosi di diritto dell’economia e di diritto agrario e alimentare hanno avuto modo di confrontarsi già alcuni anni fa [25], a breve distanza dall’avvio dell’applicazione del Regolamento (CE) n. 765/2008 [26], che ha introdotto una nuova ed originale regolazione in materia di accreditamento degli organismi di certificazione, individuando la disciplina della certificazione e del controllo come area cruciale, collocata all’interno di un’ampia dimensione di mercato, nella quale interagiscono, “tra pubblico e privato, tra domestico e globale”, oggetti e contenuti assai diversi, in una dimensione che guarda in prospettiva unitaria alla serie crescente di attività di impresa e di mercato variamente soggette a controlli e certificazioni.
Con riferimento specifico ai mercati agroalimentari, il tema dell’affidamento a soggetti privati di compiti di rilievo pubblicistico (quali i controlli, le certificazioni, l’attribuzione di specifiche qualità ed idoneità), ha assunto rilievo peculiare, nella misura in cui in questi mercati le certezze pubbliche, intese nel senso di certezze e sicurezze provenienti da un soggetto pubblico, vengono affiancate ed in misura crescente sostituite – per un ampio e crescente perimetro di prodotti, e non soltanto per i prodotti DOP e IGP [27] – da certezze, private per la fonte e per i soggetti da cui provengono, ma pur sempre pubbliche per i bisogni cui rispondono [28] e per le funzioni che svolgono nell’ordinato svolgimento delle relazioni economiche [29].
Sicché, in un’area di regolazione particolarmente sensibile e reattiva, quale quella dell’agro-alimentare [30], la gerarchia delle fonti ha dovuto fare i conti con un “processo di destatalizzazione del diritto” [31], che ha visto l’ingresso di nuovi soggetti, non collocabili nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, ma variamente accreditati di una competenza affermata sul versante della tecnicità [32] ed individuati quali “soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni” [33].
Questo processo, che valorizza il primato della tecnica [34] in tema di certificazione, controlli, e garanzie, è stato accompagnato – a monte – da una diversa dislocazione di potere regolatorio, e dunque di governo degli interessi, trasferito in misura significativa da soggetti di natura, nomina e struttura pubblica (con quanto ne segue in termini di applicabilità a tali soggetti dei principi propri dell’azione amministrativa e del relativo controllo), a protagonisti “privati” del mercato (con quanto ne segue in termini di competizione di interessi fra shareholders, stakeholders, ed élites decisorie) [35].
Tant’è che alcuni studiosi, soprattutto statunitensi, hanno parlato – con riferimento all’emergere di nuovi centri regolatori e di nuovi meccanismi di verifica della conformità alle regole così introdotte – del sorgere di quasi– o pseudo-Stati e di Rise of the Tripartite Standards Regime (TSR) [36], costruito intorno ai tre poli degli standards, della certificazioni, e dell’accreditamento; con conseguenti problemi di legittimazione e di accountability dei soggetti che hanno assunto il governo di questi tre poli attraverso una molteplicità di strumenti giuridici, formalmente a base contrattuale e consensuale, ma di fatto espressione giuridica di condizioni di dominio economico.
Il decisivo ruolo di regolazione disciplinare, oltre che economica, assunto dalla GDO nei mercati agroalimentari [37], attraverso l’imposizione di formule e clausole contrattuali e di standards proprietari e di certificazione legati a tali standards, ha indotto a qualificare i protagonisti della GDO come “Signori del Mercato”, tali da assumere una posizione dominante anche rispetto alla grande industria alimentare [38], e così a parlare di modelli e pratiche di Nuovo Feudalesimo, articolati in centri di governo e di potere paralleli e separati da quelli degli Stati e delle istituzioni pubbliche [39].
L’acquisita consapevolezza di questi scenari ha indotto il legislatore nazionale ad intervenire con disposizioni specifiche e puntuali, con l’art. 62, rubricato “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari”, del “Decreto Monti” del gennaio 2012 [40], che in riferimento appunto al mercato agroalimentare ha operato una tipizzazione di talune pratiche commerciali abitualmente seguite dalla GDO [41], qualificate illecite ex se senza necessità di dimostrare la sussistenza di ulteriori presupposti ordinariamente richiesti dalla generale normativa antitrust; presupposti (la posizione dominante o lo stato di dipendenza economica) la cui dimostrazione risulta spesso non agevole e talvolta nei fatti quasi impossibile.
Da ultimo lo stesso legislatore europeo ha riconosciuto l’esigenza di introdurre una specifica disciplina in tema di Unfair Trade Practices nella catena agro-alimentare, oggetto di una recente proposta di nuova direttiva, presentata dalla Commissione al Parlamento Europeo nella primavera del 2018 [42].
Più in generale, i temi così individuati si inseriscono in una condizione (oggi largamente diffusa) che vede ciascuno di noi, come cittadino medio, privo di conoscenze reali sui contenuti effettivi delle infinite scelte alimentari che ci vengono offerte, e ci colloca in quella che un commentatore statunitense ha qualificato come condizione di “ansietà” [43], obbligandoci a delegare sicurezze e controlli a soggetti terzi, la cui trasparenza e credibilità si rivelano talvolta inadeguate [44].
Per altro verso, proprio la già richiamata dimensione della globalizzazione, per la quale il diritto alimentare si pone per sua natura come diritto intrinsecamente globale [45], siccome operante in ordinamenti policentrici non più governati dalla sola ed escludente presenza dello Stato, pone l’esigenza di recuperare condizioni di uniformità, e dunque di certezza e garanzia, cruciali in siffatti ordinamenti, tanto in riferimento alla food safety quanto in riferimento alla food quality, come da ultimo confermato dal nuovo regolamento europeo in tema di controlli ufficiali su alimenti e mangimi [46], che quanto all’oggetto e quanto al perimetro si pone esplicitamente come il regolamento della complessità e della globalizzazione [47].
Da qui il ruolo svolto da soggetti privati (quali le società di certificazione dei prodotti alimentari), che talvolta operano con poteri di fatto superiori a quelli degli stessi Stati.
Ne derivano aree di notevole incertezza, sistematica oltre che operativa [48], quanto alla trasparenza di questi organismi, alla sindacabilità dei loro comportamenti, alla conoscibilità di procedure e di standards, con ciò determinando ulteriori significative peculiarità di una trama per sé complessa, che richiede strumenti conoscitivi e di analisi che superano le tradizionali partizioni disciplinari.
Va detto che nell’oggi i controlli dei prodotti agroalimentari si collocano all’interno di un modello sistemico, che ha trovato consapevole enunciazione ed anticipazione, quanto alla sicurezza alimentare intesa nel senso di food safety, nelle prescrizioni del Regolamento n. 178/2002 [49].
Giova ricordare che il Regolamento n. 178/2002, sin dagli atti e rapporti che ne hanno segnato l’elaborazione, ha assunto fra le proprie dichiarate finalità quella di “porre le basi del nuovo diritto alimentare” [50], attraverso la generalizzata adozione di principi di sicurezza, ispirati ad un approccio integrato di filiera from farm to table, secondo l’ormai famosa espressione contenuta nel Libro bianco della Commissione Europea sulla Sicurezza Alimentare [51].
Ne è risultato un testo che presenta numerosi caratteri innovativi, e che – pur perseguendo il dichiarato obiettivo di “assicurare il ravvicinamento di concetti, principi e misure che costituiscono una base comune per la legislazione alimentare nella Comunità” [52] – non è un consolidamento di normative esistenti, né un testo unico, e certamente non esaurisce l’intero campo delle regole degli alimenti, ma “reca i principi generali da applicare nella Comunità e a livello nazionale in materia di alimenti e mangimi in generale, e di sicurezza degli alimenti e dei mangimi in particolare” [53] e con ciò pone principi e introduce un modello sistemico complessivo, operante sia nella dimensione europea che in quella domestica.
Il Regolamento n. 178/2002, con la sua molteplicità di basi giuridiche, di fini, di strumenti di intervento, se in parte sconta la difficoltà di dare ordine ad un settore complesso, per le tensioni che lo attraversano e per le regole che lo investono [54], soprattutto esprime un modo peculiare di fare diritto, dando vita ad un sistema di governo di interessi e di attività, nel quale si intersecano piano nazionale e piano comunitario, competenze pubbliche, responsabilità dei privati ed interventi di soggetti dotati di autorità scientifica, e non necessariamente di poteri nel senso classico, riducibili ad unità solo ove letti attraverso il canone di sussidiarietà, nella sua duplice declinazione, verticale ed orizzontale.
All’interno di questa prospettiva si colloca il richiamo, operato dall’art. 21 del Regolamento n.178/2002, ai rapporti fra la disciplina della sicurezza alimentare e quella sulla responsabilità per danni da prodotti difettosi, e si esprime un disegno di sistematicità, che si manifesta con evidenza negli artt. 17, 19, 20.
L’individuazione di contenuti ed aree disciplinari risulta più agevole, ove le espressioni adottate nella versione del regolamento in lingua italiana per le rubriche degli artt. 17 (Obblighi), 19 e 20 (Obblighi relativi agli alimenti, obblighi relativi a mangimi), e 21 (Responsabilità), vengano poste a confronto con le espressioni adottate in altre versioni linguistiche.
In riferimento a quanto oggetto degli artt.17, 19, 20 e 21, una chiara distinzione fra le intitolazioni e gli oggetti si rinviene nel testo tedesco, nel quale la rubrica dell’art. 17 recita “Zuständigkeiten”, vale a dire “Competenze” (e non Obblighi, come recita il testo italiano), mentre le rubriche degli artt.19 e 20 recitano “Verantwortung für …” (vale a dire: responsabilità nel senso di individuazione del soggetto obbligato), e la rubrica dell’art. 21 recita “Haftung” (vale a dire: responsabilità civile nel senso di obbligo risarcitorio) [55].
L’art. 17 disegna e distribuisce le competenze assegnate agli operatori, agli Stati membri, ai sistemi di controllo, individuando “a chi spetta” l’una o l’altra attività, e dunque l’una o l’altra responsabilità, intesa non nel senso della responsabilità risarcitoria ex post, ma nel senso di chi è chiamato ad attivarsi in “dimensioni preventive del rispondere, vale a dire il possesso della capacità di intervento preventivo e proattivo atte ad evitare un danno” [56].
In tal senso “Zuständigkeiten”/“Competenze”, la rubrica dell’art. 17 in lingua tedesca, ben chiarisce l’oggetto della disposizione:
– spetta alle imprese alimentari (e la prescrizione decisamente unifica la categoria ed il modello), adottare le peculiari modalità organizzative, che risultano dall’applicazione degli artt. 14-21 del regolamento;
– spetta agli Stati membri organizzare un sistema ufficiale di controllo e determinare misure e sanzioni;
– spetta agli organismi di controllo designati verificare la conformità agli standards.
Il sistema ufficiale di controllo per i prodotti alimentari, originariamente introdotto per i profili di sicurezza igienico-sanitaria, e poi esteso a comprendere anche la conformità dei prodotti di qualità [57], è quello introdotto, alcuni anni dopo il Regolamento n. 178/2002, dal successivo Regolamento n.882/2004 [58], che definisce “controllo ufficiale”: “qualsiasi forma di controllo eseguita dall’autorità competente o dalla Comunità per la verifica della conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali” [59]; e prevede che i controlli possano essere delegati ad organismi di controllo, e così anche a strutture private, nel rispetto di talune condizioni, fra le quali quella secondo cui “L’organismo di controllo opera ed è accreditato conformemente alle norme europee EN 45004 «Criteri generali per il funzionamento di diversi tipi di organismi che eseguono ispezioni» e/o a un’altra norma se più pertinente, dati i compiti che gli sono stati delegati;” [60].
La norma EN 45004, o ISO 17020, intitolata "General Criteria for the Operation of Various Types of Bodies Performing Inspection", è uno standard internazionale adottato dagli organismi internazionali di standardizzazione ai fini dell’individuazione degli organismi autorizzati a svolgere ispezioni; standard internazionale che, attraverso il rinvio operato dal Regolamento n. 882/2004, disciplina e conforma gli organismi di controllo.
Trattandosi di un rinvio mobile, lo standard può essere modificato negli anni (e di fatto è stato più volte modificato, ed in prosieguo sostituito dallo standard UNI CEI EN ISO/IEC 17020:2005) ad opera degli organismi internazionali di normalizzazione, senza che intervenga un preventivo controllo pubblico da parte del legislatore nazionale ed europeo.
Sicché, ai sensi del Regolamento n. 178/2002, quanto all’individuazione delle competenze/responsabilità:
– lo Stato membro organizza un sistema ufficiale di controllo, ma nel far ciò utilizza organismi la cui struttura ed il cui modus operandi non sono determinati né dallo Stato membro né dall’Unione Europea, ma dagli organismi internazionali di standardizzazione, e che sono con ciò soggetti a regole non pubbliche ma private, nella fonte e nelle stesse modalità di accesso e di utilizzazione, atteso che la norma EN 45004, e le sue successive modifiche e integrazioni, non sono in ipotesi pubblicate in documenti accessibili liberamente alla generalità degli utenti, ma sono oggetto di titolarità privata ed accessibili solo previo acquisto a pagamento [61];
– l’organismo di controllo delegato dallo Stato membro effettua i controlli di conformità, operando secondo standard fissati in sede internazionale, di matrice non pubblica;
– lo Stato membro determina misure e sanzioni per il caso di violazione degli obblighi di conformità così definiti;
– l’operatore del settore alimentare deve verificare che nell’attività dell’impresa alimentare le procedure e le modalità organizzative dell’impresa siano coerenti a quanto è necessario per soddisfare le disposizioni del regolamento n.178/2002, ed ai sensi del d.lgs. n. 190/2006 [62] è soggetto a sanzioni per il solo fatto della mancata organizzazione dell’impresa secondo i criteri fissati da questo regolamento, anche ove non si sia verificato alcun concreto danno o pericolo per la salute dei consumatori.
Le regole di controllo del rispetto degli standard, elaborate su base volontaria dagli organismi internazionali di armonizzazione, divengono i canoni guida attorno ai quali le imprese sono chiamate ad organizzare la propria attività, ed al cui rispetto sono tenute, e pertanto divengono regole di diritto, cogenti, nella misura in cui la loro mancata osservanza si traduce in violazione di quanto disposto dal regolamento [63].
Il riferimento alla responsabilità civile per danni (“Haftung” appunto), di cui all’art. 21 del Regolamento n. 178/2002 chiude il circuito della responsabilità come competenza, chiamando alla funzione ripristinatoria del risarcimento le imprese che abbiano omesso di adottare le modalità organizzative e preventive ad esse richieste dal rispetto delle regole di qualità e sicurezza.
Al regolamento di sistema del 2002 è seguita, negli anni successivi, in attuazione del programma enunciato nel Libro bianco del 2000 [64], l’adozione di una nutrita serie di regolamenti specifici, e fra questi quelli comunemente designati con il nome di “pacchetto igiene” [65].
Il pacchetto igiene comprende diversi regolamenti, ed anzitutto tre regolamenti del 2004, n. 852 [66], n. 853 [67], e n. 854 [68], aventi per oggetto in generale l’igiene di prodotti alimentari, ed in particolare l’igiene ed i controlli dei prodotti alimentari di origine animale (che, notoriamente, sono quelli che ancora in anni recenti hanno suscitato maggiori preoccupazioni).
Questi tre regolamenti indicano come loro base giuridica l’art. 152, paragrafo 4, lett. b, del TCE sulle “misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica” [69], ma non menzionano l’art. 37 TCE relativo alla politica agricola comune [70], che – come già ricordato – era invece indicato fra gli articoli costituenti la base giuridica plurima del Regolamento n. 178/2002. Il solo Regolamento n. 852/2004 richiama anche l’art. 95 TCE sul mercato interno [71].
Un ulteriore regolamento del 2004 è di rilevante interesse ai fini qui discussi, come già anticipato in riferimento ai principi e alle definizioni introdotti dal Regolamento n. 178/2002. Si tratta del Regolamento n. 882/2004 [72], che ha disciplinato ex novo il sistema ufficiale dei controlli igienico-sanitari, sostituendo con una disciplina uniforme europea l’armonizzazione che era stata tentata con le direttive del finire del secolo XX, [73] risultate inadeguate rispetto alle sfide poste dalle innovazioni tecnologiche ed alle conseguenti irrisolte criticità.
Nel Regolamento n. 882/2004 è riapparso, fra le basi giuridiche indicate, l’art. 37 TCE sulla Politica Agricola Comune [74]. accanto agli artt. 95 TCE sul mercato interno [75], e 152 TCE sulla tutela della salute [76].
La scelta di una base giuridica plurima e l’espressa menzione dell’art. 37 TCE, così come era avvenuto con il Regolamento n. 178/2002, esplicita il riconoscimento della pluralità di interessi e valori sottesi alle concrete scelte disciplinari in materia di controlli dei prodotti alimentari, e nel contempo riporta l’attenzione sull’importanza della fase agricola della produzione al fine di garantire la salubrità, oltre che la genuinità, degli alimenti.
Occorre naturalmente verificare se gli interessi ed i valori cui rinviano le plurime basi giuridiche adottate abbiano tutti pari dignità o se tra di loro si rinvenga nei fatti (meglio: nei testi disciplinari e nei provvedimenti) una gerarchia, più o meno esplicita e dichiarata.
Il richiamo ad una base giuridica plurima, che comprende, accanto alle norme del Trattato sulla tutela della salute umana, le norme in materia di mercato interno e di PAC, sta a sottolineare che l’adozione di un efficace sistema dei controlli dei prodotti alimentari è funzionale, oltre che alla tutela della salute, anche al fine di assicurare una piena, onesta e leale concorrenza fra le imprese.
La ragione è evidente. Un’impresa, che non rispetta le buone pratiche igieniche, ha costi di produzione minori e quindi può operare una concorrenza sleale rispetto all’impresa alimentare che osserva tali pratiche e subisce maggiori costi [77].
Il profilo di tutela della concorrenza, così individuato in riferimento alla disciplina igienico-sanitaria, presenta taluni punti di contatto e tuttavia non coincide con quello definito dalle politiche di settore per la definizione delle qualità e delle caratteristiche dei prodotti.
In questa prospettiva, l’ordine del mercato alimentare si colloca al crocevia di una pluralità di sistemi normativi, tutti cogenti, aventi origini, finalità, e contenuti in parte coincidenti ed in parte distinti, con conseguenti possibili antinomie, ovvero con possibile prevalere dell’uno o dell’altro assetto di regolazione, in ragione del prevalere dell’uno o dell’altro fascio di interessi e di valori.
La pluralità di interessi e valori tutelati emerge con chiarezza dall’art. 1, rubricato “Oggetto e campo di applicazione”, del Regolamento n. 882/2004, che espressamente individua come proprie finalità quelle intese a “prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per gli esseri umani e gli animali, siano essi rischi diretti o veicolati dall’ambiente”, e nel contempo a “garantire pratiche commerciali leali per i mangimi e gli alimenti e tutelare gli interessi dei consumatori”.
Il medesimo art. 1, peraltro, al successivo par. 2, precisa che detto regolamento “non si applica ai controlli ufficiali volti a verificare la conformità alle norme sull’organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli”.
Così operando, il regolamento sui controlli ufficiali del 2004 ha segnato una netta ed esplicita distinzione fra due distinti sistemi di controllo, coevamente attivi nello spazio giuridico europeo, ma separatamente disciplinati ed operanti:
– un controllo, essenzialmente pubblico, che attiene alle regole igieniche ed è soggetto ad un proprio specifico impianto, con differenziati soggetti, procedimenti e responsabilità.
– un diverso controllo, che attiene alle regole di mercato proprie di ciascun settore, e dunque alle regole proprie di ciascuna organizzazione di mercato dei prodotti agricoli [78], e che per i prodotti DOP e IGP assume le peculiari caratteristiche previste dal Regolamento n. 2081/92 e dai successivi regolamenti in materia.
La normativa europea sulla Food safety introdotta con il Pacchetto Igiene si è così dichiaratamente collocata all’interno di una prospettiva, intesa a tenere distinti gli aspetti di mercato in senso stretto da quelli igienico-sanitari, siccome rispondenti a finalità diverse e tali da richiedere ai controllori competenze anch’esse diverse.
Nel rispetto di questa dichiarata duplicità di impianto, il Regolamento n. 882/2004 ha disegnato il quadro generale della politica dei controlli in materia igienico-sanitaria come politica ben distinta da quella relativa ai controlli di qualità e di mercato, chiamando gli Stati membri ad individuare Autorità Nazionali specificamente competenti in materia di controlli igienico-sanitari [79].
Ne è risultato un sistema complesso, speculare ma del tutto distinto rispetto a quello che era stato previsto nel 1992 dal regolamento in tema di prodotti DOP e IGP [80].
Per l’Italia l’Autorità centrale nazionale designata ai fini dei controlli igienico-sanitari è il Ministero della Salute, cui spetta l’attribuzione delle deleghe ad altre autorità pubbliche [81] o ad organismi di controllo privati [82], e l’adozione del PNI – Piano Nazionale Integrato dei controlli. Si tratta di piani complessi, che si traducono in manuali operativi di centinaia di pagine [83], ed affrontano in dettaglio tutti gli aspetti della food safety, pur non occupandosi degli aspetti legati agli altri elementi che determinano la qualità e la reputazione di un prodotto alimentare.
Il sistema dei controlli igienico-sanitari di matrice europea si è pertanto aggiunto, senza sostituirli, ai diversi sistemi di controllo già previsti dalle varie OCM al fine di assicurare il rispetto delle regole di prodotto e di produzione, ed ai sistemi previsti per i prodotti DOP e IGP. Basti pensare, per ricordare alcuni esempi assai noti, ai controlli in materia di olio di oliva e di vini di qualità, rimasti a lungo disciplinati da scelte nazionali, con una pluralità di soggetti incaricati, che comprendevano, fra gli altri, le Camere di Commercio, i Consorzi di tutela dei vini, i Laboratori di analisi autorizzati.
Tutto ciò non è stato privo di conseguenze.
Il mondo agricolo è rimasto a lungo estraneo alle direttive, introdotte già negli anni ’80 e ’90 del XX secolo sulla base dell’art. 100/A del Trattato CEE per assicurare uniformi controlli igienico-sanitari dei prodotti alimentari; direttive espressamente intese a coniugare protezione della salute e lealtà delle transazioni commerciali garantendo insieme leale concorrenza fra le imprese e tutela per i consumatori di tali prodotti [84]. La produzione primaria, non investita da tali direttive, ancora alla fine del secolo restava assoggettata soltanto ai controlli legati alle diverse OCM (in buona parte funzionali alla percezione di premi od incentivi a vario titolo, pur se con alcune rilevanti eccezioni, prima fra tutte quella legata alle quote-latte). Esemplare in tal senso la Direttiva 43/93 [85], che ha previsto l’applicazione del metodo HACCP alle sole industrie alimentari, escludendo la fase primaria.
In esito al Pacchetto igiene, invece, l’intera filiera alimentare, a partire dalla fase primaria, è stata investita da una pluralità di controlli, con finalità differenti ma con oggetti che spesso coincidono, riguardando la produzione e la commercializzazione di alimenti sotto i concorrenti profili della food safety e del mercato unico europeo, quindi con una moltiplicazione di costi e di adempimenti, che ha lasciato tuttavia irrisolte incertezze ed ambiguità.
Da qui, assai di recente, ben tredici anni dopo l’introduzione del Pacchetto igiene, la scelta europea di introdurre un unico sistema integrato di controlli, con il Regolamento n. 2017/625 [86].
Nel caso delle DOP e IGP, il regolamento originario del 1992 [87] aveva affidato il compito di assicurare la certezza di conformità al disciplinare ad organismi privati ed a soggetti che quand’anche aventi natura pubblica operavano verso corrispettivo ed in una logica di economicità, secondo i modelli degli organismi privati, come nel caso delle Camere di Commercio [88]. I certificatori designati, sia privati che pubblici, operavano non nell’esercizio di poteri propri ma in esito a delega [89] dall’Autorità centrale nazionale (per l’Italia il Ministero per le politiche agricole) [90], che restava unica titolare del potere in senso proprio. Tali organismi, a prescindere dalla loro natura giuridica (pubblica o privata), erano tenuti ad operare secondo norme, ISO o EN, di matrice privatistica.
Come già ricordato, questo sistema dei controlli di conformità delle DOP e IGP per lungo tempo ha seguito un percorso del tutto distinto rispetto a quello dei controlli igienico-sanitari.
Nel 2004, al tempo dell’introduzione del pacchetto igiene [91]:
a) il modello del Regolamento n. 882/2004 si applicava soltanto ai controlli di tipo igienico-sanitario, e non ai requisiti di conformità alle OCM ed ai disciplinari di DOP e IGP (vale a dire a quelli che sinteticamente possiamo chiamare “requisiti di qualità”), che restavano soggetti al peculiare sistema di controllo a suo tempo introdotto dal Regolamento n. 2081/92;
b) d’altro canto, gli organismi privati di certificazione chiamati a cooperare in un settore assai delicato, quale quello dei controlli igienico sanitari, così come quelli operanti nel settore dei controlli di qualità, erano tenuti ad accreditarsi presso un Organismo di accreditamento di natura privatistica, il SINCERT.
Nell’arco di pochi anni, entrambe queste peculiarità sono venute meno: significative riforme legislative hanno sempre più avvicinato i due sistemi di controllo, igienico-sanitario e di qualità, e nel contempo l’accreditamento per gli organismi di certificazione di entrambi i sistemi è stato collocato all’interno di un meccanismo di matrice pubblicistica:
a) nel 2006 il nuovo Regolamento su DOP e IGP, n. 510/2006[92], ha esteso ai controlli sul rispetto dei disciplinari DOP e IGP il meccanismo di selezione dei soggetti incaricati dei controlli utilizzato dal Regolamento n. 882/2004 per i controlli igienico-sanitari;
b) nel 2008, il Regolamento n. 765/2008[93]ha introdotto una nuova disciplina sistematicamente orientata, per tutti gli organismi di certificazione, ivi inclusi sia quelli operanti nel settore dei controlli igienico-sanitari sia quelli operanti nel settore dei controlli di conformità e di qualità, prevedendo che l’accreditamento di tutti questi organismi sia affidato ad un unico Organismo nazionale di accreditamento per ciascuno Stato membro [94]. Per l’Italia tale organismo è stato individuato in Accredia [95].
In esito a tali riforme, il modello istituzionale e disciplinare del Regolamento n. 882/2004, che aveva disegnato meccanismi e soggetti di controllo in funzione di finalità esclusivamente igienico-sanitarie, è stato utilizzato anche ai fini dell’individuazione dell’autorità e degli organismi competenti per il controllo dei prodotti DOP e IGP sotto il profilo del rispetto dei disciplinari, a prescindere dai profili igienico-sanitari, e nel contempo l’accreditamento degli organismi di certificazione è stato collocato nell’area dell’esercizio del potere pubblico inteso ad assicurare certezze come bene pubblico [96].
Questa scelta ha dato luogo ad un meccanismo di trascinamento, per il quale nel 2008 la nuova OCM del vino, nel regolare i controlli di conformità ai disciplinari dei vini di qualità, ha fatto rinvio al sistema del Regolamento n. 882/2004, pur se con qualche differenza testuale, elaborata nel corso del processo di messa a punto della nuova OCM [97], con una scelta da ultimo confermata anche negli ultimi regolamenti di riforma della PAC del dicembre 2013 [98].
È andato così emergendo un processo di progressiva omologazione dei sistemi di controllo dei prodotti agro-alimentari, collocati all’interno di una “cabina di regia” unificata, che guarda in prospettiva integrata ai temi della tutela e della concorrenza e così alla food safety ed alla food quality.
In prosieguo il “Pacchetto qualità” del 2012, che ha riordinato la materia, aggregando le precedenti discipline in tema di DOP, IGP, STG ed altri prodotti di qualità in un unico testo normativo [99], ha confermato la scelta operata nel 2006 quanto alla riconduzione del sistema dei controlli di qualità al modello introdotto nel 2004 dal “Pacchetto igiene” per i controlli igienico sanitari.
Il modello di individuazione dei protagonisti pubblici e privati della food safety, come definito dal Regolamento n. 178/2002 e dal c.d. “pacchetto igiene”, trova riscontri significativi in altri settori dell’ordinamento.
È sufficiente qui richiamare sinteticamente, quali esempi della tendenza a dislocare l’area disciplinare da una dimensione pubblicistica o comunque soggetta a puntuale e specifico controllo di matrice pubblicistica ad una dimensione che privilegia profili di organizzazione e di responsabilità delle imprese e degli organismi di certificazione, il decreto legislativo del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche [100], e dieci anni dopo la legge n. 180/2011 sullo statuto delle imprese [101]; normative che entrambe assegnano rilievo espresso all’utilizzo di modelli di organizzazione e gestione “adottati … sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati” [102], e riconoscono che “Le certificazioni relative a prodotti, processi e impianti rilasciate alle imprese dagli enti di normalizzazione a ciò autorizzati e da società professionali o da professionisti abilitati sono sostitutive della verifica da parte della pubblica amministrazione e delle autorità competenti, fatti salvi i profili penali.” [103].
In questo modello, le associazioni rappresentative che elaborano e diffondono codici di comportamento, e gli organismi di certificazione della conformità diventano i protagonisti in prima persona della ricerca di certezze e sicurezze, sostituendosi o quanto meno affiancandosi alla pubblica amministrazione [104].
Ma se a soggetti privati, variamente individuati, viene assegnata la responsabilità (intesa come competenza) di assicurare certezze pubbliche, quali responsabilità (intese nel senso di responsabilità civile – liability, oltre che di responsabilità penale) devono intendersi attribuite a questi organismi, nel caso in cui le certezze pubbliche che essi dovrebbero garantire si rivelino in fatto inesistenti?
Ne emergono i temi della responsabilità e della accountability, termine polisenso [105], in varia misura riferito all’esercizio del potere [106], il cui ruolo si ridefinisce in termini di diritti e di azionabilità, oltre che di disegno istituzionale, anche attraverso nuove forme di tutela [107], e che in varia misura si ricollega al tema della trasparenza nell’azione dei protagonisti istituzionali pubblici e privati, tanto che alcuni hanno sottolineato come la relazione fra i due porti a considerarli come “Siamese twins, as matching parts and as an «awkward couple»” [108].
Rilevanti novità orientate nella medesima direzione, con specifico riferimento al mercato dei prodotti agroalimentari, sono state introdotte anche dal legislatore nazionale.
Il d.l. 24 giugno 2014 n. 91, all’art. 1, nel testo finale risultante dalla legge di conversione [109], ha previsto un’unificazione dei controlli e l’istituzione di un registro unico dei controlli sulle imprese agricole, prevedendo altresì la possibilità in materia agroalimentare di assegnare alle imprese un termine entro cui sanare eventuali errori od omissioni formali ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono sanabili, così da escludere l’applicazione di sanzioni ove la regolarizzazione avvenga nel termine assegnato.
Ne è risultato un sistema, nel quale il compito assegnato ai soggetti privati e pubblici di certificazione e di controllo non è – o non è soltanto – quello di individuare e sanzionare le violazioni, ma piuttosto quello di svolgere un ruolo attivo di accompagnamento delle imprese verso la realizzazione di standards elevati e satisfattivi, che congiuntamente investono food safety e food quality.
La consapevolezza della necessità di procedere ad un ridisegno dei delicati rapporti fra pubblico e privato nell’area dei controlli e della certificazione, e dunque delle garanzie per le imprese e per i consumatori, è all’origine dell’adozione del Regolamento (CE) n. 765/2008 [110], con la previsione di organismi nazionali di accreditamento di designazione pubblica [111].
Questo regolamento del Parlamento e del Consiglio, approvato il 9 luglio 2008 ed efficace dal 1 gennaio 2010 [112], regola in modo unitario più aspetti della disciplina della commercializzazione dei prodotti: i sistemi di accreditamento degli enti di certificazione, i sistemi di sorveglianza del mercato interno e per il controllo dei prodotti importati da Paesi terzi, l’apposizione della marcatura “CE” [113].
Siamo in presenza di una significativa vicenda di innovazione istituzionale.
L’originaria proposta redatta dalla Commissione [114] escludeva dal campo di applicazione della nuova disciplina i prodotti alimentari [115] come definiti dal Regolamento n. 178/2002 [116].
Il Parlamento europeo, in sede di esame ed approvazione della proposta, ha deciso di limitare l’esclusione dei prodotti alimentari alla sola parte del regolamento relativa alla sorveglianza sul mercato interno e sui prodotti importati, estendendo però il campo di applicazione delle nuove disposizioni sull’accreditamento a tutti i prodotti, ivi inclusi quelli alimentari, con la seguente significativa motivazione: “La disposizione proposta sottrarrebbe all’ambito di applicazione del regolamento alcuni importanti settori disciplinati da normative europee specifiche. L’accreditamento è in realtà già ampiamente utilizzato nella maggior parte di tali settori, per cui le esclusioni previste andrebbero a scapito degli obiettivi di qualità opportunamente perseguiti in tali aree.” [117].
L’adozione di un sistema unitario di accreditamento, su base pubblica, di tutti gli organismi di certificazione, quale che sia la natura dei prodotti da certificare – come previsto dal Regolamento in esito agli emendamenti introdotti dal Parlamento Europeo – muove nel senso della considerazione unitaria del mercato, e valorizza l’esperienza di settori (come quello alimentare), nei quali l’accreditamento è da tempo utilizzato quale essenziale garanzia della qualità dei controlli.
Per converso, l’esclusione dei prodotti alimentari dal campo di applicazione delle nuove norme sulla sorveglianza dei mercati e dei prodotti importati, non esprime una segregazione disciplinare, ma è semplicemente dovuta alla previa esistenza di uno specifico (ed ormai sperimentato) sistema di vigilanza del mercato alimentare disciplinato dal Regolamento n. 178/2002.
Invero, il Regolamento n. 765/2008, lì ove ha integrato e modificato la Direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti del 2001 [118], ha ripreso ed esteso ad altre classi di prodotto i modelli di vigilanza ed intervento sul mercato, che erano stati da anni elaborati e sperimentati nell’ambito della sicurezza alimentare.
Sicché, in riferimento al tema cruciale dell’individuazione dei soggetti, delle competenze e delle procedure deputati a garantire tutela nel mercato ad interessi e valori preminenti, trova conferma anche nell’esperienza europea quanto osservato da uno studioso statunitense sul ruolo di anticipazione spesso svolto da modelli ed istituti elaborati nell’ambito del diritto alimentare [119].
La riaffermata dimensione politica del processo legislativo europeo si colloca all’interno di un processo per il quale il diritto in senso proprio, il diritto regolatorio, in contrapposizione con il diritto incentivante [120], ha acquistato un peso crescente all’interno della legislazione di fonte europea, attraverso l’adozione di definizioni e perimetrazioni, che penetrano in modo significativo, e ben più incisivo che in passato, in aree sinora presidiate dalla disciplina di diritto interno [121] ovvero in aree – quale quella dell’accreditamento degli organismi di certificazione sino al Regolamento n. 765/2008 – sinora lasciate a procedure di autoregolazione a base privatistica sostanzialmente sottratte al controllo pubblico.
Il regolamento del 2008, con la previsione della designazione ad opera dello Stato di organismi nazionali di accreditamento dei certificatori privati in riferimento alla generalità dei prodotti e dei settori produttivi [122], e la conseguente designazione di Accredia da parte dell’Italia con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del dicembre 2009 [123], costituiscono esempio addirittura paradigmatico di una regolazione plurilivello, che attraversa i consolidati confini pubblico/privato.
Si è tornati, per tale via, a ricercare certezze pubbliche, dopo un lungo periodo in cui il cruciale profilo dell’accreditamento era stato lasciato esclusivamente a decisori privati, e si è adottata una visione unitaria di vigilanza del mercato, che – sul modello già sperimentato per la Food Safety – non si limita a prevedere meccanismi di reazione ex post a crisi ed emergenze, ma pone in opera un sistema di vigilanza attiva e preventiva, a tutela della salute e della sicurezza dei consumatori europei, nell’ambito della normativa comunitaria di armonizzazione [124].
Sembra di dover concludere che, alla stregua del Regolamento n. 765/2008, certificazioni e certezze, con quanto di essenzialmente pubblico si esprime nelle scelte di centralizzazione dell’accreditamento, si connotano quali componenti essenziali delle politiche europee di armonizzazione e di sicurezza attiva, e determinano quale conseguenza logica (e, potremmo dire, necessitata) l’adozione di segni pubblici, che esprimendo tale conformità esprimono la garanzia (intrinsecamente pubblica) di fatti “che l’autorità pubblica rende certi” [125].
Ne risulta confermata, in una dimensione dell’oggi, europea e globale, la relazione sistemica fra profili disciplinari, istituzionali, di garanzia, e di comunicazione sul mercato, che Massimo Severo Giannini aveva individuato già oltre cinquanta anni in una ben diversa dimensione e tradizione nazionale.
La relazione fra Fonti/Istituzioni pubbliche e private si va insomma ridisegnando a livello europeo, e la ricerca di risposte ad essenziali domande di public goods (la tutela della salute e della sicurezza, anzitutto) si trova a fare i conti con un complesso disegno di regolazione, che guarda al mercato come luogo di regole, oltre che come arena di concorrenza.
Il quadro disciplinare così descritto ha subito di recente una significativa riscrittura con l’adozione del Regolamento (UE) 2017/625 [126], che ha unificato i diversi sistemi di controllo e di certificazione, e che avrà applicazione a decorrere dal dicembre 2019 [127].
Come si è osservato [128], già da tempo si è manifestata nel diritto alimentare europeo la tendenza ad estendere ai controlli ed alle certificazioni di qualità i modelli operativi elaborati per i controlli igienico-sanitari, mantenendo tuttavia distinti i due sistemi.
Con il nuovo regolamento del 2017, adottato in esito ad un processo legislativo complesso che ha impegnato per anni Commissione, Consiglio e Parlamento, i sistemi di controllo e certificazione, igienico sanitario e di qualità, sin qui separati pur se articolati secondo modelli progressivamente condivisi, sono stati collocati all’interno di un quadro disciplinare unico, sistematicamente orientato ed esteso anche ad aree ed oggetti rimasti sino ad oggi estranei a tali modelli.
Nel maggio 2013 la Commissione Europea ha presentato una proposta intesa a “semplificare” il sistema dei controlli nella filiera agroalimentare, con l’unificazione in un solo regolamento di disposizioni ed istituti all’epoca dispersi in una pluralità di provvedimenti [129], e con l’introduzione di modelli cooperativi fra imprese ed organismi pubblici e privati di controllo e certificazione.
Dopo quasi quattro anni, nel marzo 2017 è stato approvato il nuovo Regolamento (UE) 2017/625 [130], che in un unico complesso testo normativo contiene l’insieme di disposizioni sui controlli e le certificazioni in ambito sia agricolo che alimentare, con un’area applicativa che investe non soltanto gli alimenti e la nutrizione, ma l’intero ciclo della vita, vegetale e animale.
Ne risulta una prospettiva sistemica, che si propone quale ulteriore sviluppo del modello che, a far tempo dal Libro bianco sulla sicurezza alimentare [131], aveva sottolineato la necessità di un approccio di filiera, dai campi alla tavola, e che oggi va a coprire ogni possibile intervento sulle forme di vita, anche a prescindere dalla loro destinazione alimentare, nella persuasione che la vita per sua natura non possa essere tutelata per segmenti o settori, ma soltanto nella sua interezza.
In questo senso sembra di poter dire, con formula sintetica, che questo è il Regolamento della complessità e della globalizzazione [132], non soltanto per l’oggetto, i destinatari, il perimetro tematico [133], ma per lo stesso perimetro istituzionale, che va ben oltre i confini dell’Unione Europea.
Quanto ad oggetto, destinatari e perimetro tematico, il regolamento, muovendo dai controlli relativi a “la sicurezza alimentare, l’integrità e la salubrità” (“food safety, integrity and wholesomeness”, nel testo inglese), si estende ad un’amplissima serie di controlli ufficiali e di attività di certificazione, che spaziano dai prodotti alimentari all’immissione deliberata nell’ambiente di OGM a fini alimentari, alla salute ed al benessere degli animali anche non destinati alla catena alimentare, alla protezione contro organismi nocivi per le piante, ai pesticidi e prodotti fitosanitari, ai prodotti biologici, alle DOP e IGP diverse dai vini e dai prodotti alcolici, ed in qualche misura anche ai controlli previsti dalla OCM unica [134], impegnando gli operatori e i soggetti di controllo in una responsabilità condivisa, intesa a garantire non solo la catena alimentare, ma l’intera dimensione dell’ambiente e del ciclo della vita, con la sola eccezione degli animali utilizzati a fini scientifici e dei medicinali veterinari.
A questo approccio, unitario e sistemico, che considera i controlli sul cibo quale componente di più generali controlli del ciclo biologico nella sua interezza, si accompagna una riscrittura disciplinare: i prodotti DOP e IGP, le pratiche fraudolente nell’etichettatura dei vini DOP e IGP, i prodotti biologici, non sono più soggetti ad un sistema elaborato a fini igienico-sanitari ed esteso ai controlli di conformità in via di eccezione, ma sono normati all’interno di articoli, titoli e capi di un unico testo, ordinato secondo principi, regole ed istituti codicisticamente orientati.
I controlli su animali e piante, oltre che finalizzati a garantire la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti destinati al consumo umano, assumono il benessere animale e gli organismi nocivi per le piante quale oggetto per sé rilevante.
In questa prospettiva di riduzione ad unità disciplinare, specifiche disposizioni sono dedicate ai controlli frontalieri sul legname in ingresso nell’Unione Europea [135].
Il legname si colloca evidentemente al di fuori della filiera alimentare e così al di fuori dei controlli precedentemente previsti dal Regolamento (CE) n. 882/2004, ed a tutt’oggi non compare nell’elenco dei prodotti agricoli di cui all’Allegato I del TFEU. Tant’è che sul finire del secolo scorso la Corte di Giustizia, accogliendo il ricorso della Commissione e del Parlamento europeo, aveva concluso che, non essendo il legno un prodotto agricolo, il sostegno all’attività forestale non poteva farsi rientrare nella politica agricola, ma doveva ricondursi a quella ambientale [136].
Nell’oggi, invece, il Regolamento 2017/625 assume anche il legname, siccome componente del ciclo della vita, quale oggetto di attenzione e disciplina, nell’ambito dei controlli sull’attività di impresa nell’agro-alimentare.
Va detto che già dal 2005 la riforma del regolamento sullo sviluppo rurale [137], assegnando dichiarato ed esplicito rilievo all’attività forestale come attività rientrante a pieno titolo e non solo in via sostitutiva nell’ambito della Politica Agricola Comune, ed evidenziandone i contenuti produttivi, oltre che ambientali [138], aveva avvicinato la perimetrazione europea dell’attività agricola complessivamente intesa a quella che l’ordinamento italiano conosce già dal codice civile del 1942, e che considera le attività produttive di coltivazione e di allevamento unitariamente a quelle, anch’esse produttive, proprie della silvicoltura [139].
Il nuovo Regolamento sui controlli del 2017 si colloca così all’interno di un più ampio disegno, che collega disciplina dell’agricoltura e disciplina dei prodotti alimentari (e più in generale agricoli) all’interno di una generale attenzione a tutto ciò che in vario modo si collega al ciclo della vita, pur se non immediatamente connesso al ciclo della produzione e distribuzione di alimenti, rafforzando sul piano disciplinare la considerazione sistemica di una European Food Law, che si configura quale European Agri-Food Law.
Nel medesimo tempo, il nuovo regolamento si propone come il Regolamento della globalizzazione, per il perimetro istituzionale e territoriale, che va ben oltre i confini dell’Unione Europea.
Quanto alle istituzioni, cui sono affidati i controlli ufficiali, il regolamento prevede la creazione di nuove istituzioni responsabili anche della vigilanza frontaliera in uscita ed in entrata (a partire dal Laboratorio di riferimento dell’Unione Europea e Laboratori e Centri di riferimento nazionali) [140], attività di formazione congiunta [141], sistemi informatici unificati per il trattamento delle informazioni [142].
Quanto al perimetro territoriale, il Regolamento di fatto in qualche misura estende ai rapporti con le amministrazioni di Stati esterni all’Unione le modalità e le forme di collaborazione che dieci anni fa il Regolamento (CE) n. 765/2008 aveva introdotto per i rapporti interni all’Unione [143], e così non soltanto introduce più articolate forme di collaborazione fra gli Stati membri [144], ma a queste affianca nuovi programmi estesi a comprendere controlli della Commissione anche in Paesi terzi [145] oltre che negli Stati membri [146], controlli pre-esportazione effettuati nei paesi terzi che esportano verso l’Unione [147], attività di formazione congiunta [148], sistemi informatici unificati per il trattamento delle informazioni [149], un monitoraggio costante con l’adozione di un registro sui «precedenti di conformità» articolato per paese terzo e stabilimento di origine e luogo di produzione, esportatore ed operatore responsabile della partita [150].
L’intero sistema risulta insomma disegnato secondo una logica di globalizzazione dei controlli, modellata in ragione della globalizzazione del mercato.
Ne emerge un delicato profilo di giustiziabilità e di tutele, che nel nostro Paese rinvia ad essenziali garanzie assicurate dagli artt. 24, 25, 41, 97, e 111 cost.
È vero che il regolamento, in uno dei suoi primi articoli, ribadisce solennemente: “Contro le decisioni adottate dalle autorità competenti in conformità dell’articolo 55, dell’articolo 66, paragrafi 3 e 6, dell’articolo 67, dell’articolo 137, paragrafo 3, lettera b), e all’articolo 138, paragrafi 1 e 2, riguardanti le persone fisiche o giuridiche, è ammesso il ricorso da parte di queste ultime in conformità del diritto nazionale.” [151]; ma questa disposizione, collocata all’interno del Titolo II, dedicato ai “Controlli ufficiali e altre attività ufficiali negli Stati membri”, in quanto tale non sembra aggiungere profili rilevanti di tutela, rispetto a quanto già garantito sia dai singoli ordinamenti nazionali, sia dagli stessi Trattati europei in via generale.
Non trovano invece specifica disciplina nel regolamento i profili collegati all’operatività del nuovo Sistema di trattamento dati (IMSOC), ed alla possibile efficace tutela dell’operatore interessato ai fini del rating che gli viene attribuito, limitandosi il regolamento a prescrivere: “3. Le autorità competenti possono pubblicare o rendere altrimenti disponibili al pubblico informazioni circa il rating dei singoli operatori in base ai risultati di uno o più controlli ufficiali, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) i criteri di rating sono oggettivi, trasparenti e pubblici; e b) esistono procedure atte a garantire l’equità, la coerenza e la trasparenza del processo di attribuzione del rating.” [152].
Si tratta di una disposizione, il cui ambito di operatività – al di là della genericità della formulazione – è comunque limitato alla possibilità di rendere o meno noto al pubblico il rating di una certa impresa. Ben diversa è la questione relativa all’utilizzazione di tali dati da parte delle autorità pubbliche.
In altre parole: se un certo rating costituisce il presupposto di provvedimenti sanzionatori adottati a carico dell’operatore, secondo quanto espressamente previsto da numerosi articoli del regolamento [153], il punto è quello di individuare con quali strumenti, giurisdizionali o amministrativi [154], l’operatore o il certificatore interessati possano agire per la celere modifica di un rating sfavorevole, determinato ad esempio in ragione di notizie fornite da autorità e soggetti diversi da quelli cui spetta la tenuta dei registri.
È certamente possibile proporre ricorso alla Corte di Giustizia avverso atti della Commissione Europea quale soggetto deputato alla tenuta del Sistema di trattamento dati (IMSOC), ma laddove in ipotesi la questione non attenga al modo in cui i dati sono trattati dalla Commissione, bensì investa la stessa esattezza o attendibilità dei dati inseriti, comunicati alla Commissione da singole Autorità nazionali, anche extra-EU, si aprono aree di evidente incertezza quanto agli strumenti ed alle sedi ove contestare tali dati [155].
Tornano di immediato interesse, in quest’area dei controlli e della certificazione agro-alimentare, le riflessioni proposte già da alcuni anni dagli studiosi di diritto dell’economia in riferimento al rating nelle operazioni finanziarie [156].
In altre parole: la globalizzazione dei mercati agroalimentari ha indotto il legislatore europeo ad immaginare forme di globalizzazione dei controlli, e questa a sua volta tende ad utilizzare strumenti e modelli, anzitutto il rating, elaborati in aree che da tempo devono fare i conti con la globalizzazione, e così in quelle dell’intermediazione finanziaria. Le criticità di tali strumenti sono tuttavia emerse proprio in queste aree di precedente esperienza, che hanno indotto a riconsiderare la stessa costruzione e conformazione del rating, alla ricerca di nuove ed originali forme di informazione sul mercato [157].
Esprime in qualche misura la ricerca di un bilanciamento rispetto ai rischi che potrebbero derivare dalla legittimazione di tecniche di globalizzazione dei controlli, l’attenzione, anch’essa fortemente sottolineata nel nuovo regolamento, alla «Trasparenza nei controlli ufficiali» [158], che vincola le autorità europee e nazionali a mettere «a disposizione del pubblico, anche pubblicandole su internet, le informazioni pertinenti riguardanti l’organizzazione e lo svolgimento dei controlli ufficiali» [159], e che detta dettagliate disposizioni sulle procedure di controllo, sulla documentazione, sui metodi e sulle tecniche da adottare [160], anche con specifico riferimento al rating [161], valorizzando “la interazione tra soggetti istituzionali e pubblico dei consumatori, in una relazione sinergica tra pluralismo sociale e livelli istituzionali” [162].
In questa prospettiva, anche la conformazione delle autorità e degli organismi di controllo e certificazione si connota secondo linee originali.
Elemento decisivo all’interno del mercato globale diventa quello legato all’affidabilità della certificazione, nella misura in cui questa è destinata ad operare non in riferimento ad un singolo mercato o ad una singola serie produttiva, ma è proiettata in una dimensione generale, che tendenzialmente supera qualunque partizione territoriale, ed assume a proprio cardine un criterio di affidabilità e reputazione, basato sulla trasparenza ed accessibilità di tutti i “precedenti” dell’operatore e dei soggetti di certificazione e controllo [163], ovunque maturati, traducendosi nel rilascio di “certificati ufficiali” e di “attestati ufficiali”, aventi validità ed efficacia in tutti i mercati e non solo in quelli di origine.
Sembra di dover concludere che nell’oggi, con il Regolamento 2017/625, l’Unione Europea propone un modello (tuttora in progress) di certificazione e controlli complessivo e sistemico, che muovendo dalle prime disposizioni dell’ultimo decennio del secolo scorso, attraverso i rilevanti passaggi segnati dalle richiamate riforme di questo secolo in materia di certificazione, non solo alimentare [164], è pervenuto ad affermare certezze e sicurezze come bene giuridico, che per sua stessa natura non può essere circoscritto entro confini e dogane, ma si propone come elemento essenziale di concorrenza nel mercato globale.
Ne risultano opportunità per le imprese, ed insieme costi, non riducibili alle sole spese che le imprese dovranno sostenere per sottoporsi a controlli e certificazioni, ma anche in termini di certezze o incertezze incidenti sulla reputazione nel mercato [165] e sulla comunicazione con i consumatori [166].
[1] Sulla dimensione del potere nello spazio giuridico globale, v. di recente, anche per ampi riferimenti, le analisi di L. CASINI, Potere globale. Regole e decisioni oltre gli Stati, Bologna, 2018.
[2] Come è noto, la Compagnia delle Indie il 31 dicembre 1600 ricevette dalla Regina Elisabetta I una patente reale per il commercio nell’Oceano Indiano.
[3] Per un’ampia indagine in argomento v. A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010, la quale sottolinea (a p. 89) che “lo sviluppo delle certificazioni internazionali di qualità è un fenomeno che, pur recente, trova significativi precedenti in epoche passate”.
[4] Regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari.
[5] Oggi art. 43 del TFUE, che prevede l’adozione della procedura legislativa ordinaria, di codecisione fra Consiglio e Parlamento, mentre il testo originale dell’art. 43 assegnava la competenza al solo Consiglio, previa semplice consultazione dell’Assemblea. Anche il recente Regolamento (UE) n. 1151/2012 del 21 novembre 2012, che contiene la vigente disciplina in tema di DOP e IGP (e più in generale in tema di prodotti agro-alimentari di qualità), assume come propria base giuridica l’art. 43 TFUE in tema di PAC, cui affianca l’art. 118 TFUE in tema di diritti di proprietà intellettuale.
[6] Cfr. la corrispondenza testuale fra l’art. 39 TCEE del 1957 e l’art. 39 TFUE oggi vigente. Sui principi e sulle linee evolutive della PAC v. L. COSTATO-L. RUSSO, Corso di diritto agrario italiano e comunitario, IV ed., Milano, 2015. Sui più recenti sviluppi v. F. ALBISINNI, La definizione di attività agricola nella nuova PAC, tra incentivazione e centralizzazione regolatoria, in Riv. ital. dir. pubbl. comunitario, 2014, p. 967.
[7] V. in tal senso le lett. a e b del citato art 39 TCEE ed oggi TFUE, quanto al “miglioramento dei redditi degli agricoltori”, al fine di “favorire la permanenza della popolazione rurale nelle zone” rurali.
[8] V. in tal senso le lett. c, d, e del citato art. 39 TCEE ed oggi TFUE, quanto alle finalità di “stabilizzare i mercati”, “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti”, “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori”.
[9] V. i considerando (2) e (4) del Reg. n. 2081/92, cit.
[10] Sul rilievo “strategico” dell’informazione in tema di regolazione dei mercati v., anche per ampi riferimenti, in altro ambito disciplinare F. DI PORTO, L’informazione come “oggetto” e come “strumento” di regolazione (il caso dei mercati energetici al dettaglio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, p. 975; A. SCIARRONE ALIBRANDI, Dalla tutela informativa alla product governance: nuove strategie regolatorie dei rapporti tra clientela e intermediari finanziari, Editoriale, in Riv. reg. merc., 2016, n. 1; e nell’area dei mercati agroalimentari A. DI LAURO, Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agro-alimentare, collana IDAIC, Milano, 2005.
[11] V. l’art. 10 del Reg. n. 2081/92, cit.
[12] Fra gli enti pubblici di certificazione dei prodotti agroalimentari DOP e IGP un ruolo centrale è svolto in Italia dalle Camere di Commercio.
[13] V. L. AMMANNATI, Mercati finanziari, società di rating, autorità ed organismi di certificazione, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 31; ID., Il “valore” del rating nelle regolazioni pubbliche. Regolare il mercato del rating o superare il rating?, in Riv. reg. merc., n. 2-2014, p. 23.
[14] In anni recenti l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata chiamata a valutare la possibile esistenza di ipotesi di distorsione della concorrenza, derivante dalle risorse pubbliche e dalle informazioni di cui le Camere di Commercio dispongono, rispetto agli organismi privati di certificazione dei prodotti DOP e IGP.
In una prima fase l’Autorità aveva ritenuto di archiviare la segnalazione ricevuta da un organismo privato di certificazione operante nel settore dei vini di qualità, valutando insussistente la lamentata lesione delle norme in tema di concorrenza.
In prosieguo, tuttavia, l’Autorità è tornata sulla questione, in esecuzione di una puntuale pronuncia del Giudice amministrativo (sentenza TAR Lazio, sez. I, n. 11132/2015, del 9 settembre 2015, passata in giudicato), che ha accolto il ricorso proposto dall’organismo privato di certificazione avverso il richiamato provvedimento di archiviazione.
La sentenza ha così motivato: “9 – Peraltro, a giudizio del Collegio l’Autorità non affronta altrettanto approfonditamente l’ulteriore profilo di censura svolto dalla ricorrente con la propria segnalazione, concernente la normativa in materia di concorrenza e di aiuti di stato, la cui eventuale violazione – osserva ancora il Collegio – imporrebbe un intervento di tutela della stessa Autorità anche previa disapplicazione, ove necessario, della sopraindicata disciplina nazionale della materia.”; … 11 – …, il punto cruciale della censura riguardava proprio la sussistenza di abusi di posizione dominante tali da consentire alle CCIAA di spuntare condizioni migliori ed essere quindi “liberamente scelte” dagli operatori economici interessati”.
Sicché l’Autorità, con la successiva Segnalazione AS1265 del 17 marzo 2016, ha segnalato e raccomandato quanto segue: “L’Autorità richiama altresì le amministrazioni territoriali all’opportuna adozione di apposite misure di tutela e controllo rispetto alla circolazione di informazioni commerciali relative a offerte di servizi di certificazione (a titolo d’esempio, anche a mezzo della previsione di obblighi di astensione temporanea dalla partecipazione ad attività e incontri in cui simili informazioni vengano rese disponibili). Ciò tenuto conto della pluralità di organismi istituiti a livello locale/regionale e aventi competenze relative al settore viti-vinicolo, in cui rappresentanti di CCIAA – che, come visto, sono direttamente presenti sul mercato delle attività di certificazione vinicola in qualità di autorità di controllo pubbliche designate – potrebbero trovarsi in virtù dell’adempimento di competenze istituzionali di cui alla legge n. 580/1993. Nella medesima prospettiva, infine, l’Autorità raccomanda alle CCIAA l’adozione di rigorosi e verificabili criteri di: (1) gestione separata della contabilità delle proprie strutture di controllo dei vini rispetto al restante bilancio camerale; (2) formulazione delle proprie tariffe, a partire da un’analisi dei costi effettivamente sostenuti dalle proprie strutture di controllo.”.
In ossequio alla Segnalazione dell’Autorità, l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, che costituisce la struttura del Mipaaf competente in materia) ha adottato la Nota n. 10862 del 30 maggio 2016, con la quale ha individuato i seguenti specifici obblighi procedimentali che devono essere rispettati dagli organismi pubblici operanti nel mercato della certificazione dei prodotti agroalimentari: “… per quanto riguarda le raccomandazioni più direttamente attinenti all’attività di certificazione e controllo autorizzate da questo Ministero, codeste Autorità avranno cura di: – realizzare una contabilizzazione delle attività di controllo (comprendente costi fissi e variabili del personale addetto e costi diretti e indiretti dell’attività) distinta dal restante bilancio nel prossimo esercizio finanziario; – trasmettere a questa Amministrazione, entro il corrente anno, una relazione concernente i vigenti tariffari che dia evidenza dei criteri utilizzati per la formulazione degli stessi a partire dagli effettivi costi sostenuti.”
[15] La giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato la propria giurisdizione a decidere le controversie relative a provvedimenti adottati dagli organismi privati di certificazione nei confronti delle imprese assoggettate a controllo (v. di recente Cons. Stato, sez. III, ord. 3250/2017 del 31 luglio 2017).
[16] M.S. GIANNINI, Certezza pubblica, in Enc. dir., VI, 1960, Milano, 769, corsivo agg.
[17] Op. ult. cit., a pp. 774-775, corsivo agg.
[18] Op. ult. cit., a p. 771, corsivo agg.
[19] Op. ult. cit., a p. 777, corsivo agg.
[20] V. in originale prospettiva ricostruttiva A. ROMANO TASSONE, Amministrazione pubblica e produzione di “certezza”: Problemi attuali e spunti ricostruttivi, in Dir. Ammin., 2015, 867.
[21] A. ROMANO TASSONE, op. cit., a p. 874.
[22] Per ulteriori riferimenti in punto v. Diritto amministrativo, a cura di F.G. SCOCA, Torino 2015, p. 160 ss.
[23] Così A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”, cit., p. 12.
[24] S. AMOROSINO, Il Regolamento CE n. 765/2008, in materia di accreditamento degli organismi di “valutazione della conformità” (certificazione), in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2011, 24, a p. 26.
[25] Faccio qui riferimento all’incontro organizzato congiuntamente da studiosi di diritto agroalimentare e studiosi di diritto dell’economia, su iniziativa dell’AIDA-IFLA Associazione Italiana di Diritto Alimentare, il 2-3 dicembre 2011, a Viterbo, presso l’Università della Tuscia, sul tema, “Controlli, certificazioni, responsabilità: tra pubblico e privato, tra domestico e globale”. Le relazioni presentate in tale incontro sono pubblicate nella Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2011 e n. 1-2012; v. infra per richiami alle singole relazioni.
[26] V. infra par. 7.
[27] Si veda, a titolo esemplificativo, la disciplina europea per i prodotti biologici (Regolamento CE n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici), la disciplina nazionale per i prodotti da agricoltura integrata (introdotta ai sensi dell’art. 2 della l. 3 febbraio 2011, n. 4), i numerosi sistemi di qualità regionali; i nuovi sistemi di qualità unionale e nazionale introdotti dal nuovo Reg. (UE) n. 1151/2012, cit.; in argomento per ulteriori indicazioni v. F. CAPELLI, Prodotti agroalimentari di qualità: controlli e responsabilità, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2011, p. 28; F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Torino, III ed., 2017, cap. XI.
[28] Tant’è che in questi anni il contenzioso relativo alle decisioni adottate in tema di certificazione dagli organismi privati di certificazione dei prodotti alimentari si è in larga misura svolto innanzi ai giudici amministrativi, a conferma della natura sostanzialmente pubblica delle decisioni di certificazione (o, reciprocamente, di diniego di certificazione) adottate da questi organismi rispetto ai produttori da essi controllati.
[29] Funzioni che collocano l’autoregolazione nell’ambito di più sottoinsiemi, in ragione della relazione, di separazione ovvero di integrazione, presupposizione o richiamo rispetto all’intervento di regolazione pubblica, come ha ben sottolineato N. RANGONE, Declinazioni e implicazioni dell’autoregolazione: alla ricerca della giusta misura tra autonomia privata e pubblico potere, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2011, p. 39.
[30] Se è vero – come bene ha osservato D. GADBIN, La qualité de la production du produit de base en droit communautaire agricole, in Le produit agro-alimentaire et son cadre juridique communautaire, Rennes, 1996, a p.172 – che “le consommateur entretient évidemment un rapport plus intime avec sa nourritoure qu’avec les produits non alimentaires”; cors. agg.
[31] Cfr. A. MOSCARINI, Le fonti dei privati, in Giur. Costit., 2010, 1895; con specifico riferimento ai profili legati all’accreditamento, v. ID., L’accreditamento nel Regolamento CE n. 765/2008 e le “Fonti” di produzione privata, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 23. Quanto all’emergere di nuovi modelli, v. le suggestive riflessioni di A. PIZZORUSSO in P. PASSAGLIA, Il sistema delle fonti del diritto: intervista ad Alessandro Pizzorusso a proposito della nuova edizione del suo commento per lo Scialoja-Branca-Galgano, in Foro it., 2011, V, 156.
[32] Cfr. A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato, Milano, 2008.
[33] In tal senso si veda, con specifico riferimento all’affidamento di compiti di certificazione e controllo ai Consorzi di tutela dei vini di qualità, l’ordinanza pronunciata già oltre dieci anni fa dal TAR Lazio, sez. II ter, 26 aprile 2004, n. 2247, che ha respinto le doglianze di un produttore avverso l’affidamento al Consorzio di tutela del Frascati di tali compiti, con la seguente esemplare motivazione: “I Consorzi di tutela svolgono funzioni lato senso pubblicistiche”. Si veda altresì A. FIORITTO, Certezze pubbliche prodotte dai privati: il caso delle denominazioni protette dei vini, in Giornale di dir. amm., 9/2011, p. 974, quanto agli organismi privati di certificazione nel settore agroalimentare, in riferimento ad altra vicenda giudiziale decisa nl 2011 dal TAR Lazio, che ha riconosciuto la terzietà di una società operante come organismo di certificazione nel settore vitivinicolo, respingendo la censura di conflitto di interesse sollevata in riferimento alla presenza nel capitale di tale società della Federazione nazionale dei consorzi di tutela di vini a denominazione di origine.
[34] Primato non sempre trasparente; cfr. M. TALLACCHINI, Sicurezze e responsabilità in tempo di crisi, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 14; S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2002; ID., Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006; per indicazioni anticipatrici v., già negli anni ’70 del secolo XX, la Introduzione di P. BARCELLONA a R. WIETHÖLTER, Le formule magiche della scienza giuridica, trad.it., Bari, 1975.
[35] Con specifico riferimento agli organismi di certificazione v. l’analisi di S. AMOROSINO, Il Regolamento CE n. 765/2008, cit.
[36] L. BUSCH, Quasi-states? The unexpected rise of private food law, in B.VAN DER MEULEN (ed.), Private Food Law, Wageningen Academic Publishers, 2011, 51, a p. 59.
[37] In argomento, con specifico riferimento al mercato agroalimentare v. A. ALBANESE, Contractual Justice and Market Efficiency in the Supply Relationship within the Agro-Food Chain, in Riv. reg. merc., 2016, n. 2; ed i contributi pubblicati in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 2-2008, n. 3-2008.
[38] Per una sintesi degli orientamenti emergenti in argomento, in sede europea e nei principali paesi dell’Unione Europea, v. L. DI VIA-L. MARCIANO, Le relazioni tra Industria Alimentare e GDO tra tutela della concorrenza e contemperamento di interessi economici, in Riv.dir.alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 3-2008, p. 31.
[39] Per riferimenti sulle posizioni assunte dagli studiosi statunitensi, v. L. BUSCH, Quasi-states?, cit.
[40] D.l. 24 gennaio 2012, n. 1, “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”. In argomento per ulteriori riferimenti v. F. ALBISINNI, Cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (o alimentari?): ancora un indefinito movimento, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 2-2012, p. 33 ss., quanto alla tipizzazione di pratiche commerciali, che vengono comunque qualificate come illecite, senza necessità di dimostrare la sussistenza di ulteriori presupposti ai fini della qualificazione; presupposti (la posizione dominante o lo stato di dipendenza economica) la cui dimostrazione risulta spesso non agevole e talvolta nei fatti quasi impossibile; ID., Prodotti alimentari o agroalimentari? Il TAR del Lazio, giudice del mercato e law maker, smentisce il MIPAAF e l’AGCM, in Riv dir. alim., www.rivista
dirittoalimentare.it, n. 3-2013, p. 33, quanto all’individuazione del perimetro applicativo delle nuove disposizioni.
[41] V. l’art. 62, comma 2, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, cit.
[42] Commissione Europea, Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare, Bruxelles, 12.4.2018, COM(2018) 173 final.
[43] Ha osservato, con efficace sintesi, J. LANCESTER, Shut up and Eat, New Yorker, 2014: “Most of the Energy that we put into our thinking about food, I realized, isn’t about food; it’s about anxiety. Food makes us anxious. The infinite range of choices and possible self-expressions means that there are so many ways to go wrong.”.
[44] In argomento v. A. DI LAURO, Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agroalimentare, cit.
[45] Per ulteriori riferimenti v. l’introduzione alla seconda edizione di L. COSTATO-F. ALBISINNI (eds.), European and Global Food Law, Wolters Kluwer, 2017.
[46] Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari.
[47] V. infra par. 8.
[48] V., in riferimento alle criticità emerse quanto alle società di rating finanziario, L. PIANESI, Le agenzie di rating tra privatizzazione di funzioni pubbliche e opinioni private “geneticamente modificate”, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 1/2011, p. 179; L. AMMANNATI, Mercati finanziari, società di rating, autorità ed organismi di certificazione, cit., e Il “valore” del rating nelle regolazioni pubbliche, cit., e richiami ivi.; A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze private”, cit., a p. 83.
[49] Regolamento (CE) 28 gennaio 2002, n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Per un commento analitico v. il Commentario al regolamento (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, a cura dell’IDAIC, in Le nuove leggi civ. comm., 2003, 1. Per analisi che collocano questo regolamento all’interno del processo di costruzione del diritto alimentare europeo, v. F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Torino, III ed., 2017; L. COSTATO-BORGHI-S. RIZZIOLI-V. PAGANIZZA-L. SALVI, Compendio di diritto alimentare, Padova, VIII ed., 2017; S. MASINI, Corso di diritto alimentare, Milano, IV ed., 2018.
[50] L. COSTATO, Preambolo, in Commentario al regolamento (CE) n.178/2002, cit.
[51] Commissione delle Comunità Europee, COM (1999) 719 def, Bruxelles, 12 gennaio 2000.
[52] 66^ considerando del Reg. n. 178/2002.
[53] Così, con formula solenne, l’art. 1.2. del Reg. n. 178/2002.
[54] Con notazione proposta per il diritto nazionale, ma che ben potrebbe essere ripresa per il diritto europeo in materia, G. PICA, Illeciti alimentari, in Enc. dir., aggiorn., VI, Milano, 2002, p. 443, osserva: “Il diritto dell’alimentazione rappresenta uno dei settori più complessi dell’ordinamento, non soltanto per la specificità delle problematiche, ma soprattutto per le difficoltà di ricostruzione sistematica, dovute, come è rilievo costante fra gli studiosi che l’hanno affrontato, alla stratificazione di norme di epoche, rango e livello tecnico differente, e con finalità eterogenee”.
[55] Conformemente nel testo spagnolo le rubriche degli artt.19 e 20 recitano “Responsabilidades respecto a …” mentre quella dell’art.21 recita “Responsabilidad civil”, e nel testo inglese le rubriche degli artt.19 e 20 recitano “Responsibilities for …” mentre quella dell’art. 21 recita “Liability”.
[56] Così, efficacemente, quanto all’individuazione dei diversi contenuti che possono essere assegnati alla parola responsabilità ed al “rispondere”, M. TALLACCHINI, Sicurezze e responsabilità in temi di crisi, cit., alla cui analisi si rinvia.
[57] V. infra parr. 4 e 5.
[58] Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali; v. infra par. 4.
[59] Art. 2, n. 1) Reg. n. 882/2004, cit.
[60] In argomento v. P. ALTILI, Le norme ISO, in Diritto alimentare. Mercato e sicurezza, BD on line dir. da F. ALBISINNI, Wolters Kluwer It., www.leggiditaliaprofessionale.it, 2011.
[61] V. ad esempio il sito dell’UNI – Ente Nazionale Italiano di Unificazione, al quale ci si può rivolgere per l’acquisto a pagamento delle norme UNI, www.store.uni.com.
[62] D.lgs. 5 aprile 2006, n. 190, “Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002”.
[63] In analoga prospettiva, quanto al sistema dei controlli di condizionalità, o cross-compliance, nel settore primario, v. L. RUSSO, Controlli e certificazioni nel settore agrario: la condizionalità, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 48.
[64] Cit. supra nota 51.
[65] Con ciò designando il complesso di norme di fonte europea, intese ad assicurare la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti alimentare, e comprendenti anche le norme in tema di controlli; v. F. CAPELLI-V. SILANO-B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare e Autorità europea per la sicurezza alimentare, Milano, 2006.
[66] Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari.
[67] Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
[68] Regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.
[69] Oggi art. 168 TFUE.
[70] Oggi art. 43 TFUE.
[71] Oggi art. 114 TFUE.
[72] Cit. supra nota 58.
[73] Si fa qui riferimento anzitutto alla Direttiva 89/397/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.
[74] Oggi art. 43 TFUE.
[75] Oggi art. 114 TFUE.
[76] Oggi art. 168 TFUE.
[77] In argomento v. l’analisi di F. AVERSANO, Per una “diversità” agroalimentare nella disciplina della concorrenza: riflessioni sul ruolo della Food Law, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2017, 4.
[78] Sulle diverse possibili modulazioni delle OCM v. l’art. 40 del TFUE; per ulteriori indicazioni sia consentito rinviare a F. ALBISINNI, Strumentario, cit., cap. XIV.
[79] V. artt. 2 e 4 del Reg. n. 882/2004.
[80] V. supra nota 4.
[81] Art. 4 del Reg. n. 882/2004.
[82] Art. 5 del Reg. n. 882/2004.
[83] Il PNI 2007-2010 conta ben 493 pagine seguite da 354 pagine di allegati, ed analoghe dimensioni presentano i successivi PNI 2011-2014, in http://www.salute.gov.it/pianoNazionale
Integrato/homePianoNazionaleIntegrato.jsp, e PNI 2015-2018, in http://www.salute.gov.it/ pianoNazionaleIntegrato2015/homePianoNazionaleIntegrato2015.jsp.
[84] V. la Direttiva del Consiglio n. 89/396/CEE, del 14 giugno 1989, relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare; la Direttiva del Consiglio n. 89/397/CEE, del 14 giugno 1989, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari; la Direttiva 93/43/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti alimentari. In argomento per ulteriori indicazioni v. F. ALBISINNI, Strumentario, III ed., cit. cap. III, par. 4.
[85] Direttiva 93/43/Cee del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti alimentari; sostituita e abrogata dal Regolamento (CE) n. 852/2004, cit. supra alla nota 66.
[86] Regolamento (Ue) 2017/625 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recante modifica dei regolamenti (CE) n. 999/ 2001, (CE) n. 396/2005, (CE) n. 1069/2009, (CE) n. 1107/2009, (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 652/2014, (UE) 2016/429 e (UE) 2016/2031 del Parlamento europeo e del Consiglio, dei regolamenti (CE) n. 1/ 2005 e (CE) n. 1099/2009 del Consiglio e delle direttive 98/58/CE, 1999/74/CE, 2007/43/CE, 2008/119/ CE e 2008/120/CE del Consiglio, e che abroga i regolamenti (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 89/608/CEE, 89/662/CEE, 90/425/CEE, 91/496/CEE, 96/23/CE, 96/93/CE e 97/78/CE del Consiglio e la decisione 92/438/CEE del Consiglio (regolamento sui controlli ufficiali). V. infra par. 8.
[87] V. supra nota 4.
[88] V. supra par. 1, nota 14.
[89] Art. 10 del Reg. n. 2081/1992.
[90] D.M. Min. Pol. Agric. 18 dicembre 1997, Strutture di controllo delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari, ai sensi dell’art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92.
[91] V. supra par. 4.
[92] Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.
[93] V. infra par. 7.
[94] Art. 4 del Reg. n. 765/2008.
[95] D.M. MISE 22 dicembre 2009.
[96] V. supra par. 2.
[97] V. l’art. 47 del Regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio, del 29 aprile 2008, relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo; poi art. 118 sexdecies del Reg. n. 1234/2007.
[98] La OCM vino, inizialmente distinta e separata dalla OCM unica, è stata in prosieguo inserita prima nel Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM), e poi nel vigente Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio. V. oggi l’art. 90 del Reg. n. 1306/2013.
[99] Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.
[100] D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.
[101] Legge 11 novembre 2011, n. 180, Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese.
[102] Art. 6, comma 3, d.lgs. n. 31/2001, cit.
[103] Art. 11, comma 1, legge 11 novembre 2011, n. 180, cit.
[104] In argomento, per ulteriori indicazioni, v. F. ALBISINNI, Sicurezze e controlli: chi garantisce cosa?, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4-2011, p. 12.
[105] V. le analisi e le considerazioni di M. TALLACCHINI, Sicurezze e responsabilità in tempi di crisi, cit.
[106] R. MULGAN, “Accountability”: an ever expanding concept ?, in Public Administration, 2000, p. 555, lo definisce come “the process of being called to account to some authority for one’s actions”; R.W. GRANT-R.O. KEOHANE, Accountability and Abuses of Power in World Politics, in American Political Science Review, 2005, p. 29, sottolineano che “some actors have the right to hold other actors to a set of standards, to judge whether they have fulfilled their responsibilities in light of these standards, and to impose sanctions if they determine that these responsibilities have not been met”.
[107] Come sottolinea, nella specifica prospettiva del diritto alimentare, P. BORGHI, Le azioni di classe nel settore alimentare, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 39.
[108] Così C. HOOD, Accountability and Transparency. Siamese Twins, Matching Parts, Awkward Couple?, in D. CURTIN-P. MAIR-Y. PAPADOPOULOS (eds.), Accountability and European Governance, London and New York, 2012, 61, at p. 77. In argomento, per ulteriori indicazioni v. F. ALBISINNI, Transparency, crisis and innovation in EU Food Law, in Riv. reg. merc., n. 1-2015, p. 97.
[109] D.l. 24 giugno 2014, n. 91, Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea; convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 11 agosto 2014, n. 116.
[110] Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti. In generale sulle procedure di certificazione e controllo nel settore alimentare v. P. ALTILI, Certificazione, controllo e vigilanza, in Diritto alimentare. Mercato e sicurezza, BD on line, dir. da F. ALBISINNI, Wolters Kluwer It., www.leggiditaliaprofessionale.it, 2011.
[111] In prospettiva ricostruttiva, sulla riperimetrazione di funzioni e competenze seguita a questo innovativo regolamento, v. S. AMOROSINO, Il regolamento CE n. 765/2008, cit.; A. MOSCARINI, L’accreditamento nel Regolamento CE n. 765/2008 e le “Fonti” di produzione privata, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2012, p. 23.
[112] V. art. 44 Reg. ult. cit.
[113] V. art. 1 Reg. ult. cit.
[114] Commissione Europea, Bruxelles, 14.2.2007, COM(2007) 37 def.
[115] Si veda in particolare il testo originale dell’art. 1 della proposta della Commissione, ult.cit., che dopo aver definito nel par.1 il campo di applicazione del regolamento, nel par. 2 prevedeva di escludere da tale applicazione i prodotti alimentari ed i mangimi, oltre che i prodotti a base di tabacco, il sangue umano e gli emoderivati, nonché i tessuti e le cellule umane.
[116] Cit. supra nota 49.
[117] È questa la motivazione dell’emendamento che ha soppresso il par. 2 dell’art. 1 della proposta della Commissione, lì ove era prevista l’esclusione dei prodotti alimentari e dei mangimi dal campo di applicazione del regolamento; in “Relazione del Parlamento Europeo sulla proposta di regolamento”, Bruxelles, 4.12.2007, A-60491/2007, fin.
[118] Direttiva 3 dicembre 2001 n. 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla sicurezza generale dei prodotti, che ha sostituito la Direttiva del Consiglio 29 giugno 1992, n. 92/59/CEE. In argomento, per una compiuta ricostruzione in chiave comparativa europea, v. L. PETRELLI, Il sistema di allarme rapido, in Diritto Alimentare. Mercato e sicurezza, BD on line, cit., 2011.
[119] P.B. HURT, Food law and policy: an essay, in Journal of Food Law & Policy, 2005, 1. Sul tema, più in generale, anche per ulteriori riferimenti, v. L. COSTATO-F. ALBISINNI (eds.), European and Global Food Law, Padova, 2017, II ed.
[120] Cfr. A. JANNARELLI, Pluralismo definitorio dell’attività agricola e pluralismo degli scopi legislativi: verso un diritto post-moderno?, in Riv. dir. agr., 2006, I, p. 183.
[121] In argomento, per ulteriori indicazioni muovendo dalle linee evolutive del diritto europeo dell’agricoltura, v. F. ALBISINNI, I codici europei dell’agricoltura, dopo Lisbona, in L. COSTATO-P. BORGHI-L. RUSSO-S. MANSERVISI (a cura di), Dalla riforma del 2003 alla PAC dopo Lisbona. I riflessi sul diritto agrario alimentare e ambientale, Napoli, 2011, p. 17.
[122] V. art. 1 Reg. n. 765/2008, cit.
[123] D.M. 22 dicembre 2009 Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con i Ministri dell’Interno, delle Politiche agricole alimentari e forestali, dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle Infrastrutture e dei trasporti, del Lavoro e delle politiche sociali, della Salute, dell’Università e della ricerca, della Difesa.
[124] Cfr. il Capo III del Reg. n. 765/2008, cit., ed in particolare l’art.15.1 quanto all’ambito di applicazione della vigilanza del mercato.
[125] Secondo l’espressione di M.S. GIANNINI, op. loc. cit.
[126] Cit. supra nota 86.
[127] Il nuovo regolamento, che si snoda per 167 articoli e 5 allegati, avrà applicazione dal 14 dicembre 2019, salve le norme sui laboratori ufficiali applicabili dal 29 aprile 2022, le norme sull’istituzione del laboratorio di riferimento dell’Unione Europea e dei laboratori nazionali di riferimento in applicazione dal 28 aprile 2018, e altre minori disposizioni; v. art. 167 del Reg. 2017/625. La previsione di un periodo così lungo prima dell’applicazione del nuovo Regolamento (analogamente, del resto, a quanto previsto dal nuovo Regolamento (UE) n. 1169/2011 sulla comunicazione al consumatore di prodotti alimentari) è significativa della consapevolezza del legislatore unionale sulle rilevanti novità introdotte, e sulla necessità di consentire alle amministrazioni nazionali di adeguare istituzioni e regole domestiche al nuovo quadro disciplinare.
[128] V. supra par. 5.
[129] La proposta si articolava in un pacchetto di misure, presentato dalla Commissione Europea il 16 maggio 2013, sotto il titolo complessivo di «Una regolamentazione più intelligente per alimenti più sicuri: la Commissione propone un pacchetto normativo fondamentale per modernizzare, semplificare e rafforzare la catena agroalimentare in Europa», pubbl. in http://europa.eu/
rapid/press-release_IP-13-400_it.htm.
[130] Pubbl. sulla GUUE del 7 aprile 2017; cit. supra nota 86.
[131] V. supra nota 51.
[132] Per ulteriori indicazioni sulle novità introdotte da questo regolamento, con riferimento in particolare all’attenzione al ciclo della vita, al nuovo perimetro tematico e territoriale investito, alle nuove definizioni di pericolo, rischio, ed operatore, sia consentito rinviare a F. ALBISINNI, Il Regolamento (UE) 2017/625: controlli ufficiali, ciclo della vita, impresa, e globalizzazione, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2018, p.11.
[133] Quanto all’oggetto ed al perimetro tematico, è sufficiente leggere l’art. 1 del nuovo Regolamento, rubricato «Oggetto e ambito di applicazione», per constatare l’ampiezza ed insieme l’ambizione dell’intervento.
[134] Il Regolamento 2017/625, all’art. 1.4., ha espressamente escluso dalla propria applicazione “i controlli ufficiali per la verifica della conformità: a) al regolamento (UE) n. 1308/2013” e dunque i controlli finalizzati ad assicurare il rispetto delle norme in tema di OCM, così mantenendo in via formale e di principio la separazione, a suo tempo affermata dall’art. 1.2. del Regolamento n. 882/2004 fra sistemi di controllo con finalità igienico-sanitarie e “controlli ufficiali volti a verificare la conformità alle norme sull’organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli.”.
Tale esclusione, peraltro, prevede un’eccezione assai rilevante, lì ove stabilisce che “tuttavia il presente regolamento si applica ai controlli effettuati a norma dell’articolo 89 del regolamento (UE) n. 1306/2013, laddove individuino eventuali pratiche fraudolente o ingannevoli relativamente alle norme di commercializzazione di cui agli articoli da 73 a 91 del regolamento (UE) n. 1308/2013”. Ora, i controlli di cui all’art. 89 del Regolamento n. 1306/2013 coprono sostanzialmente la generalità dei prodotti agroalimentari oggetto di OCM, facendo riferimento, oltre che a vini e canapa specificamente menzionati, a tutti i prodotti di cui all’Allegato I del Regolamento n. 1308/2013, e così a ben XXIV tabelle, che spaziano dai cereali ai bachi da seta, ai cavalli ed agli asini, e ad ogni altro genere di prodotti, comprendendo tutto ciò che è oggetto dell’OCM unica sotto il profilo specifico e rilevante del rispetto delle norme di commercializzazione, vale a dire delle norme che definiscono le qualità mercantili di tutti i prodotti. Estendere l’applicazione del Regolamento 2017/625 ai controlli intesi ad individuare eventuali “pratiche fraudolente o ingannevoli relativamente alle norme di commercializzazione” importa di fatto estendere tali controlli all’intero meccanismo della conformità alle norme mercantili, atteso che frodi o inganni sono individuabili solo in esito ai controlli, e non prima di questi, superando nella sostanza la separatezza di sistemi tuttora formalmente prevista per le OCM. Quelle che erano regole di eccezione, limitate a specifiche categorie di prodotti, tendono a proporsi come regole di sistema, estese alla generalità dei prodotti – sia pure con la formula solo apparentemente limitativa del riferimento alle pratiche fraudolente o ingannevoli – (dall’olio di oliva, ai vegetali freschi e trasformati, ai cereali, alle carni, ed a numerosissimi altri prodotti). V. l’elenco analitico all’art. 1 del Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013 (OCM unica).
[135] V. il riferimento ai “tronchi di legno” contenuto nel considerando (61 del Reg. 2017/625, e le disposizioni di cui all’art. 64 quanto ai controlli transfrontalieri su “importazioni di tronchi non trattati e legno segato e tagliato”, di cui all’art. 77 su “materiale da imballaggio in legno”, di cui all’Allegato IV capo I quanto alle Tariffe o diritti per controlli ufficiali su “alberi, arbusti (diversi dagli alberi di Natale), altre piante legnose da vivaio”, su “legname (diverso dalla corteccia), e su “terra e terreno di coltura, corteccia”.
[136] Corte di giustizia, sentenza 25 febbraio 1999, in cause riunite C-162/97 e 165/97.
[137] Regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). In argomento, per ulteriori riferimenti, v. F. ALBISINNI, Dall’agricoltura allo spazio rurale verso il 2013: ritorno al passato o fine della PAC ?, in Dagli interventi sulle strutture a quelli sull’ambiente rurale, a cura dell’Accademia dei Georgofili, Firenze, 2012, pp. 43-77.
[138] V. l’art. 11 del Reg. n. 1698/2005 ult. cit.
[139] Secondo quanto prevede l’art. 2135 c.c., già nel testo originario del 1942, e con maggiore esplicitazione dopo la novella del 2001, di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’art. 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57.
[140] V. gli artt. 92-101, e gli artt. 65-76.
[141] V. l’art. 130.
[142] V. gli artt. 131-136.
[143] V. supra par. 7.
[144] V. gli artt. 102-108.
[145] V. gli artt. 120-129.
[146] V. l’art. 118.
[147] V. l’art. 73.
[148] V. l’art. 130.
[149] V. gli artt. 131-136.
[150] V. l’art. 44.2.c).
[151] Così l’art. 7 del Reg. 2017/625.
[152] Così l’art. 11, par. 3, del Reg. 2017/625.
[153] V. gli artt. 9, 44, 54, 79, 138, del Reg. 2017/625.
[154] Come è noto, No remedy no rights è principio risalente in equity, che i giuristi di common law hanno da sempre considerato essenziale presidio dell’ordinamento a tutela delle libertà individuali, individuandone le radici nel principio romanistico Ubi Jus Ibi Remedium.
[155] Il ricorso allo strumento del rating, ovvero della valutazione del soggetto in ragione dei suoi precedenti, elaborato in campo finanziario ai fini della concessione del credito (ed ancor prima in sede penale ai fini dell’individuazione di una possibile propensione a ripetere gli atti illeciti – pur se sottoposto a serrate critiche proprio in tale settore), si va progressivamente estendendo a molti altri settori in cui opera la regolazione amministrativa, di mercato e non di mercato, dai controlli di sicurezza antiterrorismo alle frontiere e negli aeroporti, alla stessa ammissione a taluni servizi.
[156] V. le considerazioni critiche di L. AMMANNATI, Il valore del rating nelle regolazioni pubbliche. Regolare il mercato del rating o superare il rating ?, cit.
[157] V. L. AMMANNATI, op. ult. cit.
[158] Sulla trasparenza come canone generale del diritto alimentare europeo sia consentito rinviare a F. ALBISINNI, Transparency, crisis and innovation in EU Food Law, in Riv. reg. merc., 1-2015, p. 97.
[159] Art. 11 del Reg. 2017/625, cit.
[160] Artt. 12-15.
[161] Art. 11 del Reg. 2017/625.
[162] Come ben sottolineato da S. CARMIGNANI, Controlli e informazione al pubblico, in Riv. dir. alim., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1-2018, 42.
[163] V. in punto, nel Reg. 2017/625, le definizioni di “audit” e di “rating” (art. 3.1., n. 30 e n. 31); nonché la previsione che i controlli ufficiali avvengano “in base al rischio e con frequenza adeguata, in considerazione” … “c) dei precedenti degli operatori in merito agli esiti dei controlli ufficiali effettuati su di essi e alla loro conformità alla normativa di cui all’articolo1, paragrafo 2” e “d) dell’affidabilità e dei risultati dei controlli effettuati dagli operatori stessi, o da terzi su loro richiesta, compresi, se del caso, regimi di certificazione di qualità privati, al fine di accertare la conformità alla normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2” (art. 9.1.)
[164] Penso qui anzitutto alla riforma introdotta dal Regolamento (CE) n. 765/2008, con l’introduzione di una sola Autorità nazionale pubblica di accreditamento, in ciascuno stato membro; v. supra par. 7.
[165] V., con riferimento al mercato dei contratti pubblici, L. GALLI-M. RAMAJOLI, Il ruolo della reputazione nel mercato dei contratti pubblici: il rating d’impresa, in Riv. reg. merc., 2017, n.1.
[166] V., in area disciplinare, quella dei mercati finanziari, che condivide caratteri e criticità con quella dei mercati agroalimentari, A. SCIARRONE ALIBRANDI, Dalla tutela informativa alla product governance: nuove strategie regolatorie dei rapporti tra clientela e intermediari finanziari, cit.