CORTE DI GIUSTIZIA UE, 13 SETTEMBRE 2017, C-329/15, ENEA S.A. C. PREZES URZĘDU REGULACJI ENERGTYKI
«L’articolo 107, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che una misura nazionale che impone ad alcune società sia private che pubbliche un obbligo di acquisto di energia elettrica derivante dalla cogenerazione, senza prevedere alcuna misura di compensazione degli oneri per l’acquisto, non costituisce un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali».
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1. Introduzione - 2. Breve excursus dell'evoluzione giurisprudenziale in materia di risorse statali e sistemi di incentivazione alle fonti rinnovabili - 3. Fatti e sintesi del ragionamento della Corte di Giustizia - 4. Commento - 5. Conclusioni: ENEA e gli aiuti di Stato alle rinnovabili - NOTE
La sentenza in commento riannoda i fili della giurisprudenza Preussen Elektra del 2001 [1], nella quale la Corte aveva escluso la presenza di risorse statali nel caso di sistemi incentivanti l’energia derivante da fonti rinnovabili basati su obblighi di acquisto di siffatta energia, e, dopo un florilegio di pronunce, tutte di segno opposto (ossia orientate nel senso di ritenere presenti le risorse statali con riferimento a praticamente tutti i sistemi di incentivazione delle rinnovabili presenti in Europa), costituisce un’inversione di tendenza.
L’iter argomentativo che ha condotto la Corte (in accordo con l’AG, ma non con la Commissione) [2] a escludere la presenza di risorse statali nel meccanismo polacco di incentivazione delle fonti di energia non è del tutto agevole, di modo che non è chiaro se si possa definire questa sentenza come l’incipit di un orientamento restrittivo nell’applicazione del diritto degli aiuti di Stato ai sistemi di incentivazione. Questo commento non si prefigge di sciogliere questo complesso interrogativo, ma mira più semplicemente a fornire gli strumenti ermeneutici per situare la sentenza in commento nell’evoluzione giurisprudenziale in materia di risorse statali e sistemi di incentivazione alle fonti rinnovabili.
Ciò premesso, la presente nota è strutturata come segue. Innanzitutto, riportiamo un breve excursus dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di aiuti di Stato, risorse statali e sistemi di incentivazione alle fonti rinnovabili (§ 2), seguito da un riassunto dei fatti e del ragionamento in punto di diritto della Corte nella sentenza ENEA (§ 3). Successivamente, offriamo un commento della sentenza alla luce della precedente giurisprudenza (§ 4). Infine, formuliamo alcune considerazioni conclusive sulla possibile portata della sentenza nel panorama delle prospettive del settore dell’energia rinnovabile (§ 5).
La qualifica di «aiuto di Stato» di una misura nazionale ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE presuppone la presenza simultanea di quattro elementi: (i) la misura deve impegnare risorse statali, (ii) deve potenzialmente incidere sugli scambi tra gli Stati membri, (iii) concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario e (iv) falsare almeno potenzialmente la concorrenza. Nel valutare se un meccanismo di incentivazione alle fonti rinnovabili rientri nella fattispecie di aiuto, in genere l’analisi si appunta sulla presenza o meno di risorse statali.
Nella citata sentenza Preussen Elektra, la Corte di Giustizia aveva esaminato il meccanismo tedesco di incentivazione, basato su un obbligo imposto a società elettriche sia pubbliche che private di acquistare a prezzi minimi prefissati l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Secondo la Corte, tale obbligo non costituiva un aiuto di Stato perché le società adempivano all’obbligo con l’utilizzo di risorse finanziarie proprie.
Per apprezzare appieno il legame con la sentenza in commento, va rilevato che nel caso Preussen Elektra la maggioranza delle società obbligate era privata. La Corte a quel tempo non diede peso a tale circostanza nel suo iter argomentativo. Tuttavia, alcuni interpreti si domandarono già all’epoca se la sentenza avrebbe avuto un esito diverso, qualora la maggioranza degli obbligati fosse stata rappresentata da imprese in mano pubblica [3].
Sul punto prese posizione la Commissione: chiamata a decidere sul sistema tedesco, appena dopo la sentenza Preussen Elektra, rilevò che “la legge in discussione non opera distinzioni tra operatori di rete elettrica privati e pubblici”, traendone la conseguenza che “le conclusioni della Corte di giustizia si applicano in questo caso a tutte le società indipendentemente dalla loro proprietà” (enfasi aggiunta – traduzione dall’originale in tedesco) [4]. In altre parole, per la Commissione l’elemento determinante per escludere la presenza di risorse statali era la natura generale dell’obbligo di acquisto. L’assetto proprietario degli obbligati (imprese pubbliche o private) era irrilevante.
Negli anni successivi alla sentenza Preussen Elektra, mentre fiorivano i sistemi di incentivo alla produzione di energia da fonti rinnovabili, diventava sempre più chiaro che era impossibile addossarne il costo alle imprese private. Nacquero così una serie di sistemi volti a “pubblicizzare” l’onere degli incentivi, tramite prelievi sulla collettività, in genere collegati al consumo di energia. In vari Stati Membri, vennero designati vari enti pubblici e/o privati per la gestione dei flussi finanziari collegati con il gettito di tali prelievi.
In tale contesto maturano una serie di rinvii pregiudiziali che pongono alla Corte di Giustizia di nuovo la questione della presenza o meno di risorse statali in vari meccanismi incentivanti. Dalla sentenza Essent Netwerk a quella Vent de Colère, la Corte ha sempre di più preso le distanze dalla sentenza Preussen Elektra e concluso per la presenza di risorse statali nei meccanismi incentivanti analizzati, sottolineandone sistematicamente la differenza con la situazione analizzata nel caso tedesco [5]. Ne è risultato un orientamento a detta di molti espansivo nell’applicazione della nozione di aiuto [6], tendenza culminata nella sentenza Germania c. Commissione del 10 maggio 2016, in cui il Tribunale dell’UE ha confermato la decisione della Commissione in cui aveva analizzato nuovamente il meccanismo tedesco di incentivazione e, in forza delle modifiche medio tempore intervenute, aveva rilevato che tale meccanismo impegnava risorse statali e costituisse dunque un aiuto [7].
Prima di chiudere questo breve excursus, occorre ricordare un altro filone giurisprudenziale a cui la sentenza in commento si ricollega, filone maturato sotto ben altro clima.
Nel maggio 2002, infatti, la Corte rendeva la sua sentenza sui finanziamenti concessi a un’impresa privata (Stardust Marine) da un’altra impresa formalmente privata (il Crédit Lyonnais e le sue filiali), il cui capitale, tuttavia, era detenuto in maggioranza dallo Stato francese e che quest’ultimo – a detta del giudice europeo – utilizzava come proprio braccio finanziario [8]. In quel caso, a differenza dei sistemi di incentivazione, la concessione dei finanziamenti non derivava da un atto normativo, ma da un intervento ad hoc dello Stato azionista. Tale modus operandi poneva un serio limite all’effettività del diritto degli aiuti di Stato. Si elaborò allora il test dell’imputabilità di una misura al fine di determinare se, mediante l’esercizio da parte dello Stato del potere di controllo attribuitogli dal proprio status di azionista di maggioranza di un’impresa privata, lo Stato ne orientasse l’utilizzazione delle risorse per finanziare, se del caso, vantaggi specifici a favore di altre imprese [9]. In caso affermativo, si poteva dire che l’intervento fosse imputabile allo Stato, con la conseguenza che le risorse dell’impresa controllata dallo Stato venivano considerate “risorse statali” agli effetti dell’art. 107 del TFUE. Questa costruzione trovava la sua spiegazione del pericolo di evasione che si temeva potesse sorgere quando lo Stato agiva come azionista di maggioranza o addirittura unico.
Successivamente alla sentenza Stardust, è diventata una prassi normale analizzare una misura statale sotto il profilo dell’imputabilità e della presenza di risorse statali, considerati come requisiti cumulativi. Nella stragrande maggioranza dei casi che riguardano sistemi di incentivazione alle fonti rinnovabili, il test di imputabilità è facilmente soddisfatto, in quanto tali misure emanano da atti normativi e non dall’esercizio dell’influenza dello stato come azionista di controllo. La questione, dunque, è spesso quella di sapere su chi ricade il costo della misura, in quanto se la misura implica un onere per lo Stato, allora essa mobilita risorse statali. In caso contrario, si ricade in una situazione à la Preussen Elektra.
Diversamente da tale tendenza, la sentenza in commento, pur affermando chiaramente che la misura portata all’oggetto del suo esame è imputabile allo Stato in quanto emanante da una norma di regolazione, ha nondimeno applicato i criteri della giurisprudenza Stardust. Nei paragrafi che seguono si tratterà di illustrare meglio tale impostazione e di suggerirne alcune linee di interpretazione, in particolare al fine di dedurre se la Corte ha inaugurato o meno una tendenza restrittiva nell’applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato, dopo molti anni di applicazione in apparenza espansiva.
Tra il 2003 e il 2007, la legge sull’energia polacca prevedeva un regime di sostegno alla produzione di energia derivante da cogenerazione [10], sotto forma di un obbligo di acquisto di tale energia in capo ai fornitori-intermediari [11]. In particolare, il Ministero dell’Economia e del Lavoro determinava la percentuale di energia proveniente dalla cogenerazione da acquistare in base al totale dell’energia elettrica venduta dalle singole società.
Il prezzo di acquisto era rimesso alla libera contrattazione delle parti, ma il prezzo di rivendita dell’energia ai clienti finali era soggetto a regolazione. In particolare, il presidente dell’Ufficio di regolamentazione dell’energia (Urzędu Regulacji Energetyki, in prosieguo “URE”) nell’approvazione della tariffa, calcolava il prezzo massimo di vendita dell’energia elettrica agli utenti finali in base ad un livello di prezzo dell’energia derivante da cogenerazione che riteneva costituisse un costo ragionevole. Di conseguenza, rimaneva pur sempre il rischio che la tariffa non coprisse il costo dell’acquisizione obbligatoria di energia da co-generazione, o quantomeno che si generasse una compressione dei margini di guadagno. In questi casi, l’ordinamento polacco non prevedeva alcun meccanismo di intervento o compensazione a favore dell’acquirente obbligato. Pertanto, l’eventuale onere non ricadeva né sulle finanze pubbliche né sui consumatori finali, bensì sul bilancio delle società obbligate ex lege all’acquisto.
ENEA S.A. è una società detenuta al 100% dallo Stato polacco che produce e vende energia elettrica. Nel 2008, l’URE infliggeva una sanzione pecuniaria ad ENEA per aver violato il suddetto obbligo di approvvigionamento di energia co-generata per l’anno 2006 [12]. Contro tale decisione, ENEA insorgeva avanti alla giurisdizione nazionale. I giudici di primo e secondo grado respingevano tuttavia il ricorso. La Società proponeva quindi ricorso per Cassazione, sostenendo che l’obbligo di acquisto di energia elettrica derivante dalla cogenerazione costituiva un aiuto di Stato illegittimo, in quanto non notificato alla Commissione. Il giudice di Cassazione decideva di rinviare la causa alla Corte di Giustizia poiché riteneva soddisfatte tutte le condizioni di cui all’art. 107 TFUE, ma nutriva dubbi sulla sussistenza di un intervento mediante risorse statali.
In risposta a tale quesito, la Corte di Giustizia – con la sentenza oggetto del commento – ha statuito che l’obbligo di acquisto imposto a ENEA non costituisce un aiuto di Stato perché non è frutto di un intervento mediante risorse dello Stato. In particolare, dopo aver richiamato che una misura si qualifica come aiuto se (i) è concessa tramite risorse statali ed (ii) è imputabile allo Stato (si tratta di condizioni cumulative), la sentenza conclude innanzitutto che la misura dalla quale scaturisce l’obbligo di acquisto, nel caso di specie, è imputabile allo Stato perché si tratta di una legge dello Stato [13]. La sentenza procede poi a verificare se le risorse siano qualificabili come statali. In tale ambito, la Corte, nel solco della citata sentenza Preussen Elektra [14], afferma che, in assenza di un meccanismo di compensazione, le società elettriche non stavano gestendo risorse dello Stato, ma erano obbligate all’acquisto con risorse proprie. In effetti, secondo la Corte il costo connesso con l’obbligo di acquisto dell’energia da cogenerazione rimaneva in capo alle imprese obbligate.
L’elemento che suscita attenzione è l’analisi svolta dalla sentenza sulla situazione proprietaria della ENEA che, alla luce dei criteri tradizionali, doveva risultare del tutto irrilevante.
Infatti, dapprima la Corte osserva, piuttosto laconicamente, che la “misura deve essere considerata imputabile allo Stato”, perché istituita con una legge dello Stato [15]; poi, però, sembra tornare sulla questione dell’imputabilità, interrogandosi sulla possibilità che le risorse siano comunque da considerarsi statali, data la partecipazione pubblica di ENEA. E, nel compiere tale valutazione la Corte si riferisce esplicitamente alla giurisprudenza Stardust [16]. Alla fine, la Corte afferma che “contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’imputabilità della misura allo Stato membro di cui trattasi … non consente di desumere che sussista un’influenza dominante di tale Stato nell’ambito di una società di cui esso è l’azionista di maggioranza ai sensi della sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294, punti 38 e 39). Nessun elemento in tal senso può infatti essere dedotto per quanto riguarda l’azione dello Stato nella sua qualità di azionista maggioritario nell’ambito di una società a partire dall’intervento di quest’ultimo nella sua qualità di legislatore” [17].
Dato che di norma si dà un’alternativa netta tra situazioni in cui una misura origini da una normativa di portata generale e situazioni in cui la misura origini dal comportamento di una singola impresa in mano allo Stato e dato che nel caso polacco si trattava di una misura normativa, come anche rilevato dall’AG, il ragionamento elaborato dalla Corte nella sentenza Stardust Marine era semplicemente inapplicabile [18].
La sentenza (alquanto breve) non illustra per quale motivo la Corte abbia sentito il bisogno di tornare sul tema dell’imputabilità, utilizzando i parametri della sentenza Stardust, che dovevano essere inapplicabili, posto che la misura era di origine normativa.
Tuttavia, si deve ricordare che la sentenza Preussen Elektra aveva pur sempre lasciato una lacuna, omettendo di analizzare se per escludere la riconducibilità di una misura alla categoria degli aiuti di Stato uno Stato membro non potesse impegnare risorse statali agendo come azionista di maggioranza e orientando in questo modo tali aziende verso l’acquisto di energia da fonti rinnovabili a prezzi favorevoli per i produttori. Dietro la facciata di obblighi formalmente erga omnes, gli Stati Membri potrebbero infatti appropriarsi delle risorse delle società che essi controllano per indirizzarne le risorse verso l’acquisto di energia da fonti rinnovabili a prezzi vantaggiosi per i produttori. In quest’ottica, la sentenza ENEA sarebbe piuttosto nel solco della giurisprudenza c.d. espansiva sulla nozione di aiuto di Stato, in quanto, nel caso in cui (i) la misura incentivante è imputabile allo Stato per via regolamentare, (ii) il costo della misura rimane sulle imprese obbligate, e purtuttavia (iii) la maggioranza delle imprese obbligate è in mano pubblica, si rende necessario verificare ulteriormente se lo Stato non si sia “appropriato” delle risorse delle imprese che controlla dato che, in questo caso, sarebbe comunque integrato il requisito delle risorse statali.
Rimane da domandarsi se il tentativo di combattere un tentativo di evasione dalla disciplina in tema di aiuti mediante un test così articolato sia veramente efficace. A parere di chi scrive, l’applicazione della sentenza Stardust nei termini previsti dalla sentenza ENEA potrebbe avere una serie di controindicazioni.
In primo luogo, sembrerebbe che l’esistenza di una legge non sia più un elemento sufficiente ad attribuire una misura allo Stato. In questo modo si svaluta la fonte normativa come criterio di imputazione.
In secondo luogo, è lecito interrogarsi sull’efficacia pratica di un test Stardust nel contesto di un obbligo normativamente imposto. La dirigenza della società potrebbe sempre limitarsi ad affermare di agire in adempimento di un obbligo imposto a tutti dalla legge, respingendo al mittente qualsiasi tentativo di sostenere che la misura sia imputabile allo Stato-azionista. In questo modo, si vanificherebbe la portata anti-elusiva del “doppio test”.
Infine, si finirebbe per dare una lettura distorta dello stesso test Stardust, utilizzandolo per determinare la presenza o meno di risorse statali. In definitiva, come rimarca anche l’AG, si tratterebbe di “una lettura formalistica e selettiva [della sentenza Stardust] consistente nell’estrapolazione di taluni punti di detta sentenza senza tener conto né della fattispecie sottoposta in tale causa al giudizio della Corte, né del ragionamento sviluppato da quest’ultima nel seguito della sentenza” [19].
Per quanto riguarda la rilevanza della sentenza in commento nel quadro dei meccanismi di incentivazione alle rinnovabili, si potrebbe concludere con la stessa constatazione dell’eroe di Virgilio davanti alle rovine fumanti della sua patria: troppo tardi. Dato il massiccio bisogno di contributi statali per la transizione energetica, infatti, oramai è difficile pensare che i meccanismi incentivanti delle energie rinnovabili si reggano puramente sulle risorse private. Lo conferma la stessa traiettoria del meccanismo polacco. Infatti, non va dimenticato che la fattispecie portata all’attenzione della Corte pecca di un certo grado di obsolescenza: si trattava infatti del meccanismo in vigore nel 2006, ossia pre-Direttiva 2009/28 e pre-target obbligatori [20]. Dopo un lungo periodo di pre-notifica (iniziato nel 2013), la Polonia ha notificato alla Commissione come aiuto di Stato un meccanismo di incentivazione delle energie rinnovabili basato su obbligo di acquisto di titoli che rappresentano energia verde immessa in rete. Con decisione del 2 agosto 2016, la Commissione ha accertato l’esistenza di un aiuto di Stato e ne ha dichiarato la conformità con l’art. 107, paragrafo 3 TFUE [21]. Successivamente, la Polonia ha ulteriormente adito la Commissione con la notifica di una misura che sostituisce parzialmente la precedente, misura anch’essa autorizzata come aiuto di Stato [22].
Per quanto riguarda la rilevanza della sentenza nell’evoluzione dell’applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato, la sentenza presenta vari profili di ambiguità. Alcuni commentatori hanno infatti rimproverato alla Corte un’eccessiva dose di formalismo, ritenendo che erroneamente si fosse esclusa l’esistenza di un aiuto [23]. Non c’è dubbio che, basandosi sull’esito, si dovrebbe osservare che si tratta di un caso in cui è stata esclusa la presenza di risorse statali e, di conseguenza, si è esclusa la presenza di un aiuto, dopo una serie ininterrotta di pronunce di segno contrario. Tuttavia, a parere di chi scrive, per raggiungere questo risultato la Corte non avrebbe avuto bisogno di scomodare il test Stardust per analizzare se in concreto lo Stato aveva utilizzato la sua influenza dominante come azionista di maggioranza. L’esperimento di questo ulteriore livello di analisi potrebbe significare che, in circostanze simili, escludere l’esistenza di risorse statali sia diventato più arduo e complesso, non più semplice.
[1] Sentenza della Corte di Giustizia del 13 marzo 2001, Preussen Elektra, C-379/98.
[2] Conclusioni dell’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard ØE presentate il 22 marzo 2017, nella Causa C-329/15, ENEA c. Prezes Urzędu Regulacji Energtyki, par. 92.
[3] Cfr. E.C. MAQUEDA-G. CONTE, The concept of State Aid, State resources and imputability, in EU Competition Law, State Aid, I, Claeys & Casteels, 2016, 219, par. 2.102 ss. (“Another question which is left open by PreussenElektra is what would have happened if in the same situation the undertakings charged with the obligation to purchase green electricity at minimum price had been public undertakings. As clarified in Stardust Marine resources of public undertakings are State resources. Apparently the Court itself attached importance to that circumstance in that it asked the German government to clarify the ownership structure of the undertakings required to purchase green electricity. At first sight the answer would seem to be that when the undertakings required to make the payments are public, the same measure examined in Preussen Elektra would constitute State aid. Such reasoning would lead to odd results, since some producers of green electricity would receive aid while others would not, and could be regarded as discriminatory. Another possible answer could be to consider that if the majority or a significant proportion of undertakings required to purchase green electricity are public, the scheme as a whole would be State aid”). Si vedano inoltre sul punto T. ILIOPOULOS, Is ENEA The New PreussenElektra?, EStAL 1, Lexxion, 2018, p. 23; L. HANCHER, Case C-482/99, French Republic v. Commission (“Stardust Marine”), judgment of the full court of 16 May 2002, 2003, in Common Market Law Review, 40, 3, pp. 739-751; C. KOENIG-J. KÜHLING, EC control of aid granted through State resources, EStAL 1, Lexxion, 2002, pp. 7-18.
[4] Commissione Europea, Decisione del 22 maggio 2002 sulla Legge sulla promozione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili della Germania del 1° aprile 2000, NN 27/2000, par. 4 (“Die Kommission stellt fest, dass der Vorteil für die Erzeuger von Strom aus erneuerbaren Energiequellen aus der Abnahmeverpflichtung bei einer festgelegten Mindestvergütung herrührt, welche die Marktteilnehmer einander direkt aus eigenen Mitteln zahlen, ohne dass dies über einen staatlich verwalteten Fonds oder ein staatliches Konto läuft. Der Europäische Gerichtshofes hat am 13. März 2001 in der Rechtssache C-379/98, PreussenElektra AG gegen Schleswag AG“ über eine ähnliche Regelung (der Vorläuferregelung des EEG) entschieden, dass es sich bei einer Abnahmeverpflichtung zu Mindestpreisen von privaten Elektrizitätsversorgungsunternehmen nicht um staatliche Mittel handelt. Die Kommission stellt fest, dass das zur Diskussion stehende Gesetz ohne Unterschied für private wie für öffentliche Netzbetreiber und Elektrizitätsversorgungsunternehmen gilt. Nach Auffassung der Kommission lassen sich die Schlussfolgerungen des Gerichtshofs im vorliegenden Fall auf alle Unternehmen ausdehnen, die zur Abnahme und Vergütung verpflichtet sind, unabhängig von ihren Eigentumsverhältnissen. Dies scheint durch den allgemeinen Charakter des Gesetzes gerechtfertigt, der zeigt, dass es nicht darauf abzielt, speziell mit Mitteln öffentlich-rechtlicher Unternehmen die Stromerzeugung aus erneuerbaren Quellen zu fördern. Dies wird durch die Tatsache gestützt, dass die Übertragungsnetze zur Zeit fast ausschließlich von Privatunternehmen betrieben werden. Auf anderen Ebenen der Ausgleichsregelung ist eine Vielzahl privater und öffentlicher Betreiber”).
[5] Cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 17 luglio 2008, Essent Netwerk Noord B.V., C-206/06, in cui la Corte ha considerato soddisfatto il requisito dell’impiego di risorse pubbliche perché gli operatori privati, sottoposti all’obbligo di acquisto, erano compensati tramite l’utilizzo di fondi derivanti da un sovrapprezzo pagato dai consumatori. Nella Sentenza del 19 dicembre 2013, Association Vent de Colère! Fédération nationale, C-262/10, la Corte ha ritenuto che un meccanismo di compensazione integrale dei costi supplementari imposti a talune imprese in conseguenza di un obbligo di acquisto di energia elettrica di origine eolica, finanziato attraverso l’aumento in bolletta per i consumatori finali di energia, costituisse un aiuto di Stato in quanto concesso con risorse pubbliche. Tale meccanismo prevedeva che le imprese soggette all’obbligo di acquisto conservassero i contributi riscossi presso i consumatori finali fino alla copertura dei costi supplementari. Si veda sul caso la nota: S.C. DE UGARTE-D. RAT, Beyond Preussen Elektra? - EU State Aid and the Promotion of Renewable Energy, ENLR 2, Lexxion, 2014, 253-259. Cfr. anche sentenza del 11 dicembre 2014, Austria c. Commissione Europea, T-251/11, parr. 58-75; sentenza del 11 febbraio 2009, Iride e Iride Energia c. Commissione Europea, T-25/07, par. 5 ss.
[6] Ex multis, cfr. A. GIRAUD, Vents De Colère! – Testing the Limits of PreussenElektra, EStAL, 2, Lexxion, 2014, 348.
[7] Cfr. sentenza del Tribunale del 10 maggio 2016, T-47/15, par. 93-103, appellata e ancora pendente nel Caso C-405/16 P Germania c. Commissione Europea.
[8] Sentenza della Corte di Giustizia 16 maggio 2002, Stardust Marine, C-482/99. Per un commento, cfr. L. HANCHER, Case C-482/99, French Republic v. Commission (“Stardust Marine”), judgment of the full court of 16 May 2002, 2003, in Common Market Law Review, 40, 3, pp. 739-751; cfr. anche C. KOENIG-J. KÜHLING, EC control of aid granted through State resources, EStAL, 1, Lexxion, 2002, pp. 7-18.
[9] In particolare, gli indizi del test Stardust sono: l’integrazione dell’impresa nelle strutture dell’amministrazione pubblica; la natura delle sue attività e il loro esercizio sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati; lo status giuridico dell’impresa, e conseguentemente la sua soggezione al diritto pubblico o al diritto comune delle società; l’intensità della tutela esercitata dalle Autorità pubbliche sulla gestione dell’impresa; la circostanza che l’impresa in questione non potesse adottare la decisione contestata senza tenere conto delle esigenze dei pubblici poteri (Stardust Marine, par. 56).
[10] L’energia da cogenerazione è prodotta da impianti alimentati da una fonte di energia primaria (tra cui metano, biodiesel e biomasse), nei quali si recupera l’energia termica, normalmente dispersa in un impianto classico, sotto forma di acqua calda e vapore prodotti dalla combustione della fonte energetica primaria.
[11] Art. 9a, par. 8 della Legge polacca sull’energia del 10 aprile 1997.
[12] In particolare, nel 2006, ENEA aveva acquistato il 14,596% di energia derivante da cogenerazione mentre la quantità minima era stata fissata al 15%. La stessa ENEA ammetteva di aver rifiutato molte offerte di vendita di energia derivante da cogenerazione perché il prezzo era dal 46% al 75,6% superiore al prezzo medio di mercato dell’energia elettrica.
[13] Sentenza ENEA, par. 21-22.
[14] Sentenza ENEA, par. 23-26 e 30.
[15] Sentenza ENEA, par. 22.
[16] Sentenza ENEA, par. 31, ma v. anche par. 25-34-35.
[17] Sentenza ENEA, par. 35.
[18] Cfr. conclusioni AG ENEA, parr. 80, 95 e 103.
[19] Conclusioni AG ENEA, par. 92.
[20] Cfr. Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE E 2003/30/CE. Tale direttiva fissa obiettivi nazionali vincolanti per tutti i paesi dell’UE, allo scopo di portare la quota di energia da fonti energetiche rinnovabili al 20 % di tutta l’energia dell’UE entro il 2020.
[21] Cfr. Commissione Europea, Decisione del 2 agosto 2016 sul sistema polacco di certificati di origine dei supporto alle rinnovabili e alla riduzione dell’onere derivante dall’obbligazione di dotarsi di certificati di origine rinnovabile in capo agli utilizzatori intensivi di energia, SA.37345.
[22] Cfr. Commissione Europea, Decisione del 13 dicembre 2017 sullo schema polacco di supporto alle fonti di energia rinnovabili e sgravo per gli utilizzatori intensivi di energia, SA.43697.
[23] Cfr. A. GIRAUD-S. PETIT, The ENEA Judgment: A Formalistic Interpretation of Transfer of State Resources, EStAL 2, Lexxion, 2018, pp. 305-310. Cfr anche T. ILIOPOULOS, Is ENEA The New PreussenElektra?, EStAL1, Lexxion, 2018, pp. 19-27.