CONS. STATO, SEZ. VI, 31 DICEMBRE 2018, N. 7317 – PRES. SANTORO – EST. VOLPE
«Omissis.
14. L’appello ruota attorno alla questione della legittimità del punto 6 della delibera n. 522/2014/R/eel, nella parte in cui prevede l’applicazione dell’articolo 40, co. 4 e 5, della delibera n. 111/2006, disciplinante i costi da sbilanciamento, al periodo dall’1.1.2013 al 31.12.2014.
Contrariamente a quanto affermato in primo grado, non si ravvisa alcuna violazione dei principi di certezza, ragionevolezza e prevedibilità della regolazione. Infatti la reviviscenza della disciplina previgente alla delibera n. 281/2012/R/efr deriva dall’effetto caducatorio del giudicato di annullamento, che non può trovare un contemperamento nella situazione di fatto determinatasi dall’applicazione di quella delibera.
È utile ricordare che il giudicato di annullamento comporta effetti eliminatori (per cui l’atto illegittimo è espunto dal sistema), ripristinatori (tesi ad adeguare lo stato di fatto e di diritto con l’adozione di un atto amministrativo idoneo a consentire ‘ora per allora’ il raggiungimento delle finalità della sentenza) e conformativi (coi quali, valorizzandosi la motivazione della sentenza, si individua il modo corretto di riesercizio del potere amministrativa a seguito dell’annullamento).
Tali effetti sono stati assicurati e rispettati dall’Autorità mediante l’adozione della delibera oggetto del presente giudizio, che conformandosi correttamente alla sentenza di annullamento del Consiglio di Stato n. 2936/2014, ha ridisciplinato gli oneri da sbilanciamento sostenuti dalle UP da FRNP diversificandoli per fonte e ha disposto per il periodo regolato dalla delibera annullata l’applicazione di una delibera, la n. 111/2006, che risultava essere maggiormente favorevole a tali unità produttive esonerandole dai costi da sbilanciamento a determinate condizioni.
Lo stesso Consiglio di Stato in detta sentenza ha affermato che “non significa che i costi di sbilanciamento causati da tali unità di produzione debbano, come era previsto nel regime previgente, essere socializzati. Tale meccanismo si presterebbe ad analoghe censure, in quanto realizzerebbe una discriminazione tra operatori a vantaggio, non giustificabile in maniera così netta, di quelli che producono energia programmabile” ed ancora “in definitiva, rientra nella valutazione tecnica dell’Autorità il potere di individuare, nel rispetto del principio di parità di trattamento tra gli operatori economici del settore, la modalità di ripartizione dei costi di sbilanciamento che tengono conto della peculiarità della fonte.”
Da tale sentenza, che annullava la delibera n. 281/2012/R/efr, non si può evincere, come invece sostenuto ex adverso, che gravava sull’Autorità l’onere di limitare gli effetti caducatori del giudicato, selezionando quelli ripristinatori meno pregiudizievoli per gli stessi operatori che avevano promosso il contenzioso.
Le memorie dell’appellata si soffermano sulla necessità di un ri-esercizio del potere da parte dell’Autorità che avesse tenuto conto della situazione fattuale determinatasi durante la vigenza dell’atto poi annullato, cioè la partecipazione degli operatori al ‘mercato infragiornaliero’.
Si rileva come l’intervento sul MI, nel periodo transitorio, era però una mera facoltà dell’operatore, che se ne avvaleva liberamente per sfruttare la possibilità di ridurre al minimo gli sbilanciamenti e di ridurre i corrispettivi di sbilanciamento, essendo il MI più prossimo al tempo reale rispetto al mercato del giorno prima (MGP).
Inoltre, la scelta di intervenire nel MI nel periodo 1.1.2013-31.12.2014 è stata assunta dagli operatori nella piena consapevolezza della pendenza del contenzioso avverso la delibera n. 281/2012/R/efr e, quindi, secondo la diligenza specifica richiesta all’operatore professionale ex art. 1176, secondo comma, c.c., le imprese interessate avrebbero dovuto considerare che l’esito vittorioso avrebbe comportato il rispristino delle disposizioni previste dall’art. 40, co. 5, della delibera n. 111/06.
Non si può ravvisare alcun legittimo affidamento dell’appellata nella riedizione del potere amministrativo in un modo a se (più) favorevole.
Peraltro la valorizzazione, nella sentenza di primo grado, dell’esigenza di prevedibilità delle scelte operate dall’Autorità appare del tutto inconferente. L’effetto caducatorio, infatti, è stato ricercato e voluto proprio dalle società ricorrenti in primo grado che si sarebbero dovute attendere quale effetto automatico dell’annullamento della delibera da loro impugnata la reviviscenza della disciplina previgente e quindi della delibera n. 111/2006.
L’obbligo di conformarsi al giudicato di annullamento comporta la necessità per l’amministrazione di rideterminarsi per attuare il risultato riconosciuto come giusto e necessario dal giudice. Nella sentenza n. 2936/2014 l’unico risultato riconosciuto come giusto è stato quello di una differenziazione dei costi di sbilanciamento che tenesse conto dell’aleatorietà delle singole fonti non programmabili. Questo fine è stato rispettato dall’Autorità con l’adozione della delibera n. 522/2014 di cui il punto 6, che qui viene in contestazione, risulta essere stato adottato in rispetto ai principi di certezza e ragionevolezza. Il quadro giuridico scaturente da tale previsione risulta essere certo perché la reviviscenza era l’unico esito a cui poteva giungere l’Autorità a seguito del precedente annullamento senza poter questa selezionare arbitrariamente dei meccanismi di mitigazione non previsti dal giudice di annullamento, nonché ragionevole perché, nel contemperamento di interessi, se anche è possibile che la disciplina della delibera n. 111/2006 può essere stata svantaggiosa per alcuni operatori (che anche in altri contenziosi l’hanno impugnata), nondimeno per altri essa è stata comunque vantaggiosa.”».
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1. Importanza delle questioni sottese al caso in esame - 2. La vicenda oggetto della sentenza - 3. La decisione del Consiglio di Stato - 4. Gli effetti del giudicato di annullamento di un atto generale - 5. Sul legittimo affidamento - NOTE
La pronuncia del Consiglio di Stato che qui si commenta costituisce una buona occasione per tornare a riflettere su un tema largamente presente nell’ambito della regolazione dei mercati – non solo quello energetico – ossia quello degli effetti derivanti dall’annullamento in sede giurisdizionale di un atto generale di regolazione [1].
Declinato con riferimento alla disciplina dei mercati, il tema degli effetti del giudicato di annullamento e dei conseguenti limiti al riesercizio del potere (che implica complessi e delicati problemi già in linea generale, sia sul versante processuale sia sul versante sostanziale [2]) si pone in termini particolarmente problematici e gravidi di conseguenze sul piano sistematico. Per un verso, infatti, e com’è noto, la conformazione delle attività economiche oggetto della regolazione presuppone logicamente, prima ancora che giuridicamente, che le regole siano stabilite ex ante, per l’ovvia ragione che il loro fine è quello di stimolare e orientare le scelte degli operatori sulla base di una valutazione in ordine ai costi e ai benefici introdotti dall’atto di regolazione. Di conseguenza, in questo settore molto più frequentemente che in altri, si pone in concreto il problema di stabilire se, a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un atto di regolazione, costituisca un esito automatico della sentenza costitutiva la reviviscenza della regolazione precedente oppure se l’amministrazione possa (o debba) riesercitare il potere ora per allora ed eventualmente entro quali limiti, oltre a quelli, ovvi, derivanti dal giudicato [3]. Per altro verso, proprio la stabilità della regolazione o, per meglio dire, la prevedibilità della sua evoluzione, costituisce una delle ragioni che legittimano l’istituzione di autorità indipendenti. Di conseguenza – com’è stato notato – “se le autorità indipendenti trascurassero di considerare l’affidamento che le imprese hanno fatto sulle loro regole quando hanno deciso se e come investire, questo risulterebbe in contrasto anche con la missione ad esse specificamente assegnata dall’ordinamento” [4].
In ordine a tale problematica né la giurisprudenza né la dottrina hanno ancora offerto indicazioni sicure e orientamenti certi. Le soluzioni concretamente offerte si traducono ora nella reviviscenza della disciplina precedente, abrogata o sostituita dalla disciplina in seguito annullata, ora nel riconoscimento del potere dell’amministrazione di regolare la situazione ora per allora, ossia riportando gli effetti del nuovo provvedimento al momento dell’adozione del provvedimento annullato, ora infine nel riconoscimento al giudice del potere di escludere o limitare taluni effetti del giudicato di annullamento nell’attesa di una nuova deliberazione da parte dell’amministrazione [5]. L’esigenza di mettere ordine in una materia tanto delicata, pertanto, è particolarmente avvertita, tanto dalle imprese che operano nei mercati regolati quanto dalle Autorità, proprio per salvaguardare l’efficacia della regolazione.
Prima di esaminare in dettaglio la pronuncia oggetto del presente commento e al fine di meglio comprenderne la portata, è indispensabile ripercorrere brevemente le tappe che hanno segnato l’evoluzione della regolazione in materia di servizio pubblico di dispacciamento dell’energia elettrica a partire dalla delibera dell’allora Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas 9 giugno 2006 n. 111. Con tale delibera l’Autorità aveva previsto un regime di particolare favore per le unità di produzione di energia alimentate da fonti rinnovabili non programmabili in quanto aveva stabilito che i costi di sbilanciamento da essi provocati venissero socializzati e trasferiti pro quota sui clienti finali invece che essere sopportati dalle unità produttive responsabili degli sbilanciamenti. Tale esenzione, come meglio sarà chiarito più avanti, non era tuttavia assoluta in quanto la stessa era esclusa laddove le citate unità di produzione avessero partecipato al mercato infragiornaliero.
Com’è noto, lo sbilanciamento è lo scarto che si determina quando la quantità di energia effettivamente immessa nella rete da un’unità di produzione si discosta, in aumento o in diminuzione, dalla quantità preventivamente comunicata a Terna. In tali situazioni, per garantire l’equilibrio del sistema elettrico, Terna eroga il servizio di dispacciamento che consiste nel prelevare o nell’immettere in rete una quantità di energia elettrica pari a quella necessaria ad assicurare l’equilibrio tra l’offerta e la domanda. I costi degli sbilanciamenti, di norma, sono posti a carico delle unità produttive che li hanno provocati. Per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili, tuttavia, con la citata delibera n. 111/2006 l’Autorità aveva previsto che essi fossero esentati dal sopportare i suddetti oneri. Le unità di produzione da questo tipo di fonti (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, ecc.), infatti, si caratterizzano per la difficoltà di prevedere con un adeguato grado di precisione la quantità di energia elettrica che sarà effettivamente immessa nella rete in quanto tali previsioni sono influenzate dalla aleatorietà della fonte energetica utilizzata. Si comprende, dunque, come gli impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili siano maggiormente soggetti a sbilanciamenti e perché, in un primo momento, gli stessi siano stati esentati dal sopportarne i relativi oneri che venivano, invece, posti a carico dei clienti finali. Come si è sopra accennato, peraltro, tale esenzione non operava laddove le citate unità di produzione avessero partecipato al mercato infragiornaliero durante il quale le offerte di acquisto e vendita di energia negoziate nel mercato del giorno prima possono essere oggetto di revisione. Il mercato infragiornaliero, infatti, si colloca in un momento temporale più vicino a quello della effettiva immissione in rete dell’energia e pertanto consente, anche per le unità alimentate da fonti non programmabili, la formulazione di previsioni attendibili.
A distanza di alcuni anni dalla delibera n. 111/2006, anche per effetto del rapido e crescente sviluppo di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile, l’Autorità ha modificato il quadro regolatorio e ha ritenuto che la socializzazione dei costi di sbilanciamento sostenuti dalle unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili per un verso costituisse un ulteriore incentivo implicito per le suddette fonti e, per altro verso, disincentivasse la minimizzazione degli sbilanciamenti, generando così ulteriori distorsioni nella formazione dei prezzi dell’energia ai clienti finali.
Pertanto, allo scopo di “promuovere una maggiore responsabilizzazione degli utenti del dispacciamento di impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili in relazione alla efficiente previsione dell’energia elettrica immessa in rete e, in particolare, un’equa ripartizione dei costi generati all’interno del sistema elettrico che non possono più ricadere solo sui consumatori di energia”, con la deliberazione 5 luglio 2012, n. 281, l’Autorità ha stabilito di far partecipare anche le unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili ai costi per il servizio di dispacciamento. La delibera n. 281/2012, in particolare, prevedeva delle franchigie di sbilanciamento, identiche per tutte le fonti, di modo che, se lo sbilanciamento rimaneva contenuto all’interno della franchigia, il costo continuava ad essere socializzato, mentre se superava la franchigia, lo stesso rimaneva in capo alle unità di produzione.
Come si è già sopra accennato, la predetta delibera n. 281/2012 è stata annullata da plurime sentenze del TAR Lombardia, poi confermate in appello dal Consiglio di Stato [6].
I giudici di Palazzo Spada, in particolare, da una parte hanno ritenuto legittima la scelta dell’Autorità di estendere anche alle unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili l’onere di sostenere i costi di sbilanciamento. Dall’altra parte, hanno affermato che l’imposizione di tali costi non può non tener conto delle peculiarità della fonte e che, pertanto, è illegittimo un sistema che equipari le fonti energetiche non programmabili a quelle programmabili nella determinazione dei corrispettivi di sbilanciamento.
In esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, l’Autorità ha emanato la delibera 23 ottobre 2014 n. 522, recante “Disposizioni in materia di dispacciamento delle fonti rinnovabili non programmabili a seguito della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione sesta – 9 giugno 2014 n. 2936” con la quale, in sintesi, è stata prevista per ciascuna fonte una soglia, diversificata a seconda del grado di attendibilità delle previsioni che la medesima fonte assicura. In base a tale delibera, i costi degli sbilanciamenti al di sotto della soglia vengono socializzati fra le unità della stessa zona che utilizzano fonti non programmabili mentre, viceversa, i costi che si collocano oltre la soglia sono sostenuti dalle singole unità di produzione. La delibera inoltre stabiliva che per il periodo anteriore a quello della sua entrata in vigore continuasse ad applicarsi la disciplina della delibera n. 111/2006, ossia – come si ricorderà – una disciplina che prevedeva l’esenzione dai costi di sbilanciamento per le unità di produzione alimentate da fonti rinnovabili non programmabili, salvo che le stesse non avessero partecipato al mercato infragiornaliero.
Oggetto dei ricorsi in appello presentati, rispettivamente, dall’Arera (all’epoca ancora Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico) e dal GSE è la sentenza con la quale il TAR Milano aveva accolto l’originario ricorso proposto da una società operante nel settore delle energie rinnovabili nei confronti della citata delibera dell’Arera n. 522/2014 [7].
Tale delibera veniva contestata dalla società ricorrente in primo grado nella parte in cui, in particolare, disponeva che per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore tornasse ad applicarsi, senza alcun meccanismo correttivo, la delibera dell’Autorità n. 111/2006.
La ragione della contestazione risiedeva nel fatto che alcuni operatori, per effetto dell’emanazione della delibera n. 281/2012, erano stati spinti a partecipare al mercato infragiornaliero al fine di minimizzare gli sbilanciamenti e i relativi costi, i quali costi, ora, a differenza di quanto accadeva durante la vigenza della delibera n. 111/2006, non potevano più essere trasferiti sui clienti finali. In altri termini, mentre prima del 2012 gli operatori non avevano interesse, al fine di minimizzare i costi, a partecipare al mercato infragiornaliero, successivamente al 2012 essi erano stati dall’Autorità incentivati a ricorrervi. Di conseguenza, una volta annullata dal giudice amministrativo la delibera n. 281/2012, una reviviscenza piena della delibera n. 111/2006, senza alcun correttivo che tenesse conto della mutata situazione di fatto derivante dalle indicazioni fornite dall’Autorità, produceva – secondo la società ricorrente – degli effetti estremamente penalizzanti in quanto gli operatori si vedevano addebitare ex post i costi degli sbilanciamenti provocati.
La società ricorrente lamentava inoltre che l’Autorità, nelle more della definizione del giudizio di appello relativo alla delibera n. 281/2012, avesse adottato una serie di atti che avevano incentivato la partecipazione al mercato infragiornaliero, così ingenerando negli operatori un affidamento in ordine alla maggiore convenienza economica di tale partecipazione.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso e ha disposto l’annullamento della delibera n. 522/2014 nella parte in cui non ha previsto meccanismi di mitigazione degli effetti dannosi correlati al comportamento tenuto dagli operatori sul presupposto della perdurante applicabilità del regime introdotto dalla delibera del 2012. Il TAR, in particolare, pur riconoscendo che “l’annullamento della delibera n. 281/2012, stante l’effetto caducatorio della sentenza, ha comportato ex se la reviviscenza della disciplina recata dalla deliberazione n. 111 del 2006”, ha altresì ritenuto che “l’effetto caducatorio della sentenza non comporta, di per sé, il venir meno del potere-dovere dell’Autorità di disciplinare in modo ragionevole, sulla base di un’attenta valutazione del contesto determinatosi di fatto, i rapporti insorti medio tempore, tenendo conto del quadro di complessiva incertezza nel quale gli operatori (…) si sono trovati a dover assumere le proprie decisioni economiche”.
La decisione è stata ribaltata in sede di appello in quanto il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’effetto caducatorio del giudicato di annullamento non potesse trovare contemperamento nella situazione di fatto determinatasi in conseguenza dell’applicazione della delibera poi annullata.
Più in dettaglio, la decisione del Consiglio di Stato sembra muoversi lungo due binari argomentativi. Il primo, e principale, fa leva sugli effetti del giudicato di annullamento, mentre il secondo riguarda il principio di legittimo affidamento.
Con riferimento al primo profilo, il giudice d’appello ha valutato che l’Autorità si fosse correttamente conformata a quanto statuito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2936/2014, di annullamento della delibera n. 281/2012, giacché da tale pronuncia non poteva evincersi che l’Autorità avrebbe dovuto selezionare gli effetti ripristinatori del giudicato meno pregiudizievoli per gli operatori che avevano promosso il contenzioso. In particolare, secondo il giudice amministrativo, “nella sentenza n. 2936/2014 l’unico risultato riconosciuto come giusto è stato quello di una differenziazione dei costi di sbilanciamento che tenesse conto dell’aleatorietà delle singole fonti non programmabili” e tale risultato è stato assicurato dall’Autorità con la delibera n. 522/2014. Pertanto, la reviviscenza della delibera n. 111/2006 era “l’unico esito a cui poteva giungere l’Autorità a seguito del precedente annullamento senza poter questa selezionare arbitrariamente dei meccanismi di mitigazione non previsti dal giudice di annullamento”.
In relazione al secondo profilo, invece, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la società non potesse vantare nessun affidamento, vuoi in quanto la partecipazione al mercato infragiornaliero era solo una facoltà – per ridurre al minimo il rischio di sbilanciamenti e i relativi costi – e non un obbligo, vuoi perché tale scelta era stata compiuta dall’operatore nella piena consapevolezza della pendenza del contenzioso sulla delibera n. 281/2012 e, dunque, nella chiara prevedibilità che l’effetto del positivo esito (per gli operatori) del contenzioso sarebbe stato, inevitabilmente, la reviviscenza della delibera n. 111/2006. In altre parole, il giudice ha rimproverato all’appellata di non potersi dolere di un effetto del giudicato – la reviviscenza della delibera n. 111/2006 – che proprio essa (e gli altri operatori che avevano impugnato la delibera 281/2012) aveva ricercato e voluto.
Come detto, il primo e principale argomento sul quale si fonda la decisione in commento è costituito dall’affermazione che la reviviscenza della delibera n. 111/2006 costituisse un esito automatico e necessitato della sentenza di annullamento della delibera n. 281/2012. Letta isolatamente, questa affermazione sembra porsi in contrasto con quell’orientamento – elaborato dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo alle fonti normative primarie, ma che pare potersi applicare analogicamente anche al caso degli atti normativi secondari e degli atti generali di regolazione – secondo cui il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera affatto in via generale e automatica, essendo, al contrario, circondato da cautele e limiti [8].
L’affermazione, però, deve essere contestualizzata nel quadro del ragionamento complessivo svolto dal giudice amministrativo, la cui premessa, classica, è che “il giudicato di annullamento comporta effetti eliminatori (per cui l’atto illegittimo è espunto dal sistema), ripristinatori (tesi ad adeguare lo stato di fatto e di diritto con l’adozione di un atto amministrativo idoneo a consentire ‘ora per allora’ il raggiungimento delle finalità della sentenza) e conformativi (coi quali, valorizzandosi la motivazione della sentenza, si individua il modo corretto di riesercizio del potere amministrativa a seguito dell’annullamento)”.
L’effetto ripristinatorio, com’è noto, implica la cancellazione, nei limiti del possibile, delle modificazioni della realtà giuridica e di fatto realizzatesi per effetto dell’atto annullato ossia l’adeguamento dello stato di fatto e di diritto alla situazione giuridica prodotta dalla sentenza. Ciò significa che l’amministrazione dovrà attivarsi per rimuovere tutte le conseguenze derivanti dall’atto annullato (così, ad esempio, la restituzione del bene illegittimamente espropriato e dei frutti medio tempore percepiti) oppure dovrà adottare un nuovo atto, favorevole al ricorrente, fisiologicamente e doverosamente retroattivo o, meglio, retrodatato, tale cioè da disporre “ora per allora”, in sostituzione del provvedimento negativo annullato (così, ad esempio, a seguito dell’annullamento di una graduatoria di concorso illegittima, la nuova graduatoria non potrà che produrre i suoi effetti operando retroattivamente) [9].
In presenza di annullamento di un atto generale la situazione si presenta più complessa per l’ovvia ragione che l’eventuale riesercizio del potere regolatorio con effetti ex tunc non può fare a meno di confrontarsi con le diverse e talora contrapposte posizioni soggettive dei destinatari dell’atto. Così, a seguito dell’annullamento di un atto generale di regolazione, l’adozione di nuovo atto – favorevole al ricorrente vittorioso, ma in ipotesi sfavorevole per un altro soggetto rimasto terzo in giudizio – ingenera, nei confronti del secondo, non pochi problemi in relazione alla tendenziale irretroattività degli atti amministrativi.
Al riguardo, occorre dare atto di un orientamento giurisprudenziale, abbastanza diffuso in materia di regolazione economica, che, in caso di annullamento di atti generali o normativi ritiene non violato il principio dell’irretroattività, allorché il nuovo atto si rivolga a disciplinare ora per allora situazioni e rapporti che andavano regolati dal provvedimento normativo o generale caducato per effetto della sentenza [10]. In un caso relativo specificamente al mercato dell’energia il Consiglio di Stato ha riconosciuto la persistenza, dopo l’annullamento giurisdizionale di una precedente delibera, del potere regolatorio (e in specie del potere tariffario) da esercitarsi ex tunc richiamando, a fondamento di tale potere, l’art. 26 della legge TAR, ora tuttavia abrogato dal Codice del processo amministrativo [11].
La pronuncia in esame, invece, sembra porsi apparentemente su una linea diversa.
Come si è detto, la delibera n. 522/2014 aveva stabilito che le nuove regole, riformulate sulla base del precedente giudicato di annullamento, trovassero applicazione solo per l’avvenire, mentre, per il periodo antecedente alla sua entrata in vigore, la stessa delibera si limitava a dare atto della reviviscenza della disciplina previgente quale effetto automatico della sentenza n. 2936/2014.
È precisamente su tale punto che divergono le valutazioni operate dal TAR in primo grado e dal Consiglio di Stato in sede di appello. Più esattamente, come sopra si è evidenziato, mentre entrambi i giudici convengono nel ritenere la reviviscenza della disciplina precedente un effetto necessitato dal giudicato di annullamento, il TAR ritiene che ciò non abbia comportato il venir meno del potere, e soprattutto del dovere, dell’Autorità di disciplinare in modo ragionevole i rapporti insorti medio tempore. Non avendo tenuto conto dell’incertezza del quadro regolatorio nel quale le imprese si erano trovate ad operare, anche a causa di un comportamento non lineare da parte del regolatore, l’Autorità avrebbe dovuto, secondo il TAR, operare in via retroattiva al fine di sterilizzare o comunque limitare il più possibile gli effetti pregiudizievoli per le imprese derivanti dall’aver preso parte al mercato infragiornaliero.
La sentenza del Consiglio di Stato, al contrario, afferma che la reviviscenza tout court della disciplina precedente sia un effetto automatico dell’annullamento rispetto al quale all’Autorità sarebbe stato precluso riesercitare il potere con effetti ex tunc. Tale soluzione riposa – oltre che sulle ragioni pratiche di cui si dirà infra – sulla regola per cui il riesercizio del potere regolatorio incontra il limite derivante dall’osservanza del giudicato. Limite che, nel caso di specie, viene però esteso anche a ciò che la sentenza non ha detto. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, proprio per il fatto che la sentenza che aveva annullato la delibera n. 281/2012 non si era pronunciata in ordine alla necessità o all’opportunità di un intervento correttivo ex tunc da parte dell’Autorità, essa non avrebbe potuto mitigare le conseguenze negative derivanti dall’applicazione in via di fatto della delibera annullata. Sembrerebbe ricavarsene, in altri termini, che la sopravvivenza di un potere dell’Autorità con efficacia ex tunc, per essere riconosciuta ammissibile, debba trovare un esplicito riferimento nelle motivazioni della precedente sentenza di annullamento, in mancanza del quale la reviviscenza pura e semplice sarebbe l’unico esito possibile.
Naturalmente si può discutere se, in via di principio, all’annullamento di un atto generale di regolazione sopravviva o meno un potere dell’amministrazione da esercitarsi con efficacia ex tunc. Autorevole dottrina si è espressa recentemente in senso decisamente critico in ordine a questa eventualità, avversando proprio quella giurisprudenza che si è più sopra richiamata [12].
Sennonché, se è del tutto pacifico che il giudicato costituisca un limite positivo per il riesercizio del potere, ciò non pare poter escludere in radice che, dove la sentenza nulla abbia detto in ordine all’efficacia temporale del nuovo atto, l’Autorità possa comunque determinarsi – fermi restando i limiti del giudicato – ad emanare un atto ad effetti retroattivi.
L’affermazione sopra riportata secondo cui la reviviscenza della delibera n. 111/2006 era “l’unico esito a cui poteva giungere l’Autorità a seguito del precedente annullamento” pare quindi dover essere letta non come l’affermazione di un principio generale, quanto piuttosto come la soluzione ritenuta corretta nel caso concreto. La reviviscenza tout court della delibera n. 111/2006, infatti, è apparsa al giudice del tutto ragionevole nella logica del bilanciamento degli interessi coinvolti “perché, nel contemperamento di interessi, se anche è possibile che la disciplina della delibera n. 111/2006 può essere stata svantaggiosa per alcuni operatori (…), nondimeno per altri essa è stata comunque vantaggiosa”. L’accoglimento del ricorso e l’eventuale correzione della regolazione nel senso desiderato dal ricorrente, viceversa, avrebbe determinato – secondo la lettura offerta dal Consiglio di Stato – semplicemente un rovesciamento delle parti, divenendo la regolazione retroattiva vantaggiosa per alcuni operatori e svantaggiosa per altri. In questa prospettiva la reviviscenza della delibera precedente è sembrata al giudice, nel caso concreto, “l’unico” esito possibile.
A ben vedere, tuttavia, una lettura del genere non è condivisibile. Essa, infatti, trascura di considerare che, nel caso specifico – ma l’osservazione sembra poter avere una valenza anche più generale –, l’Autorità avrebbe potuto contemperare le diverse posizioni degli operatori mediante una regolazione retroattiva “aperta”, tale cioè da permettere agli operatori stessi la scelta tra diversi regimi. In altri termini, posto che lo scopo della regolazione (poi annullata) era quello di incentivare una corretta programmazione delle immissioni al fine di ridurre gli sbilanciamenti e i relativi costi a carico degli utenti finali, l’Autorità avrebbe potuto e dovuto contemperare le esigenze degli operatori che avevano adottato una condotta conforme a tale obiettivo lasciando loro la possibilità di scegliere tra regimi alternativi. Una soluzione di questo tipo, d’altra parte, è stata effettivamente praticata dall’Autorità con riferimento alla disciplina, distinta, ma connessa, della valorizzazione degli sbilanciamenti, ed è stata in seguito ritenuta legittima dal giudice di primo grado [13]. Nel caso in esame, invece, la scelta di una reviviscenza automatica della regolazione precedente (spacciata come un effetto automatico della sentenza di annullamento) ha finito, paradossalmente, per penalizzare proprio quegli operatori che avevano medio tempore adottato una condotta coerente con l’obiettivo di limitare gli sbilanciamenti e per premiare, viceversa, (anche) quegli operatori che, non avendo partecipato al mercato infragiornaliero, avessero in ipotesi provocato sbilanciamenti di gran lunga più consistenti, scaricando i relativi costi sugli utenti finali.
In definitiva, dunque, sul piano generale, pare possibile sostenere che, sebbene l’Autorità non sia obbligata ad operare ora per allora, salvo che ciò non emerga esplicitamente dalle motivazioni della sentenza, ciò non significhi che – dove la sentenza nulla abbia detto (il che, per inciso, è quanto accade normalmente) – ad essa sia preclusa la possibilità di riesercitare il potere in via retroattiva. In questa prospettiva, l’affermazione secondo cui la reviviscenza della delibera previgente costituisce un esito automatico dell’annullamento – che, in quanto tale, non lascerebbe spazio alla possibilità di una regolazione economica con effetti ex tunc – non può essere condivisa né con riferimento al caso specifico né, tantomeno, sul piano generale. Al contrario, la possibilità di una regolazione retroattiva sembra dover essere riconosciuta come fisiologica, fermi restando i limiti imposti dal giudicato, proprio per consentire all’Autorità di tutelare la varietà degli interessi degli operatori che abbiano tenuto una condotta conforme con le finalità della regolazione.
Le ultime notazioni fatte si saldano con il secondo argomento che sorregge la decisione in commento. La soluzione accolta dal Consiglio di Stato, infatti, come sopra anticipato, fa leva altresì sulla ritenuta insussistenza, in capo all’impresa ricorrente, di una situazione di affidamento. In particolare, il giudice d’appello ha contestato la valorizzazione, operata dal TAR, dell’esigenza di prevedibilità delle scelte operate dall’Autorità. Secondo il Consiglio di Stato, anzi, proprio gli operatori che avevano presentato ricorso contro la delibera del 2012 erano ben consapevoli che l’esito vittorioso del ricorso avrebbe avuto, come effetto automatico dell’annullamento, la reviviscenza della delibera precedente. Di conseguenza, tali operatori non potevano in seguito dolersi di un effetto che essi stessi avevano ricercato e voluto.
Tali affermazioni sollevano qualche riflessione critica. È infatti quanto meno dubbio che un operatore accorto potesse effettivamente prevedere, nel momento in cui presentava il ricorso avverso la delibera n. 281/2012, che l’effetto di tale iniziativa sarebbe stata la reviviscenza tout court della regolazione precedente. Se davvero le cose fossero state così lineari, nessun operatore avrebbe fatto ricorso al mercato infragiornaliero per minimizzare i costi degli sbilanciamenti.
A ben vedere, poi, gli operatori non soltanto non avrebbero potuto prevedere se l’esito del contenzioso sarebbe stato per loro positivo, ma ancor meno avrebbero potuto prevedere quali motivi di impugnazione sarebbero stati accolti e, per l’effetto, quale sarebbe stato il contenuto del giudicato di annullamento. Dunque, proprio alla luce delle indicazioni offerte dalla pronuncia in commento, secondo la quale i vincoli per l’Autorità al riesercizio del potere dipendono dal contenuto della sentenza di annullamento, pare difficile sostenere che l’evoluzione della regolazione fosse effettivamente prevedibile.
È inoltre da aggiungere che, come si è già accennato, successivamente ai primi annullamenti disposti dal TAR Lombardia della deliberazione n. 281/2012, l’Autorità aveva pubblicato un comunicato con il quale affermava che la parte della delibera n. 111/06 relativa ai costi degli sbilanciamenti provocati da fonti rinnovabili non programmabili sarebbe stata ripristinata a decorrere dall’inizio del primo mese utile a seguito delle sentenze del TAR, ossia con effetto ex nunc da quelle pronunce. Si tratta di un ulteriore elemento che rende difficile negare la sussistenza di un affidamento in ordine alle scelte che, su questo specifico punto, l’Autorità aveva compiuto con la delibera del 2012. Né, al riguardo, pare possibile sostenere che nessun affidamento possa essere riconosciuto a fronte di un atto di regolazione illegittimo. Un ragionamento del genere, infatti, trascura di considerare con riferimento a quali specifici contenuti e sotto quali profili l’atto di regolazione si appalesi illegittimo. Nel caso di specie, in particolare, l’illegittimità dell’atto riguardava la previsione, da parte dell’Autorità, di franchigie di sbilanciamento identiche per tutte le fonti, mentre non era affatto oggetto di contestazione la previsione, in sé, di franchigie all’interno delle quali i costi di sbilanciamento potevano (continuare ad) essere socializzati. In altri termini, il “segnale” dato dal regolatore agli operatori con la delibera poi annullata e con i successivi atti adottati medio tempore era chiaramente nel senso di una loro responsabilizzazione in ordine agli sbilanciamenti. Responsabilizzazione che, almeno per alcuni operatori, si era tradotta in un incentivo a partecipare al mercato infragiornaliero al fine di minimizzare i costi a loro carico. Difficile, dunque, liquidare sbrigativamente la questione dell’affidamento come invece ha fatto il giudice d’appello.
In realtà, ciò che sembra aver avuto un peso decisivo nella decisione del caso è stata l’erronea convinzione che un eventuale riesercizio del potere nel senso auspicato dai ricorrenti avrebbe in ogni caso compromesso qualche affidamento, stanti le diverse e contrapposte posizioni degli operatori, alcuni dei quali avevano optato per la partecipazione al mercato infragiornaliero e altri no. Da qui, la scelta di introdurre una nuova regolazione solo per il futuro e di stabilire, per il periodo precedente, la reviviscenza tout court della disciplina previgente. Una reviviscenza che, lungi dal costituire un effetto obbligato del giudicato, appare piuttosto come l’esito di una precisa opzione da parte dell’Autorità a fronte della quale il Consiglio di Stato avrebbe dovuto esercitare un sindacato senz’altro meno deferente.
[1] Per una lettura della giurisprudenza relativa al settore delle comunicazioni elettroniche si veda, se si vuole, A. MARRA, Ottemperanza al giudicato e regolazione retroattiva, in questa Rivista, n. 2/2005, p. 199 ss.
[2] Per un’analisi di alcune di queste problematiche secondo una chiave ricostruttiva originale v. M. TRIMARCHI, L’inesauribilità del potere amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 80 ss. e 206 ss.
[3] Il problema è reso ancor più complesso nei casi di regolazione asimmetrica articolata in periodi regolatori, poiché in questi casi l’eventuale reviviscenza tout court della regolazione precedente determina giocoforza uno squilibrio dei rapporti economici tra gli operatori. Con il che le problematiche si allargano anche agli effetti soggettivi del giudicato. In argomento L. PISCITELLI – A. MARRA, Limiti soggettivi del giudicato di annullamento degli atti generali delle Autorità di regolazione, in questa Rivista, n. 1/2015, p. 37 ss.
[4] Sono parole di E. BRUTI LIBERATI, Regolazione dei mercati, tutela dell’affidamento e indipendenza dalla politica. Riflessioni a partire dai lavori di Nicola Bassi, in questa Rivista, n. 2/2017.
[5] Si vedano al riguardo Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2013, n. 21 e 9 luglio 2013, n. 3636.
[6] TAR Lombardia, Milano, sez. III, 24 giugno 2013, nn. 1613, 1614, 1615 e 12 luglio 2013, n. 1830, confermate da Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2014, n. 2936.
[7] TAR Lombardia, Milano, sez. II, 31 gennaio 2017, n. 236
[8] Ex multis, Corte cost. 24 gennaio 2012, n. 13. In generale sul fenomeno della reviviscenza si veda l’interessante studio di N. CANZIAN, La reviviscenza delle norme nella crisi della certezza del diritto, Giappichelli, Torino, 2017.
[9] Sulla differenza tra retroattività e retrodatazione e ampiamente sulla casistica dei provvedimenti che dispongono ora per allora si veda S. PERONGINI, La formula “ora per allora nel diritto pubblico. I. Le diverse tipologie di provvedimenti “ora per allora”, Esi, Napoli, 1995 e ID., La formula “ora per allora” nel diritto pubblico. II. Il provvedimento amministrativo “ora per allora”. Preclusioni e limiti alle sopravvenienze di fatto e di diritto, Napoli, Esi, 1999 e, più recentemente, W. TROISE MANGONI, L’esercizio retroattivo del potere amministrativo. Limiti e garanzie a tutela dell’individuo, Giappichelli, Torino, 2016.
[10] Si tratta peraltro di un orientamento che ha radici profonde. Questo indirizzo, infatti, era già affermato da Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 1983, n. 841 con riferimento a un regolamento.
[11] Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4896.
[12] Il riferimento è ad A. TRAVI, Considerazioni critiche sulla tutela dell’affidamento nella giurisprudenza amministrativa (con particolare riferimento alle incentivazioni ad attività economiche), in questa Rivista, n. 2/2016, p. 6 ss. in particolare pp. 19-20 il quale propende decisamente per una valorizzazione della responsabilità dell’Autorità di regolazione in chiave indennitaria.
[13] Si veda la deliberazione del 24 giugno 2016, n. 333, avente a oggetto la “Valorizzazione degli sbilanciamenti effettivi per gli anni 2012, 2013 e 2014 in seguito alle sentenze del Tar Lombardia 1648/2014 e del Consiglio di Stato 1532/2015 e in seguito alla nuova sentenza 2457 del Consiglio di Stato” e la sentenza del TAR Lombardia, sez. II, 4 aprile 2018, n. 898.