Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il 'valore' del rating nelle regolazioni pubbliche. Regolare il mercato del rating o superare il rating? (di Laura Ammannati)


Rating has taken on importance as a ‘normative parameter’ in public regulations in time. Its role as a regulatory instrument (“regulating by rating”) has been challenged by the financial crisis and its impact on the Credit Rating Agencies’ reliability. This paper highlights the complex interplay between public and private regulation, focusing, on the one side, on the decision of public regulators and policymakers to turn to ‘the market’ and employ the rating as a normative measure of the credit risk, and on the other on the need to increase the accountability and the independence of the CRAs as well as to regulate their activities. In this respect the paper deals with two main questions: whether and to what extent CRAs, as private market actors, can be regulated, and whether and how the reliance on rating in public regulations can be reduced to go beyond a rating-based regulation.

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SOMMARIO:

1. Una breve introduzione al rating e alle sue trasformazioni - 2. L'ascesa del rating come parametro normativo nella regolazione finanziaria - 3. Dalla self-regulation alla regolazione pubblica del mercato del rating - 3.1. Il percorso della US Securities and Exchange Commission - 3.2. La regolamentazione quadro europea - 4. La 'legittimazione' del rating tra regolazione privata e pubblica - 4.1. Oltre la rating-based regulation? Quali credibili previsioni? -


1. Una breve introduzione al rating e alle sue trasformazioni

Per lungo tempo il rating è stato uno strumento di valutazione del rischio di credito quasi del tutto ignoto all’opinione pubblica. Nondimeno da diversi decenni ha giocato un ruolo di rilievo nella regolazione dei mercati finanziari. Intermediari finanziari, investitori, regolatori ed anche legislatori hanno usato e tuttora usano l’informazione prodotta dalle a­genzie di rating a supporto e all’interno delle loro decisioni. Le agenzie di rating sono divenute «istituzioni pervasive» [1]. La crisi finanziaria ha avuto un forte impatto sulle agenzie di rating o meglio sulla loro affidabilità così come sul “valore” del rating. Le agenzie sono state additate come i maggiori responsabili della propagazione della crisi innescata dalla proliferazione incontrollata di operazioni di finanza strutturata certificate da rating inflazionati, anzi talvolta costruiti con la consulenza delle stesse [2]. Gli effetti distorsivi si sono moltiplicati all’om­bra della eccessiva dipendenza dal rating delle regolazioni dei mercati fi­nanziari e quindi dei comportamenti di molti attori del mercato, dai grandi investitori e intermediari al piccolo risparmiatore. All’improvviso sulle agenzie di rating si sono accesi i riflettori di regolatori e legislatori, dagli organismi internazionali ai vecchi e nuovi regolatori comunitari agli apparati nazionali. In carenza di precedenti ed efficaci regole riguardanti l’attività delle agenzie, le metodologie e le procedure di produzione dei rating, si è cominciato ad indagare e discutere sulle criticità più evidenti e sui possibili interventi correttivi. È significativo, a questo proposito, l’incipit del regolamento 1060 del 2009 che rappresenta un primo approccio delle istituzioni europee alla regolazione del mercato del rating. La premessa si fonda sul ruolo esercitato dalle agenzie di rating sui mercati mobiliari e bancari mondiali, così che «i loro rating del credito sono utilizzati dagli investitori, dai mutuatari, dagli emittenti e dai governi come elementi che contribuiscono alla formazione di decisioni informate in materia di investimenti e di finanziamenti» ed «hanno un impatto significativo sul funzionamento del mercato e sulla fiducia degli [continua ..]


2. L'ascesa del rating come parametro normativo nella regolazione finanziaria

Tradizionalmente il rating ha come obiettivo di comunicare informazioni sulla capacità di un emittente di ripagare il suo debito. Quindi aiuta gli investitori a superare l’asimmetria informativa esistente tra questi ultimi e l’emittente. Come è noto, la riduzione del gap informativo è resa possibile dal ricorso a meccanismi di regolazione finalizzati a produrre certezze oppure, meglio sarebbe dire, a ridurre l’incertezza e l’insicurezza così come i costi di transazione nel reperimento delle informazioni necessarie. Il valore informativo del rating lo colloca nell’area degli information goods e, come sostenuto nella letteratura economica, almeno due elementi rilevano sul mercato dell’informazio­ne: la qualità e l’accuratezza dell’informazione e l’esperienza/reputazione. Nell’industria del rating le agenzie si confrontano e competono prevalentemente sulla accuratezza delle valutazioni che si traduce in reputazione. Infatti, insieme al bene informazione viene messo sul mercato un bene correlato, cioè la reputazione (reputational value), che ha un valore rilevante, per un verso, per gli investitori e, per un altro, per gli emittenti che possono contribuire ad accrescere la quota di mercato di una determinata agenzia. Infatti la reputazione è il bene di cui gli emittenti usufruiscono in caso di giudizio positivo, ma in parte anche per la sola circostanza di aver fatto ricorso al rating da parte di una determinata agenzia e di sottoporre a monitoraggio la propria affidabilità [15]. Nel tempo il rating ha assunto una ulteriore funzione che si è progressivamente rafforzata e ampliata ed è quella di cui ci occupiamo in questo lavoro, cioè la crescente affermazione del rating come ‘parametro’ all’interno di regolazioni pubbliche, definita come “rating-based regulation”. Negli USA le prime misure regolatorie che hanno usato il rating come parametro di valutazione di prodotti finanziari risalgono agli anni ’30 dello scorso secolo e hanno avuto un considerevole incremento nel tempo, in particolare negli anni ’70 [16]. La SEC nel 1975 (rule 15c3-1) confermava questo orientamento disciplinando i requisiti di capitale di broker – dealer e introducendo la categoria [continua ..]


3. Dalla self-regulation alla regolazione pubblica del mercato del rating

L’espansione del rating come parametro normativo a disposizione dei regolatori e dei legislatori ha innescato sia negli USA che in Europa una serie di dinamiche correttive simili, sebbene gli interventi europei abbiano avuto inizio più di recente anche a causa di una ritardata diffusione del fenomeno. L’obiettivo era quello di garantire l’accuratezza, l’attendi­bilità e l’indipendenza della valutazione, anche a tutela degli investitori e più in generale della stabilità del mercato finanziario. Di conseguenza gli interventi iniziali, già in epoca precedente la crisi finanziaria, erano stati indirizzati a regolare l’attività delle agenzie di rating così da renderle più accountable sul mercato del rating. Successivamente, proprio in conseguenza della crisi finanziaria, le stesse organizzazioni finanziare globali hanno acceso i riflettori sulla ‘reliance’ dal rating nella definizione di standard, regole e norme di regolazione e hanno iniziato a porre sul tappeto la questione del superamento del rating e della sua sostituzione con altri indicatori. Legislatori e regolatori hanno condiviso di recente molte delle critiche riguardanti la “overdependence” [29] dal rating come parametro normativo veicolato dalla regolazione. Numerose altre critiche sono state rivolte alle agenzie per il ruolo esorbitante progressivamente rivestito, per gli errori ripetutamente commessi con declassamenti tardivi di strumenti finanziari quando gli emittenti erano ormai in evidente situazione di insolvibilità [30], così come per gli improvvisi e poco trasparenti downgrading di rating sovrani con conseguenze importanti sul costo del debito. Tuttavia ciò che più stupisce è che, indipendentemente dalla influenza regolatoria, molti operatori abbiano mantenuto una incrollabile fiducia nel rating perché, dopo decenni di dominio delle agenzie e del rating, quest’ultimo è divenuto parte della «cultura finanziaria» [31]. Una causa profonda di questo atteggiamento è probabilmente nell’incontrastato e duraturo predominio dei meccanismi di self-regulation sui mercati finanziari. Come dicevamo, nel decennio precedente la crisi finanziaria i regolatori pubblici hanno [continua ..]


3.1. Il percorso della US Securities and Exchange Commission

Come già ricordato, negli USA, fin dagli anni ’70 dello scorso secolo, si tentava un primo intervento di regolazione delle Agenzie attraverso la creazione di un albo presso la SEC per la loro iscrizione come NRSRO. L’iscrizione era finalizzata a riconoscere validità alle regole inclusive di un rinvio ai rating. Dal 1975 a tutto il 2013 è stato registrato dalla SEC un numero veramente limitato di agenzie. Attualmente sono soltanto 10 nonostante i tentativi della SEC di consentire ulteriori ingressi soprattutto nell’ultimo decennio [35]. Fin dalla sua introduzione gran parte degli osservatori hanno evidenziato come la registrazione abbia rappresentato una pesante barriera all’ingresso sul mercato del rating ed abbia finito per rafforzare il peso delle tre incumbent. Comunque, solo di recente, il legislatore americano sembra divenuto più consapevole degli effetti negativi della funzione regolamentare del rating. Nel 2006 il Credit Rating Agency Reform Act si proponeva di rendere più affidabile il mercato del rating rafforzando in particolare il regime di vigilanza della SEC. Queste disposizioni hanno trovato attuazione nel 2007 con un provvedimento che mirava a ridurre l’opacità delle procedure di valutazione delle richieste di ammissione all’albo e introduceva norme a tutela dell’indipendenza dei giudizi come, ad esempio, l’obbligo di non condizionare l’emissione di rating all’acqui­sto preliminare di altri servizi [36]. Inoltre, solo dopo aver riscontrato che il sistema di regulatory license aveva contribuito alla diffusione dei titoli tossici ingenerando negli investitori un irrazionale affidamento, nel 2009 la SEC è intervenuta sulla do­manda di servizi delle agenzie e ha aperto la strada alla revisione, nelle regolazioni, dei riferimenti al rating come parametro necessario. L’accresciuto impatto globale del rating conseguente al ruolo (fallimentare) assunto sul mercato delle asset-backed securities ha condotto ad una significativa convergenza tra stati sugli interventi necessari. Così, su impulso del G20, nel quale era stato raggiunto un consenso tra i rappresentati delle maggiori economie mondiali sugli aspetti sostanziali di regolazione dei mercati finanziari, è intervenuto il FSB che ha definito una sorta [continua ..]


3.2. La regolamentazione quadro europea

In Europa, storicamente, la normativa finanziaria ha fatto un affidamento meno pervasivo sul rating e, forse per questo motivo, la revisione critica della sua funzione regolamentare è apparsa in prima battuta meno urgente. Infatti, soltanto a seguito dei primi effetti della crisi finanziaria le istituzioni europee hanno iniziato a ripensare il modello di regolazione passando da un sostanziale favore per strumenti di self-regulation ad una chiara opzione per regole “più robuste, stringenti”, cioè vincolanti [44]. Il Reg. CE 1060 del 1999 introduceva per la prima volta una specifica regolazione settoriale e creava un quadro regolatorio vincolante per le agenzie di rating. Imponeva un obbligo di registrazione delle agenzie (che non eliminava la procedura di riconoscimento come ECAI introdotta con la direttiva 2006/48/CE); elaborava precise regole di comportamento, in particolare relative alla prevenzione dei conflitti di interesse, alla trasparenza relativa ai modelli di valutazione e ai criteri di correttezza nella presentazione dei giudizi; ed infine disponeva un sistema di vigilanza da parte delle autorità nazionali [45]. Non diversamente da quanto sottolineato altrove, l’introduzione di misure pubblicistiche di regolazione e supervisione può di fatto rafforzare la reputazione delle agenzie e la fiducia nei loro confronti, in quanto una regolazione formale è destinata a ingenerare negli investitori la convinzione che i rating siano divenuti più affidabili [46]. Le disposizioni comunitarie del 1999 sono state riviste con il Reg. UE 513/2011 che affida alla European Securities and Markets Authority (ESMA) le competenze relative alla registrazione e alla supervisione, così definitivamente accentrata, delle agenzie di rating [47]. Inoltre in vista di una armonizzazione delle norme tecniche, che agevolino l’ap­pli­cazione del reg. 1060 e assicurino condizioni di parità e tutela di investitori e consumatori, all’ESMA è stato riconosciuto il potere di deliberare standard tecnici volti a rendere più trasparenti le metodologie di analisi. Ulteriori mutamenti, prevalentemente di tipo sostanziale, sono stati introdotti con il Reg. UE n. 462 del 2013 (CRA3 regulation) approvato alla fine di un lungo percorso iniziato con il progetto della Commissione presentato nel novembre [continua ..]


4. La 'legittimazione' del rating tra regolazione privata e pubblica

Un punto ampiamente dibattuto in tempi recenti e certamente controverso riguarda la natura del rating. L’evoluzione del ruolo delle agenzie e del rating ha prodotto una distorsione del mercato e una torsione del­l’originario significato. Il rating doveva esprimere esclusivamente un “parere”, una “opinione” sul merito di credito di un emittente o di uno strumento finanziario, in un dato momento, messo a disposizione del­l’in­vestitore. Non è un caso che negli USA il rating sia ricondotto all’area della libertà di espressione garantita dal 1° emendamento della Costituzione, anche se questa qualificazione è ormai ampiamente in discussione [55]. Anche la IOSCO definisce il credit rating come «an opinion», e in modo analogo si esprime, come più volte ricordato, il reg. n. 1060/2009 (art. 3, comma 1, lett. a). Pertanto l’attribuzione di un valore normativo al rating ne ha modificato l’originaria natura trasformandolo in una sorta di certificazione delle caratteristiche del soggetto o dello strumento finanziario. Si è così prodotta una certa ambiguità riguardo la qualificazione del rating. Ambiguità evidente nella stessa legislazione comunitaria dove, accanto ad una regolazione delle agenzie e delle modalità di elaborazione del rating, si mettono in guardia gli utilizzatori del rating dal confidare ciecamente in questo strumento data la ridotta affidabilità dimostrata nel quadro della crisi finanziaria (cons. 10, reg. 1060/2009). Inoltre, coerentemente con la perdurante qualificazione del rating co­me opinione, sempre a livello europeo, le agenzie sono state escluse dalla applicazione della disciplina comunitaria riguardante “la corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento e la comunicazione al pubblico di conflitti di interesse” (direttiva 2003/125/CE). La stessa esclusione è stata prevista, dopo una prima posizione in senso contrario, dalla legislazione italiana. Infatti la nota legge sulla tutela del risparmio (262/2005) ha modificato il TUF (art. 114, comma 8) escludendo che il rating potesse essere incluso nella categoria delle rac­comandazioni di investimento. Di conseguenza le agenzie sono e­scluse dagli obblighi imposti ai soggetti che producono o [continua ..]


4.1. Oltre la rating-based regulation? Quali credibili previsioni?

Nella tensione tra tendenze ad una regolazione pervasiva del mercato del rating e delle agenzie e le proposte di ritorno ad una dimensione privatistica delle stesse agenzie e dei loro servizi come una delle possibili fonti di informazione sul merito di credito dei prodotti finanziari, il tema in questo momento al centro del dibattito è quello della dipendenza dal rating. Un passaggio obbligato su questa via è trovare “alternative credibili” per le quali sono state formulate diverse proposte e indicati percorsi innovativi. Tra l’altro, la scelta del legislatore statunitense di procedere in alcune norme all’eliminazione della soglia investment grade come parametro normativo, sostituendola con generali standard creditizi determinati dalla SEC, costituisce un primo passo positivo. Tuttavia non è stato ancora compiuto il passo successivo, cioè quello di “tradurre” in strumenti concreti tali standard. In generale l’opzione da privilegiare sarebbe quella di procedere alla sostituzione dei riferimenti al rating con il rinvio a strumenti che abbiano la stessa identica funzione, ma che, al contrario del rating, non presentino i problemi e i conflitti di interessi tipici di tale industria. Quindi si tratterebbe di passare da una rating-based regulation a una market-based regulation. In questa prospettiva si è diffusa la proposta di utilizzare, appunto, indicatori di mercato come il valore dei prezzi Credit Default Swap (CDS) che potrebbero costituire un sostituto ideale per i Credit Ratings [66], seppure anche in questo caso non manchino criticità variamente rilevate [67]. D’altra parte, e ne abbiamo già accennato, il reg. 462 introduce, con particolare riferimento agli strumenti finanziari strutturati, l’obbligo per l’emittente di fornire una propria valutazione autonoma. In più gli approcci alternativi proposti da diverse fonti sono stati finora sottoposti soltanto alla critica del dibattito mancando di fatto una sperimentazione effettiva e ad ampio raggio. Tra questi ricordiamo anche l’i­dea di combinare indicatori diversi come nel caso del dual ratings approach che avrebbe il vantaggio di mettere insieme un rating esterno elaborato dalle agenzie con una valutazione interna del proprio merito di credito. Oppure quella di [continua ..]


Fascicolo 2 - 2014