Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Alle radici del paradigma regolatorio dei mercati (di Marcello Clarich)


Il saggio analizza la teoria della regolazione dei mercati partendo dalle assunzioni esplicite o implicite del modello. Il saggio analizza in particolare i fallimenti del mercato unitamente ai fallimenti dello Stato e si sofferma sull’ipotesi del marcato efficiente, che si autoregola e che ha influenzato per molti anni la regolazione pubblica. Prende in considerazione la teoria che applica all’economia il modello dell’evo­lu­zione elaborato nella biologia. Si sofferma infine su ideologie come il populismo che in anni recenti hanno condizionato le regolazione economica.

At the roots of market regulation theory

The essay analyzes the theory of market regulation starting from the explicit or implicit assumptions of the model. The essay analyzes in particular market failures together with state failures and dwells on the so called efficient market hypothesis (i.e. a self-regulating market) which has influenced public regulation for many years. It takes also into consideration a theory which claims that the evolution model developed in biology applies to the economy. Finally, he dwells on ideologies such as populism that in recent years have conditioned economic regulation.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I fallimenti del mercato come radici “visibili” del paradigma regolatorio dei mercati - 3. Il principio di proporzionalità - 4. Le radici meno “visibili” - 5. L’ipotesi del mercato efficiente - 6. Il modello evoluzionista - 7. I fattori ideologici - 8. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Il titolo di questo lavoro richiede una precisazione preliminare sul significato del termine “radici”.

Anzitutto le radici possono essere intese in senso letterale. Si pensi a quelle degli alberi, che sono nascoste, cioè poste sotto la parte visibile della pianta. Nel nostro caso, volendo utilizzare la metafora, il tema sembra richiedere un’analisi dei presupposti e assunzioni implicite, appunto non immediatamente visibili, del paradigma regolatorio dei mercati ovvero dello Stato regolatore [1].

Le radici possono essere intese anche in senso figurato come le origini, il principio di qualcosa, la causa e, a tal riguardo, si potrebbero richiamare le varie definizioni proposte dalla filosofia. Nel nostro caso, il tema potrebbe dunque richiedere un’analisi delle ragioni per le quali si è affermato il paradigma regolatorio dei mercati in contrapposizione a quello precedente dello Stato interventista, nonché delle ragioni per le quali esso sembra andato in crisi.

Entrambe le accezioni, applicate al modello del paradigma regolatorio dei mercati, portano a prendere in considerazione la teoria dei fallimenti del mercato, le assunzioni implicite dell’ipotesi del mercato efficiente autoregolantesi e le ideologie sottese al modello di Stato.

Su questi temi verranno svolte alcune considerazioni, dopo aver richiamato in premessa che il paradigma in questione si è affermato, com’è noto, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, anzitutto nei paesi anglosassoni e poi nell’Europa continentale, specie in seguito alle direttive di liberalizzazione dei grandi servizi pubblici a rete negli anni Novanta del secolo scorso. Esso è stato dominante, in parallelo con l’espandersi del modello delle democrazie liberali, almeno fino alla crisi del 2008-2011 e da quel momento è oggetto di un ripensamento che, come si vedrà, ha messo in dubbio le stesse radici del modello.


2. I fallimenti del mercato come radici “visibili” del paradigma regolatorio dei mercati

Il paradigma regolatorio dei mercati, per proseguire nella metafora, affonda le radici, spesso, come si dirà, spesso visibili, nei cosiddetti fallimenti del mercato.

La regolazione economica nasce, com’è noto, con il tentativo di correggere le situazioni di insuccesso o di “fallimento del mercato” (market failures) con strumenti di intervento e misure correttive di tipo autoritativo (o di command and control) [2].

Quanto ai fallimenti del mercato, si tratta di situazioni nelle quali il mercato deregolamentato, cioè retto esclusivamente dal diritto privato (diritto dei contratti e della responsabilità civile, tutela giurisdizionale), non è in grado di tutelare in modo adeguato gli interessi della collettività.

Infatti, gli strumenti della regolazione pubblicistica intervengono quando le regole privatistiche (codice civile e delle leggi speciali riconducibili al diritto privato) non sono in grado di soddisfare le esigenze di correggere situazioni nelle quali le attività dei privati mettono a rischio interessi pubblici.

Per esempio, per assicurare la tutela dell’ambiente si possono esercitare azioni civili di risarcimento dei danni nel caso dell’inquinamento (art. 844 cod. civ. sulle immissioni). Tale meccanismo, alla fine, non funziona perché i danni da inquinamento ambientale non possono essere contrastati efficacemente con azioni giudiziarie attesa la difficoltà, in molti casi, di individuare con precisione l’inquinatore, di provare il nesso di causalità (si pensi all’inquinamento diffuso), di coordinare e aggregare le azioni di un numero spesso elevato di soggetti danneggiati. Spesso poi, per ciascuno di danneggiati si tratta di small claims che pochi hanno interesse ad attivare, nonostante l’introduzione in molti ordinamenti delle azioni di classe. Inoltre, la responsabilità civile non consente una supervisione su base continuativa a tutela dell’interesse pubblico ambientale (le azioni sono iniziative individuali). In questa situazione interviene dunque la regolazione pubblica con le varie tecniche di “command and control” (regole rigide, piani, sanzioni, autorizzazioni preventive, ecc.) che gli studiosi della regolazione analizzano e classificano.

La teoria dei fallimenti del mercato è stata quella che più ha condizionato chi ha teorizzato il paradigma regolatorio dei mercati anche se, quasi a correttivo della medesima, si è fatta strada in parallelo la teoria dei fallimenti dello Stato, che mette in luce invece i limiti e le carenze strutturali degli strumenti di intervento dei pubblici poteri (per esempio i rischi di cattura del regolatore da parte dei soggetti regolati, l’influenza delle lobby, gli incentivi dei burocrati a massimizzare il proprio potere piuttosto che a curare l’interesse pubblico, ecc.) [3].

La teoria dei fallimenti del mercato è stata comunque applicata in Europa in occasione delle riforme della regolazione economica, come si è già detto, un po' in ritardo, soprattutto sotto la spinta del diritto europeo verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso [4].

Le radici del modello, come si è già anticipato, sono spesso visibili, perché in molti casi i fallimenti del mercato sono percepibili nella loro consistenza e nei loro effetti materiali, come nel caso dell’inquinamento e di altre esternalità negative. I fenomeni di inquinamento sono percepibili e si possono anche misurare. Si pensi agli indicatori relativi al riscaldamento terrestre, ai livelli di smog nei centri abitati, oppure alle morie di pesce in acque inquinate. Sono spesso le reazioni a queste evidenze empiriche a sollecitare interventi di regolazione pubblica.

Si pensi ancora alla disciplina dei monopoli naturali, nei casi di infrastrutture fisiche come un porto, un aeroporto o una rete ferroviaria non duplicabile. Le caratteristiche intrinseche dell’infrastruttura sono alla base delle asimmetrie di potere fra i gestori dell’impresa e gli utilizzatori che non hanno a disposizione analoghe infrastrutture alternative. Lo stesso problema si pone per i beni pubblici, che proprio per la loro conformazione fisica impedisce l’appropria­zione individuale e danno origine al fenomeno dei free riders.

Si pensi ancora, in materia di crisi bancarie, alle immagini della corsa agli sportelli delle banche prossime al dissesto in seguito al panico diffusosi tra i depositanti (run to the bank), com’è accaduto nel 2008, nel caso della banca Northern Rock.


3. Il principio di proporzionalità

Fa per così dire da trait d’union fra teoria dei fallimenti del mercato e regolazione pubblica – come assunzione inespressa che però trova anche qualche riferimento normativo puntuale [5] – è il principio di proporzionalità. Questo principio, com’è noto, trae origine dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa tedesca e che è stato fatto proprio dal diritto dell’Unione europea e poi dal diritto nazionale [6]. Esso si ispira a un paradigma ancor più generale, cioè la priorità del mercato rispetto allo Stato. È l’intervento dello Stato che deve essere giustificato, non la libertà dei privati di operare e contrattare sulla base dei principi del codice civile e del diritto comune [7].

Questo principio deve guidare il regolatore nella scelta degli strumenti correttivi e implica che tra gli strumenti astrattamente idonei a tutelare l’interesse pubblico, la scelta ricada su quelli meno restrittivi della libertà di impresa.

In applicazione del principio di proporzionalità, gli interventi di tipo pubblicistico a correzione del fallimento del mercato si giustificano, com’è noto, in quanto sono idonei a correggere il fallimento del mercato rilevato; necessari, nel senso che non ci sono alternative meno penalizzanti e restrittive di situazioni anche privatistiche; adatti a risolvere complessivamente il problema, tenuto conto del complesso degli interessi in gioco e degli effetti della misura. L’applicazione del principio di proporzionalità consente quindi di misurare l’intervento pubblico e calibrarlo esattamente in funzione dell’esigenza specifica.

La teoria dei fallimenti del mercato si traduce, in definitiva, in principi giuridici che ormai la giurisprudenza europea, ma anche quella nazionale, e in particolare il giudice amministrativo chiamato a sindacare gli atti delle autorità di regolazione, applicano con sempre maggiore dimestichezza e rigore [8].


4. Le radici meno “visibili”

Tuttavia, sono presenti anche altre radici, forse meno visibili, che hanno condizionato il paradigma regolatorio dei mercati e che può essere utile analizzare, non solo per spiegare le vicende dell’ultimo decennio, ma anche per orientarsi in una fase nella quale, anche in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie, i mercati sono in rapida trasformazione e lo stesso diritto deve adattarsi alle nuove situazioni se non vuole perdere aderenza alla realtà [9].

Per individuare le radici meno visibili del paradigma regolatorio dei mercati, con riferimento agli anni antecedenti crisi degli anni 2008-2011, un riferimento utile può essere il rapporto Turner, dal nome del Presidente della Financial Services Authority (FSA), con sottotitolo “A regulatory response to the global banking crisis [10], commissionato dal Ministro del Tesoro inglese nel 2009. Una parte del rapporto approfondisce il tema delle assunzioni implicite del modello regolatorio dominante.

L’obiettivo di questo studio era in realtà anche quello di indagare le cause e le lezioni da trarre dalla crisi del 2008. Essa fu prevista solo da pochi economisti, che però, quando negli anni 2006-2007 avevano ipotizzato un eccesso di rischio che gravava sui mercati finanziari, erano stati criticati dai propri colleghi, ciò in nome del paradigma del mercato che si autocorregge e che non ha bisogno di interventi esterni (e tutt’al più con le ricette del “Washington con­sensus” dettate soprattutto per i paesi in via di sviluppo).

Insieme alla revisione delle cause della crisi, il governo inglese chiese di formulare una serie di raccomandazioni sui cambiamenti nella regolazione e nell’approccio alla vigilanza necessari per creare un sistema bancario più solido.

Le cause della crisi economica del 2008-2011 indicate nel Turner Review, includono, per esempio, l’innovazione tecnologica nei mercati finanziari e la diffusione di strumenti finanziari poco trasparenti e complessi, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione del rischio che si disperdeva in una serie di transazioni intermedie spesso opache.

Si riteneva peraltro che i rischi collegati a questi strumenti finanziari complessi potessero essere controllati e dominati in gran parte attraverso l’appli­ca­zione di modelli matematici sempre più sofisticati, che avevano creato l’illu­sio­ne che con essi si potesse in qualche modo ridurre il rischio.

Il rapporto mette poi in risalto l’opinione dominante secondo la quale il mercato va avanti per conto proprio e non ha bisogno di una regolazione, specie in un periodo di crescita economica sostenuta.

Essa ha portato alla caduta di uno dei più importanti presidi psicologici, cioè quello dell’“avversione al rischio”. Non ci si rese cioè conto che si stava procedendo nella direzione sbagliata e anzi si era caduti nello stato d’animo di “esuberanza irrazionale” nella quale, anche per effetto di imitazione, tutti andavano avanti lungo certe strade che però, a un certo punto, una volta acquisita all’improvviso la consapevolezza che conducevano al baratro, provocarono un moto contrario subitaneo. Questo determinò la caduta dei prezzi degli immobili, il crollo dei valori mobiliari e la crisi di liquidità di molte istituzioni finanziare dovuta al venir meno della fiducia da parte degli investitori.


5. L’ipotesi del mercato efficiente

Il rapporto tratta anche la questione delle assunzioni teoriche alla base dei precedenti approcci alla regolazione, messe in discussione dalla crisi del 2008.

Quella più rilevante è l’ipotesi del mercato razionale ed efficiente (efficient market hypothesis), alla quale sono collegate alcune asserzioni con implica­zioni sull’approccio regolatorio: i prezzi di mercato sono buoni indicatori del valore economico valutato razionalmente; lo sviluppo del credito cartolariz­zato, basato sulla creazione di mercati nuovi e più liquidi, ha migliorato sia l’efficienza allocativa che la stabilità finanziaria; le caratteristiche di rischio dei mercati finanziari possono essere dedotte dall’analisi matematica, fornendo solide misure quantitative del rischio di negoziazione; la disciplina di mercato può essere utilizzata come strumento efficace per limitare l’assunzione di rischi dannosi; l’innovazione finanziaria può essere considerata vantaggiosa in quanto la concorrenza sul mercato eliminerebbe qualsiasi innovazione che non apporti valore aggiunto [11].

Ebbene, il rapporto contesta l’assunzione che i mercati sono sempre razionali, così da giustificare una presunzione forte in favore dei mercati deregolamentati e contraria a ogni forma di interevento pubblico. Secondo questa visione il “policymaker”, vale a dire, il regolatore, non è quasi mai in grado di valutare meglio dei mercati le misure da adottare per migliorare il funzionamento di questi ultimi.

In definitiva, l’ipotesi del mercato efficiente si fonda, da un lato, su una fiducia quasi incrollabile nel mercato che si autoregola, seleziona i rischi e li contiene, e dall’altro, da una sfiducia altrettanto marcata nelle autorità pubbliche che intervengono a regolare i mercati [12].

Il rapporto critica queste assunzioni e sottolinea, per esempio, che la razionalità individuale non si traduce automaticamente in una razionalità collettiva, perché le azioni dei singoli individui possono, se intraprese in condizioni di informazione imperfetta o indotte da particolari relazioni tra gli investitori finali e i loro agenti di gestione patrimoniale, determinare, a livello di sistema, movimenti dei prezzi di mercato caratterizzati da uno slancio auto-rinforzante che li rende a un certo punto insostenibili [13].

Prove empiriche dimostrano inoltre che i prezzi nel mercato finanziario possono divergere per lunghi periodi dai valori economici stimati, raggiungendo divergenze così significative da poter ragionevolmente concludere nel senso dell’irrazionalità di tali prezzi [14].

Si pensi ancora al già accennato effetto gregge, che determina un’influenza collettiva nel considerare come razionali alcuni paradigmi o narrative, senza una cognizione piena ed effettiva delle loro radici e soprattutto dei loro effetti. Infatti, in questo caso, il rischio è che si arrivi improvvisamente a un punto di caduta collettivo.

D’altra parte, il paradigma dell’uomo razionale, dell’attore economico coerente nel valutare i mezzi e i fini e capace di valutare tutte le informazioni in mo­do preciso, è messo in dubbio, com’è noto, dalle scienze comportamentali, in particolare dalle neuroscienze, che tendono a integrare e correggere il paradigma tradizionale mettendo in evidenza i limiti e le insufficienze, talvolta anche gravi nei processi cognitivi (cosiddetti bias) [15].

Spetta dunque alle scienze dunque analizzare i preconcetti e gli errori valutativi che hanno un’influenza concreta nei comportamenti degli attori e che devono essere tenuti presenti dallo stesso regolatore.

Infatti, l’approccio regolatorio varia a seconda che i destinatari della regola possano essere considerati come attori razionali o siano invece influenzati da altri fattori, ad esempio, di tipo emotivo (con l’utilizzo delle tecniche della spinta gentile o nudge) [16].


6. Il modello evoluzionista

Negli ultimi anni sta prendendo piede anche un filone di pensiero che nega un’altra assunzione implicita e cioè la possibilità di applicare o simulare le leggi della fisica ai modelli economici. È questo l’orientamento dominante tra gli economisti, a partire da Paul Samuelson che, in uno dei testi di economia più diffusi a livello mondiale, aveva infatti equiparato le leggi dell’economia alle leggi della termodinamica [17].

Alcuni studiosi di economia e delle scienze sociali ritengono invece che i mer­cati vadano analizzati non tanto con modelli di razionalità che valgono per le cosiddette “scienze dure”, quanto piuttosto secondo il modello evoluzionista delle scienze biologiche.

In questa prospettiva, per esempio, Andrew W. Lo, in un recente volume sui mercati adattativi, applica la teoria dell’evoluzione di Darwin ai mercati finanziari e sostiene in particolare che il sistema finanziario non è un sistema meccanico o fisico, bensì “an ecosystem, a collection of interdipendent species all struggling for survival and reproductive success in an ever-changing environment [18].

Secondo questa impostazione, dunque, la disciplina dei mercati deve adattare le proprie regole a un contesto assimilabile a un sistema biologico in continua evoluzione. Il diritto viene considerato come una sorta di software o di sistema operativo che in qualche modo sta alla base anche dei comportamenti degli attori sul mercato [19].

In ogni caso, al di là delle critiche al modello tradizionale, non sembra essersi ancora sviluppato un nuovo paradigma alternativo perché le teorie delle neuroscienze non hanno costruito un modello strutturato e integrato. Nella fase attuale, le vecchie r adici non sono ancora state sostituite, né sono sostituibili, con altre che abbiano un’analoga capacità esplicativa. Infatti, secondo lo stesso Andrew Lo “it takes a theory to beat a theory, and the behavioral finance literature hasn’t yet offered a clear alternative that does better [20].


7. I fattori ideologici

I rapporti tra Stato e mercato hanno subito nel tempo varie oscillazioni, con fasi di maggior e minore dominanza del primo, alla base delle quali va considerato anche il fattore ideologico, anch’esso da considerare come una radice invisibile o forse come un elemento causale [21].

 Si pensi all’ordoliberalismo tedesco (Ordoliberalismus), fondato sulla li­bertà economica individuale e su una forte componente etica e che ha ispirato il modello dell’economia sociale di mercato. La lotta ai monopoli, il de­cen­tramento dei poteri e un approccio di tendenziale neutralità tra Stato e mer­cato ha dominato l’assetto regolatorio dell’economia della Germania dal se­condo dopoguerra in poi [22]. Si pensi invece, per contrapposizione, alla pre­cedente impostazione di segno molto più interventista della socialde­mocrazia tedesca, che sta alla base dello Stato sociale e il cui avvento risale alla fine dell’Ottocento, con l’affermarsi di movimenti e partiti di matrice socialista o marxista.

Il paradigma regolatorio dei mercati, consolidatosi nell’ultima parte del secolo scorso ed estesosi a livello mondiale, ha come radice nascosta il predominio della visione liberal-democratica che, soprattutto dopo il crollo dei regimi di stampo socialista dopo il 1989, non sembrava avere più competitori credibili [23] .

Nella fase più recente, successiva alla crisi del 2008-2011, il paradigma regolatorio dei mercati tradizionale è messo in crisi, non solo in seguito alle critiche interne al modello già esaminate, ma anche dall’espandersi di ideologie di stampo sovranista e populista che contestano i paradigmi dominenti negli anni più recenti.

La crisi finanziaria ed economica ha avuto due risvolti paralleli.

Da un lato, ha provocato crepe vistose all’edificio dello Stato regolatore con la messa a nudo di numerosi “fallimenti della regolazione”. Nell’immediato, per evitare il tracollo del sistema finanziario, lo Stato regolatore ha ceduto il passo allo Stato salvatore specialmente nella prima fase della crisi del 2008 [24] con la messa in campo di quasi tutti gli strumenti tradizionali della regolazione economica (finanziamenti e garanzie pubbliche in deroga alla disciplina degli aiuti di Stato, proprietà pubblica, ecc.).

Dall’altro lato, la crisi recente ha favorito lo sviluppo di movimenti antisistema, di ispirazione populista, causato dal malessere e perdita di identià determinato dalla crisi economica, dall’aumento della diseguaglianza (con l’impove­rimento di parte della classe media) e dal fenomeno dell’immigrazione.

E il populismo, sia di destra sia di sinistra, nella versione più pura avanza la pretesa di una rappresentanza diretta ed esclusiva del popolo, intesa come categoria astratta da porre al fianco di altre entità metafisiche elaborate nella varie fasi storiche dalle scienze sociali [25]. Di conseguenza, una volta che si stabilisce che il “vero popolo” è necessariamente unico, viene rifiutato il pluralismo e con esso il confronto e il dibattito razionale tra visioni alternative dei bisogni e delle priorità di una determinata comunità politica [26].

Si tratta in sostanza di un modello totalizzante, che nega in radice la stessa idea di un contropotere neutrale e quindi, per esempio, la possibilità di istituire regolatori indipendenti. Non a caso ci sono stati, negli ultimi anni, numerosi episodi di contestazione o di critica ai regolatori indipendenti, sia a livello nazionale che a livello europeo.

Il paradigma regolatorio dei mercati (liberal democratic capitalism) è messo in discussione, sempre sotto il profilo ideologico e del sistema dei valori, anche da sistemi politici ed economici alternativi al modello occidentale, come soprattutto quello cinese (political capitalism) [27], forti anche del fatto che hanno assicurato livelli di crescita molto più sostenuti rispetto ai paesi occidentali.


8. Conclusioni

Le relazioni tra Stato e mercato sono sempre influenzate dal cambiamento del clima culturale e politico dell’epoca in cui si vive. Nella fase attuale la re­golazione sta incontrando un’opposizione crescente all’apertura dei mercati a livello nazionale e a livello globale, anche a causa dei sovranismi e delle ten­sioni geopolitiche sempre più evidenti.

Le idee e le certezze che hanno costituito i pilastri fondanti della regolazione economica da almeno un trentennio sono in crisi e le stesse democrazie liberali non sembrano in buona salute [28]. Per ritornare in auge, quest’ultime de­vono imboccare il “corridoio stretto” i cui confini sono segnati da uno Stato forte e autorevole e da una società civile altrettanto forte e vigile [29].

Scenari di incertezza stanno emergendo, da ultimo, anche in seguito alla pandemia da Covid-19 che ha già provocato in Europa e a livello globale l’a­dozione di misure di intervento in materia economica che si pongono agli antipodi del paradigma della regolazione di mercati e che vanno nella direzione di una presenza diretta o indiretta degli Stati e della deglobalizzazione. La crisi che si prospetta, ancor più grave di quella del 2008 e che minaccia di accrescere le tensioni geopolitiche a livello globale, apre scenari oggi imprevedibili.

Ad ogni modo, anche se non emergono ancora all’orizzonte, almeno nel mondo occidentale, modelli interpretativi compiuti alternativi al paradigma della regolazione dei mercati che ha dominato gli ultimi decenni, bisognerebbe almeno evitare di ricadere in errori del passato, riproponendo ricette che si sono rivelate fallimentari e che potrebbero rendere ancor più inevitabile la prospettiva di una “stagnazione secolare” o anche di una “decrescita felice” (ma forse, in realtà, non tanto felice) [30].


NOTE

Il testo sviluppa e aggiorna una relazione al 5° Convegno associativo ADDE su “Mercati regolati e nuove filiere di valore” organizzato dall’Università degli studi di Bari Aldo Moro il 28 novembre 2019.

[1] Resta ancora fondamentale anche per la distinzione tra regolazione economica e regolazione sociale il volume di A. LA SPINA-G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Il Mulino, Bologna, 2000.

[2] Cfr. A. OGUS, Regulation, Legal Form and Economic Theory, Clarendon Press, Oxford, 1994; R. BALDWIN-M. CAVE, Understanding regulation, 1999, Oxford University Press; A. KAHN, The Economics of Regulation – Principles and Institutions, MIT, 1998; J. STIGLITZ, Economics of the Public SectorNorton & Company, 1988; G. NAPOLITANO-M. ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 63 ss.; M. D’ALBERTI-A. PAJNO, Arbitri dei mercati. Le autorità indipendenti e l’economia, Quaderni di Astrid, Bologna, 2010.

[3] Sui fallimenti dei pubblici poteri cfr. G. TULLOCK-A. SELDON-G.L. BRADY, Government failure. A primer in public choice, Cato Institute Washington D.C., 2002.

[4] Cfr. M. D’ALBERTI, Poteri Pubblici, mercati e globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2008.

[5] Per esempio nella cosiddetta direttiva Servizi 2006/123/CE in materia di regimi di controllo ex ante ed ex post per l’avvio di attività economiche.

[6] Cfr. A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Cedam, Padova, 1998; D.U. GALETTA, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1998; A. SAU, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi, Giuffrè, Milano, 2012.

[7] Cfr. M. D’ALBERTI, op. cit.

[8] Sul sindacato giurisdizionale in materia di economica cfr. F. PATRONI GRIFFI, Il sindacato del giudice amministrativo sugli atti delle Autorità indipendenti, in www.giustizia-amministrativa.it; A. PRETO-B. CAROTTI, Il sindacato giurisdizionale sulle Autorità indipendenti: il caso di AGCOM, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, p. 123 ss.; F. CINTIOLI, Giudice amministrativo, tecnica e mercato: Poteri tecnici e giurisdizionalizzazione, Giuffreè, Milano, 2005. Si pensi da ultimo al caso eclatante della sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio 2020, secondo Senato, nel caso Weiss sui programmi di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario da parte della Banca centrale europea varati nel 2015 che è in gran parte incentrato sul principio di proporzionalità.

[9] Si pensi soltanto alla necessità di rafforzare i presidi della regolazione a tutela della privacy di fronte alla diffusione di nuove forme di controllo anche sociale da parte dei giganti delle comunicazioni e degli Stati: cfr. S. ZUBOFF, The age of surveillance capitalism, Londra, 2019. In Europa una risposta importante si è avuta con il regolamento (UE) 2016/679 del 27 aprile 2016, recepito nel nostro ordinamento con il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101.

[10] Cfr. Financial Services AuthorityThe Turner ReviewA regulatory response to the global banking crisis, U.K., March 2009.

[11] Cfr. The Turner Review, p. 41.

[12] Cfr., P. DE GRAUWE, The limits of the market. The pendulum between government and market, Oxford University Press, 2017; G. TULLOCK-A. SELDON-G.L. BRADY, op. cit.; J. STIGLITZ, Il ruolo economico dello Stato, Il Mulino,  Bologna, 1989.

[13] Cfr, The Turner Review, pp. 42-43.

[14] Cfr. R. SHILLER, Irrational Exuberance, Princeton University Press, 2000.

[15] Cfr. R.H. THALER-C.R. SUNSTEIN, Nudge. Improving decisions About health, Wealth and Happiness, Yale University Press, 2008; E. ANGNER, A course in behavioral economics, George Mason University USA, 2012; R. KOROBKIN-T. ULEN, Lae and behavioral science: removing the rationality assumption from law and economics, in Calfi. Law. Review, 88, 2000, p. 151 ss.; A CUCINOTTA, La natura dei mercati, l’economia comportamentale e l’antitrust, in Mercato Concorrenza e Regole, 2018, p. 199 ss.

[16] Cfr. R.H. THALER-C.R. SUNSTEIN, op. cit.

[17] Cfr. P. SAMUELSON, Economics, New York; 1948; P. SAMUELSON, Foundations of Economic Analysis, Harvard University Press, 1948.

[18] Cfr. A.W. LO, Adaptive markets: Financial evolution at the speed of thought, Princeton University Press, 2017, p. 296.

[19] Cfr. A.W. LO, op. cit., p. 372. Secondo il quale“What if we looked at the law as a piece of software, the operating system of United States od America? After all, laws play the same role as software in providing instructions for a givern system – if this, then that, an so on”.

[20] Cfr. A.W. LO, op. cit., p. 177.

[21] Cfr., P. DE GRAUWE, op. cit., secondo il quale in realtà “Market and State are like twin brothers, inseparable and serving to reinforce one another” p. 108.

[22] Cfr. W. ROPKE, Democrazia ed economia, Milano, 2004.

[23] Cfr. F. FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo, Torino, 2019 pubblicato nel 1992 all’indomani del crollo dello Stato sovietico.

[24] Cfr. G. NAPOLITANO, Il nuovo Stato salvatore: strumenti di intervento e assetti istituzionali, in Giornale dir. amm., 2008, p. 1083 ss; M. CLARICH, La mano visibile dello Stato nella crisi economica e finanziaria, in Rivista della Regolazione dei Mercati, 2010; G. NAPOLITANO (a cura di), Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Bologna, 2012; R. MICCÙ, Lo Stato regolatore e la nuova Costituzione economica: paradigmi di fine secolo a confronto, in P. CHIRULLI-R. MICCÙ (a cura di), Il modello europeo di regolazione, Napoli, 2011, p. 138 ss.

[25] Cfr. JAN-WERNER MULLER, What is populism, University of Pennsylvania Press, 2016; Y. MOUNK, The people vs. democracy – Why our freedom is in danger and how to save it, Cambridge, 2018; L. MORLINO-F. RANIOLO, Come la crisi economica cambia la democrazia, Bologna, 2018; Y. MENY, Popolo ma non troppo – il malinteso democratico, Bologna, 2019; F. FUKUYAMA, Identity – The demand for dignity and the politics of resentment, New York, 2018; C. MOUFFE, For a left populism, Londra, 2018; C. BASTASIN, Viaggio al termine dell’Occidente – La divergenza secolare e l’ascesa del nazionalismo, Roma, 2019; I. KRASTEV-S. HOLMES, The light that failed Why the West is loosing the fight for democracy, Londra, 2020.

[26] M. CLARICH, Populismo, sovranismo e Stato regolatore: verso il tramonto di un modello?, in Rivista della Regolazione dei mercati, 2018, fasc. 1.

[27] Cfr. B. MILANOVIC, Capitalism alone – the future of the System that rules the World, Harvard University Press, 2019 per i due modelli alternativi. Sul modello cinese cfr. ZHANG WEIWEI, The China wave – Rise of a civilizational State, World Century Publishing Corporation, 2011; D. A. BELL, The China model – Political meritocracy and the limits of democracy, Princeton University Press, 2015.

[28] Cfr. L. DIAMOND, Facing up to the democratic recession, in Journal of Democracy, 2015, p. 142 e seguenti che, anche sulla base di una rilevazione secondo alcuni indicatori, sottolinea come l’espansione del modello liberal democratico ha subito una battuta d’arresto e ha iniziato a regredire a partire dal 2006.

[29] Cfr. D. ACEMOGLU-J. ROBINSON, The narrow corridor: States, societies and the fate of liberty, Penguin, 2019 in una prospettiva storica e con un’ampia casistica.

[30] Cfr. S. LATOUCHE, Breve trattato sulla decrescita serena, Torino, 2008. Sulla prospettiva della “stagnazione secolare” cfr. L. SUMMERS, U.S. Economic Prospects: Secular Stagnation, Hysteresis, and the zero lower bound, in Business Economics, 2014, vol. 49, n. 2. La tesi è stata ripresa in occasione del Covid-19: Cfr. L. SUMMERS, Accepting the realità of secular stagnation, in International Monetary Fund – Finance and Development, marzo 2020, vol. 57, n. 1.