Il Green Deal, che ha fissato l’obiettivo di fare dell’Europa il primo continente a raggiungere la neutralità climatica, è ormai entrato nella fase di attuazione. L’articolo contiene un’analisi del sistema di governance adottato nell’Unione europea per realizzare gli obiettivi del Green Deal, sia sotto il profilo della divisione verticale delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri sia sotto quello della divisione orizzontale dei poteri all’interno dell’Unione europea.
Parole chiave: Green Deal – Unione europea – Recovery plan – energia – ambiente.
The Green Deal, which aims to make Europe the world’s first climate-neutral continent, is now in its implementation phase. The article analyses the governance system adopted by the European Union for achieving the objectives of the Green Deal, with respect both to the vertical division of competences between the Union and the Member States and to the horizontal division of powers within the European Union.
Keywords: Green Deal – European Union – Recovery plan – energy – environment.
1. Introduzione - 2. La base legale dei nuovi interventi - 3. Il perseguimento degli obiettivi climatici tra Unione europea e Stati membri: il sostegno agli investimenti sostenibili - 4. Segue. La governance in materia di energia e clima - 5. Conclusioni - NOTE
Nella comunicazione dell’11 dicembre 2019 sul Green Deal europeo [1], la Commissione ha fissato l’obiettivo della neutralità climatica da raggiungere entro il 2050 e ha definito le principali linee di intervento a tal fine, in linea con gli impegni assunti dall’Unione europea nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (l’accordo di Parigi).
La grave crisi scoppiata nei primi mesi del 2020 per effetto della pandemia da Covid-19 non ha comportato alcuna deviazione rispetto a tale impegno. Buona parte delle risorse economiche stanziate dal Next Generation EU (Recovery plan) [2] per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme nell’Unione europea è destinata al perseguimento degli obiettivi tracciati dal Green Deal. Il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) [3], la componente di gran lunga più rilevante del Recovery plan [4], stabilisce che almeno il 37% della spesa per investimenti e riforme programmata nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR) debba sostenere gli obiettivi climatici dell’Unione. Ciò significa circa 238 miliardi di euro in investimenti nel settore della sostenibilità ambientale.
Un ulteriore stimolo all’attuazione del Green Deal è offerto dalla legge europea sul clima [5], che ha codificato l’obiettivo a lungo termine della neutralità climatica mediante azzeramento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050, con saldo negativo delle emissioni dopo tale data [6]. La legge europea sul clima ha inoltre rivisto al rialzo i target in materia di riduzione di emissioni previsti dal Winter package, il pacchetto di proposte legislative presentato dalla Commissione nel novembre 2016 [7], fissando al 55% la soglia di riduzione delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990, da raggiungere entro il 2030 [8]. Con la comunicazione “fit for 55” [9], la Commissione ha quindi presentato un pacchetto di 13 proposte normative volte a realizzare i nuovi obiettivi climatici dell’Unione europea.
Il Green Deal è dunque ormai entrato nella fase di attuazione.
Qui di seguito svolgerò alcune brevi considerazioni sull’adeguatezza del sistema di governance dell’energia e del clima a garantire la realizzazione degli obiettivi del Green Deal, sotto un duplice profilo: quello della divisione verticale delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri e quello della divisione orizzontale dei poteri all’interno dell’Unione europea.
In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti [10]. Conseguentemente, ogni atto dell’Unione deve trovare la propria base legale in una disposizione dei Trattati che attribuisce il potere e delimita i modi di esercizio dello stesso.
Il Trattato di Lisbona ha rafforzato l’impegno dell’Unione in materia di tutela dell’ambiente, includendo tra gli obiettivi da raggiungere anche quello della lotta contro i cambiamenti climatici [11], ed ha incluso l’energia, oltre all’ambiente, tra le materie in cui l’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri [12]. Il Trattato di Lisbona, se da una parte ha introdotto una chiara base giuridica per una Green Industrial Policy, dall’altra parte non ha però voluto incidere sulla pretesa degli Stati membri a definire autonomamente aspetti cruciali della propria politica energetica, come quelli relativi alla struttura e alla sicurezza degli approvvigionamenti. In effetti, in deroga al principio secondo cui gli interventi volti a perseguire la politica ambientale [13] ed energetica [14] dell’Unione richiedono la procedura legislativa ordinaria, l’art. 194(2), secondo paragrafo TFUE stabilisce che gli atti dell’Unione non possono incidere «sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico, fatto salvo l’articolo 192(2), lettera c)». Tale disposizione richiede una procedura speciale, con il voto unanime del Consiglio, per una serie di misure tra cui, per quanto qui interessa, quelle «aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo». I Trattati hanno dunque inteso garantire agli Stati membri la sovranità nelle scelte fondamentali attinenti alla propria politica energetica, attribuendo a ciascuno di essi un decisivo potere di veto.
Il programma prefigurato dal Green Deal, tuttavia, finisce necessariamente per incidere in maniera significativa sulle scelte di politica energetica degli Stati membri, rendendo inevitabile la progressiva eliminazione degli impianti di produzione di energia che impiegano combustibili fossili o tecnologie a forte impatto emissivo [15]. La Commissione, dopo avere sottolineato che la produzione e l’uso dell’energia determinano oltre il 75% delle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione europea, ha appunto evidenziato la necessità di misure volte a «sviluppare un settore dell’energia basato in larga misura su fonti rinnovabili, con la contestuale rapida eliminazione del carbone e la decarbonizzazione del gas» [16]. Senza un intervento diretto da parte degli Stati membri volto a riconfigurare le proprie fonti di produzione e di approvvigionamento di energia, in sostanza, non sarà possibile realizzare gli ambiziosi obiettivi in materia di limitazione delle emissioni di gas a effetto serra e di decarbonizzazione previsti dal Green Deal e dalla legge europea sul clima. Alcuni Stati membri hanno però un sistema energetico ancora largamente dipendente da impianti che impiegano i tradizionali combustibili fossili. La politica europea di decarbonizzazione ambientale è quindi destinata ad incontrare resistenze da parte dei paesi tenuti ad un pesante processo di riconversione industriale.
La vicenda relativa al sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (ETS) è indicativa. Tale sistema, com’è noto, è volto a disincentivare l’impiego dei combustibili che producono maggiori emissioni inquinanti [17]. Esso si basa sulla fissazione di un tetto massimo alle emissioni di alcuni agenti inquinanti (in particolare biossido di carbonio, ossido di azoto e perfluorocarburi) e sulla introduzione di quote di emissione, che le imprese inquinanti ricevono o debbono acquistare sul mercato. La Polonia, che dipende in maniera particolarmente elevata dai combustibili fossili, ha contestato l’adozione, a mezzo di una procedura legislativa ordinaria, della decisione del 6 ottobre 2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla costituzione di una riserva stabilizzatrice del mercato delle quote di emissione. Tale decisione, volta a fronteggiare l’eccedenza di quote disponibili sul mercato, mirava a favorire il corretto funzionamento del sistema ETS e quindi a promuovere un aumento del costo delle emissioni inquinanti. Il governo polacco sosteneva che la decisione, producendo effetti sulle scelte in materia di approvvigionamento energetico, avrebbero dovuto essere adottata con decisione unanime e non invece a maggioranza. La Corte di giustizia è stata di diverso avviso. Nel respingere il ricorso di annullamento ex art. 263 TFUE della Polonia, la Corte ha offerto un’interpretazione restrittiva dell’ambito di applicazione dell’art. 192(2), lett. c) TFUE. La Corte ha infatti osservato che tale disposizione deve essere letta in combinato disposto con l’art. 191 TFUE, che fonda la competenza dell’Unione nella salvaguardia dell’ambiente e nella lotta contro il cambiamento climatico. Poiché le misure adottate a tal fine hanno necessariamente un impatto sul settore energetico degli Stati membri, prosegue la Corte, un’interpretazione estensiva dell’articolo 192(2), lett. c) TFUE finirebbe per «erigere a regola generale il ricorso a una procedura legislativa speciale che ha il carattere di deroga prevista dal TFUE». Ne consegue che tale disposizione può costituire la base giuridica di un atto dell’Unione «soltanto se risulta dallo scopo e dal contenuto di quest’ultimo che il risultato principale perseguito da tale atto consiste nell’avere una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo» [18].
Così circoscritto l’ambito di applicazione della procedura speciale prevista dall’art. 192(2), lett. c) TFUE, la Commissione non ha avuto particolari difficoltà nell’individuazione della base legale idonea a supportare le molteplici misure volte a dare attuazione al Green Deal. La legge europea sul clima, che rende obbligatorio il traguardo della neutralità climatica entro il 2050 e introduce un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, è stata approvata attraverso la procedura legislativa ordinaria in forza della base legale offerta dall’art. 192(1) TFUE. Tale disposizione è stata poi utilizzata per supportare, tra l’altro, la proposta di nuovi interventi sul sistema di scambio di quote di emissione [19], sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere [20] e sulle riduzioni annuali dei gas a effetto serra [21]. L’art. 194(2), primo paragrafo TFUE ha fornito la base legale per una serie di altri interventi volti alla realizzazione del Green Deal ed aventi una indubbia incidenza sulle politiche energetiche dei singoli Stati membri, tra cui quelli in materia di energie rinnovabili [22], di mercato interno delle rinnovabili, del gas naturale e dell’idrogeno [23] e di riduzione delle emissioni di metano nel settore dell’energia [24]. La Commissione non ha poi avuto problemi nell’individuare la base legale idonea a supportare ulteriori proposte in materia di riduzione delle emissioni nei trasporti [25], di efficienza energetica [26], di riduzione delle emissioni nel settore dell’uso del suolo, della silvicoltura e dell’agricoltura [27] di riforestazione e stoccaggio del carbonio. Soltanto per la proposta riguardante la materia della tassazione energetica è stata prevista la necessità di approvazione con voto unanime del Consiglio [28].
In definitiva, alla luce dei chiarimenti forniti dalla Corte di giustizia sull’ambito di applicazione dell’articolo 192(2), lett. c) TFUE, la scelta della base legale delle misure volte a dare attuazione al Green Deal non appare destinata a sollevare particolari conflitti di competenza tra le istituzioni dell’Unione o tra questa e gli Stati membri.
Come evidenziato da un’attenta dottrina, il Green Deal riflette una scelta di politica industriale che, attraverso il rafforzamento dell’intervento pubblico sulle dinamiche del mercato, mira a trasformare i principali settori economici dell’Unione: l’energia, i trasporti, l’industria, l’edilizia, l’agricoltura e l’uso del suolo [29]. Un programma, è stato aggiunto, destinato incidere sulla costituzione economica europea [30] e a far scattare una nuova fase del processo di integrazione europea, incentrata su un diverso modello di crescita e su un rapporto più armonioso tra uomo e ambiente [31]. Nella strategia del Green Deal sono del resto compresi anche interventi di solidarietà a favore degli Stati membri, delle regioni, delle zone rurali e urbane e delle fasce sociali che saranno svantaggiati dal processo di trasformazione industriale imposto dalla transizione verde [32].
Per conseguire obiettivi così ambiziosi, l’Unione europea ha operato su due fronti: ha promosso l’introduzione di misure volte a rendere possibili massicci investimenti sostenibili, da una parte, e ha previsto forme di indirizzo e di coordinamento delle azioni degli Stati membri, dall’altra parte.
La promozione degli investimenti sostenibili richiede sia un adattamento delle regole di concorrenza, sia un adeguato sostegno economico agli investimenti sostenibili.
La concorrenza, è stato efficacemente sottolineato, sta progressivamente cessando di essere “un fine in sé e un super principio”, per tornare ad essere uno strumento di efficienza che non può essere applicato senza tenere conto degli obiettivi di fondo che l’Unione mira a perseguire [33]. La Commissione, nella recente comunicazione in materia di aiuti di Stato [34], ha significativamente riconosciuto che la politica di concorrenza può svolgere un ruolo importante per il conseguimento degli obiettivi del Green Deal, e ha adottato specifici orientamenti in merito alla valutazione della compatibilità degli aiuti concessi per attività economiche in materia di ambiente e di energia. I nuovi orientamenti sugli aiuti di Stato mirano a promuovere il conseguimento degli obiettivi del Green Deal, facilitando la concessione di finanziamenti pubblici non soltanto per la produzione energetica da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, ma anche per una serie di altre attività, tra cui la mobilità green, le infrastrutture, l’economia circolare, la riduzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità, nonché la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. È auspicabile che la priorità assegnata all’obiettivo di decarbonizzazione verrà tenuta in considerazione in tutti i settori in cui operano norme a tutela della concorrenza, come ad esempio nella valutazione di ammissibilità di operazioni di concentrazione ovvero nell’assegnazione di pubblici appalti o nella regolazione dei servizi di interesse generale [35].
L’Unione europea ha stanziato ingenti finanziamenti a supporto di investimenti sostenibili [36]. In particolare, un fortissimo impulso alla transizione verde sarà offerto dalle risorse messe a disposizione dall’Unione nell’ambito del piano straordinario di intervento volto a fronteggiare le conseguenze della pandemia da Covid-19. Il RRF, oltre a imporre agli Stati membri di destinare ad investimenti sostenibili almeno il 37% delle risorse previste nell’ambito dei rispettivi PNRR, stabilisce che che nessuno degli investimenti previsti in tali piani possa arrecare «un danno significativo agli obiettivi ambientali» [37].
Il principio dell’assenza di danno significativo all’ambiente [38] è stato introdotto dal regolamento 2020/852 sulla tassonomia verde dell’Unione europea [39]. In forza di tale regolamento, un’attività economica è considerata ecosostenibile se contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali ivi previsti e, al contempo, “non arreca un danno significativo a nessuno di essi”. Il regolamento ha affidato alla Commissione il compito di adottare atti delegati volti a fissare i criteri tecnici che consentono di stabilire se una determinata attività rientra tra gli obiettivi ambientali [40]. Si tratta di un potere assai importante, che può determinare notevoli conseguenze sulle scelte di politica industriale degli Stati membri. Per tale motivo il potere delegato alla Commissione è sottoposto ad una serie di limiti. In primo luogo, sono previsti due organi di consulenza della Commissione sulla tassonomia: la piattaforma sulla finanza sostenibile, composta da un ampio gruppo di esperti europei indicati dalla stessa Commissione [41], ed il Gruppo di esperti degli Stati membri sulla finanza sostenibile [42]. In secondo luogo, la delega conferita alla Commissione sulla tassonomia può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio [43]. I limiti così posti al potere della Commissione dipendono dall’importanza della posta in gioco. L’inclusione o meno di determinati investimenti nella tassonomia finisce infatti per avere un peso decisivo nell’orientare gli investimenti pubblici e privati. Non meraviglia quindi la polemica scoppiata a seguito della nuova proposta sulla tassonomia approvata dalla Commissione lo scorso 2 febbraio 2022, che ha incluso anche gli impianti di produzione di energia alimentati dal gas o dal nucleare tra quelli considerati idonei a contribuire al perseguimento degli obiettivi ambientali dell’Unione, mentre tali impianti non erano considerati ecocompatibili nel regolamento delegato del 4 giugno 2021 [44]. La nuova proposta della Commissione è stata oggetto di numerose critiche provenienti dalla Piattaforma sulla finanza sostenibile [45], da alcuni Stati membri e da esponenti del Parlamento europeo.
La tendenza ad evitare una eccessiva concentrazione di poteri a favore della Commissione è emersa con grande evidenza nel corso dei negoziati per l’approvazione della legge europea sul clima, dove la proposta iniziale di attribuire a tale istituzione il potere di fissare con atti delegati la traiettoria verso la neutralità climatica per il 2050 è scomparsa nel testo finale [46]. Alcuni governi, tra cui quello italiano, avevano infatti espresso riserve sul riconoscimento alla Commissione di tale potere, ritenendo più opportuno un coinvolgimento degli Stati membri [47].Tale vicenda, come rilevato da attenta dottrina, rappresenta una evidente spia delle tensioni che sussistono tra l’Unione europea e le autorità nazionali nella definizione della governance in materia di energia e del clima [48].
Anche i poteri riconosciuti alla Commissione nell’ambito dell’attuazione del RRF sono stati in qualche modo limitati dalla necessità di un intervento del Consiglio. Alla Commissione spetta verificare se gli interventi previsti nei piani nazionali di ripresa e resilienza sono in grado di contribuire alla transizione verde e non arrecano un danno significativo agli obiettivi ambientali dell’Unione. Se le verifiche svolte dalla Commissione, nel contraddittorio con lo Stato interessato, hanno esito positivo, i PNRR, con l’individuazione degli obiettivi e dei traguardi al cui conseguimento è legata l’erogazione delle risorse, sono inviati al Consiglio per l’approvazione [49]. La rilevanza centrale che i PNRR rivestono per gli Stati membri interessati spiega il particolare meccanismo di governance previsto dal RRF, che affida alla Commissione un potere di istruttoria ma riserva la decisione finale all’organo rappresentativo dei governi nazionali.
Sotto questo profilo appare dunque confermato il paradosso dell’Unione europea, che da una parte continua a rafforzare l’integrazione e ad allargare il proprio raggio di intervento, ma dall’altra parte esita a conferire nuovi incisivi poteri alle istituzioni sovranazionali, ed in particolare alla Commissione [50].
Lo stanziamento di ingenti risorse a favore di interventi ecosostenibili, l’adattamento delle regole di concorrenza e gli interventi normativi proposti con il pacchetto “fit for 55” indurranno verosimilmente ciascuno Stato membro ad adottare una politica capace di realizzare i target di miglioramento ambientale previsti dalla legge europea sul clima. È tuttavia diffusa la convinzione che l’Unione non disponga di strumenti adeguati a superare eventuali inerzie degli Stati membri.
La possibilità di avviare una procedura di infrazione nei confronti degli Stati che, in ipotesi, non dovessero rispettare la tabella di marcia per la transizione verde prevista dal Green Deal è sicuramente una potente arma a disposizione della Commissione. La Commissione, in particolare, potrebbe indicare allo Stato membro inadempiente le misure da intraprendere e, dopo la notifica di una lettera di messa in mora e di un parere motivato, chiedere alla Corte di giustizia la verifica dell’infrazione e, se del caso, l’applicazione di adeguate sanzioni pecuniarie. La decisione della Corte di giustizia, però, arriverebbe verosimilmente troppo tardi e, comunque, non garantirebbe la riduzione di emissioni che ciascun sistema nazionale è tenuto ad effettuare.
Un recente editoriale apparso su Common Market Law Review [51] ha ricordato numerose recenti decisioni in cui giudici nazionali hanno imposto a imprese private o allo Stato di adottare tutte le azioni necessarie per l’adempimento degli obblighi di riduzione delle emissioni imposti dall’Unione o da accordi internazionali [52]. Pochi sarebbero però disposti a credere che l’astratta possibilità di un intervento della Corte di giustizia o delle Corti nazionali sia sufficiente ad assicurare la realizzazione dei target climatici stabiliti dalla legge europea sul clima.
L’ETS è stato fino ad oggi lo strumento principale utilizzato dall’Unione europea per imporre agli Stati membri la limitazione delle emissioni di gas serra. La Commissione ha recentemente proposto di estendere l’ETS a nuovi settori, tra cui quelli dei trasporti su strada e marittimi e dell’edilizia, Come è stato giustamente ricordato, però, la fissazione di tetti alle emissioni inquinanti e l’introduzione del mercato delle quote di emissioni non hanno fino ad oggi prodotto gli effetti auspicati, dal momento che il mercato europeo è stato investito da un eccesso di offerta che ha indotto un livello di prezzi troppo basso così da rendere «più conveniente inquinare che cambiare» [53].
Come riuscire quindi ad imporre agli Stati membri l’obbligo di rispettare gli obiettivi di miglioramento ambientale previsti dalla legge europea sul clima? È diffusa l’opinione circa l’esistenza di una discrasia tra gli obiettivi perseguiti e gli strumenti messi in campo per realizzarli. L’impianto regolatorio volto a garantire il coordinamento e l’indirizzo delle azioni degli Stati membri, infatti, appare troppo debole e inadeguato a garantire il rispetto della tabella di marcia verso la neutralità climatica [54].
La legge europea sul clima non è riuscita a superare i limiti del regolamento 2018/1999 sulla governance europea dell’energia [55]. Ciascuno Stato deve sottoporre alla Commissione i piani nazionali integrati per l’energia e il clima, le strategie nazionali a lungo termine e le relazioni intermedie biennali. La Commissione, se ritiene che le misure adottate non siano coerenti con gli obiettivi climatici dell’Unione, può rivolgere raccomandazioni specifiche ai singoli Stati membri [56]. Non è però prevista alcuna sanzione per il caso in cui uno Stato membro si discosti senza adeguata motivazione dalla raccomandazione della Commissione. Un sistema, questo, che attribuisce alla Commissione poteri sostanzialmente di soft law, non accompagnati da alcuna garanzia di enforcement.
Questa limitazione dei poteri della Commissione conferma la particolarità della governance europea del clima e dell’energia, dove ad un significativo progresso dell’integrazione sovranazionale non ha fatto seguito un corrispondente rafforzamento dei poteri attribuiti in questo campo alle istituzioni sovranazionali europee, ovvero la Commissione e il Parlamento europeo. Si tratta di un fenomeno non nuovo. Fin dalle prime fasi dell’Unione europea, gli Stati membri sono stati disposti ad accettare la crescente cessione di sovranità a condizione di poter incidere attraverso gli organi intergovernativi, in particolare il Consiglio, sulle più importanti decisioni [57]. I limiti che oggi incontra il sistema di governance dell’energia e del clima riflettono appunto la preoccupazione degli Stati membri di cedere un’eccessiva sfera di sovranità su scelte di politica industriale che condizioneranno lo sviluppo economico e sociale del prossimo futuro.
Sul piano dei rapporti verticali tra Unione e Stati membri, la legge europea sul clima e le altre misure contenute nel pacchetto “fit for 55” non violano il riparto di competenze tracciato dai Trattati. L’interpretazione restrittiva offerta dalla Corte di giustizia all’art. 192(2), lett. c), TFUE, infatti, ha privato i singoli Stati membri del potere di veto su quelle misure di contrasto al cambiamento climatico che, nella sostanza, finiscono per condizionare la politica energetica di ciascuno Stato membro. Il riparto di competenze tra Unione e Stati membri non rappresenta dunque un ostacolo alla realizzazione del Green Deal.
Il modello di governance prescelto dall’Unione, invece, è sembrato a molti inadeguato a garantire il raggiungimento degli obiettivi della transizione green [58]. Troppo deboli, si è detto, sono i poteri riconosciuti alla Commissione. Al notevole passo in avanti compiuto sul versante dell’integrazione delle politiche ambientali e dell’energia, infatti, non corrisponde un rafforzamento delle istituzioni che rappresentano l’anima sovranazionale dell’Unione. Senza attribuire alla Commissione effettivi poteri di enforcement, come sarà possibile fissare una comune tabella di marcia e conciliare le opposte visioni di chi, ad esempio, punta sul nucleare e chi, invece, si oppone a questa tecnologia, di chi vorrebbe smantellare velocemente tutte le centrali alimentate dai tradizionali combustibili fossili e chi, all’opposto, le ritiene ancora indispensabili per il proprio fabbisogno energetico?
Grande eco al riguardo ha avuto la decisione del governo francese, comunicata dal Presidente Emanuelle Macron in una conferenza sulla politica energetica tenuta a Belfort lo scorso 10 febbraio 2022, di costruire sei nuovi impianti nucleari, e di avviare gli studi di fattibilità per ulteriori otto centrali, mantenendo in esercizio di tutti gli impianti nucleari oggi in funzione nel territorio francese. Il nucleare sarà quindi al centro del “mix energetico” prescelto dalla Francia per il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050. La Germania aveva però deciso di andare nella direzione diametralmente opposta: nel 2021 ha avviato la chiusura di tre delle sei centrali nucleari operative nel territorio tedesco e ha deciso di fermare l’attività delle restanti tre centrali entro il 2022. Se Francia e Germania hanno ribadito l’impegno a raggiungere i traguardi indicati dalla legge europea sul clima, seppure con modalità del tutto differenti, il piano di transizione verde prefigurato dal Green Deal è ancora oggi fortemente criticato da alcuni Stati, in particolare la Polonia e la Repubblica Ceca, che hanno un sistema energetico incentrato sull’impiego dei tradizionali combustibili fossili. All’interno dell’Unione continuano quindi a sussistere profonde divergenze sia sugli obiettivi imposti dal Green Deal, sia sul modo in cui realizzarli, come evidenziato in maniera palmare anche dalle polemiche che hanno accompagnato la nuova proposta della Commissione sulla tassonomia verde dell’Unione europea. La situazione si è ulteriormente complicata per effetto dello scoppio della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica che ha colpito l’Unione europea. La Germania ha recentemente dichiarato di non voler chiudere entro il 2022 le centrali nucleari attive, e di prendere in considerazione la riapertura di quelle disattivate. La crisi energetica ha inoltre rafforzato l’opposizione degli Stati contrari alla chiusura delle centrali più inquinanti, in particolare quelle alimentate a carbone.
È pur vero che il modello istituzionale tracciato dal Green Deal e dal Recovery Plan, che continua ad attribuire un ruolo centrale alle istituzioni che rappresentano l’anima intergovernativa dell’Unione, appare in linea di principio inadeguato rispetto a obiettivi così ambiziosi come quelli della green transition. Tuttavia, appare oggi difficile immaginare che le diverse visioni degli Stati membri in materia di politica ambientale ed energetica possano essere risolte attraverso atti d’imperio adottati dalla Commissione europea. Il ruolo centrale che il Green Deal e il Recovery Plan continuano a riservare alle istituzioni intergovernative riflette indubbiamente questa preoccupazione. Alla Commissione può certamente essere riconosciuto un decisivo potere di impulso e di coordinamento. Quando però dovessero emergere divergenze di opinioni e di interessi non componibili attraverso strumenti di moral suasion, nella fase attuale del processo di integrazione europea sono i dialoghi e i negoziati a livello intergovernativo che più facilmente possono permettere di prevenire e comporre pericolosi conflitti politici. Nella fase attuale del processo di integrazione europea, cioè, è il metodo intergovernativo ad offrire paradossalmente maggiori probabilità di facilitare soluzioni di compromesso su quelle scelte fondamentali di politica industriale, che gli Stati membri continuano a ritenere, a torto o a ragione, rientranti nell’ambito della sovranità nazionale.
La peculiarità della governance europea dell’energia e dell’ambiente, che nel prossimo futuro dovrà auspicabilmente essere adeguata alle esigenze di una effettiva integrazione sovranazionale, nell’attuale delicato momento storico può facilitare una mediazione tra le opposte visioni e i divergenti interessi degli Stati membri e, in tal modo, evitare conflitti dalle conseguenze imprevedibili.
<[1] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Il Green Deal europeo”, COM(2019) 640 final del 11 dicembre 2019. Sul Green Deal e le misure volte a dare attuazione agli obiettivi in esso tracciati è in corso un ampio dibattito. Cfr. al riguardo, tra gli altri, E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica europea e assetti di governance, in Dir. pubb., 2021, p. 415 ss.; E. Chiti, Managing the Ecological Transition of the EU: the European Green Deal as a Regulatory Process, in Common Market Law Review, 2022, p. 19 ss.; L. Ammannati, Energia e ambiente: regolazione per la transizione, in M. Passalacqua (a cura di), Diritti e mercati nella transizione ecologica e digitale, Cedam, Padova, 2021, p. 169 ss.; A. Moliterni, Il Green Deal europeo e le sfide per il diritto dell’ambiente, in Riv. quadr. dir. amb., 2021, p. 4 ss.
[2] Regolamento (UE) n. 2020/2094 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, che istituisce uno strumento dell’Unione europea per la ripresa, a sostegno alla ripresa dell’economia dopo la crisi COVID-19.
[3] Regolamento (UE) n. 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza.
[4] Il budget del RRF ammonta a 672,5 miliardi di euro, circa il 90% della somma di 750 miliardi stanziata nell’ambito del Recovery Plan.
[5] Regolamento (UE) n. 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021 che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento (CE) n. 401/2009 e il regolamento (UE) n, 2018/1999 (“c.d. Legge europea sul clima”).
[6] Art. 2, par. 1, legge europea sul clima.
[7] Cfr. la comunicazione della Commissione “Energia pulita per tutti gli europei”, COM (2016) 860 final. Il Winter package comprendeva otto proposte legislative volte a stimolare la transizione verso un’economia sostenibile e a modificare la disciplina sul mercato interno dell’elettricità. In argomento cfr. E. Bruti Liberati-M. De Focatiis-A. Travi (a cura di), La transizione energetica e il Winter Package. Politiche pubbliche e regolazione dei mercati, Wolters Kluwer, Milano, 2018.
[8] Art. 4, par. 1, legge europea sul clima.
[9] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, “Pronti per il 55 %”: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica, COM(2021) 550 final, 14 luglio 2021. In argomento cfr. l’editoriale The European Climate Law: Making the social market economy fit for 55í, in Common Market Law Review, 2021, p. 1321 ss.
[10] Art. 5, par. 2, TUE.
[11] Art. 191(1), quarto trattino TFUE.
[12] Art. 4(2), lett. e) e i) TFUE.
[13] L’art. 191, par. 1 TFUE stabilisce che la politica dell’Unione in materia ambientale è volta a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
[14] L’art. 194 TFUE individua i seguenti obiettivi della politica energetica dell’Unione: garantire il corretto funzionamento del mercato interno, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica, lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili e, infine, promuovere l’interconnessione delle reti energetiche.
[15] Cfr. al riguardo E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., 2021, p. 425 ss.
[16] Cfr. il Green Deal, par. 2.1.2.
[17] Sull’Emission Trading System cfr. R. Baldwin-M. Cave-M. Lodge, Understanding Regulation. Theory, Strategy, and Practice, Oxford University Press, Oxford, 2012, p. 195 ss.
[18] Corte di giustizia, sentenza 21 giugno 2018, causa C-5/16, Repubblica di Polonia contro Parlamento e Consiglio.
[19] Cfr. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell’Unione, della decisione (UE) 2015/1814 relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema dell’Unione per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra e del regolamento (UE) 2015/757 (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 551 final – 2021/0211 (COD)).
[20] Cfr. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 564 final – 2021/0214 (COD)).
[21] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2018/842 relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 555 final – 2021/0200 (COD)).
[22] Cfr. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva n. 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 557 final, 2021/0218 (COD)).
[23] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul mercato interno delle rinnovabili, del gas naturale e dell’idrogeno (rifusione) (Brussels, 15 dicembre 2021, COM(2021) 804 final – 2021/0424 (COD)) dove peraltro l’art. 194 TFUE è stato utilizzato insieme all’art. 114 TFUE.
[24] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla riduzione delle emissioni di metano nel settore dell’energia che modifica il regolamento (EU) 2019/94 (Brussels, 15 dicembre 2021, COM(2021) 805 final – 2021/0423 (COD)).
[25] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2019/631 per quanto riguarda il rafforzamento dei livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, in linea con la maggiore ambizione dell’Unione in materia di clima (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 556 final – 2021/0197 (COD)) nonché le proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla garanzia di condizioni di parità per un trasporto aereo sostenibile (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 561 final 2021/0205 (COD)) e sull’uso di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di carbonio nel trasporto marittimo e che modifica la direttiva 2009/16/CE (Bruxelles, 14 luglio 2021 COM(2021) 562 final 2021/0210 (COD)).
[26] Cfr. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prestazione energetica nell’edilizia (rifusione) (Bruxelles, 15 dicembre 2021, COM(2021) 802 final – 2021/0426 (COD)) e la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’efficienza energetica (rifusione) (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 558 final – 2021/0203 (COD)).
[27] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2018/841 per quanto riguarda l’ambito di applicazione, semplificando le norme di conformità, stabilendo gli obiettivi degli Stati membri per il 2030 e fissando l’impegno di conseguire collettivamente la neutralità climatica entro il 2035 nel settore dell’uso del suolo, della silvicoltura e dell’agricoltura, e il regolamento (UE) 2018/1999 per quanto riguarda il miglioramento del monitoraggio, della comunicazione, della rilevazione dei progressi e della revisione (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 554 final – 2021/0201 (COD)).
[28] Proposta di direttiva del Consiglio che ristruttura il quadro dell’Unione per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (rifusione) (Bruxelles, 14 luglio 2021, COM(2021) 563 final – 2021/0213 (CNS)).
[29] Cfr. E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., p. 416 ss., 425.
[30] Si veda L. Ammannati, Energia e ambiente: regolazione per la transizione, cit.
[31] E. Chiti, Managing the Ecological Transition of the EU: the European Green Deal as a Regulatory Process, cit., p. 25 ss.
[32] Cfr. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo sociale per il clima (COM(2021) 568 final del 14 luglio 2021). In questa prospettiva si veda già il Regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 che istituisce il Fondo per una transizione giusta.
[33] Cfr. E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., p. 416 ss.
[34] Comunicazione della Commissione sulla disciplina in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia 2022, Bruxelles, 27.1.2022 C(2022) 481 final.
[35] Cfr. E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., p. 424. Sull’incidenza delle considerazioni di carattere ambientale in ambito antitrust cfr. C. Muraca, Tutela della concorrenza e sostenibilità ambientale: un dialogo difficile ma necessario, in questa Rivista, 2021, p. 70 ss.
[36] Si calcola in circa 1.000 miliardi l’importo messo in campo dall’Unione nel prossimo decennio per investimenti sostenibili: cfr. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/
european-green-deal/finance-and-green-deal_it.
[37] Cfr. l’art. 18, par. 4, lett. e) e d), del regolamento (UE) 2021/241.
[38] Al riguardo cfr. C. De Vincenti, The “do no significant harm” principle: Two possible interpretations, Luiss School of European Political Economy, Policy Brief 6/2022.
[39] Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088.
[40] Ai sensi dell’’art. 6 del regolamento (UE) 2020/852, si intendono per obiettivi ambientali: la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, la transizione verso un’economia circolare, la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
[41] Art. 20, regolamento (UE) n. 2020/852.
[42] Art. 24, regolamento (UE) n. 2020/852.
[43] Art. 23, par. 2, regolamento (UE) n. 2020/852.
[44] Regolamento (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088.
[45] Cfr. il Response to the Complementary Delegated Act, 21 gennaio 2022, in https://
ec.europa.eu/info/sites/default/files/business_economy_euro/banking_and_finance/documents/220121-sustainable-finance-platform-response-taxonomy-complementary-delegated-act_en.pdf.
[46] Come ricorda L. Ammannati, Energia e ambiente: regolazione per la transizione, I, cit., l’art. 3 della proposta di regolamento che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica (COM(2020) 80 final del 4 marzo 2020) affermava che «alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati al fine di integrare il presente regolamento fissando una traiettoria a livello dell’Unione per conseguire entro il 2050 l’obiettivo della neutralità climatica».
[47] Cfr. Senato della Repubblica, Servizio Studi, Note su atti dell’Unione europea, Nota n. 59/2020, Transizione verde e obiettivi climatici: gli esiti del Consiglio Ambiente, dove si richiama l’opposizione dell’Italia alla proposta di riconoscere alla Commissione europea del potere di stabilire, con atti delegati, la traiettoria di riduzione delle emissioni dei gas serra nel periodo 2031-2050 non ha trovato accoglimento.
[48] Cfr. M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Riv. giur. ambiente, 2021, p. 59.
[49] Cfr. gli artt. 19 ss. del regolamento (UE) n. 2021/241.
[50] Cfr. S. Fabbrini-U. Puetter, Integration without supranationalisation: studying the lead roles of the European Council and the Council in post-Lisbon EU politics, in Journal of European Integration, 2016, p. 481 ss.; D. Hodson-U. Petter, The European Union in disequilibrium: new intergovernmentalism, postfunctionalism and integration theory in the post-Maastricht period, in Journal of European Public Policy, 2019, p. 1153 ss.
[51] Cfr. The European Climate Law, cit., p. 1326 ss.
[52] Cfr. al riguardo le interessanti considerazioni di M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, cit., p. 60 ss., la quale, pur evidenziando le criticità del contenzioso sui cambiamenti climatici, sottolinea che lo stesso ha un forte valore simbolico e strategico.
[53] Cfr. L. Ammannati, Energia e ambiente: regolazione per la transizione, cit.; T. Favaro, Regolare la “transizione energetica”: Stato, mercato, innovazione, Wolters Kluwer, Milano, 2020, p. 103 ss.
[54] E. Chiti, Managing the Ecological Transition of the EU: the European Green Deal as a Regulatory Process, cit., p. 42 ss.; Cfr. altresì E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., p. 428 ss.
[55] Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica le direttive (CE) n. 663/2009 e (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[56] Cfr. art. 9 par. 3 del regolamento (UE) n. 2018/1999 e l’art. 7, par. 3, della legge europea sul clima.
[57] Al riguardo è ancora attuale l’analisi di J. Weiler, Il sistema comunitario europeo, il Mulino, Bologna, 1985.
[58] Cfr. al riguardo le considerazioni di E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica, cit., p. 428, il quale ritiene necessario un rafforzamento dei poteri di coordinamento e di indirizzo della Commissione europea.