Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Misurare la sostenibilità: note introduttive e inquadramento del problema. Il ruolo del rating ESG (di Sara Michielin, Dottoranda di ricerca in diritto commerciale e industriale, Università degli Studi di Milano)


Il Contributo, dedicato all’analisi del fenomeno del rating ESG, muove da una ricostruzione dei più recenti interventi normativi sul tema, per poi concentrarsi su alcuni profili attinenti all’individuazione di metriche di misura della sostenibilità. Il lavoro pone la propria attenzione, in chiave critica, sul concetto stesso di “sostenibilità” (cosa è?) e, in particolare, sui profili metodologici (come si misura?) e su quelli strettamente legati all’ente misuratore (chi misura la sostenibilità?).

Parole chiave: Sostenibilità – ESG – rating – agenzie ESG –  finanza sostenibile – investimenti sostenibili –  greenwashing – metriche di sostenibilità.

Measuring sustainability: introductory notes and framing of the problem. The role of ESG rating

This study, dedicated to the analysis of the phenomenon of ESG rating, starts from a reconstruction of the most recent regulatory interventions on the topic, and then focuses on some profiles related to the identification of metrics of sustainability measurement. The work focuses critically on the concept of "sustainability" (what is it?) and, in particular, on methodological profiles (how is it measured?) and those closely linked to the measuring body (who measures sustainability?).

Keywords: Sustainability – ESG – ratings – ESG agencies – sustainable finance – sustainable investments –  greenwashing – sustainability metrics.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Chi misura la sostenibilità? Le agenzie di rating ESG - 2.1. Segue. Il quadro normativo - 3. Come si misura la sostenibilità? Profili metodologici - 3.1. Segue. I bias - 3.2. Segue. Normative regionali e sovranazionali - 3.3. Segue. Cause delle divergenze tra rating - 4. Il concetto di sostenibilità: la complessità del fenomeno - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, complice anche la crisi pandemica da covid-19, popolazione e imprese hanno dimostrato una crescente sensibilità e attenzione alle tematiche ambientali e sociali individuando nel “cambiamento” una possibile strada per il miglioramento delle condizioni di vita nonché una modalità per contrastare i cambiamenti climatici [1]. Il termine “sostenibilità [2]” ha assunto sempre maggior rilievo e, già da alcuni anni, ha interessato anche i partecipanti ai mercati finanziari ai quali, per il tramite di obblighi di disclosure, è stato imposto dall’Unione Europea di modificare attivamente le proprie politiche ai fini di integrare i rischi di sostenibilità all’interno di alcuni loro processi decisionali. L’obbligo di pubblicazione [3] pare pertanto rappresentare lo strumento scelto dal legislatore per il raggiungimento dei propri obiettivi: l’attenzione alla sostenibilità è, da un lato, un presupposto per adempiere a detta imposizione e, dall’altro, una condizione per poter beneficiare di investimenti “sostenibili” e “responsabili” [4]. Se, invero, i rischi di sostenibilità devono essere integrati nei processi decisionali volti ad individuare le società meritevoli di investimento, anche quest’ultime saranno tenute a “dimostrare”, a loro volta, un interesse e un impegno concreto ed effettivo in queste tematiche. Ne consegue che, proprio in questo settore, sempre di maggiore interesse è la ricerca di una definizione di sostenibilità (cosa è la sostenibilità?) nonché l’individuazione di metriche per la sua misurazione (come si misura la sostenibilità?). Se, invero, la determinazione di quanto una società (o uno strumento finanziario) sia “sostenibile” riveste un ruolo centrale all’interno dell’intera disciplina della finanza cd. sostenibile, il tema diviene dunque quello di comprendere come garantire (e dimostrare) detta “sostenibilità” – se sia sufficiente la trasparenza della metodologia utilizzata nella sua misurazione oppure se sussista la necessità di regole comuni che portino ad una definizione giuridica e condivisa di sostenibilità. Qualora poi, vi siano soggetti – agenzie di rating di sostenibilità – che [continua ..]


2. Chi misura la sostenibilità? Le agenzie di rating ESG

Nell’ultimo decennio l’attenzione del legislatore – e della finanza – si è dunque focalizzata su tematiche ESG cosicché gli operatori del mercato, destinatari direttamente o indirettamente di vincoli normativi, sono stati costretti a loro volta ad interessarsene e, nello specifico, ad individuare degli strumenti e delle modalità per assicurare la compliance normativa. Nel contesto così delineato, in assenza di un intervento normativo mirato a disciplinare specificatamente il fenomeno della valutazione della sostenibilità [5], il mercato si è affidato a quei soggetti che già da anni si occupavano di rating e che, dunque, sembravano rappresentare la soluzione più competente e affidabile [6]. Non sorprende pertanto che, a partire dal 2016, si siano susseguite una serie di operazioni societarie grazie alle quali le agenzie di rating del credito hanno iniziato ad acquisire fornitori ESG più piccoli e specializzati e/o hanno investito in modo significativo risorse per sviluppare le proprie competenze/capacità ESG [7] contribuendo allo sviluppo del fenomeno delle agenzie di rating ESG o “di sostenibilità” o “etico” [8] che, similmente a quanto avviene ad opera delle credit rating agencies (CRAs) [9], rispondono proprio all’esigenza di colmare il gap informativo tra investitore e operatori del mercato. La complessità della materia affrontata, le molteplici informazioni alla base (v. infra par. 3), la continua evoluzione normativa sono solo alcune delle motivazioni che hanno condotto alla richiesta di un soggetto altamente specializzato che abbia le competenze, il tempo nonché gli strumenti per fornire una valutazione circa la sostenibilità di un’emittente dimostrando, ancora una volta, che – a prescindere dall’esistenza o meno di una normativa di settore – tali entità nascono e si sviluppano ugualmente e, pertanto, necessitano di essere regolamentate. Il tal senso il noto dibattito che ha seguito la nascita delle CRAs – la necessità o meno di un intervento legislativo in materia [10] – dovrebbe rappresentare un monito per il legislatore che, seppur conscio di tale esigenza, per il momento si è limitato ad elencare principi e individuare problematiche senza un’effet­tiva presa di posizione. Ciò premesso non [continua ..]


2.1. Segue. Il quadro normativo

Premessa l’assenza di un framework normativo specifico – e nemmeno di casi di self-regulation [14] – che regoli il fenomeno del rating ESG, non manca tuttavia una certa sensibilità e attenzione da parte del regolatore europeo sul tema. In particolare, l’azione n. 6 del Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile [15] sottolinea come le valutazioni ESG rappresentino uno strumento per garantire un’allocazione del capitale più sostenibile e migliorino il flusso di informazioni fra gli emittenti e gli investitori. Posto, pertanto, il ruolo centrale del rating di sostenibilità, la Commissione europea promuove soluzioni atte a garantire che le agenzie di rating del credito – ritenute un elemento importante dei mercati finanziari correttamente funzionanti – integrano i fattori di sostenibilità nelle rispettive metodologie. A tal fine, l’istituzione europea invita la European Securities and markets Authority (ESMA) a “i) valutare le prassi in essere nel mercato del rating del credito entro il secondo trimestre del 2019, analizzando la misura in cui si tiene conto delle considerazioni di ordine ambientale, sociale e di governance [16]; ii) entro il secondo trimestre del 2019, includere le informazioni relative alla sostenibilità ambientale e sociale nei suoi orientamenti in materia di informativa destinati alle agenzie di rating del credito e tenere in considerazione ulteriori orientamenti o misure, se del caso”. Sulla base di tali affermazioni pare implicito un riconoscimento dell’ESMA come Autorità di riferimento non solo per il rating del credito – nel qual caso il suo ruolo di controllo è regolamentato – ma anche, almeno in questa fase iniziale, per il rating di sostenibilità. Nella lettera del 28 gennaio 2021 Steven Maijoor, allora Presidente del­l’ESMA, invita la Commissione Europea all’adozione di una proposta legislativa evidenziando i noti problemi del rating ESG e candidandosi esplicitamente quale Autorità competente [17]. La lettera è stata seguita dalla pubblicazione della Strategy for financing the transition to a sustainable economy del 6 luglio 2021 nel cui allegato si legge che la CE interverrà per implementare la credibilità, la comparabilità e la trasparenza dei rating ESG [18]. Per raggiungere tale obiettivo tuttavia [continua ..]


3. Come si misura la sostenibilità? Profili metodologici

Finora si è visto che, seppur in assenza di un intervento legislativo, le valutazioni ESG impattano in maniera rilevante sulla definizione della sostenibilità di un investimento e, pertanto, sull’intero andamento e sviluppo di una finanza sostenibile. In altri termini, semplificando, proprio al rating ESG viene attribuito il compito di indicare quando un investimento sia sostenibile o meno. Al fine di cogliere quale sia il contenuto del rating e, conseguentemente, cosa – almeno per il momento – possa essere definibile come sostenibile, pare utile indagare i meccanismi che governano il funzionamento del processo di valutazione ESG. Un’analisi dei profili metodologici sembra difatti essenziale ai fini di comprendere l’essenza del rating stesso. In altre parole, per una corretta ricostruzione del fenomeno, si ritiene utile partire dal “come” per poi tentare alcune osservazioni sul “cosa”. In primo luogo, a richiedere i servizi svolti dalle agenzie di rating possono essere gli investitori, gli asset manager, le banche e, in maniera ridotta, gli intermediari, i consulenti e le medesime società. In quest’ultimo caso è evidente che, come nel caso del rating del credito, il rischio che si verifichino situazioni di conflitto di interessi è elevato [32]. L’accesso ai servizi forniti dalle agenzie di rating avviene sulla base di tre differenti modelli: la sottoscrizione, la licenza e le commissioni basate su servizi su misura. Brevemente, nel primo caso gli utenti pagano un costo fisso per utilizzare il prodotto per un tempo predeterminato (solitamente annualmente), la licenza invece, seppur molto simile alla sottoscrizione di un abbonamento, solitamente è fornita per utente e richiede un costo iniziale maggiore e costi di manutenzione annuali inferiori. Infine, nell’ultimo caso, l’accesso a prodotti o servizi è offerto ad un prezzo “su misura” dal fornitore ed è pertanto altamente personalizzabile sulla base delle esigenze del richiedente. Ciò premesso, il modello prediletto è quello della “sottoscrizione” e solo alcune agenzie di rating propongono i loro servizi sulla base di licenze o prezzi personalizzati [33]. Identificati i soggetti fruitori dei servizi di rating e le modalità di accesso, il processo di rating è basato sulle seguenti fasi: (i) raccolta dati e [continua ..]


3.1. Segue. I bias

L’indagine sui profili metodologici – premesso che le fasi di analisi sono comuni a tutte le agenzie di rating mentre le differenze sono ravvisabili sui criteri utilizzati e sulle modalità di esternalizzazione del punteggio ESG – richiama l’attenzione dello studioso sulla presenza di alcune distorsioni (cd. bias) che possono condurre all’elaborazione di rating fuorvianti e non veritieri. Ci si riferisce ai noti bias connessi alla dimensione della società (Company Size Bias), alla posizione geografica (Geographical Bias) e al settore di produzione (Industry Bias) i quali rappresentano senz’altro elementi che dovranno essere considerati nell’elaborazione di un eventuale quadro normativo volto a regolare il fenomeno del rating di sostenibilità. In primo luogo, diversi studi hanno dimostrato che le società più grandi ottengono punteggi più elevati. Si è visto come, nell’elaborazione del rating, vengano presi in considerazione i dati forniti dalle società valutate e sia pertanto centrale il ruolo della disclosure non finanziaria cosicché la maggiore capacità di pubblicare dati impatterà (positivamente) sulla valutazione finale dell’ente. La capacità di una società di rendere note dette informazioni dipende – inevitabilmente – dalle risorse economiche destinabili allo scopo [41]. Ecco, quindi, che le società più piccole non avranno a disposizione un team di esperti – si è già accennato alla multidisciplinarietà che una tale materia richiede – da dedicare alla disclosure non finanziaria ma, come spesso accade anche per altre materie, il compito sarà affidato a risorse già presenti internamente alla realtà aziendale che – con molta probabilità – sono poco avvezze alla materia operando in altri campi (ufficio marketing piuttosto che ufficio amministrativo-contabile). In tal senso, certamente appare meritevole di considerazione l’approccio adottato da talune agenzie le quali, nel processo di assesment, utilizzano regole diverse e specifiche per valutare le imprese sulla base delle loro dimensioni (grandi – medio ovvero meno di 500 dipendenti – piccole ovvero meno di 100 dipendenti e piccolissime). Si è inoltre osservato che le società con sede in Europa ottengono punteggi più [continua ..]


3.2. Segue. Normative regionali e sovranazionali

Un’attenta analisi delle distorsioni già rilevate rappresenta pertanto un elemento imprescindibile ai fini della definizione di un quadro normativo che possa dirsi efficace. Nel contesto sopra delineato una menzione particolare deve essere riservata alla presenza di normative regionali spesso più stringenti rispetto a quelle sovranazionali che, si è visto, possono condurre al cd. Geographical Bias. Il caso più emblematico è di certo rappresentato dalla Francia, uno tra i paesi più avanzati in termini di normative ESG. In aggiunta a quanto previsto dal legislatore europeo, le società francesi sono vincolate al rispetto della Loi Grenelle I [45], della Legge sulla transizione energetica [46] e della legge Pacte [47] le quali impongono di divulgare rispettivamente le conseguenze sociali e ambientali delle loro attività, il rischi finanziari che devono affrontare a causa dei cambiamenti climatici e delle loro strategie di risanamento [48] e di considerare le questioni ambientali e sociali nell’elaborazioni delle loro strategie di gestione aziendale. Per di più, non mancano raccomandazioni in materia di governance e retribuzione – seppur non vincolanti – da parte dell’AFG, dell’Autorità per i mercati finanziari francese e contenute nello stesso Codice Afep-Medef [49]. Sempre a livello europeo anche la Germania ha adottato lo scorso luglio la Gesetz über die unternehmerischen Sorgfaltspflichten in Lieferketten [50]. La legge, la cui entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio 2023, si pone come obiettivo quello di salvaguardare i diritti umani e l’ambiente nell’ambito dell’economia globale e, per far ciò, obbliga le società con più di 3000 dipendenti di adottare misure “appropriate” nelle catene di produzione «with the goal to prevent or minimize risks related to human rights or the environment or end the violation of duties related to human rights or the environment.» (Supply Chain Due Diligence Act art. 1, §§ 1, 3.). Vale ora la pena brevemente richiamare – soprattutto ai fini di un raffronto tra i paesi di civil law e quelli di common law – i già citati casi del Regno Unito e degli USA. Il primo si è concentrato, fin dal 2013, sulla divulgazione legata al rischio climatico inizialmente prevista solo per le [continua ..]


3.3. Segue. Cause delle divergenze tra rating

L’analisi dei profili metodologici permette di comprendere quali siano le motivazioni sottese alla divergenza tra rating per tale intendendosi il fenomeno che porta all’assegnazione di valutazioni ESG, anche molto diverse tra loro, alla medesima società a seconda di quale sia l’ente valutatore prescelto [53]. Secondo il noto studio condotto da Berg, Kölbel e Rigobon del MIT Sloan School of Management le ragioni di tali divergenze possono essere raggruppate in tre categorie – Measurement, Scope e Weighting divergences – alle quali, in questa sede, vale la pena accennare ai fini di garantire una maggiore consapevolezza nella lettura del fenomeno del rating e delle sue problematiche. La maggiore causa di divergenza è rappresentata da differenze di misurazione [54] ovvero dall’utilizzo di indicatori diversi per la misura del medesimo criterio. A titolo esemplificativo si pensi all’agenzia che, nell’ambito del fattore S (social) individui come rilevante la categoria “prassi e condizioni di lavoro” e debba individuare gli indicatori più idonei per l’esame del punto. La scelta è (puramente) soggettiva e potrebbe confluire nel numero di cause pendenti tra lavoratori e azienda come nel turnover della forza lavoro con risultati anche molto diversi tra loro. In secondo luogo, la discrepanza potrebbe derivare dall’utilizzo di categorie diverse come l’emissione di gas serra piuttosto che il rispetto dei diritti umani e il turnover dei lavoratori [55] (cd. scope divergence). Infine, non è raro [56] che i fornitori di rating utilizzino pesi diversi nei loro processi di aggregazione valutando come più rilevante, per esempio, la certificazione ambientale piuttosto che la presenza di un sistema di gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro. Quanto detto richiama, nuovamente, l’attenzione del lettore sull’importanza di una metodologia condivisa o, quanto meno, su una maggiore chiarezza su cosa significhi per un’azienda essere “socialmente responsabile” e su quali siano le metriche per misurare la sostenibilità.


4. Il concetto di sostenibilità: la complessità del fenomeno

Lo studio finora condotto permette di cogliere – seppur in termini (volutamente) semplicistici – le motivazioni che portano a definire il rating di sostenibilità “inaffidabile”. La stessa analisi condotta dall’ESMA evidenzia come la consapevolezza di dette problematiche abbia portato gli utenti a stipulare contratti contemporaneamente con diversi fornitori di rating ESG ai fini di aumentare la copertura del mercato per classe di attività o per zona geografica o per ricevere valutazioni ESG di diversa natura [57]. Tutto ciò premesso, pare dunque che – prima di chiedersi cosa significhi misurare la sostenibilità – sia più utile comprendere perché sia così – estremamente – difficile una tale misurazione. La risposta al quesito pare difatti centrale per una regolamentazione del fenomeno in quanto consente di evidenziare la complessità della materia nonché i punti nevralgici della sua disciplina. Innanzitutto la prima problematicità è riscontrabile nella definizione del concetto stesso di sostenibilità. Si è già detto, in apertura del presente approfondimento, che essere sostenibili significa assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Il concetto appare dunque estremamente ampio e multidisciplinare comprendendo una serie diversificata di tematiche ESG che spaziano dal cambiamento climatico al rispetto dei diritti umani le quali, per di più, sono difficilmente valutabili nel breve periodo ma si concentrano su rischi e opportunità a lungo termine. Per certi versi non sembra audace affermare che una società per essere “sostenibile” debba rasentare – e mantenere nel tempo – la perfezione e che quindi il suo comportamento debba essere ineccepibile sotto ogni profilo. Sul punto è di certo apprezzabile lo sforzo del legislatore europeo nella definizione di una tassonomia ambientale [58] e sociale [59] nonché nell’elaborazione della Proposta di direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence [60]. Posta l’ampiezza del concetto di sostenibilità, sotto il profilo metodologico si è visto – e ora vale la pena ricapitolare – che detta misurazione si interfaccia con il [continua ..]


5. Conclusioni

In conclusione, disciplinare il fenomeno del rating di sostenibilità pare essere un passo cruciale ai fini dell’implementazione dell’intera disciplina sulla finanza sostenibile. Si è visto come lo stesso, incidendo su tutti i soggetti dei mercati finanziari, assuma un ruolo centrale nell’individuazione degli investimenti sostenibili e rappresenti, pertanto, una vera guida per l’investitore. Proprio il ruolo svolto dal rating di sostenibilità rappresenta il presupposto per un possibile intervento del legislatore che, come si è visto, ha più volte manifestato la sua volontà di disciplinare in maniera organica la materia. Ciò detto, certamente la previsione di un’informativa non finanziaria standardizzata nonché di una tassonomia ambientale e sociale [64] costituisce un primo step nella delineazione di un efficace framework normativo contribuendo all’individuazione del contenuto dei tre fattori ESG e, pertanto, allo sviluppo di una definizione di sostenibilità (quantomeno connessa alle problematiche ritenute significative dalla società attuale: non pare possibile difatti escludere che, in futuro, alcuni parametri divengano meno rilevanti a causa di un mutamento della sensibilità sociale. Da qui la domanda se il concetto di sostenibilità sia statico o, piuttosto, variabile nel tempo complicando, ulteriormente, la sua misurazione). Premesso dunque che l’ampiezza e la mutevolezza del concetto di sostenibilità (cosa è la sostenibilità?) rappresenta il primo limite alla sua misurazione, rimangono inoltre irrisolti innumerevoli problemi che, per coerenza espositiva, si procede ora a suddividere in due categorie: quelli connessi al profilo metodologico (come si misura la sostenibilità?) e quelli strettamente legati all’ente misuratore (chi misura la sostenibilità?). Sotto il primo profilo si è detto dell’esistenza di numerose distorsioni che conducono all’attribuzione di rating ESG anche (molto) diversi tra loro alla medesima società. Sul punto un primo approccio legislativo potrebbe mirare all’individuazione di metriche di misurazione comuni nella cui definizione dovrebbero essere affrontate, quantomeno in linea di principio, le varie problematiche di cui si è detto (i cd. bias). In tale evenienza pare di certo problematico e meritevole di ulteriore [continua ..]


NOTE