Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Riflessioni a margine della direttiva 2014/23/UE (di Giovanni D’Angelo)


Art. 5 – Definizioni: «… L’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile; …».

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SOMMARIO:

1. Le ragioni di una direttiva sulle concessioni - 2. La scelta (libera) tra autoproduzione (o autoprestazione) pubblica e affidamento a terzi dei servizi - 3. La definizione della concessione di lavori e servizi - 4. La trilateralità della concessione di servizi nella direttiva n. 23/2014 - 5. L'ambito di applicazione della direttiva n. 23/2014 - 6. La disciplina (unitaria) sulla tutela, la scelta del contraente e la durata delle concessioni - 7. Conclusioni - NOTE


1. Le ragioni di una direttiva sulle concessioni

Le ragioni che hanno portato all’emanazione della direttiva sulle concessioni, con particolare riferimento a quelle di servizi, sono varie. Fra tutte, però, una emerge con forza sia nei lavori che hanno preceduto la direttiva sia nei suoi considerando. Nel 2010 la Commissione aveva valutato la necessità e l’impatto di una iniziativa sull’istituto delle concessioni, attraverso un’ampia consultazione delle parti interessate [1]. Il punto di partenza della Commissione era rappresentato dalla definizione delle concessioni accolta nell’art. 1, punto 3 e 4, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio [2], secondo cui le concessioni sono contratti simili agli appalti pubblici, ma presentano la caratteristica che il contraente sopporta il rischio economico della gestione dell’opera o del servizio [3]. Analogamente la Corte di giustizia dell’Unione europea, aveva rilevato che nella concessione il rischio operativo grava, in misura integrale o comunque significativa, sul concessionario [4]. Il fine dichiarato era quello di migliorare il quadro giuridico. Una direttiva sulle concessioni avrebbe dovuto avere lo scopo di facilitare il loro l’uso e di garantire il miglior rapporto qualità prezzo sia per gli utenti che per le amministrazioni aggiudicatrici, attraverso la certezza del diritto, la trasparenza e la parità di trattamento degli operatori economici. Sarebbe stata inoltre utile per rafforzare la concorrenza e il mercato interno nei contratti di concessione, e contribuire agli obiettivi politici dell’Unione Europea in materia di partenariati pubblico-privato [5]. Anche le modalità per il raggiungimento di questi obiettivi erano state dichiarate dalla Commissione: la garanzia della certezza del diritto non doveva rendere il quadro normativo troppo complesso o oneroso per l’interprete. In altri termini, la nuova direttiva avrebbe dovuto intervenire in misura proporzionale agli obiettivi dichiarati. Nella direttiva, tale ratio dell’intervento legislativo europeo sulle concessioni appare espressa, per un verso, con maggiore ampiezza, per l’altro, in modo più articolato. In primo luogo, il rischio di mancanza di certezza giuridica è imputato alle interpretazioni divergenti dei principi del Trattato da parte dei legislatori nazionali e alle disparità tra le legislazioni dei [continua ..]


2. La scelta (libera) tra autoproduzione (o autoprestazione) pubblica e affidamento a terzi dei servizi

Si è anticipato che la valenza regolatoria della disciplina delle concessioni, in particolare quelle di servizi pubblici, è un profilo differente e logicamente subordinato rispetto quello relativo alla scelta tra autoproduzione (o autoprestazione) e affidamento a terzi dei servizi. Non è nuovo il dibattito intorno alla affermazione che l’ordinamento comunitario resterebbe estraneo alla libera scelta degli Stati di ricorrere al mercato o all’autoproduzione [14]. Il dibattito è stato alimentato anche di recente da contributi che hanno sostenuto la condivisibilità di tale affermazione solo se riferita ai servizi di interesse generale di carattere non economico, che per definizione sono estranei al vincolo comunitario dei principi concorrenziali [15]. Il dibattito è stato significativo soprattutto in alcuni settori – penso per esempio al trasporto pubblico locale, e in generale nei servizi pubblici locali di rilievo economico – dove le scelte del legislatore nazionale sembrano essere state guidate prevalentemente da esigenze di contenimento della spesa pubblica, nell’ambito di un’impostazione complessiva che ha eluso la dimensione di utilità sociale caratteristica di questi servizi [16]. Peraltro, questa impostazione ha generato ‘resistenze’, anche in quanto non fondata su una scelta espressa dalla ‘democrazia locale o regionale’ (secondo l’espressione del legislatore europeo) [17]; resistenze che a loro volta si sono tradotte in un susseguirsi di modifiche legislative incoerenti rispetto al quadro delineato dalla riforme di questi settori tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo, e a volte perfino tra loro contraddittorie anche se ravvicinatissime. Il dibattito parrebbe ora essere ad un punto di svolta. La direttiva 23/2014 precisa in più disposizioni che gli Stati membri mantengono intatta la loro libertà sia, a monte, di individuazione di quali servizi siano da considerarsi di interesse generale sia di organizzazione, non essendo tenuti ad esternalizzare la fornitura di servizi [18]. Del resto tali libertà sono garantite dal TFUE [19] e dalla interpretazione che ne è stata dalla Corte di giustizia [20] e dalla Commissione [21]. Il diritto europeo dei contratti pubblici, ed oggi la direttiva concessioni, entrano in gioco una volta che [continua ..]


3. La definizione della concessione di lavori e servizi

L’art. 5 della direttiva fornisce una definizione puntuale di concessione. Al di là delle ovvie differenze quanto all’oggetto della concessione di lavori [26] e di quella di servizi [27], l’elemento che qualifica l’istituto è rappresentato dall’affermazione che la concessione comporta l’assunzione da parte del concessionario di un rischio operativo legato alla gestione. Secondo la direttiva, il concessionario assume il rischio operativo solo nel caso in cui, in «condizioni operative normali», non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione. Inoltre, precisa la direttiva, il rischio trasferito al concessionario deve comportare «una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile». Nell’ambito del partenariato pubblico-privato, al quale tradizionalmente viene ricondotta anche la concessione di lavori o di servizi [28], l’assunzione di responsabilità e di rischi in capo all’operatore è un profilo che assumeva un rilievo particolare già nella decisione Eurostat del 2004 [29]. Si tratta di un profilo che la Commissione ha più volte richiamato sin a partire dalla Comunicazione interpretativa del 2000 [30] e successivamente ribadito [31]. Ancora di recente la Commissione ha sostenuto con chiarezza, che «the concept of risk is an essential element of the concept of concession. … the concept of exploitation, implying the existence of a risk, is therefore essential in order to determine whether a service is a concession. … The existence of a significant risk can only be verified on a case-by-case basis. The risks to be taken into account are those involved in providing the service or making available or using the work, particularly the risk associated with demand. In principle, the operator can be deemed to assume substantial operating risks if there is uncertainty as to the return on the investment made for providing the service» [32]. Il rischio di gestione economica è stato riconosciuto come l’elemento che caratterizza la concessione anche dalla giurisprudenza comunitaria [33]. Pur con alcune sfumature, la giurisprudenza comunitaria ne ha fornito [continua ..]


4. La trilateralità della concessione di servizi nella direttiva n. 23/2014

Tale ultima considerazione però non esaurisce il profilo della trilateralità della concessione [57]. La questione che si va prospettando si pone su un piano differente, e cioè se sia possibile una concessione di servizi dove la bilateralità non sia riferita (solo) alla remunerazione del servizio, ma anche al beneficiario del servizio. In altri termini, se sia possibile una concessione di servizi senza dare rilievo a utenti terzi rispetto all’amministrazione. L’orientamento maggioritario in dottrina ha finora ritenuto che la circostanza che il servizio fosse pubblico, cioè rivolto alla collettività e quindi a una utenza, fosse uno dei requisiti fondamentali della concessione di servizi [58]. Anche in alcuni studi, che hanno preceduto la direttiva n. 23/2014, si è ritenuto che la trilateralità del rapporto concessorio di servizi fosse un elemento imprescindibile, nonostante si sia riconosciuto che in generale essa appaia «sotto alcuni profili recessiva in sede legislativa interna e comunitaria» [59]. Certamente, la circostanza che la casistica esaminata dalla giurisprudenza comunitaria sia stata prevalentemente incentrata su servizi pubblici (casi dunque dove la remuneratività del servizio era legata in tutto o in parte dal prezzo pagato dall’utente) ha agevolato questa interpretazione. Anche l’AVCP si è mossa su questo solco e ha argomentato che il «vero discrimen» tra la concessione e l’appalto debba essere ricercato, oltre che nella diversa allocazione del rischio di gestione del servizio, «nel differente destinatario della prestazione». Secondo l’Autorità si ha concessione «se il servizio è rivolto al pubblico, e non direttamente all’Amministrazione, e se, almeno per la parte prevalente, la remunerazione del concessionario derivi dalla gestione del servizio» [60]. Credo che la direttiva sulle concessioni si ponga su una linea già tracciata dal legislatore comunitario del 2004: la trilateralità non è un elemento che qualifica la concessione rispetto all’appalto. Alcuni servizi indicati nell’allegato II del codice dei contratti sono certamente rivolti a una collettività, eppure se remunerati dall’amministrazione sono configurati come appalto (di servizi) [61]. Tuttavia, anche [continua ..]


5. L'ambito di applicazione della direttiva n. 23/2014

Si è già esposto che la direttiva si applica tanto alle concessioni di lavoro che a quello di servizi [74] e che la direttiva fornisce una definizione articolata dell’istituto, funzionale da un lato a definire l’ambito oggettivo di applicazione della direttiva n. 23/2014, dall’altro a distinguere la concessione dall’appalto pubblico, che rientra nel campo di applicazione delle altre due coeve direttive nn. 24 e 25/2014. Gli elementi di interesse rispetto al campo di applicazione della nuova direttiva attraverso il prisma della nozione di concessione non sono limitati alla distinzione tra concessione e appalto e concernono anche le principali esclusioni, con particolare riferimento alla concessione di beni pubblici e alle concessioni nei settori regolamentati. Quanto al primo aspetto, ribadita la distinzione tra le concessioni e le autorizzazioni o le licenze [75] alle quali si applicano (solo) le disposizioni specifiche della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio [76], la direttiva precisa che non dovrebbero configurarsi come concessioni – almeno ai fini dell’applicazione delle disposizioni della direttiva stessa – gli accordi che hanno ad oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni o qualsiasi proprietà pubblica [77], mediante i quali lo Stato oppure l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici. Ciò vale di norma per i contratti di locazione di immobili demaniali «che generalmente contengono i termini che regolano la presa di possesso da parte del conduttore, la destinazione d’uso del bene immobile, gli obblighi del locatore e del conduttore per quanto riguarda la manutenzione del bene immobile, la durata della locazione e la restituzione del possesso del bene immobile al locatore, il canone e le spese accessorie a carico del conduttore» [78]. Tale ipotesi sembra non coincidere con quella contenuta nell’elenco puntuale delle esclusioni contemplato dall’art. 10, il cui comma 8 dispone che la direttiva non si applica alle «concessioni per … l’acquisto o la locazione quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, [continua ..]


6. La disciplina (unitaria) sulla tutela, la scelta del contraente e la durata delle concessioni

Si è già esposto che la direttiva fornisce una definizione di concessione funzionale, tra l’altro, a distinguere la concessione dall’appalto pubblico, che rientra nel campo di applicazione delle altre due coeve direttive nn. 24 e 25/2014. Non sempre, però, la distinzione tra concessione e appalto marca una differenza di disciplina. Se questo è certamente vero quanto alle procedure di aggiudicazione, che rispetto alla concessione sono previste snelle e flessibili, ciò non accade rispetto alla disciplina sulla tutela. L’art. 46 della direttiva n. 23/2014 modifica la direttiva 89/665/CEE, come già modificata in precedenza dalla direttiva 2007/66/CE, di fatto estendendo alla concessione le garanzie previste, nell’ambito degli appalti pubblici, a favore dei soggetti non aggiudicatari, come ad esempio il termine di stand still per la stipulazione del contratto dopo l’ag­giudicazione [84]. Nell’ordinamento italiano, ciò dovrebbe contribuire a superare ogni incertezza sulla piena applicabilità della complessa disciplina oggi contenuta negli artt. 121-122-123 codice del processo amministrativo anche alle concessioni [85]. Infine, un ultimo breve cenno deve essere dedicato alla disciplina della scelta del contraente e alla durata delle concessioni di lavori e di servizi. Si tratta di disposizioni minime, che vanno nella direzione, da molti auspicata, di un testo snello e flessibile rispetto alla direttiva appalti [86]. Da un lato la direttiva fa propri i principi noti di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, nell’ordinamento italiano già richiamati come principi fondamentali applicabili anche alle concessioni dall’art. 30, comma 3, codice contratti. Dall’al­tro, la direttiva codifica pochi obblighi procedurali (o «garanzie procedurali»), spesso semplificati rispetto a quelli negli appalti pubblici, tra i quali quelli ad esempio in merito alla pubblicazione di un bando (art. 31), ai requisiti tecnici (art. 36), ai termini per la presentazione delle offerte (art. 39) e ai criteri di aggiudicazione (art. 41). Si è già evidenziato che la ratio dell’intervento del legislatore europeo assume un significato ampio e serve a anche (ri)affermare la valenza regolatoria della disciplina delle concessioni, in particolare quelle di servizi pubblici, [continua ..]


7. Conclusioni

La direttiva imporrà alcune modifiche importanti nella disciplina sui contratti pubblici. L’unificazione della disciplina della concessione di lavori pubblici e di servizi ad opera della direttiva potrà essere attuata in modi diversi dal legislatore. Alcune linee guida, fondate su un principio di semplificazione e chiarezza del testo normativo, possono essere però sin d’ora prospettate. Sarebbe auspicabile che il codice dei contratti prevedesse una parte generale riferita ora a tutti i contratti, senza distinzione tra concessioni e appalti. È ormai chiaro che vi siano alcuni principi fondamentali che devono sorreggere la procedura di affidamento a prescindere dal fatto che il contratto sia qualificabile in termini di appalto o di concessione. Anche alcune garanzie procedurali sono comuni e di carattere generale, in quanto espressione di questi principi, e potrebbero trovare un’analoga collocazione nel codice; penso soprattutto alla pubblicazione di un bando come regola di principio per assicurare la trasparenza e la più ampia partecipazione deli operatori economici. Interventi più di dettaglio, ma pur sempre comuni alle concessioni di servizi e di lavori, saranno poi resi necessari dalla centralità del rischio operativo nella nozione comunitaria di concessione e dall’obbligo del trasferimento di questo rischio in capo al concessionario imposto assai chiaramente dalla direttiva. Penso, per esempio, a quanto dispone l’art. 143, comma 7, richiamato dall’art. 30, comma 7, codice contratti, volto nella sostanza a eliminare il trasferimento del rischio assunto dal concessionario, mediante la previsione nel contratto di un corrispettivo da versare al concessionario per l’eventuale valore residuo dell’investimento non ammortizzato al termine della concessione [92]. Penso, ancora, al principio di equilibrio economico finanziario [93] che dovrà assumere un significato più coerente rispetto all’obbligo di trasferimento, integrale o sostanziale, del rischio operativo. Più in generale, la direttiva pone la necessità di un ripensamento dell’ap­proccio del legislatore e dell’interprete rispetto ad alcuni grandi temi. Ancora una volta la direttiva europea non prende in considerazione la specificità della nozione di servizio pubblico. Non si tratta più di una tendenza che può essere [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2014