Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Le politiche di decarbonizzazione statunitensi tra il Green New Deal e la giurisprudenza della Corte Suprema (di Barbara Marchetti, Professoressa di diritto amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Trento)


L'articolo ha la finalità di esaminare il Green New Deal statunitense, anche al fine di confrontare le strategie europea e americana per la de-carbonizzazione del sistema economico. Dopo aver illustrato i contenuti del Green deal presentato dai democratici al Congresso e aver dato conto delle difficoltà attuative, lo scritto si sofferma sulle principali misure adottate nell'Inflation Redaction Act dell'agosto del 2022 per la transizione ecologica e dà brevemente conto della giurisprudenza della Corte Suprema nel caso West Virginia v. EPA che ha fortemente ridimensionato l'azione dell’agenzia per la protezione dell’ambiente di fissazione degli standard ambientali.

Decarbonization strategies in the United States between the Green New Deal and the Supreme Court caselaw

The article analyzes the U.S. Green New Deal and compares the de-carbonization strategies employed by both European and American economies. It begins by providing an overview of the key components of the U.S. Green New Deal and discusses the challenges encountered during its implementation. Furthermore, it highlights the significant measures introduced in the 2022 Inflation Redaction Act to facilitate the ecological transition. Additionally, the paper briefly examines the Supreme Court's ruling in West Virginia v. EPA, which had a substantial impact on the Environmental Protection Agency’s authority to establish environmental standards.

SOMMARIO:

1. Introduzione: le politiche di decarbonizzazione promosse dal Green New Deal americano - 2. Il Congresso e le politiche di decarbonizzazione - 3. Segue: l’Inflation Reduction Act - 4. L’EPA e la lotta al climate change - 4.1. Segue: l’azione dell’EPA nell’era Obama: la Clean Power Plan Rule - 4.2. La reviviscenza del CCP e la sentenza della Corte Suprema West Virginia v. EPA - 5. Gli effetti della sentenza della Corte sull’Administrative State - 6. Qualche spunto conclusivo - NOTE


1. Introduzione: le politiche di decarbonizzazione promosse dal Green New Deal americano

La necessità di mitigare il cambiamento climatico è alla base della strategia europea del Green deal di riduzione delle emissioni di carbonio: tuttavia, l’Eu­ropa da sola non può fare molto se gli altri attori globali non promuovono analoghe iniziative di decarbonizzazione. Gli Stati Uniti rappresentano, insieme a Cina ed India, i principali Paesi responsabili delle emissioni di CO2: secondo uno studio del 2022 [1], l’economia americana è la più inquinante dopo la Cina (che produce più del doppio delle sue emissioni), seguita da Unione europea e India, a breve destinate a scambiarsi di posizione nella scala dei Paesi maggiori produttori di emissioni di carbonio. È dunque particolarmente interessante, mentre osserviamo l’attuazione del Green Deal europeo alle prese con la crisi energetica, analizzare la parallela strategia di riduzione delle emissioni di CO2 promossa nel contesto statunitense.

La risoluzione sul Green New Deal (Recognizing the duty of the Federal Government to create a Green New Deal – GND) è stata presentata alla Camera dei deputati nel 2019 dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez e dal sen. democratico Markey. Nonostante l’appoggio di numerose associazioni, la risoluzione non ha avuto seguito in Senato. Due anni più tardi, nel 2021, gli stessi parlamentari la hanno ripresentata alla Camera, questa volta con un sostegno ancora più ampio della società civile, che ha espresso il proprio appoggio attraverso 626 organizzazioni, tra le quali il Sunrise Movement.

La proposta costituisce un piano non vincolante che aspira ad un vero e proprio cambiamento sistemico volto, da un lato ad affrontare il climate change ma dall’altro a diminuire, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro (high quality Union jobs) legati alla transizione ecologica, le diseguaglianze sociali, soprattutto nei confronti delle persone di colore, degli indigeni, dei poveri e degli immigrati. Esso ha dunque sia un impatto trasformativo dell’economia statunitense sia una forte aspirazione a promuovere la giustizia sociale [2].

Il nome del piano può farsi risalire al vincitore del premio Pulitzer Thomas Friedman [3] che già nel 2007 aveva proposto la realizzazione di questo programma per il rilancio degli Stati Uniti attraverso tre azioni principali: l’aumento dei prezzi delle energie fossili (l’80% delle fonti energetiche statunitensi sono ricavate dal carbone e dal gas naturale); l’introduzione di standard elevati di controllo delle emissioni prodotte dalle fonti energetiche “sporche”; un progetto industriale massiccio per promuovere la green tech e rendere l’industria statunitense più eco-compatibile.

Il GND trae ispirazione dal New Deal di F.D. Roosevelt, che aveva portato all’impiego di ingenti finanziamenti pubblici federali per rispondere alla regressione economica e alle diseguaglianze generate dalla Crisi del ‘29. Esso, in effetti, ha come presupposto l’adozione del modello economico keynesiano utilizzato da Roosevelt, ovvero un piano di fondi federali per realizzare le nuove politiche ambientali, (salvo recuperare poi gli investimenti sotto forma di tasse, fees e bond, al fine di contenere l’inflazione) volto a trasformare profondamente il sistema economico, in contrasto con le teorie economiche neoclassiche fino ad ora prevalenti, basate su deregulation, bassa tassazione, privatizzazione, e austerità pubblica.

I dati da cui muove sono quelli sul cambiamento climatico forniti già nel 2018 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – Special Report on Global Warming: i pericoli e gli effetti del climate change (e dell’innal­zamento della temperatura), per la popolazione mondiale (disastri climatici, migrazioni inarrestabili, minacce alle infrastrutture del Paese) sono alla base della fissazione dell’obiettivo dell’abbassamento di 1.5 gradi celsius della temperatura, attraverso la riduzione del 50%-60% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e il raggiungimento di 0 emissioni nel 2050. Nella risoluzione vi è anche la convinzione che il climate change costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale, in ragione delle conseguenze sulla stabilità sociale, ambientale, economica e politica del Paese [4].

Ci si aspetta che la mobilitazione indotta dal GND – di portata paragonabile a quella legata al GD di Roosevelt – possa generare milioni di nuovi posti di lavoro, livelli inediti di prosperità ed una riduzione/riparazione delle ingiustizie sistemiche.

Gli obiettivi individuati dal programma sono ambiziosi: si tratta dell’azzera­mento delle emissioni nel 2050, attraverso una transizione giusta per lavoratori e comunità; della creazione di milioni di posti di lavoro; di investimenti nelle infrastrutture e nell’industria, per promuoverne la sostenibilità ambientale; di garantire alle generazioni future aria e acqua pulite, climate and community resilience, accesso alla natura ed un ambiente sostenibile. Esso mira inoltre a promuovere giustizia ed equità impedendo e riparando tutte le oppressioni causate alle popolazioni indigene, alle comunità di colore, agli immigrati, ai poveri, ai low-income workers, alle donne, agli anziani, alle persone con disabilità e ai giovani.

Le azioni previste per il raggiungimento di questi traguardi restano invece identificate in termini generali. Si tratta di: a) finanziamento di progetti e strategie definiti per creare resilienza rispetto ai disastri causati dai cambiamenti climatici; b) riparazione e miglioramento delle infrastrutture del Paese, eliminando i fattori inquinanti, garantendo l’accesso universale all’acqua potabile, riducendo i rischi causati dal Climate Change; c) trasformazione delle fonti energetiche in vista del raggiungimento del 100 % di energia pulita, attraverso la espansione radicale delle energie rinnovabili, lo sviluppo di nuove capacità energetiche, la costruzione di edifici secondo criteri di efficienza energetica, la promozione di reti efficienti e affidabili per l’energia elettrica, industria e manifattura il più ecosostenibili possibile, anche grazie alla tecnologia; d) collaborazioni con gli agricoltori per la riduzione delle emissioni, promuovendo i piccoli coltivatori e un uso del terreno compatibile con una produzione agricola healthy; e) promozione di un sistema di trasporti a bassa emissione di CO2, tramite infrastrutture per le auto elettriche, l’alta velocità ferroviaria ed un pubblico trasporto accessibile ed eco-compatibile; f) mitigazione degli effetti sulla salute pubblica, con progetti e strategie mirati sulle singole comunità; g) rimozione dell’inquinamento dei siti e ripristino dell’ecosistema naturale; h) protezione degli ecosistemi fragili e in pericolo sulla base di progetti scientifici mirati che migliorino la biodiversità; i) identificazione e rimozione di eventuali altre fonti di inquinamento; l) promozione dello scambio internazionale di soluzioni tecnologiche per la lotta al climate change.

Nel documento è sottolineato che queste azioni devono essere decise e attuate in modo trasparente e partecipato con le comunità interessate, siano esse gli Stati, le comunità dei nativi americani o le comunità locali.

Il loro finanziamento deve inoltre essere tale da assicurare un ritorno degli investimenti e appropriate quote proprietarie. Oltre ad un capitale adeguato, deve essere fornita ai soggetti interessati la competenza tecnica necessaria, policies di supporto e altre forme di assistenza. È infine necessaria un’azione di training e di alta formazione a tutto il popolo degli Stati Uniti, la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie nel settore energetico e industriale. In particolare la transizione ecologica del settore industriale non deve creare danni sociali nei territori de-industrializzati e deve assicurare processi partecipativi, anche ottenendo il prior, free and informed consent delle popolazioni indigene per le decisioni che le riguardano.

Con talune differenze, la risoluzione statunitense si pone in linea con la Comunicazione sul Green deal europeo, di cui condivide sia l’obiettivo della neutralità climatica (anche con riguardo all’orizzonte temporale), sia la gran parte delle azioni e degli obiettivi più specifici [5].

Vi sono tuttavia due differenze importanti che riguardano il contenuto e il grado di realizzazione: da un lato, nel Green Deal statunitense vi è una forte componente di environmental and social justice che non è presente nella strategia europea, caratterizzata da misure sociali piuttosto limitate, e che si lega al fatto che i cambiamenti climatici – secondo quanto risulta da numerose ricerche – hanno (e stanno avendo), negli Stati Uniti, conseguenze particolarmente avverse per le persone di colore, i poveri, i nativi americani e le comunità di immigrati [6].

Dall’altro, mentre la Comunicazione sul Green deal europeo ha generato un’azione legislativa che ha già mosso i primi passi e che pare in grado, nonostante la crisi energetica sopravvenuta, di gettare le basi della transizione ecologica e delle politiche di decarbonizzazione [7], il GND statunitense incontra molte resistenze in Senato e fatica a concretizzarsi in atti legislativi che ne assicurino l’attuazione.


2. Il Congresso e le politiche di decarbonizzazione

Se si guarda all’attività legislativa del Congresso, ad oggi sono poche le leggi approvate con finalità green. Prima dell’agosto del 2022, in cui una legge contenente misure significative di carattere ambientale, denominata Inflation Reduction Act è stata approvata dal Congresso [8], era stato emanato un solo atto di impatto modesto, il Bipartisan Infrastructure Plan (2021), incapace di produrre risultati significativi sul piano dell’abbattimento delle emissioni. Molte delle proposte legislative finalizzate a dare attuazione al GND non sembrano, invece, in grado di completare l’iter legislativo. Alla fine del 2022 i disegni di legge direttamente riconducibili al GND sono il Green New Deal for public school Act (che prevede stanziamenti per 1.43 trilioni di dollari in 10 anni per ridurre le emissioni delle scuole pubbliche, aumentare le assunzioni, aumentare gli spazi verdi e migliorare l’efficienza energetica degli edifici), depositato nel luglio del 2021; il Green New Deal for Cities Act, presentato nell’ottobre del 2021 e volto a migliorare il trasporto pubblico, promuovere energie rinnovabili a livello locale, migliorare l’efficienza energetica degli edifici, potenziare i sistemi sanitari locali (anche per il controllo di acqua e aria), ristabilire gli eco-sistemi, e riparare le ingiustizie sociali, attraverso fondi federali allocati direttamente dall’amministrazione federale per progetti e strategie definiti; il Green New Deal for Public Housing Act (2021), relativo agli edifici pubblici; il Civilian Corps for Jobs and Justice Act, finalizzato a creare 1,5 milioni di posti di lavoro per la costruzione di percorsi e sentieri nella natura, la gestione degli incendi e la forestificazione (Civilian Climate Corps). E l’Infrastructure and Investment Jobs Act, chiamato ad intervenire sulle infrastrutture e sul mercato del lavoro.

Il cammino di queste iniziative è ostacolato da alcuni fattori: la loro stasi si collega non solo alla crisi energetica, all’inflazione e al timore di una recessione economica, ma anche e soprattutto alla forte contrapposizione che, sulle politiche ambientali, caratterizza deputati e senatori dei partiti democratico e repubblicano.

Le possibilità che l’una o l’altra forza politica controlli pienamente il Congresso e dunque le scelte che vi si compiono è estremamente limitata: dal 1979 ad oggi, ci sono stati solo 7 mesi in cui un partito ha potuto governare con una maggioranza adeguata le tre componenti del processo legislativo, ossia la Presidenza e i due rami del Congresso. Ciò fa si che nessuna legge venga approvata se non ha un appoggio Bipartisan, ciò che rende particolarmente complessa l’approvazione di leggi in materia ambientale. Ad esempio il Waxman-Markey Bill dell’era Obama è stato abbandonato prima di poter essere votato in Senato, dove la divisione tra repubblicani e democratici era ed è tuttora molto forte, soprattutto in ragione dell’impatto che le politiche ambientali hanno sull’economia. Secondo i dati riportati dalla dottrina e volti a dare conto della polarizzazione esistente sui temi ambientali, il 90% dei democratici pensa che il Governo federale faccia troppo poco sul piano delle politiche ambientali (a confronto con il 37 % dei Repubblicani) e il 67% dei democratici ritiene il climate change una priorità (a confronto con il 21% dei Repubblicani) [9].

Il dato suggerisce una riflessione sulle differenze che riguardano i due contesti politico-istituzionali europeo e statunitense ed una serie di interrogativi: il ruolo preponderante riconosciuto alla Commissione nella fase di iniziativa legislativa può considerarsi un fattore di efficacia dell’azione legislativa europea? Quali sono i fattori di rallentamento e inciampo del procedimento legislativo europeo rispetto a quello statunitense? Esiste una analoga polarizzazione politica? Se si esaminano le vicende parlamentari successive alla presentazione delle due strategie sul Green Deal, l’Unione europea pare caratterizzata da una maggiore capacità di varare nuove discipline per favorite la transizione ecologica e la decarbonizzazione dei processi economici. Per gli Stati Uniti, l’unica eccezione alla paralisi legislativa è rappresentata, invece, dall’Inflation Reduction Act approvato nell’agosto 2022, la cui insperata approvazione costituisce il primo passo del Congresso in direzione della transizione energetica e della decarbonizzazione dell’economia americana [10].


3. Segue: l’Inflation Reduction Act

Nell’agosto 2022 i Democratici sono riusciti a far approvare in Senato il Climate and Tax Bill (chiamato anche Reconciliation Bill) con il nome di Inflation Reduction Act grazie all’accordo insperatamente raggiunto a fine luglio con il senatore Joe Manchin (West Virginia) e il capo gruppo democratico al Senato Chuck Schumer (New York). Si tratta di una vittoria storica per i democratici, trattandosi di una legge che prevede una spesa pubblica e dunque, per questa ragione, di difficile approvazione, tanto più a ridosso delle elezioni di Midterm. Tale legislazione, ripresentata da Biden dopo che la precedente proposta Build Back Better era naufragata al Senato nel dicembre 2021, contiene al suo interno tre riforme fondamentali: una riforma fiscale che prevede una tassazione minima del 15 % per le corporations (Subtitle A); una riforma che consente un notevole risparmio delle spese sanitarie attraverso l’attribuzione al Governo di un potere di negoziazione con la imprese farmaceutiche (Subtitle B and C, Prescription Drug Pricing Reform – E-Price negotiation program to lower prices for certain high-priced single source drugs); e lo stanziamento di fondi federali per 400 miliardi di dollari (in 10 anni) per promuovere le energie rinnovabili (energy and climate related programs) (Subtitle D[11].

Più specificamente il Subtitle D (Energy Security) contiene le misure che dovrebbero consentire agli Stati Uniti, secondo le previsioni, di abbattere del 40% le emissioni di CO2 entro il 2030. Prevede uno stanziamento di 369 miliardi di dollari destinati sia alle imprese sia ai cittadini secondo diverse linee di finanziamento che comprendono la concessione di crediti per la creazione di impianti di energia rinnovabile (solare ed eolica) per le comunità con basso reddito ed i privati, ma anche per la predisposizione di sistemi di cattura del­l’ossido di carbonio. I finanziamenti e le agevolazioni sono gestiti dal Dipartimento federale dell’Energia. Una seconda linea di azione riguarda i carburanti: è prevista un’estensione degli incentivi per la produzione di carburanti alternativi (biodiesel, diesel rinnovabile) e crediti fiscali per le compagnie aeree che usano carburante sostenibile. Sono inoltre stabiliti crediti fiscali per la produzione di idrogeno pulito. Una terza linea di finanziamento riguarda gli incentivi economici per i privati (per stimolare l’efficientamento energetico degli edifici esistenti, la produzione non business di energia e la costruzione di nuove case efficienti dal punto di vista energetico). Una quarta linea di azione riguarda invece i veicoli puliti (con finanziamenti alle case produttrici per nuove tecnologie e sostegno al consumatore con incentivi fino a 7000 dollari per l’acqui­sto). Al contempo sono previsti investimenti nella manifattura e nei trasporti che impiegano energia pulita.

In generale l’Inflation Reduction Act è ritenuta una legislazione con impatto trasformativo del sistema energetico e produttivo americano: rispetto agli obiettivi presenti nel GND manca però – o comunque è molto ridotta – la componente di riequilibrio delle ingiustizie sociali. Essa, inoltre, benché muova un passo deciso verso la transizione ecologica ed energetica, non si accompagna alla fissazione di limiti di emissioni rigidi di CO2, senza i quali l’obiettivo di abbattimento delle emissioni inquinanti rischia di non essere raggiunto, soprattutto in ragione di politiche ambientali statali restie ad adottare misure significative di contrasto al cambiamento climatico [12].


4. L’EPA e la lotta al climate change

Anche in considerazione delle difficoltà che le leggi ambientali federali incontrano nel processo parlamentare, uno strumento fondamentale per la politica ambientale del Governo è tradizionalmente rappresentato dell’azione regolatoria dell’agenzia federale per la protezione ambientale (Environmental Protection Agency – EPA), che ha un ruolo fondamentale nella fissazione degli standard in materia. In questi termini, si può dire, anzi, che il Presidente degli Stati Uniti si serve dell’agenzia per attuare le proprie politiche ambientali secondo quella che è stata definita la Presidential Administration [13].

L’EPA costituisce una independent executive agency: essa, a differenza delle autorità amministrative indipendenti (Independent regulatory commissions) è slegata da uno specifico Dipartimento di Stato, ma è parte dell’execu­tive branch (e dunque in questi termini executive) e quindi posta sotto l’influen­za diretta della Presidenza degli Stati Uniti, che ne nomina e revoca i vertici at will [14]. A differenza dei Dipartimenti di Stato, che hanno principalmente compiti esecutivi e di adjudication, l’agenzia per la protezione dell’ambiente ha significativi poteri di regolazione: si tratta dunque di un pezzo di esecutivo con i poteri propri delle autorità indipendenti di regolazione.

Nell’individuazione dei limiti alla sua azione regolatoria (e di fissazione degli standard ambientali) rilevano due fondamentali dottrine: la nondelegation doctrine e la Chevron doctrine. Per effetto della prima, le principali scelte politico-economiche del Paese devono essere compiute dal Congresso, secondo quanto prevede il par. 1 della Costituzione: l’amministrazione è chiamata ad operare, dunque, in base ad una legge del Congresso che la autorizza. Da ciò discende che l’adozione da parte dell’amministrazione di atti aventi un impatto economico o politico generale richiede una delega espressa da parte del legislatore (major question doctrine[15]. Per effetto della seconda, quando il Congresso delega (anche implicitamente) all’amministrazione il potere di fare delle scelte, il sindacato operato dalle Corti su di esse deve essere di tipo deferente, nel senso che il giudice dovrà limitarsi a verificare che sussista una delega a favore dell’amministrazione e che le valutazioni operate da quest’ultima siano permissible alla luce della legge, secondo quanto ha stabilito la Corte Suprema nel noto caso Chevron del 1984 [16].

Da un lato, vi è uno spazio di amministrazione protetto rispetto alle interferenze del giudice; dall’altro, tale spazio è ritagliato dal legislatore, cui spettano le scelte politiche ed economiche fondamentali del Paese [17].


4.1. Segue: l’azione dell’EPA nell’era Obama: la Clean Power Plan Rule

Ben prima della risoluzione democratica del 2019, le indicazioni di Friedman avevano ispirato il Clean Power Plan (CPP), una regolamentazione adottata dall’EPA nel 2015 su impulso del Presidente Obama: tale atto era stato emanato in base alla sez. III (d) del Clean Air Act del 1970, ossia di una delle due leggi fondamentali emanate dal Congresso in materia di protezione ambientale, emendata in seguito solo nel 1977 e nel 1990 [18].

Il CPP, in particolare, conteneva linee guida vincolanti per gli Stati, finalizzate a realizzare una rapida (seppur parziale) decarbonizzazione dell’econo­mia americana e del settore energetico attraverso l’imposizione agli Stati di limiti massimi di emissioni di CO2: il piano cercava di contemperare l’esigenza di ridurre l’inquinamento con la necessità di tenere conto del fabbisogno energetico e della varietà di fonti energetiche presenti nei diversi Stati. La regolamentazione finale emanata dall’EPA (Clean Power Plan Rule) veniva adottata alla luce dei 4,3 milioni di commenti presentati da Stati, Territori, comunità indigene, stakeholder e società civile e muoveva dai seguenti dati: l’82 % delle emissioni inquinanti americane sono legate all’energia fossile e gli Stati Uniti sono responsabili con le loro emissioni del 20% dell’inquinamento globale. L’attuazione del piano avrebbe dovuto portare, nel 2030, a ridurre del 32% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2005. Quelle di anidride solforosa sarebbero dovute scendere del 90%, mentre gli ossidi di nitrogeno del 72%. Il medesimo piano calcolava i benefici economici del raggiungimento di questi obiettivi in 20 milioni di dollari per i climate benefits, tra i 14 e i 34 milioni di dollari per la salute pubblica e tra 26 e 45 milioni di net benefits.

In essa venivano fissati gli standard nazionali di qualità dell’aria (National ambient air quality standards – NAAQS), primari e secondari, con finalità di protezione della salute pubblica e del welfare pubblico [19]. Nel caso specifico, l’Agenzia lasciava agli Stati una certa flessibilità nella individuazione delle misure per il raggiungimento degli obiettivi, compreso il sistema di emissions trading [20], ma a fianco di misure di efficientamento energetico prevedeva il c.d. generation shifting, ossia la transizione da fonti maggiormente inquinanti a fonti pulite [21].

I tempi previsti per l’adeguamento degli Stati venivano fissati in 15 anni, posto che la presentazione dei Piani statali era fissata per il 2016 e gli obiettivi dovevano essere raggiunti nel 2030. L’attuazione del piano doveva essere graduale e monitorata.

L’azione dell’EPA promossa con il CPP si è, tuttavia, presto interrotta a causa dell’intervento delle Corti che, a seguito del ricorso di alcuni Stati repubblicani, ne hanno decretato la paralisi nel 2016: inoltre, con la successione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti nell’autunno del 2016, l’Agenzia, a guida del Repubblicano Andrew Wheeler, sostituiva il piano di Obama con l’Affordable Clean Energy Rule (ACE), una disciplina che, seppur finalizzata a ridurre le emissioni di CO2, evitava di fissare soglie vincolanti ed affidava alla sola promozione dell’efficienza energetica degli impianti la riduzione delle emissioni inquinanti. La misurazione dell’impatto della nuova disciplina sui problemi ambientali esprimeva bene il diverso approccio: l’obiettivo che prometteva di realizzare l’ACE era una riduzione di 10 milioni di tonnellate di emissioni, mentre il CPP prevedeva, come traguardo finale, una riduzione di 870 milioni di tonnellate [22].

L’azione di deregulation dell’EPA a guida repubblicana non ha riguardato solo la sostituzione del CCP, ma anche altre regolamentazioni introdotte dai democratici in materia, ad esempio, di contenimento dell’inquinamento da mercurio e in materia di illuminazione a basso consumo (light bulb efficiency). Terminata la Presidenza Trump ed iniziata l’amministrazione Biden, molte delle scelte regolatorie fatte dai democratici sono state nuovamente proposte, pur con le modifiche e gli aggiornamenti necessari ad assicurare la coerenza delle nuove misure con gli sviluppi nel frattempo intervenuti [23]. Con il proprio Executive Order on Climate ChangeTakling the Climate Crisis at home and abroad” Biden ha inoltre nominato Gina McCarthy al vertice dell’EPA, riconoscendole il medesimo ruolo ricoperto durante l’amministrazione Obama.


4.2. La reviviscenza del CCP e la sentenza della Corte Suprema West Virginia v. EPA

Le vicende giudiziarie che hanno riguardato i due piani adottati dall’EPA (CPP ed ACE) hanno condizionato fortemente l’efficacia dell’azione amministrativa di contrasto al climate change e determinato un’oscillazione regolatoria i cui effetti pregiudizievoli, per le imprese e per la salute dei cittadini, sono stati ben evidenziati dalla dottrina [24]. A seguito dell’emanazione della Affordable Clean Energy Rule alcuni ricorrenti, tra cui Stati e produttori di energia che si erano allineati a quanto stabilito dal CPP, avevano impugnato dinanzi alla Court of Appeal del D.C. Circuit la nuova regolamentazione ACE e la revoca della Rule del 2015. In esito a tale azione, nel gennaio 2021 la Corte aveva disposto l’annullamento del piano di Trump e la reviviscenza del Clean Power Plan, sul presupposto che, nell’adottare tali atti, l’Agenzia avesse interpretato in termini eccessivamente restrittivi i poteri che il Clean Air Act le attribuiva per tutelare la salute pubblica dai danni prodotti dall’inquinamento atmosferico [25].

Benché l’agenzia avesse pubblicamente dichiarato di non voler dare attuazione al piano, per l’intenzione di adottarne uno nuovo, avverso la sentenza veniva proposta una petition for certiorari dinanzi alla Corte Suprema, la quale, con la pronuncia West Virginia v. EPA, giungeva ad annullare il CPP, con la maggioranza di 6 a 3 [26]. In particolare, secondo la Corte, la misura di generation shifting prevista nel piano per sostituire alle fonti tradizionali quelle rinnovabili non sarebbe rientrata nel mandato conferito all’EPA dalla sez. 111 lett. d) del Clean Air Act, ma avrebbe costituito una scelta di policy destinata ad avere una portata dirompente e trasformativa sull’intero sistema economico americano, la quale sarebbe in principio riservata al Congresso. Su tale presupposto, la Corte ha dunque verificato se sussistesse o meno una delega sufficientemente esplicita del legislatore atta a giustificare tali misure straordinarie, concludendo, in applicazione della major question doctrine, che il riferimento contenuto nella legge ai “best systems of emissions reduction” non potesse costituire una clear congressional authorization sufficiente a giustificare l’adozione da parte dell’agenzia di misure di “generation shifting” [27].

Al di là degli effetti specifici sul CPP, che comunque non avrebbe trovato applicazione e sarebbe dovuto essere sostituito da un diverso piano, le conseguenze della pronuncia investono in generale l’ampiezza e la portata del­l’azione regolatoria dell’EPA, ed in termini più generali dell’Administrative State e del suo spazio di manovra rispetto al potere legislativo.


5. Gli effetti della sentenza della Corte sull’Administrative State

Le diverse sezioni del Clean Air Act hanno consentito, nel corso di oltre cinquanta anni, di adottare scelte di regolazione ambientale connotate da una notevole discrezionalità: tale delega ampia di poteri all’amministrazione è sempre stata ritenuta necessaria per conciliare una protezione adeguata della salute pubblica con gli sviluppi economici e tecnologici in ambito ambientale, rispetto ai quali una disciplina risalente rischiava di essere obsoleta o insufficiente [28].

Così, ad eccezione del caso Schechter Poultry del 1935, in cui la Corte Suprema aveva ritenuto che l’azione di una agency avesse violato il principio della nondelegation per la mancanza di un intellegible principle del Congresso sufficiente a guidarla (e dunque a legittimarla), la Corte Suprema non ha mai annullato le misure di un’agenzia federale per violazione della nondelegation doctrine sul presupposto che “broad delegation is necessary to meet the challenges of an increasingly complex and technical modern world” [29].

Solo in due casi la costituzionalità di ampie deleghe normative (proprio nel contesto del Clean Air Act) era stata posta in dubbio, benché non in termini decisivi per l’accoglimento del ricorso: nel caso Mistretta v. United States (1989 [30]) e nel caso Whitman v. American Trucking Association, Inc. (2001) [31]. Nel primo caso, il giudice Scalia scrisse una dissenting opinion rispetto alla majority opinion di Justice Blackmun, in cui rilevava la mancanza di un principio intellegibile a sostegno della delega di poteri che aveva portato alla adozione delle linee guida da parte della agency.

Nel secondo caso, però, sempre Scalia ritenne fondata e legittima la regolamentazione fissata dall’EPA, alla luce dell’intellegible principle test, giustificando la fissazione di standard ambientali comuni su tutto il territorio nazionale sulla base della generale esigenza di tutelare la salute del popolo americano, assegnata alla cura dell’agenzia dal Clean Air Act.

Rispetto ad un orientamento tendenzialmente generoso nel riconoscere ampie deleghe normative, un forte segnale di cambiamento è rinvenibile in occasione del caso Gundy v. United States [32] del 2019 [33]: l’opinione dissenziente del giudice Gorsuch (cui hanno aderito i giudici Thomas e Roberts) sembra preparare il ripensamento dei rapporti tra legislazione e poteri amministrativi di regolazione e soprattutto la rilevanza del principle intellegible test, che fino ad ora era stato usato (dallo stesso giudice Scalia) per salvare la costituzionalità di leggi come il Clean Air Act.

In Gundy veniva contestata, in particolare, la costituzionalità della delega di potere normativo operata dal Sex Offender Registration and Notification Act (SORNA) all’Attorney general. La Corte rigettava il ricorso, ritenendo la delega conforme all’art. I della Costituzione, ma la maggioranza di 5 a 3 [34] con cui la decisione veniva presa lasciava intravedere che l’interpretazione della nondelegation doctrine era in procinto di essere rivista. Il giudice Alito, in particolare, pur sostenendo la decisione di costituzionalità, dichiarava di non condividere appieno la ricostruzione normativa operata dalla maggioranza, auspicandone un ripensamento in occasione di prossime decisioni della Corte [35].

Secondo il giudice Gorsuch, in particolare, il test dell’IP non avrebbe alcun fondamento costituzionale e rischierebbe di consegnare all’amministrazione “unbounded policy choices” suscettibili di restringere le libertà dei cittadini. Esso, dunque, andrebbe sostituito da un “three parts guiding principle”, il quale sarebbe ricavabile dalla Costituzione e potrebbe utilmente aiutare a distinguere tra deleghe costituzionali e incostituzionali di potere normativo. Secondo tale test la delega sarebbe possibile solo: a) quando il Congresso formula standards “sufficiently definite and precise” da consentire a Congresso, Corti e pubblico di “ascertain whether Congress’s guidance has been followed”; b) quando il Congresso emana norme che governano la vita privata ma condiziona la loro implementazione ad un executive fact-finding [36]; o c) nel caso in cui il Congresso abbia delegato alle Corti o all’Amministrazione responsabilità non legislative, per le quali la delega può essere full [37].

Ad oggi, il percorso di revisione della nondelegation doctrine si è compiuto con la decisione West Virginia v. EPA (2022), dalla quale l’amministrazione Biden esce con margini di manovra davvero esigui. In essa, infatti, si afferma il principio per cui il Congresso deve “expressly and specifically decide the major policy question itself and delegate to the agency the authority to regulate and enforce”. La sentenza non ha il solo effetto di rendere una specifica regolamentazione (il CPP) invalida e dunque inapplicabile, ma rischia di rendere assai difficile, da ora in avanti, un’azione regolatoria efficace di contrasto al climate change da parte dell’Agenzia, la quale poggia i propri poteri su una disciplina legislativa risalente (il Clean Air Act del 1970) e non può contare, per le ragioni viste in precedenza, su adeguate leggi del Congresso per la decarbonizzazione ed il contrasto al cambiamento climatico. Al di là delle critiche rivolte alla Corte Suprema da parte della dottrina, degli scienziati e della stessa società civile, il rischio, come è stato rilevato da Pierce, è che a fronte di major problems né il Congresso né l’amministrazione si trovino nella condizione di intervenire [38]. In questi termini, “the major question doctrine can produce a great deal of harm when it is applied in that context. When it is coupled with the legislative impotence that the Court implicitly recognized with its choice of remedies in Arthrex, it can leave the nation powerless to address an unprecedented major new problem” [39].

Non solo: l’Administrative State corre il pericolo di essere limitato anche da una revisione della dottrina della deference elaborata nel caso Chevron [40]. Essa era nata per favorire un’azione regolatoria (ambientale) dell’EPA ed era stata salutata con entusiasmo dagli ambientalisti per lo spazio di manovra che concedeva all’amministrazione sotto l’ombrello della legge [41], ma in un caso del 2020 il giudice Thomas l’ha ritenuta unconstitutional nella misura in cui “likely conflicts with the Vesting Clauses of the Constitution” [42]. Occorrerà dunque ora capire se la Corte Suprema, nella sua attuale composizione a maggioranza repubblicana, abbia in serbo di rivedere anche il rapporto tra poteri (di interpretazione) dell’amministrazione e successivo sindacato delle Corti.

È interessante in ogni caso riflettere sul rapporto tra la decisione della Corte nel caso West Virginia v. EPA e l’approvazione da parte del Congresso del­l’Inflation Reduction Act.

In passato è stato non infrequente che a fronte di una sentenza della Corte Suprema che riteneva l’azione amministrativa invalida per mancanza di una delega del Congresso ci sia stata una conseguente reazione del Congresso, che adottando nuove leggi ha provveduto a delegare nuovi poteri normativi alle agenzie. Così è stato per il caso MCI v. AT&T [43], in ordine ai poteri regolatori della Federal Communication Commission (FCC), e così pure è stato per la decisione della Corte FDA v. Brown & Williamson Tobacco Corp [44], che ha portato all’approvazione della legge che ha affidato alla Federal Trade Commission il potere di regolare l’industria del tabacco.

Nel caso West Virginia, la Corte Suprema ha negato che possano spettare all’EPA decisioni in materia di generation shifting. La decisione è stata emanata nel giugno del 2022 ed il Congresso è riuscito, due mesi più tardi, ad approvare una legge che prevede finanziamenti per circa 400 miliardi di dollari per spingere la transizione energetica, pur senza prevedere un’azione legislativa di limitazione delle emissioni di CO2: potrebbe essere un timido segnale della capacità del Congresso di affrontare il cambiamento climatico ed inaugurare una stagione legislativa – anche in considerazione dell’esito delle elezioni di midterm [45] –in grado di assicurare all’EPA i necessari poteri regolatori per il controllo e la riduzione delle emissioni di carbonio, superando così il veto della Corte Suprema [46].


6. Qualche spunto conclusivo

C’è il cammino dell’Unione europea e c’è il cammino degli Stati Uniti. Per quanto si tratti di percorsi difficili, il Green Deal europeo e i timidi segnali provenienti dal Congresso americano e dalle politiche di Biden consentono di non cedere al pessimismo radicale sul futuro orizzonte della lotta al climate change. Al di fuori degli sforzi protesi da questi due attori globali, tuttavia, non vi sono molti elementi di conforto [47].

Gli esiti della COP27, cioè della Conferenza delle Parti per l’attuazione dell’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, sono stati deludenti. Sul fronte del contenimento delle emissioni, la dichiarazione “Accelerating to Zero” riguardante le emissioni prodotte dai veicoli su strada ha segnato pochi progressi rispetto alla dichiarazione firmata a Glasgow in occasione della COP26. Benché vi abbiano aderito due importanti Stati europei, Francia e Spagna, continuano a mancare all’appello Cina, Stati Uniti, Giappone, India e Germania, ossia i grandi produttori mondiali di automobili.

Allo stesso modo, l’alleanza per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020 costituisce una strategia importante, ma non include, ancora una volta, Cina, India e Russia, i tre grandi assenti dalla Conferenza di Sharm el-Sheikh.

Come ha osservato il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, “we need to drastically reduce emissions now – and this is an issue this COP did not address. A fund for loss and damage is essential – but it’s not an answer if the climate crisis washes a small island state off the map – or turns an entire African country to desert. The world still needs a giant leap on climate ambition” [48].

Anche sul fronte interno l’azione della Cina sembra caratterizzata da una palese contraddizione: da un lato la Guiding Opinion of the State Council on accelerating the Establishment and Improvement of a Green Low-Carbon and Recycling Economic System del febbraio 2022 promette una transizione energetica dell’economia cinese basata sullo sviluppo di energie rinnovabili e sulla trasformazione green dei fattori produttivi, indicando una serie di obiettivi e target di ampio respiro, ma dall’altro, i dati sulle emissioni di CO2, considerati gli aumenti di produzione e consumo che si sono avuti nel 2021 e le previsioni di ulteriore aumento per il 2022, rendono del tutto irrealistico il raggiungimento di obiettivi concreti di decarbonizzazione [49].

La lentezza e le difficoltà con cui si muovono i grandi player dell’in­quinamento globale sono doppiamente difficili da accettare: sono incomprensibili in sé, alla luce dei pesanti effetti che si producono sulle stesse economie inquinanti, in termini di danni alla salute e di danni all’ambiente (con le conseguenze più gravi per le fasce di popolazione più fragili), ma diventano ancora più insopportabili in considerazione del fatto che conseguenze ancora più gravi ricadono sui Paesi a basso reddito che non hanno responsabilità in termini di riscaldamento globale. Come hanno dimostrato i climatologi Cristopher W. Callahan e Justin S. Mankin [50] attraverso un modello matematico che analizza responsabilità ed effetti del riscaldamento globale con riguardo ai Paesi ad alto e basso reddito, i cambiamenti climatici aggravano in modo inaccettabile le diseguaglianze economiche anche in termini planetari poiché i Paesi meno inquinanti risentono in modo sproporzionato dei danni dovuti al climate change senza ricavarne (o averne ricavato), in termini economici, alcun vantaggio in termini di crescita economica.

Richiamando qui le parole dei due autori dello studio “the culpability for warming rests primarily with a handful of major emitters, and that this warming has resulted in the emitters’enrichment at the expense of the poorest people in the world: we quantify those costs to individual countries and who precisely is responsible for them. Our work shows that anthropogenic warming constitutes a substantial international wealth transfer from the poor to the wealthy”.


NOTE

[1] Y. Wang-Y. Tian-S. Pan-S.W. Snyder, Catalytic Process to accelerate Decarbonization in a Net-Zero Carbon World, in https://chemistry-europe.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/
cssc.202201290
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[2] Sul possible impatto del GND cfr. N.S. Bryner, The Green New Deal and Green Transitions, in Vermont Law Rev., Summer 2020, vol. 44, issue 4, pp. 723-776; S. Ferrey, The “Green New Deal”: Constitutional Limitations: Rerouting Green Technologies, in Vermont Law Rev., Summer 2020, vol. 44, issue 4, 777-848; C.P. Carlarne, Remaking Environmental Law, in Stanford Env. Law Journal, May 2021, vol. 41, issue 2, pp. 125-193.

[3] T.L. Friedman, A Warning from the Garden, N.Y. Times, (Jan. 19, 2007), https://www.
nytimes.com/2007/01/19/opinion/19friedman.html?module=inline.
Ma di New green deal parlano anche Custers, Asici and Bünüll, Bauhardt (citati da R. Galvin-N. Healy, The Green New Deal in the United States: what it is and how to pay for it, Energy Research & Social Science, 2020, 2).

[4] In argomento M. Nevitt, Environmental Law, Climate Change & National Security Law, in Harv. Env. Law Review, 2020, vol. 44, issue 2, pp. 321-366.

[5] Per un’analisi sulla efficacia delle due strategie v. J.M. Puaschunder, Monitoring and evaluation (M&E) of the Green New Deal (GND) and European Green Deal, scaricabile da https:/
/papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3817224
.

[6] J. Liu-L.P. Clark-M.J. Bechle-A. Hajat-Sun-Young Kim-A.L. Robinson-L. Sheppard-A.A. Szpiro-J.D. Marshall, Disparities in Air Pollution Exposure in the United States by Race/Ethnicity and Icome, 1990-2010, in Env. Health Perspectives, 2021, vol. 129, 12; T. Collins-S. Grineski, Racial/Ethnic Disparities in Short-Term Air Pollution Exposures in the United States, in Env. Health Perspectives, 2022, vol. 130, 8; P. Mohai-D. Pellow-J. Timmons Roberts, Environmental Justice, in Ann. Revue Environ. Resour., 2009, 34.405, 30.

[7] Il Pacchetto contiene proposte volte a modificare o ad introdurre nuove discipline per il clima (tra cui il reg. n. 2021/1119) e la transizione energetica ed ambientale. Esse combinano misure command and control, incentivi alle imprese (e ai consumatori) ed iniziative pubbliche. Una delle misure chiave è l’estensione del sistema di Emissions trading System (ETS) a nuovi settori (trasporti terrestri ed edilizia). Lo scambio di quote di emissioni negli ultimi 15 anni si è mostrato strumento valido per ridurre le emissioni. Ma il Pacchetto prevede anche una riduzione delle emissioni del 61% rispetto al 2005 per i settori coperti dal sistema EU ETS, oltre al potenziamento del Fondo per l’Innovazione (per incentivare le imprese all’innovazione tecnologica). In letteratura, cfr. The European Climate Law: Making the Social Market economy Fit for 55?, Editorial Comment, in CMLR 2021, 58, 1321. Per una presentazione complessiva delle misure del pacchetto v. G. Cavalieri-B. Celati-S. Franca-M. Gandiglio-A.R. Germani-A. Giorgi-G. Scarano, Il “Fit for 55” unpacked: un’analisi multidisciplinare degli strumenti e degli obiettivi delle proposte settoriali per la decarbonizzazione dell’economia europea, in Riv. Reg. Mercati, 2022, 1, p. 409. In generale, sul Green Deal europeo ed il suo impatto trasformativo cfr. The European Climate Law: Making the Social market economy Fit for 55?, editorial comment, CMLR, 2021, 58, 1321; E. Chiti, Managing The Ecological Transition of the EU: the European Green Deal as a regulatory process, in CMLR, 2021, 59, 19; D. Bevilacqua, La normativa europea sul clima e il Green Deal. Una regolazione strategica di indirizzo, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 2022, 2, 297; E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica europea e assetti di governance, in Dir. pubbl., 2021, 2, p. 415; A. Sikora, European Green Deal – legal and financial challanges of the climate change, in ERA Forum, 2021, 21, 681; M. Delsignore, Ambiente, in Enc. Dir., I Tematici, Funzioni amministrative (dir. B.G. Mattarella-M. Ramajoli), Milano, 2022, spec. 53.

[8] L’approvazione della legge è stata resa possibile perché il senatore Joe Manchin (West Virginia) e il leader dei democratici al Senato Chuck Schumer (New York) hanno raggiunto un accordo sul Reconciliation Bill (poi ridenominato Inflation Reduction Act), che contiene la riforma del Tax Code, la lotta al Climate Change e il taglio dei costi delle spese mediche. In particolare, è previsto uno stanziamento di 400 milioni di dollari per energy and climate related programs da attuare in 10 anni. I costi pubblici sono destinati ad essere recuperati secondo le stime non partisan dei Congressional Tax and Budget Offices.

[9] I dati sono riportati da J.S. Masur, Regulatory Oscillation, cit., 750; v. anche M. Nevitt, Delegating Climate Authorities, in Yale Journal of Regulation, 2022, vol. 39, issue 2, 101; sulla polarizzazione politica del Congresso americano cfr. S.M. Theriault, Party Polarization in Congress (2012): Vital Statistics on Congress, Brooking, 2017, pp. 15-28; N. McCarty, Polarization: What Everyone Needs to Know, Oxford Univ. Press, 2019.

[10] Dal 1999 al 2007 più di 200 disegni di legge sono stati presentati in Congresso per regolare le emissioni di CO2 ma nessuno ha completato il procedimento legislativo. R. Lazarus, Environmental Law without Congress, in Land Use & Envtl. L, 2014, 30, p. 15.

[11] M. Deng-M. Leippold-A.F. Wagner-Q. Wang, The Net-Zero Transition and Firm Value: Insights from the Russia-Ukraine War, REPower EU, and US Inflation Reduction Act, Research Paper Series 22-29, Swiss Finance Institute, scaricabile da https://cepr.org/publications/dp
17207
.

[12] https://climate-xchange.org/network/map/. La mappa mostra efficacemente le diverse politiche statali in materia ambientale secondo gradazioni di colore che rappresentano il grado maggiore o minore di sensibilità ambientale e di lotta al cambiamento climatico.

[13] E. Kagan, Presidential Administration, in Harv. Law Review, 2001, 111, 2245-2329; J.S. Masur, Regulatory Oscillation, in Yale Journal of Regulation, 2022, vol. 39, issue 2, p. 748: “Since at least Clinton Administration, and probably long before that, scholars have understood that legislative gridlock in Congress has forced much of the important activity of Government into the executive branch” (…). In this era of Presidential Administration (…) Presidents have been forced to use the administrative state to achieve policy goals that could not be passed by a divided Congress”. Lo stesso Obama, al di fuori dell’Affordable Care Act, ha potuto realizzare le proprie politiche ambientali e in materia di salute pubblica principalmente attraverso l’azione regolatoria dell’EPA, ciò che ha prodotto una significativa pressione sulla sua amministrazione.

[14] La scelta degli amministratori dell’EPA avviene – come per i ministri – “to serve at the President’s pleasure”. Si tratta dunque di un’amministrazione collegata direttamente alla Casa Bianca, che non solo ne nomina i vertici, ma ne controlla il Budget. In generale, sull’amministra­zione federale statunitense cfr. A.M. Moreno, Presidential Coordination of the Independent Regulatory Process, Adm. L.J. Am. U., 1994, 8, 468; G.P. Miller, Independent Agencies, in Sup. Ct. Rev., 1986, 41, 282; A.B. Morrison, How independent are Independent Regulatory Commissions?, in Duke L.J., 1988, 252; per un inquadramento generale, sia consentito rinviare a B. Marchetti, Pubblica amministrazione e Corti negli Stati Uniti. Il judicial review sulle administrative agencies, Padova, Cedam, 2005, 32.

[15] In questo senso, i poteri dell’agenzia per la protezione ambientale trovano il proprio fondamento nelle due principali leggi emanate dal Congresso per la tutela dell’ambiente, ossia il Clean Air Act del 1970 e l’Energy Policy and Conservation Act (EPCA) del 1975, M. Nevitt, Delegating Climate Authorities, cit., p. 101; J.B. Ruhl-J. Salzman, What Happens when the Green New Deal Meets the Old Green Laws, in Vermont Law Review, 2020, 44, p. 693.

[16] Chevron U.S.A. v. Natural Resources Defense Council Inc., 467 U.S. 837 (1984). La dottrina sul caso Chevron è sconfinata: tra i molti cfr. T.W. Merrill-K.E. Hickman, Chevron Domain, 89 Geo. L.J. 2001, 833; C.R. Sustein, Law and Administration after Chevron, in Colum. L. Rev., 1990, 90, 2071; A. Scalia, Judicial Deference to Administrative Interpretation of Law, in Duke L.J., 1989, 3, p. 511; sul punto sia consentito rinviare anche a B. Marchetti, Pubblica amministrazione e Corti negli Stati Uniti. Il judicial review sulle administrative agencies, cit., 211. Da ultimo sulla dottrina Chevron v. T.W. Merrill, The Chevron Doctrine. Its Rise and Fall and the Future of the Administrative State, Harvard University Press, 2022; J.S. Masur-E.A. Posner, Chevronizing Around Cost-Benefits Analysis, in Duke L. J., 2021, 70, 1109.

[17] In generale, sull’amministrazione neutrale statunitense nel quadro costituzionale v. P. Verkuil, The purposes and limits of Independent Agencies, in Duke Law J., 1988, 259; P. Strauss, The Place of Agencies in Government: Separation of Powers and the Fourth Branch, in Colum. L. Rev., 1984, 578; v. anche L. Barra Caracciolo, Funzione amministrativa e amministrazione neutrale nell’ordinamento U.S.A. Profili comparativi con l’esperienza italiana, Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 1997. Per una riflessione a tutto tondo su autorità di regolazione e politica cfr. E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica, politica e democrazia, Torino, 2019, spec. 11 ss. e bibliografia ivi citata.

[18] M. Nevitt, Delegating Climate Authorities, in Yale Journal of Regulation, 2022, vol. 39, issue 2, p. 777. Sullo spazio lasciato all’EPA dalla legge del Congresso cfr. Cass R. Sunstein, Is the Clean Air Act Unconstitutional?, in Michigan Law Review, 1999, vol. 98, issue 2, pp. 303-394: “Here EPA is asked to set standards "the attainment and maintenance of which in the judgment of the Administrator," based on air quality criteria documents "and allowing an adequate margin of safety, are requisite to protect the public health". The second of these provisions involves national secondary ambient air quality standards, which EPA must set at levels requisite to protect the public welfare from any known or anticipated adverse effects associated with the presence of such air pollutant in the ambient air”.

[19] In generale, gli standard approvati dall’EPA devono essere scientificamente fondati e costantemente aggiornati, ed eventualmente modificati, ogni cinque anni, con la collaborazione del Comitato scientifico indipendente che affianca l’agenzia in questo compito, il Clean Air Scientific Advisory Committee (CASAC).

[20] Secondo l’Agenzia, il sistema di emissions trading costituiva uno strumento ben sperimentato ed efficace, capace di raggiungere una riduzione delle emissioni anche maggiore di quella richiesta grazie ai vantaggi assicurati dagli incentivi finanziari e dall’assenza di costi di compliance.

[21] V. L. Parona, La Corte Suprema si pronuncia sul Clean Power Plan: prime note a West Virginia et al. v. Environmental Protection Agency, in DPCE online, Settembre 2022, http://www.
dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/1660
.

[22] C. Kolstad-D. Sivas-M. Wara, Goodbye, Clean Power Plan, reperibile al sito https:/
/woods.stanford.edu/news/goodbye-clean-power-plan
.

[23] J.S. Masur, Regulatory Oscillation, cit., 753, il quale osserva che “This type of long-term regulatory uncertainty is essentially always harmful, irrespective of the policy in question”. Secondo l’A. “Businesses that face an uncertain regulatory environment will be reclutant to make long-term investments that depend upon the regulatory rules in place”, ma soprattutto “regulatory oscillation is especially damaging when the policy at issue is one that is so clearly beneficial to the world”. Sul rapporto tra azione regolatoria e legislazione ambientale v. J.B. Ruhf-J. Saltman, What Happens when the Green New Deal meets the Old Green Laws, in Vermont Law Review, 2020, vol. 44, issue 4, 693-721.

[24] J.S. Masur, Regulatory Oscillation, cit., 753.

[25] La sentenza è stata pubblicata il 19 gennaio 2021, cioè il giorno precedente alla cessione del mandato di Trump (American Lung Ass’n v. Environmental Protection Agency). Cfr. M.B. Gerrard-J. Spalding-J. Tauber-K. Matthews, West Virginia v. Environmental Protection Agency. The Agency’s Climate Authority, in Env. L. Rep, June 2022, 52, 10429.

[26] La decisione della Corte di esaminare il ricorso nonostante la dichiarazione dell’EPA di non voler dare attuazione al CPP è stata definita sorprendente da J.H. Adler, West Virginia v. EPA: Some Answers about Major Questions, Case Research paper Series in Legal Studies, Agosto 2022, https://scholarlycommons.law.case.edu/faculty_publications/2152/: “The Supreme Court’s decision to grant certiorari in West Virginia v. Environmental protection Agency (WV v. EPA) was a surprise. The Court rarely grants cases involving challenges to regulations the executive branch no longer wishes to enforce”. L’art. III della Costituzione prevede infatti che le Corti abbiano giurisdizione in presenza di “case or controversy”. Inoltre, difetterebbe lo standing delle parti, dato che il CPP, non venendo applicato, non avrebbe potuto arrecare alcun pregiudizio.

[27] Tra i primi commenti alla sentenza, cfr. L. Parona, La Corte Suprema si pronuncia sul Clean Power Plan: prime note a West Virginia et al. v. Environmental Protection Agency, cit., 5; M. Ramajoli, Attività regolatoria e norme attributive dei poteri: alcune considerazioni, in Riv. Reg. Mercati, 2022, 1, p. 25, la quale esamina la sentenza alla luce della questione del rispetto del principio di legalità sostanziale; A.M. Sabino, West Virginia v. EPA: Behind the Supreme Court’s Principled Decision, in Climate and Energy, 2022, October, 1; J.H. Adler, A “Step Zero” for delegations. The Administrative State before the Supreme Court, American Enterprise Institute, 2022, 161.

[28] Bibliografia sulla nondelegation doctrine. J.S. Masur, Regulatory Oscillation, cit., 743; C. De Saillan, United States Supreme Court rules EPA must take action on Greenhouse Gas Emissions: Massachusetts v. EPA, in Natural Resources Journal, Fall 2007, vol. 47, n. 4, 793; K.E. Hickman, Nondelegation as Constitutional Symbolism, in The George Wash. L.R., 2021, 89, 1079; T.W. Merrill, Rethinking Article I, section I: From Nondelegation to Exclusive Delegation, in Colum. L.Rev., 2004, 104, 2097; da ultimo su nondelegation e West Virginia v. EPA cfr. R.J. Pierce Jr., The Remedies for Constitutional Flaws have Major Flaws, in George Wash. Law Faculty Publications, 2022, reperibile al sito https://scholarship.law.gwu.edu/cgi/view
content.cgi?article=2869&context=faculty_publications
.

[29] Sulle ampie deleghe di potere regolatorio consentite dal Clean Air Act e sulla loro costituzionalità cfr. Cass. R. Sunstein, Is the Clean Air Act Consitutional?, in Michigan Law Rev., 1999, pp. 303, 359.

[30] 488 U.S. 361 (1989). Secondo l’opinione di maggioranza scritta dal giudice Blackmun, mano a mano che la complessità della società aumenta, il Congresso è tenuto a delegare poteri all’amministrazione “under broad general directives”. Nel caso di specie, la delega ampia di poteri all’agenzia era indubbiamente “sufficiently specific and detailed to meet constitutional requirements”. Secondo la Corte, il Congresso ha identificato specifici obiettivi e indicato specifici strumenti per il loro raggiungimento: ciò e le altre direttive contenute nella legge hanno assicurato che l’agenzia fosse guidata da “more than merely an ‘intelligible principle’ or minimal standards”.

[31] Whitman v. Am. Trucking Ass’ns, 531 U.S. 457 (2001).

[32] Gundy v. United States, 139 S. Ct. 2116 (2019).

[33] Un’altra decisione in cui il giudice Roberts ha ridotto il potere normativo dell’agenzia è stata King v. Burwell, del 2015. Qui non è stato messo in dubbio il principio dell’IP test, ma è stato riconosciuto che il potere delle agenzie di interpretare una norma, in tali circostanze, non poteva rientrare nell’ambito di applicazione della Chevron Doctrine. Su tale caso K.E. Hickman, Nondelegation as Constitutional Symbolism, cit., 1123.

[34] Il giudice Kavanaugh non ha preso parte alla decisione.

[35] “Justice Alito provided the critical fifth majority vote but did not join either the plurality’s constitutional or statutory analysis, stating he would join the minority in an appropriate case”: così M.P. Nevitt, The Remaking of the Supreme Court: Implications for Climate Change Litigation and Regulation, in Cardozo L. Rev., 2021, 2911.

[36] Da rilevare che questa seconda fattispecie è stata ricavata dal giudice Gorsuch da un caso di commercio internazionale risalente all’epoca Napoleonica.

[37] Il giudice Kavanaugh, nel caso Paul v. United States (140 S.Ct. 342 (2019) in un altro ricorso per violazione della nondelegation doctrine ha accompagnato il rigetto del ricorso con una dichiarazione in cui afferma che “Justice Gorsuch’s scholarly analysis of the Constitution’s nondelegation doctrine in his Gundy dissent may warrant further consideration in future cases”. In argomento cfr. K.E. Hickman, Nondelegation as Constitutional Symbolism, cit., p. 1121.

[38] In termini molto critici nei confronti della Corte Suprema cfr. R.J. Pierce Jr., The Remedies for Constitutional Flaws have Major Flaws, cit., secondo cui “The contexts in which the Court applied the doctrine (nondelegation) in its 2021-22 Term differed significantly from the context of the case that gave rise to the doctrine. The Court applied the doctrine to unprecedented major actions that agencies took to address unprecedented major new problems – the Covid pandemic and climate change. (…) The Court can avoid that problem by restoring the major question doctrine to its original context and holding that an agency can take a major unprecedented action under an old broadly worded statute if it confronts an unprecedented major new problem”.

[39] R.J. Pierce Jr., The Remedies for Constitutional Flaws have Major Flaws, cit.

[40] M.P. Nevitt, The Remaking of the Supreme Court: Implication for Climate Change Litigation and Regulation, cit., p. 2924.

[41] Peraltro, la discrezionalità che essa offre all’amministrazione rispetto al possibile sindacato giurisdizionale non è unidirezionale: qualora l’amministrazione (come l’EPA è stata nella Presidenza Trump) sia particolarmente riluttante ad emanare una regolazione ambientale rigorosa, questa stessa deferenza può avere l’effetto di consentire una de-regulation. Per tale ragione l’Affordable Clean Energy Rule, come visto in precedenza, era stato oggetto di impugnazione dinanzi alle Corti e annullato in ragione del modo eccessivamente restrittivo con cui la Agency aveva interpretato i propri poteri per la tutela ambientale.

[42] City of Maui v. Hawaii Wildlife Fund, 140 S. Ct. 1462 (2020).

[43] 512 U.S. 218 (1994).

[44] 529 U.S. 120 (2000).

[45] Come è noto, queste hanno confermato la maggioranza repubblicana alla Camera ma garantito la maggioranza democratica in Senato.

[46] In questi termini, J.H. Adler, West Virginia v. EPA: Some Answers About Major Questions, cit., 38, secondo cui “The Supreme Court’s decision in WV v. EPA need not to be the last word on Whether generation shifting should play a role in mitigating the Threat of climate chan­ge. There is broad consensus that more flexible, out-come based strategies are most cost effective and efficient than facility-by-facility permitting”. Secondo l’A., “what Congress cannot do is sit back and hope that agencies discover how to unearth broad regulatory powers in the deepest regions of statutes it passed decades ago”. V. anche J.B. Ruhl-J. Salzman, What Happens When the Green New Deal Meets the Old Green Laws?, cit., 720.

[47] Tra i fattori positivi si può ricordare l’iniziativa green dell’Arabia Saudita, che ha lanciato un programma ambizioso per la riduzione delle emissioni e la transizione energetica (con la previsione di un aumento di energia da fonti rinnovabili del 50% nel 2030). Il piano prevede investimenti per 700 miliardi di riyal sauditi (pari circa a 180 miliardi di euro) per raggiungere il tar­get di zero emissions nel 2060. V. https://www.vision2030.gov.sa/v2030/v2030-projects/saudi-green-initiative/.

[48] https://unfccc.int/cop27.

[49] Sebbene nell’Energy Work Plan del 2022, adottato dalla NEA (National Energy Admini­stration) si annunci una diminuzione graduale dell’impiego delle energie fossili, il Presidente Xi Jinping nel corso delle Two Sessions (cioè dell’incontro annuale del National People’s Congress (NPC) e della Chinese People’s Political Consultative Conference (CPPCC), ha precisato che “Green transformation is a process, and not something that can be accomplished overnight”, così che il processo di decarbonizzazione dovrebbe essere “not too fast, not too slow, steady and sure”. In questa logica, l’attuale aumento di produzione e consumo di energia fossile è “a response to short-term issues of energy supply, and as other energy sources catch up, China’s coal consumption will reduce”. V. https://www.china-briefing.com/news/what-is-chinas-green-and-low-carbon-plan-and-why-is-it-relevant-to-foreign-investors/.

[50] C.W. Callahan-J.S. Mankin, National Atribution of Historical Climate Change, in Climate Change, 2022, vol. 172, 12 luglio 2022. Negli stessi termini, v. M. Naddaf, Climate Change is costing trillions – and low-income countries are paying the price, in Nature, 2022, Nov. 7 2022; Sui costi intergenerazionali cfr. W. Thiery-S. Lange et al., Intergenerational inequities in exposure to climate extremes, in Science, 2021, 374, 6564, https://www.science.org/doi/full/10.
1126/science.abi7339
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