Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La corsa al sostegno della transizione energetica: verso una nuova politica industriale europea? (di Stefano Saluzzo, Ricercatore di diritto internazionale, Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e Sociali, Università del Piemonte Orientale)


Oggetto del presente lavoro è l'analisi della Comunicazione della Commissione europea del primo febbraio 2023 sul Piano industriale del Green Deal per l'era a zero emissioni nette. L’obiettivo è mettere in luce le principali componenti della nuova politica industriale europea, adottata per sostenere la transizione energetica e dare ulteriore attuazione al Green Deal europeo, ma anche per rispondere alle recenti iniziative di analogo tenore di Stati Uniti e Cina. Il contributo si concentra, in particolare, sulle misure proposte dalla Commissione e sull'impatto che queste potrebbero produrre sull’integrità del mercato interno e sulle condizioni di parità degli operatori economici europei. Le stesse misure vengono poi prese in esame anche dal punto di vista della regolamentazione internazionale delle sovvenzioni e delle ricadute che esse possono avere sul sistema del commercio internazionale.

The Race to Support Energy Transition: Towards a New European Industrial Policy?

The subject of this paper is the analysis of the European Commission's Communication of 1 February 2023 on the Green Deal Industrial Plan for the Net-Zero Age. The aim is to highlight the main components of the new European industrial policy, adopted to support the energy transition and further implement the European Green Deal, but also to respond to recent similar initiatives of the United States and China. The contribution focuses on the measures proposed by the Commission and the impact they could have on the integrity of the internal market and the level playing field for European economic operators. The same measures are also examined from the point of view of the international regulation of subsidies and the effects they may have on the international trade system.

ESTRATTO

Un piano industriale del Green Deal per l’era a zero emissioni nette

1. Introduzione: Un piano industriale del Green Deal per l’era a zero emissioni nette

Questo decennio sarà decisivo a livello mondiale per limitare l’aumento della temperatura e fare il necessario per raggiungere la neutralità climatica. La posta in gioco è alta e le sfide sono complesse, ma si profila un’opportunità unica per fare di questo imperativo un catalizzatore degli investimenti nell’economia e nell’industria dell’energia pulita dell’era a zero emissioni nette.

Il Green Deal europeo definisce le nostre ambizioni per la transizione verde, compresi i nostri obiettivi climatici tesi ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Il pacchetto “Pronti per il 55 %” presenta un piano concreto per mettere l’economia europea sul binario giusto, mentre il piano REPowerEU accelera l’uscita di scena dei combustibili fossili. Insieme al piano d’azione per l’economia circolare, queste iniziative definiscono il quadro per la trasformazione dell’indu­stria dell’UE preparandola all’era a zero emissioni nette.

Nei prossimi anni l’economia dell’era a zero emissioni nette prenderà definitivamente forma. Avremo nuovi mercati, con tecnologie pulite pionieristiche che avranno superato le fasi di inno­vazione e sviluppo per diventare pienamente commerciabili e con sistemi energetici completa­mente trasformati. Chi oggi per primo romperà gli indugi e saprà avviare rapidamente gli investimenti si garantirà un posto al tavolo nella nuova economia e creerà occupazione per lavoratori dotati di qualifiche aggiornate, rinnoverà il tessuto produttivo industriale, ridurrà i costi per le persone e le imprese e godrà di una posizione privilegiata per aiutare altre parti del mondo a decarbonizzare le proprie economie.

La dimensione di quest’opportunità per l’industria europea evidenzia quanto sia necessario coglierla. L’Agenzia internazionale per l’energia stima che entro il 2030 il mercato mondiale delle principali tecnologie dell’energia pulita prodotte su larga scala varrà circa 650 miliardi di USD all’anno (circa 600 miliardi di EUR), pari a oltre il triplo del livello attuale. I posti di lavoro connessi nell’industria energetica potrebbero più che raddoppiare nello stesso periodo. L’indu­stria a zero emissioni nette è in forte crescita a livello mondiale, al punto che la domanda talvolta supera [continua..]

SOMMARIO:

1. Un nuovo Piano industriale per l’era a zero emissioni nette - 2. Le principali componenti del nuovo Piano industriale - 3. Gli aiuti di Stato tra emergenza e rischi di frammentazione del mercato interno - 4. Multilateralismo e unilateralismo in materia commerciale - 5. Il ritorno di una politica industriale europea - NOTE


1. Un nuovo Piano industriale per l’era a zero emissioni nette

Il primo febbraio 2023 è stata pubblicata la comunicazione della Commissione europea sul nuovo Piano industriale del Green Deal per l’era a zero emissioni nette [7]. Si tratta solo dell’ultimo dei tanti tasselli che compongono la linea direttrice della Commissione degli ultimi anni, a partire dall’approva­zione del Green Deal europeo [8], finalizzata alla riconversione energetica del sistema produttivo del mercato interno [9]. Che l’ambizione della Commissione sia quella di definire una politica industriale europea in senso proprio sembra ormai piuttosto evidente, sebbene il Piano industriale costituisca anche la risposta del­l’Unione europea (UE) alle pressioni esterne provenienti dalle politiche di altri Paesi e, prima fra tutte, a quella derivante dal recente Inflation Reduction Act adottato dall’amministrazione Biden nell’agosto 2022. Nonostante ciò, il Piano industriale proposto dalla Commissione si inserisce nella più ampia cornice delle iniziative recentemente assunte per dare consistenza agli obiettivi del Green Deal e per imprimere un carattere maggiormente finalistico alle misure adottate dall’Unione relative all’industria europea. Da questo punto di vista, il Piano industriale costituisce anche il tentativo della Commissione di conferire un certo grado di coerenza e uniformità alle molte iniziative intraprese negli ultimi anni. Si tratta di un’esigenza di primo piano, considerato anche l’assetto delle competenze di cui l’UE dispone per far fronte alle radicali trasformazioni in atto sul piano interno e internazionale. In effetti, la stessa idea di una politica industriale europea si è fatta strada negli anni recenti a discapito di quanto originariamente previsto dai Trattati. È sufficiente in questa sede richiamare l’art. 173 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale costituisce la base giuridica per l’azione dell’Unione su questo fronte. La norma attribuisce all’UE una competenza di mero coordinamento e sostegno delle politiche nazionali degli Stati membri [10], con il dichiarato obiettivo di «assicurare le condizioni necessarie alla competitività delle industrie dell’Unione». Una competenza, dunque, di natura meramente complementare, che in alcun modo limita le scelte di politica nazionale degli Stati [11]. Inoltre, [continua ..]


2. Le principali componenti del nuovo Piano industriale

La Comunicazione della Commissione si inserisce nella più ampia prospettiva del Green Deal europeo, già in parte sviluppato con il pacchetto Fit for 55 e il Piano RePowerEU [15]. L’obiettivo è quello di ulteriormente incentivare la transizione ecologica verso un’industria a zero emissioni nette (o net-zero), vale a dire un’industria le cui emissioni di gas a effetto serra siano prossime allo zero [16]. Tale transizione è presentata dalla Commissione come un’impor­tante occasione di sviluppo economico e competitivo del mercato interno, sebbene – come evidenziato in precedenza – si tratti al tempo stesso di una risposta alle iniziative adottate nello stesso campo da alcuni dei principali concorrenti stranieri del sistema europeo. La Commissione, in effetti, traccia fin dall’inizio un confronto con le trasformazioni in corso nel mercato statunitense, sottolineando al tempo stesso le incertezze prodotte dalla decisione cinese di incrementare le sovvenzioni per l’industria tecnologica nell’ultimo piano quinquennale [17]. L’aspirazione, tuttavia, è che l’Unione possa anche offrire un modello di conversione industriale a livello globale, dettando uno standard per gli altri Stati che, nell’ambito dell’Accordo di Parigi, hanno dichiarato nei loro Contributi nazionali (NDC) l’obiettivo delle zero emissioni nette [18]. I pilastri su cui poggia questa nuova politica industriale sono identificati dalla Commissione in una serie di interventi regolatori, nell’accesso più rapido ed esteso a forme di finanziamento, nell’acquisizione di nuove competenze per il mondo del lavoro e, infine, in diverse misure relative al commercio internazionale. È evidente, dunque, che l’iniziativa della Commissione guarda contemporaneamente tanto al fronte interno quanto a quello esterno del mercato europeo, con l’ambizione di mantenere la più efficace coerenza possibile tra le politiche del mercato interno e le azioni della politica commerciale comune [19]. Una prima parte del documento è dunque dedicata alle proposte di iniziativa legislativa. Queste riguardano innanzitutto un atto legislativo sull’industria net-zero, finalizzato a semplificare il quadro regolatorio relativo alla capacità produttiva di alcuni settori merceologici essenziali alla transizione ecologica. Il [continua ..]


3. Gli aiuti di Stato tra emergenza e rischi di frammentazione del mercato interno

Come si è già osservato, una componente rilevante della nuova politica industriale presentata dalla Commissione è costituita da un più ampio e rapido accesso a canali di finanziamento derivanti da risorse nazionali degli Stati membri. Si tratta, cioè, di un ulteriore intervento per rendere più flessibili i vincoli derivanti dal diritto primario dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. Le premesse da cui muove la Commissione paiono volte a dimostrare che queste scelte si inseriscono in un solco di continuità con gli interventi che si sono succeduti a partire dall’emergenza pandemica. In particolare, però, la comunicazione si concentra sul Quadro temporaneo di crisi, adottato nel marzo 2022 per contrastare le difficoltà economiche determinate dal conflitto tra Russia e Ucraina [29]. Sulla base di quel modello, la Commissione ha infatti definito le priorità del nuovo Quadro temporaneo di crisi e transizione (TCTF), incentrato su una semplificazione degli aiuti per le energie rinnovabili e per la decarbonizzazione delle produzioni industriali, su nuovi regimi potenziati di finanziamento per tecnologie strategiche e su un incremento di aiuti per grandi progetti di produzione in catene del valore strategiche. A ciò si aggiunge una revisione del Regolamento generale di esenzione per categoria [30], finalizzata ad innalzare le soglie di notifica degli aiuti di Stato in determinati settori [31]. Il 9 marzo 2023 la Commissione ha in effetti adottato il nuovo Quadro temporaneo, del quale pare opportuno richiamare gli aspetti essenziali. Innanzitutto, il Quadro sdoppia le linee di intervento sui due fronti della crisi ucraina e della transizione per un’industria a zero emissioni nette. Le misure a disposizione degli Stati membri sul primo fronte potranno trovare applicazione fino alla fine del 2023. Per quelle relative alla transizione è al momento fissata una scadenza a fine 2025. Gli aiuti alla transizione saranno dunque considerati compatibili con i limiti imposti dall’art. 107 TFUE se rispetteranno i requisiti fissati dal nuovo Quadro temporaneo. Nello specifico, la Commissione fa riferimento ad aiuti che ricadano nella previsione di cui all’art. 107, par. 3, lett. c) del TFUE, vale a dire «aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le [continua ..]


4. Multilateralismo e unilateralismo in materia commerciale

Il piano industriale proposto dalla Commissione presenta anche numerose ricadute sul fronte dei rapporti commerciali esterni e chiama in causa diversi aspetti del diritto del commercio internazionale. Innanzitutto, perché il ricorso a misure unilaterali di finanziamento pubblico deve comunque rimanere nei limiti imposti dagli obblighi internazionali dell’Unione in questo settore, segnatamente quelli derivanti dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e dagli accordi commerciali preferenziali. In secondo luogo, perché una politica industriale in senso stretto non può prescindere dal tenere in considerazione la concorrenza determinata da analoghe misure adottate da Stati terzi. Su questi aspetti, le considerazioni presentate dalla Commissione appaiono piuttosto generiche e, in larga misura, replicano un’impostazione già più volte avanzata in altre comunicazioni [52]. Nella Comunicazione sul Piano industriale, la Commissione sottolinea in prima battuta la necessità di una cooperazione globale e di un uso del commercio internazionale come fattore di agevolazione della transizione energetica. Vengono dunque richiamate alcune importanti azioni già intraprese a livello internazionale, concentrate in particolare su due fronti: il sostegno al sistema multilaterale degli scambi commerciali incardinato nell’OMC e il rafforzamento della rete di accordi commerciali preferenziali (o di libero scambio), conclusi dall’UE con Stati terzi. Il primo elemento fa riferimento soprattutto al processo di riforma dell’Organizzazione, dato che alcune delle sue funzioni – in particolare quella di risoluzione delle controversie commerciali – sono bloccate ormai da tempo a causa del voto contrario statunitense [53]. Il secondo, invece, attiene a uno dei principali strumenti della politica commerciale europea, rappresentato dagli accordi bilaterali di trattamento preferenziale conclusi con numerosi Stati terzi. La rilevanza di questi accordi nel contesto della transizione energetica è cresciuta in misura considerevole negli ultimi anni, a partire dal momento in cui l’UE ha scelto di introdurre nel corpo delle previsioni pattizie i c.d. capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile (trade and sustainable development chapters – TDSC) [54]. Si tratta di specifiche disposizioni volte a vincolare entrambe le parti al rispetto di standard ambientali [continua ..]


5. Il ritorno di una politica industriale europea

Il Piano industriale del Green Deal rappresenta senza dubbio un momento fondamentale nella costruzione di una politica industriale europea volta a guidare un complesso processo di riconversione e innovazione dell’industria degli Stati membri. Per certi aspetti, è anche un passaggio obbligato, in un contesto globale in cui iniziative analoghe (almeno nelle finalità) stanno determinando profonde trasformazioni economiche e una crescente concorrenza tra i principali mercati del mondo. La diffusa diffidenza verso politiche di sostegno statale all’industria aveva determinato in passato un progressivo abbandono di qualunque programma che potesse essere considerato di stampo protezionistico [72], in ossequio alle logiche di un mercato il più libero e aperto possibile. Certamente, l’Unione europea non costituisce un unicum nel panorama internazionale; anzi, come si è cercato di evidenziare in questo contributo, alcune scelte presentate nel Piano industriale dalla Commissione sono da imputare soprattutto alla necessità di reagire, in tempi rapidi, alle politiche industriali e commerciali di altri Stati. La Commissione, pur nell’aspirazione di voler fare dell’UE una guida nel processo di transizione ecologica, riconosce che il contesto attuale è caratterizzato da una forte competizione a livello internazionale: «Chi oggi per primo romperà gli indugi e saprà avviare rapidamente gli investimenti si garantirà un posto al tavolo nella nuova economia e creerà occupazione per lavoratori dotati di qualifiche aggiornate, rinnoverà il tessuto produttivo industriale, ridurrà i costi per le persone e le imprese e godrà di una posizione privilegiata per aiutare altre parti del mondo a decarbonizzare le proprie economie» [73]. È dunque una fase di mutamento di alcuni dei paradigmi che hanno retto il sistema economico (e giuridico) degli ultimi decenni e che testimonia il ritorno, in molti Paesi, della politica “che non può essere nominata” [74]. Tuttavia, il modello cui diversi Stati guardano non è certo quello del dirigismo industriale, bensì di un riorientamento degli obiettivi di sostegno economico, nell’ottica del rafforzamento della competitività delle imprese nazionali e della loro capacità di riconversione. In questo senso, appare ancora centrale quel riferimento [continua ..]


NOTE