Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Equilibrio di bilancio ed effetti nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità di norme tributarie (di Francesco Tesauro)


  

SOMMARIO:

1. La questione tributaria - 2. La questione degli effetti nel tempo delle sentenze della Corte - 3. I rapporti esauriti e le situazioni irrevocabili - 4. Illegittimità futura e illegittimità sopraggiunta - 5. Cenni di diritto comparato - 6. L'art. 53, l'art. 81 e il bilanciamento - 7. Il dies a quo dell'incostituzionalità - 8. Rimedi allo squilibrio di bilancio - NOTE


1. La questione tributaria

Con la sentenza n. 10/2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegitti­mità di alcune norme tributarie «a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Il dispositivo riflette l’art. 136 Cost., ma è nella motivazione che è racchiusa la novità di questa sentenza, perché la Corte, operando un bilanciamento tra contrapposti principi costituzionali (art. 53 e art. 81), sembra quasi legittimare un tributo incostituzionale, se il suo gettito è necessario all’equilibrio del bilancio, ed inoltre perché la Corte esclude – pur accertando una illegittimità originaria – che la pronuncia abbia effetti retroattivi.

La sentenza pone dunque in crisi la certezza che una legge contraria all’art. 53 Cost. sia da dichiarare incostituzionale, perché la violazione dell’art. 53 dev’essere bilanciata con l’art. 81. Pone in crisi la certezza che le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale siano retroattive. Pone in crisi la certezza che le sentenze di accoglimento rendono inapplicabile la norma invalidata nel giudizio a quo.

Era in discussione l’aggravamento dell’IRES sul reddito delle società petrolifere, introdotta nel 2008. La Corte non ha ritenuto di dover considerare illegittima la normativa censurata perché discriminava all’interno di una medesima categoria reddituale.

Se ne deriva il corollario, difficilmente condivisibile, che il legislatore potrebbe introdurre aliquote differenziate per i diversi settori imprenditoriali: ad esempio, un’aliquota per i petrolieri ed una per i farmaceutici, un’altra per le imprese bancarie e assicurative, un’altra per le televisioni, ecc. A parità di reddito d’impresa sarebbero permesse aliquote diverse.

In realtà la Corte avrebbe potuto dichiarare incostituzionale la maggior tassazione per il fatto che discrimina all’interno della categoria dei redditi d’im­presa (altra cosa è la discriminazione tra redditi di categorie diverse) [1].

La Corte ammette in specie la tassazione differenziata dei redditi derivanti «dalla eccezionale redditività dell’attività economica per gli operatori del petrolio»; più precisamente, ritiene legittimo «un prelievo differenziato che colpisca i “sovra-profitti” congiunturali, specie se di origine speculativa». Ed ha ritenuto illegittima la maggior tassazione perché non colpisce solo i sovra-profitti, ma l’intero reddito [2], ed inoltre perché non è temporanea ed infine perché non è impedita la traslazione.

Sarebbe dunque legittima, secondo la Corte, un’imposta che colpisce i sovraprofitti congiunturali, e che cessa quando cessa la congiuntura.

Un tributo con tali caratteristiche richiama alla mente le imposte istituite in Italia (e all’estero) in occasione delle due guerre mondiali. Si trattava di imposte che colpivano la parte dei profitti delle imprese commerciali e industriali, conseguiti nel periodo bellico, che erano superiori alla media degli utili del biennio precedente la guerra [3]. Quelle imposte colpivano, però, in generale, le imprese commerciali e industriali. Non si limitavano, come l’aliquota maggiorata di cui discutiamo, a colpire in modo discriminatorio solo determinate attività. Se dunque è da condividere la dichiarazione di illegittimità delle norme censurate, la motivazione della sentenza è tutt’altro che condivisibile.


2. La questione degli effetti nel tempo delle sentenze della Corte

Questa sentenza innova in tema di effetti nel tempo delle sue pronunce di accoglimento. La questione degli effetti nel tempo delle sentenze di incostituzionalità, in dipendenza dalla natura della sentenza, fu largamente dibattuta nei primi anni successivi al 1948, e sembrava chiusa nel senso che le sentenze di accoglimento sono sentenze di annullamento ex tunc [4].

Con questa sentenza – accogliendo una richiesta subordinata dell’Avvoca­tura – la Corte esclude la retroattività della pronuncia [5], rivendicando il potere di introdurre limiti alla retroattività. La Corte argomenta la sua tesi affermando che:

a) l’efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le situazioni divenute irrevocabili e i rapporti esauriti;

b) limiti alla retroattività derivano dalla necessità di salvaguardare principi di rango costituzionale;

c) la Corte avrebbe già in passato operato limitando la retroattività;

d) la comparazione con altre corti costituzionali mostra che la limitazione della retroattività è prassi diffusa.

L’argomento forte dovrebbe essere il secondo. Gli altri sono argomenti di contorno, neppure pertinenti.


3. I rapporti esauriti e le situazioni irrevocabili

L’esistenza di c.d. rapporti esauriti e situazioni irrevocabili, che impediscono alla sentenza di accoglimento di travolgerli, non sono un limite alla retroattività.

I rapporti esauriti e altre situazioni irrevocabili (per effetto, ad es., di decadenza e prescrizione, giudicato, transazione, atti amministrativi definitivi) non sono travolti dalla sentenza di incostituzionalità, non perché la retroattività della sentenza sia limitata, ma perché operano altre norme, in base a cui sopravvivono.

Si tratta delle norme che prevedono la decadenza, la prescrizione, la definitività degli atti amministrativi e del giudicato.

La sentenza che, ad esempio, dichiara incostituzionale un tributo, opera retroattivamente, ma il contribuente non ha diritto al rimborso se non l’ha richiesto nel termine di decadenza previsto dalla legge tributaria. In un simile caso, ciò che obbliga il giudice a respingere la domanda non è un limite alla retroattività della dichiarazione di incostituzionalità e, quindi, il perdurare di efficacia della norma dichiarata incostituzionale, ma la decadenza. È applicando la nor­ma sulla decadenza che il giudice dichiara inammissibile la domanda di rimborso. Il giudice decide la controversia non già applicando la norma tributaria dichiarata incostituzionale, ma la norma che prevede la decadenza del contribuente dal potere di richiedere il rimborso del tributo indebitamente assolto.


4. Illegittimità futura e illegittimità sopraggiunta

Si può dire che la Corte limita gli effetti retroattivi solo quando la sentenza accerta una illegittimità originaria della norma dichiarata incostituzionale, ma la cessazione di efficacia viene fatta decorrere da una data successiva (o successiva alla illegittimità sopraggiunta).

Ciò non accade né quando la Corte accerta che l’illegittimità si verificherà in una data successiva alla pronuncia, né quando è accertata una illegittimità non originaria, ma sopraggiunta e gli effetti invalidanti sono fatti decorrere da quando è sopraggiunta l’invalidità.

La sentenza annotata afferma che la «graduazione degli effetti temporali delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale deve ritenersi coerente con i principi della Carta costituzionale»: richiama dei precedenti, riconoscendo però che sono stati emessi «in alcune circostanze sia pure non del tutto sovrapponibili a quella in esame (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del 1991, n. 50 del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988)».

Nessuna delle sentenze citate come precedenti fa discendere la limitazione di effetti da un bilanciamento. Delle sentenze citate, tre riguardano casi di illegittimità futura [6].

Le altre sentenze citate accertano casi di illegittimità sopraggiunta [7], di illegittimità “dal momento in cui”. Nel caso della sentenza annotata l’illegittimità è stata invece ritenuta originaria.

Nei casi di illegittimità sopraggiunta, la sentenza di incostituzionalità retroagisce, ma fino a al momento in cui è sopraggiunta l’incostituzionalità. In tali casi non c’è limitazione di effetti (disposta dalla Corte). La retroattività opera dove deve operare; copre tutto il periodo di illegittimità della norma. Se andasse oltre (fino alla emanazione della norma), colpirebbe la norma in epoca in cui era legittima.


5. Cenni di diritto comparato

La Corte invoca la comparazione con altre corti costituzionali europee – e cita ad esempio quelle austriaca, tedesca, spagnola e portoghese – per sostenere che «il contenimento degli effetti retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche nei giudizi in via incidentale, indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi».

In realtà, la comparazione non è un argomento utile, perché negli altri ordinamenti vi sono, diversamente che nel nostro, norme che permettono di limitare gli effetti retroattivi (e norme per il giudizio a quo).

La Costituzione portoghese, all’art. 282, comma 4, diversamente dalla nostra, prevede espressamente che il giudice costituzionale possa limitare gli effetti retroattivi delle sue decisioni quando lo esigano «la certezza del diritto, ragioni di equità o di interesse pubblico di eccezionale rilievo».

La Costituzione austriaca prevede che la dichiarazione di incostituzionalità acquista efficacia dal giorno della pubblicazione, «se la Corte di giustizia costituzionale non stabilisce un termine. Questo termine non può essere superiore a 18 mesi» (art. 140, § 5). Vi è dunque una norma ad hoc che conferisce alla Corte costituzionale il potere di disporre, entro determinati limiti, degli effetti temporali delle sue pronunce [8].

Il Bundesverfassungsgericht, in base ad una legge del 1970, può pronunciare, oltre che sentenze di nullità, anche sentenze di mera incompatibilità, che bloccano l’applicazione della legge incompatibile fino all’intervento del legislatore.

In Spagna non vi è una disciplina degli effetti delle sentenze di accoglimento (l’art. 164 della Costituzione spagnola tace al riguardo), e ciò ha consentito alla Corte costituzionale una certa creatività nel delineare il regime degli effetti di tali sentenze.

In sintesi, in altri ordinamenti, o vi sono norme, diverse dalle nostre, o non vi sono norme (caso spagnolo): ben diversa è la situazione italiana, perché da noi vi è una disciplina ben precisa degli effetti delle pronunce di incostituzionalità, cui la Corte non può sottrarsi.


6. L'art. 53, l'art. 81 e il bilanciamento

Sgombrato il campo dagli argomenti di contorno, resta l’argomento principale, cioè il bilanciamento. In nome del bilanciamento, però, la Corte non prevede una tutela meno rigorosa del principio di capacità contributiva, per salvaguardare l’equilibrio di bilancio.

In nome del bilanciamento è infatti escluso del tutto l’effetto, per il passato, l’effetto della pur dichiarata illegittimità della legge tributaria (sacrificando, così, integralmente, il principio di capacità contributiva).

L’art. 81 diventa una super-norma, in nome della quale la dichiarazione, per il passato, della illegittimità della legge tributaria è accertata, ma non dichiarata, neutralizzata.

La illegittimità è ritenuta originaria, ma la Corte pronuncia come se l’illegitti­mità fosse sopraggiunta alla data di pubblicazione della sentenza (come nella pronuncia n. 50/1989).

Gli aspetti critici sono dunque due.

Primo: il bilanciamento tra due norme costituzionali (artt. 53 e 81) non può comportare il sacrificio integrale di uno dei due principi.

Secondo: il bilanciamento non può coinvolgere il sistema di norme che disciplinano gli effetti delle sentenze di incostituzionalità, che è un sistema ferreo [9]. Il bilanciamento può riguardare i principi costituzionali, non gli strumenti posti a disposizione della Corte. La Corte non dispone quindi del potere di “modulare” l’efficacia temporale delle sentenze. Il potere di disporne non è previsto da alcuna norma ed è anzi escluso dall’art. 136 Cost., dall’art. 1 della legge cost. n. 1/1948 e dall’art. 30 della legge n. 87/1953 [10].


7. Il dies a quo dell'incostituzionalità

Nella sentenza relativa alla pubblicità dell’udienza innanzi alle Commissioni tributarie gli effetti sono fatti decorrere dal giorno successivo alla sentenza della Corte, giacché «soltanto ora può considerarsi realmente verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale» (sentenza n. 50/1989).

Nella sentenza n. 10, invece, non c’è alcuna spiegazione della ragione per cui l’efficacia della sentenza (cioè l’inefficacia della norma censurata) è fatta decorrere dalla pubblicazione della sentenza, e non da una data diversa, anteriore o successiva.

Si afferma che l’applicazione retroattiva determinerebbe una grave violazione dell’equilibrio del bilancio, ma non è chiarito il motivo per cui l’esigenza di tutelare l’equilibrio del bilancio importa che gli effetti decorrano proprio dalla pubblicazione della sentenza.

La cessazione di efficacia viene fatta decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale della Repubblica (così recita il dispositivo), ma per intendere gli effetti di questa statuizione occorre coordinarla con la natura periodica del tributo al quale deve applicarsi (l’IRES).

Ora, poiché l’IRES è dovuta per periodi d’imposta (art. 76 Tuir), la norma dichiarata incostituzionale continua ad essere applicabile ai periodi d’imposta già conclusi prima del giorno di pubblicazione della sentenza. E non è più applicabile ai periodi d’imposta in corso quel giorno fatidico [11].

L’effetto della sentenza, pur legato alla data di pubblicazione della sentenza, opera dunque a partire dalla data iniziale del periodo d’imposta in corso a quella data.


8. Rimedi allo squilibrio di bilancio

La Corte, dopo aver affermato il suo potere di regolare gli effetti nel tempo delle sue decisioni, ne motiva l’esercizio nel caso concreto osservando che l’applicazione retroattiva della declaratoria di illegittimità determinerebbe una grave violazione dell’equilibrio di bilancio. Sarebbe «l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari», cioè il rimborso di tributi indebiti, a determinare uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra aggiuntiva.

È richiamata la «necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irrimediabilmente sacrificati». È il bilanciamento tra valori di rango costituzionale che darebbe alla Corte il potere limitativo della retroattività. Nel caso di specie, per la verità, l’art. 81 autorizzerebbe la Corte non solo a bilanciare l’art. 81 e l’art. 53, ma a negare efficacia, per il passato, alla violazione dell’art. 53, escludendo del tutto retroattività e rimborsi. L’art. 53 e l’art. 81 non sono bilanciati, perché il primo è sacrificato (per il passato) a favore del secondo.

La Corte non si limita a paventare uno squilibrio di bilancio ma, senza che neppure ne risulti indicata l’entità [12], lo considera tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva.

Nulla viene detto in tema di bilancio; nulla se ne può arguire sulla misura, a partire dalla quale il bilancio è squilibrato (e la sentenza n. 70/2015 sembra contraddire questa sentenza, perché non attribuisce alcun rilievo all’art. 81 Cost.).

Secondo la Corte, la manovra aggiuntiva sarebbe necessariamente – ma non ne è indicata la ragione – una redistribuzione a vantaggio degli operatori economici che hanno beneficiato della congiuntura favorevole, a danno delle fasce deboli della popolazione e senza neppure poter distinguere tra chi ha traslato e chi non ha traslato gli oneri fiscali.

La Corte ha così deciso ritenendo suo compito rimediare allo squilibrio di bilancio che potrebbe derivare dalla sentenza.

In realtà, se avesse lasciato che la sentenza producesse i suoi normali effetti retroattivi, al temuto squilibrio di bilancio avrebbe dovuto e potuto provvedere il legislatore.

Il legislatore non avrebbe potuto escludere il diritto di ripetizione, perché l’art. 53, Cost., se da un lato vieta i prelievi non collegati ad un fatto espressivo di capacità contributiva, dall’altro richiede che il fisco non trattenga le somme da considerare indebite, per essere state acquisite in base ad una norma di legge che assumeva come presupposto d’imposta un fatto non espressivo di capacità contributiva. Il non poter ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente pagata viola, secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio di capacità contributiva e il principio di uguaglianza [13].

Se una norma (anche di interpretazione autentica) esclude retroattivamente l’obbligazione tributaria, il legislatore non può impedire la ripetizione dell’inde­bito; ciò è illegittimo per irragionevolezza, e viola il principio di eguaglianza, a causa della ingiustificata disparità di trattamento tra chi abbia pagato un’impo­sta non dovuta e chi, versando nella medesima situazione, non abbia pagato nulla [14].

Ciò non implica che il legislatore non possa far nulla.

Infatti, quando può essere avvenuto, come nel caso di specie, un ingiustificato arricchimento di chi chieda il rimborso dell’imposta non dovuta, il legislatore può limitare o escludere il diritto alla ripetizione, se il peso economico dell’imposta sia stato trasferito su altri soggetti [15].

In casi come questo, il legislatore potrebbe rimediare allo squilibrio di bilancio ponendo, a carico di chi agisce in ripetizione, l’onere di provare di non aver operato la traslazione del tributo. Norma, questa, che essendo di natura processuale, sarebbe immediatamente applicabile anche ai processi in corso.


NOTE

[1] Cfr. D. STEVANATO,“Robin Hood Tax” tra incostituzionalità e aperture della Corte a discriminazioni qualitative dei redditi societari, in Corr. trib., 2015, p. 95.

[2] Secondo la Corte (punto 6.5.4.), «il vizio di irragionevolezza è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli “sovra-profitti”; dall’assenza di una delimitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura economica che ne giustifica l’applicazione; dall’impossibilità di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo».

[3] Cfr. E. MORSELLI, Le imposte in Italia, Torino, 1959, p. 114 ss.; P. BORIA, Il sistema fiscale, Torino, 2008, p. 74.

[4] L’art. 136 Cost., disponendo che la norma della legge o dell’atto con forza di legge, dichiarata incostituzionale, «cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione», fece pensare che le sentenze dichiarative di incostituzionalità avessero effetti abrogativi. In tal senso P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950, p. 81 ss., che però non la ripropose – dopo la legge n. 87/1953 – nel saggio Corte costituzionale e autorità giudiziaria, in Riv. dir. proc., 1956, p. 25 ss.

Nel senso della retroattività cfr. E. GARBAGNATI, Sull’efficacia delle decisioni della Corte costituzionale, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, 1950, vol. IV, p. 212.

La questione è stata dibattuta in un seminario presso la Corte costituzionale, i cui atti sono raccolti nel volume AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere. Atti del seminario di studi tenuto al palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano,1989.

[5] Scrive Gentili, dell’Avvocatura dello Stato, che «Su mia richiesta subordinata, formulata per l’ipotesi in cui la questione fosse stata ritenuta fondata (la sentenza non lo dice, ma risulta dagli atti), la Corte costituzionale ha deciso di escludere la retroattività degli effetti della sentenza di accoglimento (vi era già un precedente, ma non di carattere finanziario). In tal modo, ribadisco su richiesta dell’avvocatura, abbiamo evitato rimborsi a favore dei petrolieri e simili per almeno 7 miliardi» (P. GENTILI, Sulla sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale, in Rass. Avv. Stato, 2014, p. 106).

[6] Si veda ad esempio la sentenza 13 gennaio 2004, n. 13, in Foro it., 2004, I, c. 2666, che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 3, legge 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria per il 2002), «nella parte in cui non prevede che la competenza del dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale venga meno quando le regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche». Qui la Corte afferma una illegittimità che si presenterà in futuro: la legge statale diventerà illegittima (e cesserà di essere efficace) quando le regioni emaneranno proprie leggi in materia.

[7] Corte cost., 9 novembre 1992, n. 416, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1152, ha dichiarato incostituzionale l’art. 710 c.p.c. in quanto non prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei procedimenti di modifica delle sentenze di divorzio nella parte riguardante la prole, ma afferma che l’illegittimità è sopravvenuta dal 12 marzo 1987 con riferimento ai giudizi per la modifica delle condizioni di separazione instaurati dopo l’entrata in vigore della legge n. 74/1987. Si tratta quindi di un caso di illegittimità non originaria, ma sopravvenuta.

La sentenza 16 febbraio 1989, n. 50, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 1262, dichiara incostituzionale la norma che impediva la pubblicità delle udienze dinanzi alle commissioni tributarie, dopo aver detto, in precedenti pronunce, che la questione non era fondata. Con la sentenza n. 50/1989 afferma invece che, stante la gradualità con la quale è avvenuta l’evoluzione della giurisdizione tributaria, soltanto in quel momento può considerarsi realmente verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale.

La Corte non dovrebbe occuparsi degli effetti delle sue sentenze. Qui però la Corte precisa che: «La declaratoria di illegittimità costituzionale non può avere e non ha alcuna conseguenza sugli atti pregressi e sui provvedimenti emessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza, i quali rimangono tutti pienamente validi. In altri termini, il requisito della pubblicità opera esclusivamente per i procedimenti pendenti successivamente alla data prevista dall’art. 136, primo comma, della Costituzione, ferme restando le attività compiute ed i provvedimenti emessi anteriormente a tale data, nella vigenza della norma ora dichiarata costituzionalmente illegittima (nello stesso senso la Corte si è orientata con la sentenza n. 266 del 1988 sulla magistratura militare)».

Corte cost., 26 marzo 1991, n. 124, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 125, dichiara costituzionalmente illegittimo (per illegittimità sopravvenuta dal 28 febbraio 1986), l’art. 2, comma 1, d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, convertito nella legge 31 marzo 1977, n. 91, nella parte in cui non consente la computabilità dell’indennità di contingenza su elementi retributivi diversi da quelli previsti dalla contrattazione collettiva prevalente nel settore dell’industria.

Corte cost., 5 maggio 1988, n. 501, in Giur. it., 1989, I,1, c. 762, censura la legge 17 aprile 1985, n. 141, perché non ha adeguato le pensioni dei magistrati alla nuova struttura retributiva introdotta dalla legge n. 425/1984 per i magistrati in servizio. Sono dichiarati costituzionalmente illegittimi alcuni articoli (gli artt. 1, 3 comma 1, e 6) della legge 17 aprile 1985 n. 141, nella parte in cui non dispongono la riliquidazione della pensione sulla base del trattamento economico derivante dall’applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425, con decorrenza dalla data del 1° gennaio 1988.

Corte cost., 9 marzo 1988, n. 266, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 762, in tema di magistratura militare, dichiara illegittimo, per violazione dell’art. 108 Cost., l’art. 15, comma 1, legge 7 maggio 1981, n. 180, nella parte in cui consente che i provvedimenti di nomina, trasferimento e conferimento di funzioni ai magistrati militari siano ulteriormente adottati con la procedura indicata nella stessa norma, facendo salvi gli atti amministrativi e giurisdizionali già posti in essere. Si tratta anche qui di illegittimità sopravvenuta.

[8] Cfr. A.A. CERVATI, Incostituzionalità delle leggi ed efficacia delle sentenze delle Corti costituzionali austriaca, tedesca ed italiana, in AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, cit.p. 287 ss.

[9] Si veda G. ZAGREBELSKY, Il controllo da parte della Corte costituzionale degli effetti temporali delle pronunce d’incostituzionalità: possibilità e limiti, in AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, cit., p. 199, il quale osserva che, a differenza di altri sistemi di giustizia costituzionale, nel nostro ordinamento «gli effetti delle decisioni di incostituzionalità sono integralmente previsti dal diritto ed operano del tutto automaticamente». Alla Corte spetta «dichiarare il contrasto della legge con la Costituzione, ma non (…) dettare alcuna disposizione sugli effetti della sua decisione», che «si producono ipso iure».

[10] Cfr., tra molti, S. FOIS, Considerazioni sul tema, in AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, cit.p. 37; A. PACE, Effetti temporali delle decisioni di accoglimento e tutela costituzionale del diritto di agire nei rapporti pendentiibidem, p. 37.

[11] Non è qui da applicare l’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente, secondo cui le modifiche delle norme tributarie operano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. Ciò perché la irretroattività statutaria si applica solo per le norme peggiorative della posizione del contribuente.

[12] Secondo l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, i proventi derivanti dall’«addizionale» ammonterebbero a 700 milioni di euro nel 2008; 740 milioni di euro nel 2009; 527 milioni di euro nel 2010; 1.482 milioni di euro nel 2011; 1.407 milioni di euro nel 2012; e sarebbero stimati in 887 milioni di euro nel 2013 (Relazione al Parlamento del 18 dicembre 2014, in www.autorità.energia.it).

[13] Corte cost., 15 novembre 1985, n. 285, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1554. Cfr. F. TESAURO, Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975, p. 35.

[14] Corte cost., 11 ottobre 2000, n. 416, in Giur. it., 2001, p. 627; ID., 26 luglio 2005, n. 320, in Foro it., 2005, I, c. 2614; ID., 27 luglio 2007, n. 330, ivi, 2007, 10, c. 1, 2633; ID., 22 luglio 2009, n. 227, ivi, 2010, I, c. 1728.

[15] Corte cost., 9 luglio 2002, n. 332, in Giur. it., 2003, 1.

Fascicolo 1 - 2015