Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La regolazione comunitaria del credito tra European Banking Autority (EBA) e Banca Centrale Europea: prime osservazioni sul Single Supervisory Mechanism (di Andrea Pisaneschi)


“Il presente regolamento attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, al fine di contribuire alla sicurezza e alla solidità degli enti creditizi e alla stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione e di ciascuno Stato membro, con pieno riguardo e dovere di diligenza riguardo all’unità e all’integrità del mercato interno, in base alla parità di trattamento degli enti creditizi al fine di impedire l’arbitraggio regolamentare.

[…] La portata dei compiti di vigilanza della BCE si limita alla vigilanza prudenziale degli enti creditizi ai sensi del presente regolamento. Il presente regolamento non attribuisce alla BCE compiti di vigilanza di altro tipo, ad esempio compiti relativi alla vigilanza prudenziale delle controparti centrali. Nell’assolvere i compiti attribuitile dal presente regolamento e fatto salvo l’obiettivo di garantire la sicurezza e la solidità degli enti creditizi, la BCE tiene in debita considerazione le diverse tipologie, i modelli societari e le dimensioni degli enti creditizi.

Nessuna azione, proposta o politica della BCE discrimina, direttamente o indirettamente, uno Stato membro o un gruppo di Stati membri quale luogo di prestazione di servizi bancari o finanziari in qualsiasi valuta.

Il presente regolamento fa salve le competenze delle autorità competenti degli Stati membri partecipanti a assolvere i compiti di vigilanza non attribuiti dal presente regolamento alla BCE, e i relativi poteri.

Il presente regolamento fa altresì salve le competenze delle autorità competenti o delle autorità designate degli Stati membri partecipanti ad applicare strumenti macroprudenziali non previsti da pertinenti atti del diritto dell’Unione, e i relativi poteri”.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Gli obbiettivi della relazione 'de Larsière' - 3. Gli obbiettivi del regolamento (UE) n. 1093\2010 che istituisce l'Autorità Bancaria Europea - 4. Il bilancio in chiaroscuro dell'attività EBA - 5. I nuovi principi in materia di vigilanza europea nelle proposte di regolamento della Commissione del 12 settembre 2012 - 6. I poteri normativi della BCE sotto il freno degli Stati membri - 7. Le relazioni della BCE con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. La responsabilità democratica nella vigilanza bancaria? - NOTE


1. Premessa

La crisi finanziaria, iniziata nel 2008 ed ancora in corso, ha portato come conseguenza una accesa discussione sul sistema della regolazione dei mercati finanziari e degli intermediari creditizi, ed una immane quantità di nuove regole, con forza diversa, adottate dagli ormai numerosissimi organismi sovranazionali con competenze in materia, organismi e regole peraltro, ancora in fase di profonda ridefinizione [1].

Il tratto comune di questo percorso, alle volte un po’ accidentato, è dato tuttavia dal progressivo trasferimento delle funzioni di regolazione e vigilanza sugli intermediari creditizi, dal livello nazionale al livello europeo [2]. Questo progressivo trasferimento è avvenuto prima attraverso il regolamento (UE) n. 1093 del 2010 che ha istituito l’Autorità Bancaria Europea (EBA), poi con il regolamento che attribuisce alla Banca Centrale Europea compiti in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e con la collegata proposta di modifica del regolamento 1093/20/0 che “armonizza” con questo i poteri dell’EBA (regolamento (UE) n. 1024/2013; regolamento (UE) n. 1022/2013).

Il combinato disposto di questi due atti normativi avrà come effetto un quasi completo trasferimento delle funzioni regolatorie sugli enti creditizi dal livello interno al livello delle istituzioni europee EBA e BCE.

Tuttavia i punti dubbi non mancano. Indipendentemente dalla questione “storica” relativa alla opportunità di trasferire la vigilanza bancaria alla istituzione dotata dei poteri macroeconomici, sulla quale economisti e giuristi discutono da sempre, sembra si sia voluto “compensare” la perdita di sovranità degli Stati con un recupero del controllo, da parte del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, sulle nuove funzioni di vigilanza bancaria.

Il regolamento inoltre, pur essendo stato oggetto di accordo in seno al Coreper, non è stato in un primo momento approvato dal Parlamento perché non sufficientemente esplicito proprio sul tema della responsabilità della Banca Centrale, definita come democratica. Il che fa pensare alla sussistenza di divergenze di opinioni tra i principi che regolano la indipendenza della Banca centrale e le “aspettative” della politica. Esso è stato poi approvato a seguito di una negoziazione tra Parlamento e Banca Centrale finalizzato a garantire, attraverso un accordo interistituzionale, che il supervisore BCE sia democraticamente responsabile e trasparente [3].

Gli sviluppi della questione sono di grande importanza sia da un punto di vista giuridico – è difficile piegare i modelli più di tanto, poi rischiano di diventare qualcosa di diverso– sia da un punto di vista politico. I conflitti di interesse su questa materia sono notevoli e ogni Stato ha qualche “specificità” da tutelare.

In questa sede ci limiteremo alla ricostruzione del percorso e ad un prima descrizione della architettura normativa complessiva.


2. Gli obbiettivi della relazione 'de Larsière'

Non v’è dubbio che quando mercati largamente regolati, come il mercato finanziario e creditizio, falliscono in maniera così eclatante come dal 2008 ad oggi, i colpevoli non sono solamente gli attori del mercato, ma anche le regole e i regolatori [4].

Se tuttavia incolpare attori, regole e regolatori è abbastanza facile (anche perché le accuse sono spesso piuttosto semplici e generiche), è invece complicato stabilire regole nuove e istituire nuovi regolatori.

Gli attori del mercato finanziario e creditizio nel mondo hanno infatti caratteristiche tra loro profondamente diverse (basti pensare alle banche commerciali e quelle di investimento, nell’ambito delle banche commerciali quelle esclusivamente o principalmente retail rispetto a quelle corporate, ecc.). Inoltre tra gli attori dell’industria gli intermediari creditizi sono probabilmente i soggetti maggiormente prociclici e quindi difficilmente regolabili, perché legati a filo doppio al ciclo economico. Essi tendono ad inondare il mercato di liquidità quanto l’economia è in crescita e a restringere radicalmente tale liquidità nei periodi di recessione.

Del resto già Guido Carli, in una famosa lezione a Basilea nel 1976 (la normativa di riferimento era allora la legge bancaria del 1936) un pò scherzosamente affermava che la ragione principale della diffusa antipatia verso le banche, stava nel fatto che esse si erano appropriate della sovranità monetaria, allargando eccessivamente il credito in periodi espansivi per poi restringerlo, del pari eccessivamente, in periodi recessivi. [5] Se non ci era riuscita la legge bancaria del 1936 a contenere questa tendenza, che aveva una impostazione dirigistica, basata sulla segmentazione del mercato, non sarà facile che vi si possa riuscire oggi, con un livello di globalizzazione finanziaria infinitamente più articolato di allora e con banche tendenzialmente universali.

Detto questo non v’è dubbio che i modelli di vigilanza nazionali non sono riusciti a stare al passo con la globalizzazione finanziaria e, per quello che riguarda l’Europa, la crisi ha evidenziato gravi lacune in materia di cooperazione, coordinamento, e applicazione uniforme del diritto dell’Unione.

Per questa ragione il Parlamento europeo aveva esortato più volte ad adottare un sistema europeo di vigilanza maggiormente integrato, anche al fine di assicurare parità di armi tra gli operatori europei.

In attuazione di queste esortazioni, nell’ottobre 2008 (un mese dopo il crac della Lehman Brothers) fu istituito dalla Commissione il c.d. gruppo ad alto livello sulla vigilanza finanziaria nell’U.E. (definito gruppo de Larsière) con il fine di formulare proposte in vista della creazione di un nuovo quadro europeo di vigilanza delle istituzioni finanziarie transnazionali.

La relazione del gruppo [6], per evitare il ripetersi di crisi finanziarie, prospettava proposte e soluzioni attraverso la formulazione di ben 31 raccomandazioni.

Le raccomandazioni insistevano principalmente sulla necessità di armonizzare la regolazione degli intermediari creditizi attraverso la concentrazione della funzione della regolamentazione a livello europeo. Allo stesso tempo dovevano essere rese uniformi le interpretazioni di quella regolazione da parte delle autorità di vigilanza nazionali.

Questo obbiettivo lo si doveva raggiungere attraverso una strategia in tre tappe.

Nella prima fase (2009-2010) si sarebbe dovuto creare i presupposti per la nascita di un sistema europeo di vigilanza nel settore finanziario principalmente attraverso proposte legislative per la creazione di tre nuove autorità di vigilanza europee (per il settore bancario, assicurativo e dei valori mobiliari), perseguendo l’obbiettivo di una maggiore armonizzazione in materia di norme finanziare, poteri di vigilanza e regimi sanzionatori.

In una seconda fase (2011-2012) si sarebbe dovuto procedere alla creazione di un sistema europeo di vigilanza, operando una concentrazione delle funzioni di regolamentazione a livello UE, mantenendo invece le funzioni di vigilanza in capo alle autorità nazionali. Le tre autorità avrebbero quindi dovuto svolgere principalmente attività di mediazione giuridicamente vincolante rispetto alle autorità nazionali; adottare standards obbligatori in materia di vigilanza; cooperare con il Comitato Europeo per il rischio sistemico per assicurare una adeguata vigilanza macroprudenziale.

Questo sistema avrebbe dovuto essere rivisto entro tre anni dalla sua entrata in vigore, passando se del caso ad un sistema composto da sole due autorità (l’autorità sul settore bancario ed assicurativo e l’autorità per il mercato). I poteri di queste autorità avrebbero dovuto essere aumentati in questa fase sia dal punto di vista della regolazione che della vigilanza.


3. Gli obbiettivi del regolamento (UE) n. 1093\2010 che istituisce l'Autorità Bancaria Europea

Cercando di attuare questi principi nel 2010 fu approvato il regolamento istitutivo della Autorità Bancaria Europea (EBA) [7]. Questo regolamento non aveva allora la funzione di trasferire la vigilanza prudenziale dal livello nazionale al livello europeo, ma, assai più limitatamente, solamente o principalmente di armonizzare a livello europeo la normativa prudenziale sugli intermediari creditizi.

Muovendo da queste basi il regolamento istitutivo dell’EBA si prefiggeva quattro obbiettivi prioritari:

a) l’introduzione di norme tecniche di regolamentazione in materia di servizi finanziari allo scopo di dotare l’Unione europea di un corpo unico di norme applicabili in egual maniera dalle autorità di vigilanza nazionali. Le norme tecniche di regolamentazione sono definite come «di carattere tecnico, non implicano decisioni strategiche o scelte politiche e il loro contenuto è limitato dagli atti legislativi su cui si basano». Per usare categorie interne di diritto pubblico tali norme sembrano assai simili ai regolamenti governativi integrativi di cui all’art. 17 della legge n. 400/1988, il cui potere innovativo è più ampio rispetto alla mera esecuzione della norma.

b) L’ introduzione di norme tecniche di attuazione. Esse sono invece definite come norme di carattere tecnico che non implicano decisioni strategiche o scelte politiche e lo scopo del loro contenuto è quello di determinare le condizioni di applicabilità degli atti legislativi. Ancora una volta, usando categorie interne, esse sembrano assimilabili ai regolamenti di esecuzione, la cui discrezionalità è invece limitata.

c) Nei settori non coperti da norme tecniche di regolamentazione e di attuazione attribuire alla autorità il potere di formulare orientamenti e raccomandazioni sull’applicazione del diritto dell’unione.

d) Istituire un meccanismo che permetta all’autorità di trattare i casi di mancata o errata applicazione del diritto dell’unione.

e) Attribuire all’autorità il potere di imporre alle autorità nazionali di vigilanza l’adozione di misure specifiche per rimediare ad una situazione di emergenza.

Queste finalità sembrano a prima vista configurare l’autorità come un ente di regolazione normativa, deputata principalmente all’introduzione di regole prudenziali uniformi.

Scendendo però nel dettaglio delle norme sulla produzione normativa, emerge come questa prima impressione non sia del tutto corretta.

In verità il potere di emanare le norme tecniche di regolamentazione non è un potere proprio dell’EBA, ma bensì un potere della Commissione, che viene esercitato su delega del Parlamento o del Consiglio e sotto il controllo di questi [8], mentre l’EBA svolge principalmente, all’interno del procedimento, funzioni di organo tecnico consultivo [9].

Anche l’approvazione delle norme tecniche di attuazione è un potere della Commissione, sia pure con una maggiore incidenza dei poteri dell’EBA e con un minore controllo del Parlamento e del Consiglio, in ragione della natura meramente attuativa di queste norme. Parlamento e Consiglio in questo procedimento vengono infatti solamente informati («La Commissione trasmette senza indugio il progetto di norma tecnica di attuazione») [10].

L’ autorità non è dunque dotata di un potere normativo proprio, ed in ciò si differenzia ampiamente dai modelli delle autorità di regolazione di settore, che viceversa sono dotate di un potere normativo normalmente molto “ampio”. Basti pensare al potere regolamentare della Banca di Italia previsto dal TUB, o al potere normativo riconosciuto alla CONSOB o all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Essa peraltro non è neppure qualificabile come autorità di vigilanza, poiché non è dotata di poteri autonomi di controllo sugli intermediari. In effetti tale autorità avrebbe dovuto limitarsi a curare che le autorità di vigilanza nazionali garantissero l’applicazione uniforme delle regole ma non anche applicarle essa stessa.

L’obbiettivo principale della istituzione dell’autorità, come emerge dal regolamento, appare quindi quello di rendere uniformi norme, prassi e cultura della regolazione in Europa, attraverso una normativa guidata dalla Commissione, su delega del Parlamento o del Consiglio, con il contributo “tecnico” dell’EBA.

Tale obbiettivo era coerente con la relazione “de Larsière” ed emerge anche in altre norme del regolamento, forse di minor rilievo rispetto a quelle citate, laddove si attribuisce all’Autorità il compito di promuovere lo scambio di informazioni tra autorità competenti, si invita l’autorità a sviluppare standards di vigilanza uniformi, a promuovere strumenti di convergenza per incentivare prassi comuni in materia di vigilanza. A tale scopo, tra l’altro, essa può organizzare verifiche periodiche – peraltro inter pares – per valutare il grado di convergenza raggiunto e le pratiche di vigilanza poste in essere dalla singole autorità nazionali.

Una norma, un po’ extravagante per il contesto nel quale è collocata (l’art. 23 tratta di altre tematiche), attribuiva poi all’Autorità il potere di effettuare stress test sugli intermediari e adottare raccomandazioni nei confronti delle autorità nazionali a seguito di questi test. È forse singolare che questa autorità sia passata alla storia – usando un espressione un pò enfatica – per l’esercizio di questa competenza, oggettivamente marginale nell’impianto normativo, e non anche per l’esercizio della sua funzione principale di ausilio alla regolazione finalizzata a porre regole e prassi comuni a livello europeo.


4. Il bilancio in chiaroscuro dell'attività EBA

In una valutazione di sintesi può dirsi che il modello seguito per la istituzione dell’EBA non pare essere quella dell’autorità di regolazione indipendente.

In primo luogo il potere di normazione che normalmente costituisce l’essenza della regolazione, non è attribuito all’autorità ma bensì alla Commissione, rispetto alla quale l’autorità svolge una funzione sostanzialmente di consulenza tecnica.

In secondo luogo la vigilanza è svolta dalle autorità nazionali, rispetto alle quali l’autorità non si pone in posizione sovraordinata. Solo nella situazione di emergenza l’autorità ha un potere diretto nei confronti dell’intermediario, che tuttavia si configura come una sorta di potere sostitutivo nella ipotesi in cui l’autorità nazionale a sua volta non adempia.

In terzo luogo l’autorità non è dotata di un proprio potere sanzionatorio, che invece caratterizza le autorità di regolazione.

Questo modello appare del resto conforme con gli esiti finali della relazione “de Larsière”, che accentuava la necessità di un adeguamento della regolamentazione e delle pratiche regolamentari e contabili, unitamente ad un adeguamento comune delle procedure di vigilanza, principalmente allo scopo di rendere uniformi le regole e le prassi di vigilanza a livello europeo. Ciò doveva essere propedeutico alla revisione del modello entro tre anni, cosa che avrebbe dovuto portare ad un successivo rafforzamento dei poteri di vigilanza in un quadro normativo ormai comune.

L’attività dell’autorità in questi anni, probabilmente condizionata dall’emergenza, non si è invece concentrata sul rendere uniforme norme e prassi di vigilanza.

In effetti l’EBA, dotata di molti poteri di coordinamento e di armonizzazione e di pochi di intervento diretto, ha deciso di utilizzare con forza quei pochi, ed in particolare l’art. 23 che le consente di avviare gli stress test nei confronti delle banche europee, formulando poi raccomandazioni alle autorità nazionali per risolvere i problemi rilevati.

Su questa base, come noto, sono stati determinate le carenze di capitale delle banche europee basandosi sulla valutazione, mark to market, dei titoli di Stato detenuti in portafoglio.

È ben noto che questa decisione ha creato qualche perplessità [11]. Di fatto attraverso una raccomandazione sono stati rimossi i filtri prudenziali che le autorità di regolazione dei vari paesi avevano posto per sterilizzare l’impatto sul patrimonio di vigilanza dei titoli di Stato che le banche detenevano sino alla scadenza, producendo l’effetto di una modifica normativa che sarebbe stato più opportuno definire ex ante attraverso strumenti normativi e non ex post con una raccomandazione.

I critici inoltre sostengono – con qualche ragione – che dover aumentare il capitale, in assenza di un mercato di capitali ha effetti recessivi, per la naturale tendenza delle banche a raggiungere l’obbiettivo limitando i propri attivi e cioè il credito, e alimentando quindi la recessione; che i problemi di stabilità sono più da ricollegarsi alla liquidità che al capitale; che dover valutare al mercato i titoli di Stato del paese di appartenenza detenuti a scadenza è illogico per le banche commerciali che investono la maggior parte degli impieghi su imprese e famiglie dello Stato di appartenenza, perché nel caso di fallimento dello Stato fallirebbero comunque prima le imprese e le famiglie; che comunque postulare la fallibilità dello Stato ha effetti negativi sullo spread del debito pubblico degli Stati più deboli, poiché alimenta incertezza e instabilità.

Indipendentemente da queste considerazioni, l’impressione è che l’Autorità, nata in un periodo di emergenza, fortemente concentrata sul tema della stabilità, non abbia alla fine svolto i compiti principali che il regolamento gli attribuiva, e cioè rendere uniformi a livello europeo, e se del caso più stringenti, le regole contabili e di vigilanza.

Non consta infatti che le procedure relative alle norme tecniche di regolamentazione o alle norme tecniche di attuazione siano state attivate producendo risultati utili in termini di armonizzazione delle regole di vigilanza europee.

È infatti singolare che ancora oggi non vi sia certezza sul fatto che, all’interno di diversi stati europei, siano utilizzate le stesse precise regole in ordine al computo dei requisiti patrimoniali degli intermediari. Non vi sono in effetti evidenze che le regole sulle ponderazioni degli attivi siano assolutamente identiche ed avvengano con le stesse metodologie in tutti gli Stati dell’Unione europea, così come non vi è evidenza che medesime metodologie vengano utilizzate per il computo delle strutture ibride di capitale. E ciò appare testimoniato dalla stessa relazione della Commissione alle nuove proposte di regolamento, dove si insiste non poco sulla necessità che l’EBA prosegua ad armonizzare le regole per determinare un corpus unico di norme di vigilanza a livello europeo (che evidentemente ancora non esiste).


5. I nuovi principi in materia di vigilanza europea nelle proposte di regolamento della Commissione del 12 settembre 2012

Con le due proposte di regolamento, sulle quali il Coreper aveva trovato l’accordo definitivo il 18 di aprile del 2013, è stato fatto un ulteriore rilevante passo in avanti verso un sistema unico di vigilanza [12].

La prima proposta introduce un meccanismo di vigilanza unico in capo alla BCE, per permettere che la normativa sui servizi finanziari sia applicata in egual modo agli enti creditizi degli Stati membri e che gli enti creditizi “siano sottoposti a una vigilanza ottimale sotto il profilo qualitativo e libera da considerazioni estranee all’ottica prudenziale” (considerando n. 10).

La seconda proposta di regolamento interviene invece sul regolamento n. 1093\2010 istitutivo dell’EBA, allo scopo di rafforzarne la missione di armonizzare a livello europeo la normativa prudenziale in tema di enti creditizi attraverso un unico corpus di norme sui servizi finanziari.

L’attribuzione dei compiti di vigilanza alla BCE avverrebbe proprio in quanto «banca centrale della zona euro dotata di ampie competenza in materia economica e di stabilità finanziari»e poiché «in molti Stati membri la competenza della vigilanza bancaria è già appannaggio della banca centrale» (considerando n. 11).

Come si diceva nella premessa, in questa sede non si tratterà della questione, ampiamente dibattuta sia dai giuristi che dagli economisti, circa l’opportunità della attribuzione alle banche centrali delle competenze in materia di vigilanza bancaria, degli ipotetici conflitti, e delle possibili interconnessioni tra vigilanza prudenziale e politiche macroeconomiche. Certamente la relazione “de Larsière” non prefigurava questo modello e d’altronde l’EBA non è apparsa avere quella legittimazione, struttura organizzativa e autorità, per mettere d’accordo tutti gli Stati membri su di una così rilevante cessione di sovranità.

Più limitatamente ci soffermeremo su di una rapida descrizione del modello, con attenzione principalmente ai nuovi poteri normativi attribuiti alla BCE in quanto autorità di vigilanza, e al circuito della responsabilità prefigurato nel nuovo testo regolamentare.

In estrema sintesi può dirsi che la BCE è titolare di poteri di vigilanza nei confronti di tutti gli enti creditizi salvo che nei confronti degli enti meno significativi [13]. Nei confronti di questi ultimi è comunque sempre competente per il rilascio e la revoca dell’autorizzazione all’ente creditizio, nonché per le domande di acquisizione o di cessione di partecipazioni, mentre le decisioni di vigilanza sono adottate dalle autorità nazionali competenti nell’ambito di regolamenti, orientamenti o istruzioni generali dettate dalla stessa BCE.

La attività di vigilanza si sostanzia in poteri normativi, ispettivi e sanzionatori.

La separazione tra le attività di politica monetaria e la attività di vigilanza è garantita attraverso la separazione, organizzativa e gerarchica, del personale, e attraverso riunioni differenziate del Consiglio Direttivo.

Inoltre è incaricato della pianificazione e dell’esecuzione dei compiti di vigilanza un organo interno, denominato Consiglio di Vigilanza, composto da un presidente e un vicepresidente, quattro rappresentanti della BCE e un rappresentante dell’autorità nazionale competente di ciascuno Stato membro partecipante.

Le spese sostenute dalla BCE per l’assolvimento dei compiti di vigilanza bancaria figurano separate all’interno del bilancio della BCE.


6. I poteri normativi della BCE sotto il freno degli Stati membri

Nell’esercizio dei poteri di vigilanza la BCE applica, in primo luogo, la normativa comunitaria. Tuttavia se la normativa è composta da direttive o da regolamenti che lasciano opzioni agli Stati membri, la BCE deve applicare anche la legislazione degli Stati membri.

Si tratta di un caso, probabilmente unico, in cui un organismo sovranazionale comunitario non è tenuto ad applicare solo il diritto comunitario ma anche il diritto dei singoli Stati membri.

Questo deriva evidentemente dai compiti di vigilanza attribuiti alla BCE sugli enti creditizi. Questi ultimi infatti non debbono rispettare solo la normativa comunitaria ma anche quella nazionale attuativa, cosicché sarebbe monca una vigilanza che si attenesse solamente alla normativa comunitaria senza considerare anche quella applicativa.

Se questo è logico in astratto, il vero problema tuttavia è determinare a quale livello deve fermarsi l’applicazione del diritto nazionale da parte della BCE. È ben noto infatti che in tema di vigilanza prudenziale, oltre a fonti primarie che recepiscono la normativa comunitaria, vi sono fonti di vario tipo di provenienza delle autorità di regolazione nazionali (dai regolamenti alle istruzioni di vigilanza) che regolano la vigilanza prudenziale nei diversi Stati membri.

In via prospettica il modello vorrebbe che queste fonti fossero progressivamente sostituite dalle norme tecniche di regolazione e di attuazione emanate dall’EBA, ma sin tanto che ciò non avviene è abbastanza logico che la BCE debba attenersi anche alla normativa prodotta dalle varie autorità di regolazione.

Il potere regolamentare proprio della BCE è invece tendenzialmente limitato, e può essere esercitato solo nella misura in cui ciò sia necessario per organizzare o precisare le modalità di assolvimento dei propri compiti. A questo principio fa eccezione il potere della BCE di impartire alle autorità nazionali competenti, regolamenti, orientamenti o istruzioni generali nel caso degli enti non sottoposti alla sua vigilanza (gli enti creditizi meno rilevanti).

A prescindere da questo caso particolare la BCE non è dotata di un proprio potere normativo poiché questo spetta all’EBA (o meglio alla Commissione con l’intervento tecnico dell’EBA).

Questo meccanismo regolatorio, che in apparenza avrebbe una sua coerenza (l’EBA produce le norme mentre la BCE le applica nell’esercizio della attività di vigilanza) è stato invece il frutto di un percorso dettato in parte dall’emergenza e in parte dagli interessi dei singoli Stati, e presenta perciò profili di ambiguità.

È infatti singolare che ad una istituzione quale la BCE –sulla cui storia e prestigio non si può non convenire– siano attribuiti i poteri di vigilanza in senso stretto ma non i poteri di dettare le regole alla cui stregua esercitare la vigilanza.

Una volta scelta la BCE come istituzione nella quale accentrare la vigilanza prudenziale, la sua sottoposizione all’EBA e la sottrazione del potere normativo alla prima appare difficilmente giustificabile. Costituisce infatti, in genere, un tratto caratteristico delle autorità di regolazione dei mercati quello di essere dotate di poteri normativi, oltreché ispettivi e sanzionatori [14].

Il vero è che quando l’EBA è stata istituita non vi era alcuna idea di attribuire poi la vigilanza bancaria alla BCE, ma casomai nel futuro alla stessa EBA. La crisi economica, gli interventi straordinari della BCE sui temi della liquidità e del supporto all’acquisto dei titoli di Stato, la forte legittimazione assunta dalla Banca centrale europea, ha convinto poi gli Stati ad attribuire a quella istituzione e non ad altre di più recente origine il delicato compito della vigilanza bancaria.

Allo stesso tempo, il fatto che l’attività di normazione sia nella sostanza espressione della Commissione – con lausilio dell’EBA – e sotto il controllo del Parlamento e del Consiglio, costituiva già un compromesso politicamente accettabile per gli Stati, che non hanno ritenuto opportuno rimettere in gioco la questione.


7. Le relazioni della BCE con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. La responsabilità democratica nella vigilanza bancaria?
class="WordSection1">

Una ulteriore spia della «paura» degli Stati di perdere il controllo sulla vigilanza prudenziale delle banche è la parte del regolamento che tratta della «responsabilità e relazioni» (art. 20) della BCE nell’esercizio della vigilanza prudenziale.

Così come gli Stati non sono estranei alla produzione delle norme, altrettanto non vorrebbero rimanere estranei nel momento della applicazione di queste norme da parte della Banca centrale europea.

Il problema di coniugare indipendenza con responsabilità (politica non giuridica) ricorda però la quadratura del cerchio ed è un tema antico. Tanto è vero che chi non crede che le autorità possano essere realmente indipendenti è portato a pensare, con Carl Schmitt, che ogni decisione è politica e il trasferimento di decisioni ai tecnici conduce “non ad una neutrale oggettivizzazione, ma invece alla politicizzazione partitica di entità finora neutrali”. [15] Mentre chi crede nella possibilità di autorità tecniche indipendenti vorrebbe accentuare tutti meccanismi di deresponsabilizzazione – politica – di queste.

Nel caso di specie la proposta di regolamento riafferma da una parte in modo forte la indipendenza della BCE, dei membri del consiglio di vigilanza e del comitato direttivo, che operano «senza chiedere né ricevere istruzioni da parte di istituzioni od organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici e privati», stabilendo anche che «le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, i governi degli Stati membri e qualsiasi altro organo rispettano detta indipendenza» (art. 19), mentre la norma successiva prevede invece che «la BCE risponde al Parlamento europeo e al Consiglio dell’attuazione del presente regolamento in conformità al presente capo».

Se tuttavia la BCE risponde al Parlamento e al Consiglio – cioè ad organi politici – rischia di diventare difficile mantenerne la indipendenza e l’autonomia.

I successivi artt. 20 e 21 cercano in effetti un equilibrio, fortemente instabile, tra indipendenza e responsabilità, per consentire alle istituzioni politiche di controllare in qualche modo le scelte generali di vigilanza.

La prima norma è per la verità tradizionale e tipica delle autorità indipendenti: la BCE trasmette annualmente al Parlamento Europeo, al Consiglio, alla Commissione e all’Eurogruppo, una relazione sui compiti svolti. Questa relazione è inviata anche ai Parlamenti degli Stati membri.

Quasi tutte le autorità indipendenti inviano una relazione agli organi politici, anche allo scopo di rendere edotti gli organi legislativi delle eventuali carenze che le autorità avessero segnalato.

Anche la possibilità di audizioni del Presidente del consiglio di sorveglianza su richiesta del Parlamento europeo può essere in linea con il modello della autorità indipendente.

È tuttavia un po’ curiosa la norma che prevede che anche i Parlamenti nazionali possano dialogare con il Presidente della BCE. Recita infatti la norma che «il Parlamento nazionale di uno Stato membro partecipante può invitare il Presidente o un membro del consiglio di vigilanza a partecipare ad uno scambio di opinioni in relazione alla vigilanza degli enti creditizi in detto Stato membro».

In cosa può consistere «uno scambio di opinioni» sulla vigilanza? Il Parlamento può adottare una risoluzione a seguito dello scambio di opinioni?

È evidente che la utilizzazione della atipica espressione, in un testo normativo, di «scambio di opinioni» ha la funzione di rendere per quanto possibile fluido e non formale questo rapporto, ma è altrettanto evidente che saranno i momenti storici e le relazioni istituzionali a determinarne caso per caso contenuto ed effetti.

Inoltre, al di là dello scambio di opinioni, Parlamento europeo e Eurogruppo, possono porre oralmente o per iscritto interrogazioni o quesiti alla BCE, mentre i Parlamenti nazionali possono chiederle di rispondere per iscritto a osservazioni o quesiti.

V’è da chiedersi se questa enfasi nello stabilire rapporti e responsabilità con i Parlamenti, Europeo e nazionali che siano, non sia alla fine rischioso per la indipendenza della BCE nell’esercizio della vigilanza ed alla fine anche nell’esercizio dei suoi poteri macroeconomici.

Che questo tema non sia sciolto, e che sotto la cenere vi siano evidenti tensioni, emerge peraltro dall’ultimo comma dell’art. 20 dove addirittura si dice che la BCE e il Parlamento concludono accordi sulle modalità pratiche dell’esercizio della responsabilità democratica e della supervisione sull’esecuzione dei compiti attribuiti alla BCE dal presente regolamento. Peraltro queste norme non erano bastate al Parlamento, che non ha approvato il regolamento proprio per rafforzare il meccanismo della responsabilità democratica.

In effetti il nuovo sistema di supervisione bancaria ha avuto il via libera dal Parlamento nella sessione del 12 settembre 2013 solo dopo l’accordo tra BCE e Parlamento Europeo sul controllo democratico del nuovo supervisore.

Secondo tale accordo il Parlamento europeo avrà accesso ad una ampia serie di informazioni, avendo diritto a ricevere un rapporto completo delle riunione del Comitato di Supervisione, mentre il Presidente del Comitato dovrà comparire regolarmente davanti al Parlamento sia in sedute pubbliche sia in riunione riservate.

Il Parlamento avrà inoltre la possibilità di incidere sulla nomina del Presidente del Comitato di Supervisione, sia valutando i criteri di selezione adottati dalla BCE per la sua scelta, sia valutando la proposta del candidato effettuata dalla BCE, con l’effetto, in caso di voto non favorevole, di costringere la Banca Centrale a reintrodurre la procedure o ad attingere ad altri nomi da una lista iniziale di candidati.

Il modello, che presenta forti analogie con la procedura di nomina del Presidente della Commissione e dei Commissari, non appare in verità coerente con le procedure di nomina di autorità definite come indipendenti. La “paura” degli Stati di perdere la propria sovranità, paura cementata dai fallimenti della regolazione oltre che del mercato, rischia alla fine di attrarre la vigilanza bancaria nella sfera della politica.

<

NOTE
id="ftn1">

[1] Cfr. al proposito V. SANTORO, I limiti del mercato e i fallimenti della regolamentazione, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, Milano, 2012, p. 5 ss.

< id="ftn2">

[2] Sul punto cfr. E. D’AMBROSIO, Le Autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione, in La Crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, cit., p. 23 ss., M. CLARICH, La vigilanza in Europa alla prova della crisi, in Archivio Ceradi Febbraio 2009.

< id="ftn3">

[3] Si tratta del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013.

< id="ftn4">

[4] In argomento, in prospettiva comparatista, cfr G. CERRINA FERONI (a cura di), Tutela del risparmio e vigilanza sull’esercizio del credito, Torino, 2011.

< id="ftn5">

[5] La lezione è pubblicata in Bancaria, 1976, p. 1095.Cfr. al proposito M. VACIAGO, Le banche sono ancora impopolari, in Banca e Borsa, 2009, p. 5 ss.

< id="ftn6">

[6] La relazione fu trasmessa alla Commissione il 25 febbraio 2009. Cfr. DE LAROSIERE, Report, Brussels, 25 febbraio 2009.

< id="ftn7">

[7] A seguito del rapporto de Larsière si è avuto un cambiamento di fondo del modello della regolazione finanziaria in Europa, basato sulla distinzione tra vigilanza “macro” affidata all’European Systemic Risk Board (ESRB) e quella micro, articolata su tre autorità, l’Autorità bancaria Europea (EBA), l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), le quali, insieme agli organi nazionali di vigilanza, costituiscono l’Europea System of Financial Supervision (ESFS). Così G. DI PLINIO, Il risparmio nella costituzione economica europea, in Tutela del risparmio e vigilanza sull’esercizio del credito, cit., p. 299.

< id="ftn8">

[8] In breve il procedimento segue le seguenti linee: il Parlamento e il Consiglio delegano preventivamente alla Commissione il potere di adottare norme tecniche di regolamentazione. In tal caso l’Autorità può elaborare una proposta di norme tecniche di regolamentazione da sottoporre alla Commissione. Se la Commissione decide di approvare le norme tecniche di regolamentazione esse vengono notificate al Parlamento e al Consiglio i quali hanno un termine per sollevare obbiezioni e sostanzialmente impedirne l’entrata in vigore.

Se viceversa la Commissione decide di non approvare la proposta rinvia il progetto all’autorità con osservazioni; quest’ultima quindi può modificare il progetto e ripresentarlo come parere formale alla Commissione.

Tuttavia se entro il termine il progetto non viene ripresentato o viene presentato in modo non coerente con le osservazioni la Commissione può adottare le norme tecniche di regolamentazione con le modifiche che ritiene necessarie – sia pure coordinandosi con l’autorità – o respingerle. Anche in questo caso, ovviamente, le norme tecniche di regolamentazione vengono notificate al Parlamento e al Consiglio che possono, sollevando obiezioni, impedirne l’entrata in vigore.

< id="ftn9">

[9] Così anche E. D’AMBROSIO, op. ult. cit., p. 50.

< id="ftn10">

[10] Il progetto di norme tecniche di attuazione è presentato dall’Autorità alla Commissione che, nella ipotesi di non condivisione, può rinviarla con osservazioni all’Autorità. Se quest’ultima non si conforma può adottare le norme tecniche di attuazione con le modifiche ritenute necessarie o respingerle, valutazione effettuata in coordinamento con l’Autorità.

< id="ftn11">

[11] Per una visione in positivo dell’attività dell’EBA, M. ONADO, Banche e aiuti pubblici in Europa. Quali strumenti? Fino a quando? Quali controparti?, in Crisi economica-finanziaria e intervento dello Stato. Modelli comparati e prospettive, a cura di G. Cerrina Feroni e Franco Ferrari, Torino, 2012, p. 29.

< id="ftn12">

[12] Cfr. “Proposta di regolamento del Consiglio che attribuisce alla Banca centrale Europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi” (COM(2012) 511) e «Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council amendement Regulation (EC) No 1093\2010 establishing a European Supervisory Autority (European Banking Autority) as regard its interaction with Council Regulation (EU) ... conferring specific tasks on the European Central Bank concerning policies relating to the prudential supervision of credit institutions.» (COM(2012) 512) Il regolamento è stato poi approvato definitivamente il 15 di ottobre (Reg. UE 15 ottobre 2013, n. 1024).

Sulla riforma della regolazione europea cfr. M. LAMANDINI, La riforma dell’ordinamento finanziario europeo: quali cure per i fallimenti di mercato, i fallimenti istituzionali e i fallimenti sovrani ?, in Crisi economica-finanziaria e intervento dello Stato, cit., p. 52 ss.

< id="ftn13">

[13] L’ente non è sottoposto al controllo della BCE quando è meno rilevante per dimensioni, importanza per l’economia dell’UE o di qualsiasi stato membro partecipante o in relazione alla significatività delle attività transfrontaliere. È comunque da considerarsi rilevante e quindi sottoposto alla vigilanza BCE quando il valore delle sue attività supera i 30 miliardi di euro, oppure il rapporto trta le sue attività e il PIL dello Stato membro supera il 20% oppure quando ha stabilito filiazioni in più di uno Stato membro partecipante. Sono ancora sottoposti alla vigilanza della BCE gli enti creditizi che abbiano ricevuto assistenza finanziaria pubblica dall’EFSF o dal MES e comunque i tre enti più significativi in ciascuno Stato membro. Cfr. art. 5, par. 4 del regolamento.

< id="ftn14">

[14] Sul punto cfr. M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005, p. 67 ss. È tuttavia da rilevare che alcuni ordinamenti, come quello tedesco, sono meno propensi di altri ordinamenti ad attribuire poteri normativi all’autorità di vigilanza bancaria.

< id="ftn15">

[15] Cfr C. SCHMITT, Il custode della costituzione, Milano, 1981, p. 203 ss.

<
Fascicolo 1 - 2014