Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il conflitto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati approda in Corte di Giustizia Commento a Consiglio di Stato, Sez. VI, ord. 17 gennaio 2017, n. 167 (di Gloria Maria Barsi)


Massime

Ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, s’impone la rimessione alla Corte di Giustizia U.E. dei seguenti quesiti pregiudiziali di compatibilità con l’ordinamento euro-unitario dell’art. 27, comma 1-bis, Codice del consumo, anche alla luce dell’interpretazione al riguardo fornita dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 4/2016:

«1) se la ratio della direttiva ‘generale’ n. 2005/29/CE quale ‘rete di sicurezza’ per la tutela dei consumatori, nonché il considerando 10 e l’articolo 3, comma 4, della medesima direttiva n. 2005/29/CE, ostino ad una disciplina nazionale che riconduca la valutazione del rispetto degli obblighi specifici, previsti della direttiva settoriale n. 2002/22/CE a tutela dell’utenza, nell’ambito di applicazione della direttiva generale n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, escludendo, per l’effetto, l’intervento dell’Autorità competente a reprimere una violazione della direttiva settoriale in ogni ipotesi che sia suscettibile di integrare altresì gli estremi di una pratica commerciale scorretta/sleale;

2) se il principio di specialità sancito dall’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE debba essere inteso quale principio regolatore dei rapporti tra ordinamenti (ordinamento generale e ordinamenti di settore), oppure dei rapporti tra norme (norme generali e norme speciali), oppure, ancora, dei rapporti tra Autorità preposte alla regolazione e vigilanza dei rispettivi settori;

3) se la nozione di «contrasto» di cui all’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE possa ritenersi integrata solo in caso di radicale antinomia tra le disposizioni della normativa sulle pratiche commerciali scorrette e le altre norme di derivazione europea che disciplinano specifici aspetti settoriali delle pratiche commerciali, oppure se sia sufficiente che le norme in questione dettino una disciplina difforme dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette in relazione alle specificità del settore, tale da determinare un concorso di norme (Normenkollision) in relazione ad una stessa fattispecie concreta;

4) Se la nozione di norme comunitarie di cui all’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE abbia riguardo alle sole disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive europee, nonché alle norme di diretta trasposizione delle stesse, ovvero se includa anche le disposizioni legislative e regolamentari attuative di principi di diritto europeo;

5) Se il principio di specialità, sancito al considerando 10 e all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE, e gli articoli 20 e 21 della direttiva 2002/22/CE e 3 e 4 della direttiva 2002/21/CE ostino ad una interpretazione delle corrispondenti norme di trasposizione nazionale per cui si ritenga che, ogniqualvolta si verifichi in un settore regolamentato, contenente una disciplina ‘consumeristica’ settoriale con attribuzione di poteri regolatori e sanzionatori all’Autorità del settore, una condotta riconducibile alla nozione di ‘pratica aggressiva’, ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE, o ‘in ogni caso aggressiva’ ai sensi dell’Allegato I della direttiva 2005/29/CE, debba sempre trovare applicazione la normativa generale sulle pratiche scorrette, e ciò anche qualora esista una normativa settoriale, adottata a tutela dei consumatori e fondata su previsioni di diritto dell’Unione, che regoli in modo compiuto le medesime ‘pratiche aggressive’ e ‘in ogni caso aggressive’ o, comunque, le medesime ‘pratiche scorrette’».

   

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La frammentazione delle competenze, il bis in idem, la specialità - 3. L'Adunanza Plenaria del 2012 e la c.d. specialità per settori - 4. La specialità secondo la Commissione europea e i tentativi del legislatore italiano - 5. L'Adunanza Plenaria del 2016: assorbimento o specialità? - 6. La specialità per fattispecie concrete non chiarisce i dubbi: l’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia - 7. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Con ordinanza 17 gennaio 2017, n. 167, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha formulato richiesta di interpretazione pregiudiziale ex art. 267, comma 3, TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in relazione a due questioni concernenti, rispettivamente, la compatibilità del diritto nazionale c.d. vivente, quale risultante dalla sentenza dell’Adunanza plenaria del 9 febbraio 2016, n. 4, con l’ordinamento euro-unitario in merito alla nozione di pratica commerciale scorretta in materia di comunicazioni elettroniche; e, la compatibilità dell’art. 27, comma 1-bis, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. codice del consumo) con l’ordinamento euro-unitario, anche alla luce dell’interpretazione di esso fornita dalla medesima sentenza dell’Adunanza plenaria. La vicenda processuale da cui origina l’ordinanza in commento merita un’attenzione particolare poiché nell’ambito del medesimo giudizio si è assistito all’intervento dell’Adunanza Plenaria prima, e alla rimessione alla Corte di Giustizia poi. Le argomentazioni utilizzate dalla Plenaria, infatti, non hanno dissipato i dubbi nutriti dalla Sezione rimettente circa la compatibilità dell’or­dinamento interno, in sé e come interpretato dal plenum, con il diritto euro-unitario. Tuttavia, la decisione di interpellare la Corte di Giustizia nonostante la pronuncia in udienza plenaria, oltre ad evidenziare la complessità e la vivacità del dibattito sul riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati, assume un rilievo ulteriore poiché costituisce, forse, la prima ipotesi di disapplicazione in parte qua dell’art. 99, comma 3, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo) in applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Lussemburgo con la sentenza 5 aprile 2016 resa nella causa 689/13 (Puligienica c. Airgest s.p.a.) [1]. Secondo la Grande Camera, infatti, l’art. 99, comma 3, cod. proc. amm., nella parte in cui impone alla Sezione rimettente – che non condivida, relativamente a una questione di interpretazione o validità del diritto dell’Unione, l’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria – di rinviare la questione esclusivamente all’Adunanza stessa, senza poter adire la Corte di Giustizia ai fini di una [continua ..]


2. La frammentazione delle competenze, il bis in idem, la specialità

La sovrapposizione di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nell’ambito dei settori regolati è questione vivacemente dibattuta da tempo. L’art. 27 del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) attribuisce all’AGCM il munus di investigare, inibire e sanzionare le pratiche commerciali scorrette, ossia le condotte di mercato in grado, anche solo potenzialmente, di incidere sulla libertà di autodeterminazione negoziale dei consumatori, ritenuti dall’ordinamento parte debole quando contraggono con chi agisce nell’esercizio della propria attività lato sensu professionale. In materia di tutela del consumatore, le fonti euro-unitarie hanno giocato un ruolo fondamentale favorendo la penetrazione negli ordinamenti degli Stati membri di una crescente attenzione verso la tutela del contraente debole attraverso prescrizioni normative dettagliate. La complessità della realtà e la volontà di garantire uno standard di tutela al passo con l’evoluzione tecnologica hanno d’altra parte portato all’elaborazione di discipline settoriali altamente specializzate in grado di identificare fenomeni distorsivi anche nelle pieghe di ambiti specifici. Si pensi alla mole di adempimenti e regole cui sono sottoposti gli operatori di telefonia mobile nell’esercizio della propria attività [5]. La presenza di tali norme specifiche si giustifica in base al fatto che nell’ambito di alcuni settori di rilevanza economica strategica è necessario predisporre un’attività di regolazione – con relativa vigilanza – che il legislatore demanda ad Autorità diverse da quella antitrust (che opera su tutti i mercati, anche non regolamentati) in quanto ritiene che la competenza specialistica sia essenziale per garantire la migliore disciplina amministrativa del settore. Quindi, mentre l’AGCM possiede una competenza trasversale in materia di concorrenza e di tutela del consumatore, esistono mercati soggetti alle funzioni di regolazione e di vigilanza di Autorità di settore in cui la tutela del consumatore è affidata anche a discipline puntuali e specifiche da esse dettate. Pertanto, pur rimanendo in capo all’AGCM la competenza generale in materia di contrasto alle pratiche commerciali scorrette, la vigilanza su alcune modalità specifiche di [continua ..]


3. L'Adunanza Plenaria del 2012 e la c.d. specialità per settori

Sebbene in materia di pratiche commerciali scorrette si parli molto del principio di specialità come soluzione al rompicapo delle competenze, è utile chiarire i termini in cui si può intendere la specialità. Il criterio di specialità è, in primo luogo, uno degli strumenti dell’ordinamento costituzionale che serve ad ordinare i rapporti gerarchici fra le norme risolvendo, in concorso con altri criteri, i casi di antinomia, ed è espresso dal noto brocardo lex specialis derogat generali. L’art. 9 della legge n. 689/1981 e l’art. 15 c.p. costituiscono senz’altro una specificazione di tale criterio e tuttavia richiedono il verificarsi di presupposti determinati, ossia che le fattispecie legali presentino identità di elementi strutturali in astratto, più uno specializzante o aggiuntivo. A sostenere la tesi della specialità tra ordinamenti normativi secondo lo schema lex specialis derogat lex generali è stata, in passato, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato [14] che, investita della questione relativa alla competenza sanzionatoria dell’AGCM e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito AGCOM) nelle attività di repricing nella telefonia mobile, ha stabilito che la disciplina di settore è speciale (e, dunque, prevale) rispetto alla disciplina generale consumeristica in applicazione di quanto statuito della normativa sovranazionale, recepita anche dall’ordinamento interno. Le direttive europee, infatti, risolvono ex ante i casi di convergenza di norme stabilendo che, al fine di garantire un rapporto coerente tra la disciplina generale e le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a mercati settoriali, queste ultime prevalgono sulla prima laddove disciplinino aspetti specifici delle pratiche in questione «come [ad esempio] gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore» (considerando n. 10 e art. 3, par. 4, dir. 2005/29 [15]). L’art. 19, comma 3 [16], cod. cons. ha recepito tale regola riproducendo altresì una locuzione, per la verità non del tutto cristallina, usata dalla direttiva che subordina la prevalenza della normativa di settore solo «in caso di contrasto», la quale ha [continua ..]


4. La specialità secondo la Commissione europea e i tentativi del legislatore italiano

La decisione dell’Adunanza plenaria anziché porre fine al dibattito ha inaugurato un percorso tormentato che ha visto l’avvicendarsi dell’intervento del legislatore italiano prima, della Commissione europea poi, e di nuovo, del legislatore italiano. All’indomani della pronuncia, infatti, il Governo ha ritenuto di dover intervenire per dare un’impronta formale legislativa all’interpretazione della specialità fra ordinamenti espressa dall’Adunanza plenaria. Così, in un primo momento, è stato approvato il d.l. n. 70/2012 recante l’abrogazione del comma 6 dell’art. 70 che disponeva il famoso rinvio alla disciplina (di settore, secondo i giudici della Plenaria) a tutela del consumatore come norma di chiusura. Successivamente, con il d.l. n. 95/2012, art. 23, comma 12-quinquiesdecies [21], il legislatore ha (tentato di) definire il riparto di competenze nelle pratiche sleali usando una formula invertita, ma nella sostanza analoga, a quella del Consiglio di Stato: veniva, cioè, ribadita la competenza generale dell’AGCM sulle pratiche commerciali scorrette salvo poi chiarire che, nei settori regolati e nei limiti degli aspetti regolati, le pratiche sono di competenza delle Autorità di settore (se titolari di finalità di tutela del consumatore) ove tale competenza discenda da norme di rango europeo. Una norma, questa, che da una parte ratificava gli approdi interpretativi dell’Adunanza plenaria demandando alle Autorità di settore la competenza di occuparsi del commercio sleale realizzato tramite condotte tipizzate dalla normativa specifica, ma dall’altra sembrava – complice anche l’abrogazione del comma 6, art. 70 cit. – riaffidare la competenza all’AGCM nei casi di lacune normative, evidenziando una certa ritrosia a portare alle estreme conseguenze il ragionamento della Plenaria e dunque ad escludere sempre l’appli­ca­zione della disciplina antitrust nei settori regolati. Gli spunti di riflessione relativi all’esegesi della norma sono stati, tuttavia, recisi sul nascere dalla lettera del 18 ottobre 2013 con cui la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione [22] nei confronti dell’Italia per mancata attuazione della direttiva 2005/29 in materia di pratiche commerciali scorrette. L’obiettivo critico della Commissione, più [continua ..]


5. L'Adunanza Plenaria del 2016: assorbimento o specialità?

L’interpretazione del comma 1-bis cit. ha prevedibilmente generato un contrasto all’interno delle Sezioni del Consiglio di Stato in ordine alla corretta applicazione della nuova regola. Nell’ambito della Sesta Sezione, infatti, è stato, dapprima, sostenuto che la norma è chiara nell’attribuire ad AGCM una competenza generale ed esclusiva ad intervenire in materia di pratiche commerciali scorrette, anche nei settori regolati e quindi anche a fronte di condotte contrarie a specifiche norme di settore di derivazione europea [25]. In seguito, la Sezione ha, invece, ipotizzato che AGCM sia titolare in via esclusiva del compito di intervenire solo ove la normativa di settore non abbia tipizzato – ex ante, precisano pleonasticamente i giudici – in modo completo ed esaustivo (secondo le espressioni usate dall’antica Plenaria) la regola comportamentale applicabile. In un’evenienza del genere, infatti, non si renderebbe necessaria la funzione di “rete di sicurezza” evocata dalla Commissione. Pertanto, con ordinanza 18 settembre 2015, n. 4351 la sesta Sezione ha chiesto all’Adunanza Plenaria se il neointrodotto comma 1-bis cit. debba interpretarsi nel senso del riconoscimento ad AGCM di una competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea ritenute idonee a reprimere il comportamento. Nel caso di specie, AGCM aveva contestato ad una multinazionale della telefonia mobile di aver attivato dei servizi di navigazione internet e segreteria telefonica sulle SIM vendute senza aver previamente acquisito il consenso del consumatore e senza averlo reso edotto della preimpostazione di tali servizi e della loro onerosità, esponendolo ad addebiti inconsapevoli. Tuttavia, la vendita delle SIM e, in particolare, l’utilizzo della tecnica opt out risultano essere materie demandate dalla legge alla competenza di AGCOM. La soluzione fornita dall’Adunanza Plenaria [26] offre molti spunti di riflessione e apre diversi interrogativi. Il Collegio prende le mosse dal caso concreto affermando che la condotta sottoposta al suo esame integra pacificamente una pratica commerciale scorretta, in specie aggressiva ai sensi degli artt. 20, 24, 25 e 26, lett. f), cod. cons., attuata mediante l’inosservanza degli obblighi informativi previsti [continua ..]


6. La specialità per fattispecie concrete non chiarisce i dubbi: l’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia

La soluzione prospettata dall’Adunanza plenaria non è stata in grado di chiarire i dubbi che avevano dato origine alla rimessione. Pertanto, la stessa Sezione rimettente ha ritenuto doveroso sollevare questione pregiudiziale interpretativa dinanzi alla Corte di Giustizia [35] nel tentativo di ottenere una parola definitiva sul riparto di competenze nelle pratiche commerciali scorrette e, in particolare, sulla compatibilità euro-unitaria dell’art. 27, comma 1-bis, cod. cons. [36]. Il Collegio ha, infatti, ritenuto che non fosse stato dato il giusto rilievo al fatto che il codice delle comunicazioni elettroniche costituisce il recepimento delle direttive europee 2002/19-20-21-22 ed ha sottolineato che gli artt. 70, 71 e 98 c. 16 cod. comunicazioni elettroniche «dettano una serie di disposizioni a tutela dei consumatori nel settore specifico delle comunicazioni elettroniche, attribuendo i relativi poteri regolatori e sanzionatori all’AGCOM». Affermazione che lascia velatamente intendere come, nell’applicazione di queste norme, la regolazione e la vigilanza siano intimamente connesse – due facce della stessa medaglia – dove solo l’Autorità di regolazione può comprendere appieno il significato e il peso della violazione, anche ai fini della commisurazione della sanzione. E ritenere che AGCM sia l’Autorità maggiormente in grado di garantire la tutela del consumatore appare più una petizione di principio che un dato empirico: non a caso, nel 2012, anche la Plenaria aveva osservato che «appare ben difficile sezionare chirurgicamente la disciplina [di settore], al fine di enucleare singoli interessi oggetto di tutela, poiché tale modus operandi contrasta con l’inevitabile unitarietà degli interessi operanti nelle singole fattispecie concrete. Ma soprattutto tale distinzione […] non trova riscontro nel dato normativo». Da questo punto di vista, l’art. 27 comma 1-bis che devolve, in blocco, la competenza sulle pratiche sleali all’AGCM non appare in linea con l’ipotesi, pure espressamente contemplata dal legislatore europeo, che degli aspetti specifici di tali pratiche, previsti anch’essi dalla normativa europea, si occupino i soggetti dell’ordinamento attributari dei relativi poteri. Tale disciplina non appare neanche perfettamente in linea con quanto a suo tempo [continua ..]


7. Conclusioni

Sono molte le considerazioni che potrebbero farsi sulla tormentata questione delle competenze nelle pratiche commerciali scorrette. Si potrebbe, ad esempio, affermare che la violazione della normativa di settore, più che ledere questo o quell’altro interesse singolarmente, rappresenti semplicemente un illecito plurioffensivo, che incide su una pluralità di interessi, e che quindi viene demandato alla competenza di una sola Autorità per questioni interne di suddivisione dei compiti. Ciò anche alla luce del fatto che non avrebbe senso altrimenti affermare l’indifferenza dell’Unione europea rispetto all’organizzazione interna se, per evitare duplicazioni sanzionatorie, occorre che entrambi gli illeciti vengano contestati dalla stessa Autorità (in quanto l’una Autorità non può indovinare che valutazioni farà l’altra). Pertanto, laddove le singole norme appaiano, raffrontate in astratto, speciali, si applicherà quella caratterizzata dal requisito ulteriore, per aggiunta o per specificazione. Negli altri casi, avrà luogo il concorso, che senza dubbio implicherebbe l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più gravoso per le imprese, ma che tuttavia potrebbe anche essere un giusto prezzo da pagare per conoscere con certezza in anticipo le conseguenze delle proprie azioni. La verità, però, è che la materia delle sanzioni è estremamente delicata in quanto è in grado di influire sulle scelte degli operatori economici nello svolgimento delle operazioni di mercato e che sia il legislatore che la giurisprudenza italiani non sono riusciti ad applicare fino in fondo il criterio della specialità, anche perché il diritto europeo ha, al riguardo, fornito indicazioni contrastanti: da una parte, la prevalenza della disciplina di settore in casi specifici, dall’altro, la perdurante applicabilità della disciplina generale in relazione ad altri aspetti, senza specificare se questi altri aspetti debbano riguardare lo stesso fatto o meno. Con, forse, un po’ di ipocrisia nel non affermare apertamente che, a seconda del caso concreto, la violazione degli obblighi specifici assume talvolta la valenza di sintomo di un illecito più ampio, piuttosto che un’ipotesi tipica di pratica commerciale scorretta. Dunque, al di là del rapporto fra norme di [continua ..]


NOTE