Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il trasporto locale non di linea fra tradizione e innovazione tecnologica. Anche la Corte Costituzionale si pronuncia (di Luca Belviso)


Corte Cost., 15 dicembre 2016, n. 265 – Pres. P. Grossi – Red. M. Cartabia – Regione Piemonte (avv. Rava) c. Presidente del Consiglio dei ministri (Avv. Generale dello Stato).

Giustizia costituzionale – Regolazione – Trasporto pubblico locale non di linea di persone – Taxi – Noleggio con conducente – Trasporto privato non di linea – Uber – Uberpop – Uberblack – Sharing economy – Car pooling – Ride sharing – Car sharing – Art. 117 Cost. – Riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni – Tutela della concorrenza – Trasporto locale.

È costituzionalmente illegittimo l’art. 1 della legge della Regione Piemonte 6 luglio 2015, n. 14, per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost. In particolare, la disposizione impugnata definisce il novero dei soggetti abilitati a operare nel settore dei trasporti di persone, riservandolo in via esclusiva alle categorie abilitate a prestare i servizi di taxi e di noleggio con conducente. Definire quali soggetti siano abilitati a offrire talune tipologie di servizi è decisivo ai fini della configurazione di un determinato settore di attività economica: si tratta di una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale ed incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato. Sicché, tale profilo rientra a pieno titolo nell’ampia nozione di concorrenza di cui al comma 2, lett. e), dell’art. 117 Cost., come tale rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Rispetto all’assetto delineato dalla legislazione statale in vigore, che risale nei suoi tratti essenziali al 1992, l’evoluzione tecnologica, e i cambiamenti economici e sociali conseguenti, suscitano questioni variamente discusse non solo nelle sedi giudiziarie, ma anche presso le autorità indipendenti e le istituzioni politiche, in seno all’Unione Europea, in molti degli Stati che ne fanno parte, nonché in numerosi altri ordinamenti in tutto il mondo. Nel contesto di un dibattito così animato, è comprensibile che si levi la domanda di un inquadramento giuridico univoco e aggiornato. È dunque auspicabile che il legislatore competente si faccia carico tempestivamente di queste nuove esigenze di regolamentazione.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 7-9 settembre 2015, depositato il 10 settembre 2015 e iscritto al n. 83 del registro ricorsi per l’anno 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Piemonte 6 luglio 2015, n. 14, recante «Misure urgenti per il contrasto dell’abusivismo. Modifiche alla legge regionale 23 febbraio 1995, n. 24 (Legge generale sui servizi di trasporto pubblico non di linea su strada)».

1.1.– L’impugnato art. 1 inserisce l’art. 1-bis nella citata legge reg. Piemonte n. 24 del 1995.

Quest’ultima, all’art.1, così recita: «1. La presente legge disciplina le competenze della Regione nel settore del trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea su strada ai sensi della legge 15 gennaio 1992, n. 21. 2. Si intendono come tali i servizi che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare ed integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta. 3. Costituiscono servizi pubblici non di linea su strada: a) il servizio di taxi con autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale; b) il servizio di noleggio con conducente e autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale».

Di seguito, l’art. 1-bis, inserito dalla disposizione censurata e rubricato «Esclusività del servizio di trasporto», dispone quanto segue: «1. Il servizio di trasporto di persone, che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con l’attribuzione di corresponsione economica, può essere esercitato esclusivamente dai soggetti che svolgono il servizio di cui all’articolo 1, comma 3, lettere a) e b). 2. Il mancato rispetto delle disposizioni di cui al comma 1 comporta l’applicazione delle sanzioni previste all’articolo 6, comma 2-bis». Il citato art. 6, comma 2-bis, introdotto dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2015, fa riferimento alle sanzioni di cui agli artt. 85 e 86 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).

Ad avviso del ricorrente, la finalità della modifica normativa è riservare in via esclusiva l’attività di trasporto non di linea di persone ai servizi taxi e noleggio con conducente (NCC), mentre, prima della modifica, l’elencazione di cui all’art. 1 della legge regionale n. 24 del 1995 poteva essere interpretata come non tassativa.

1.2.– La difesa dello Stato sostiene che il censurato art. 1 della legge reg. Piemonte n. 14 del 2015 contrasterebbe, sul piano sostanziale, con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui assoggetta la legislazione anche regionale al rispetto dei principi dell’ordinamento comunitario e al principio di concorrenza». «Sul piano formale prima ancora» sarebbe altresì violato l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «tutela della concorrenza».

1.2.1.– Ad avviso del ricorrente, la disposizione censurata, «pur in linea con quanto già stabilito dalla legge n. 21/1992 [legge 15 gennaio 1992, n. 21] “Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”, eccede dalle competenze regionali».

La legge quadro statale da ultimo richiamata, «risalendo al 1992, appare inadeguata rispetto alle nuove possibilità di mobilità offerte dalle innovazioni tecnologiche e ulteriormente possibili in futuro»: segnatamente, i trasporti con tricicli elettroassistiti, diffusi nei centri storici; il car sharing («servizio che utilizza tecnologie satellitari e smartphone per effettuare la chiamata che rende disponibile il veicolo e per calcolare il corrispettivo dovuto»); il «c.d. servizio Uber» («servizio di trasporto attivo dal 2013 in Italia, a Roma e a Milano, che consente di prenotare un servizio alternativo al taxi, riservando l’automobile con autista tramite un sms o un applet, attivata da uno smartphone e con le stesse modalità di pattuire preventivamente il corrispettivo»).

La censurata normativa piemontese vieterebbe l’offerta di questi servizi innovativi sul territorio regionale, senza che neppure «sia possibile da parte dello Stato, della regione o degli enti locali una qualsiasi forma di disciplina» degli stessi servizi e di eventuali loro requisiti. Così facendo, la legge eccederebbe dalla competenza regionale in materia di «trasporto locale», la quale riguarderebbe le modalità amministrative e tecniche dell’offerta dei servizi di trasporto, per invadere la competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza»: sarebbe posta una barriera all’ingresso delle descritte offerte innovative nel «mercato dei servizi locali di trasporto non di linea su strada», incidendosi così sullo sviluppo attuale e futuro di tale mercato e, dunque, sulla concorrenza nell’ambito dello stesso. Da ciò deriverebbe la denunciata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

1.2.2.– Inoltre, «sul piano sostanziale», l’ostacolo, che la normativa in questione porrebbe allo sviluppo del mercato dei trasporti, appare, al ricorrente, «ingiustificato e sproporzionato rispetto ad ogni possibile declinazione degli interessi pubblici sottesi alla disciplina del trasporto in questione»: esso si tradurrebbe in un divieto radicale e, quindi, nella rinuncia a conoscere e regolare le possibilità consentite dall’evoluzione economica e tecnologica, «solo perché si tratta di forme non inquadrabili nelle modalità tipiche del servizio di taxi o di NCC». Pertanto, quand’anche riconducibile alla competenza legislativa regionale, la norma in questione sarebbe, per il suo contenuto, incompatibile con il «principio di concorrenza», il quale, secondo la difesa statale, consente condizionamenti del mercato solo se strettamente necessari e concretamente idonei al perseguimento di uno scopo, «che peraltro la restrittiva innovazione normativa in esame neppure chiarisce in che cosa consista».

2.– Con atto depositato il 19 ottobre 2015, si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, in persona del Presidente in carica, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

2.1.– La Regione eccepisce anzitutto che il ricorso è generico nel motivare le ragioni di illegittimità costituzionale, specialmente per l’omissione di ogni considerazione sul complessivo quadro normativo di riferimento: la disposizione impugnata sarebbe analoga a quanto già previsto dalla legge n. 21 del 1992, nonché da leggi di altre Regioni, che il Governo ha deciso di non impugnare. A tale ultimo proposito, si fa riferimento alla legge della Regione Liguria 31 marzo 2015, n. 9, recante «Modifiche alla legge regionale 19 dicembre 2014, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Liguria (Legge finanziaria 2015)) e alla legge regionale 4 luglio 2007, n. 25 (Testo unico in materia di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea)».

In particolare, ad avviso della resistente, in virtù della legge n. 21 del 1992, nonché delle pertinenti disposizioni del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, segnatamente artt. 82 e 86), l’attività di trasporto di persone mediante autoservizi non di linea può essere svolta solo da soggetti in possesso di determinati requisiti, titolari di licenza taxi o di autorizzazione di NCC, in mancanza delle quali chi svolga tale servizio pone in essere una condotta vietata dalla normativa statale, prima ancora che da quella regionale e comunale. Questa normativa è intesa a tutelare interessi pubblicistici quali non solo la mobilità e la libera circolazione delle persone, ma anche la tutela della loro salute e della sicurezza, in modo da garantire un servizio sicuro, anche in periodo e orari in cui la domanda è meno intensa. Ciò giustifica la previsione di un «regime amministrato» ed è conforme a quanto previsto dall’art. 41 Cost.

2.2.– Inoltre, prosegue la resistente, il settore […] è espressamente escluso dal campo di applicazione di diversi interventi normativi di liberalizzazione, nazionali ed europei.

(omissis)

2.3.– In questo quadro si inserisce, ad avviso della resistente, la norma censurata, la quale «non introduce alcuna barriera all’ingresso, considerato che essa si limita a riprodurre una disposizione già insita nella disciplina vigente del settore del trasporto pubblico locale non di linea». La legge n. 21 del 1992 era stata già attuata dalla legge reg. Piemonte n. 24 del 1995, la quale detta disposizioni di dettaglio orientate a garantire le esigenze sociali di mobilità e la sicurezza dei passeggeri, attraverso il controllo di requisiti personali dei conducenti e garanzie di efficienza degli autoveicoli. La disposizione impugnata, precisando che solo gli esercenti del servizio taxi o NCC possono svolgere attività di trasporto pubblico non di linea, si limita a chiarire e ribadire quanto già previsto dalla legge statale, la quale, nell’interesse pubblico alla garanzia della sicurezza e dell’integrità degli utenti, impone che il servizio di trasporto possa essere effettuato solo da soggetti titolari di apposite licenze o autorizzazioni e in possesso di specifici requisiti.

2.4.– La disposizione censurata è parsa opportuna, prosegue la resistente, «in un momento in cui il fenomeno dell’abusivismo era cresciuto in maniera esponenziale». Infatti, le società olandesi Uber International Holding e Raiser Operations avevano ideato e organizzato un sistema (attivo anche in alcune città italiane) simile al radio-taxi, basato su un’applicazione attraverso la quale una persona, interessata a spostarsi da un luogo cittadino a un altro, poteva richiamare, attraverso il proprio dispositivo informatico mobile, un conducente privato con autoveicolo, disposto a effettuare il servizio di trasporto lungo il tragitto richiesto, a prezzi inferiori rispetto alle tariffe praticate dagli operatori professionali (in quanto i conducenti occasionali, ad avviso della resistente, non rispettano la normativa pubblicistica sul trasporto non di linea e, pertanto, non sono onerati dei costi conseguenti). A causa della disponibilità di questa applicazione, si sarebbe avuto un incremento dei soggetti che svolgevano il servizio taxi senza licenza, i quali in precedenza avevano minori possibilità di contatto con l’utenza. Poiché alcuni giudici di pace avevano annullato le sanzioni inflitte a questi soggetti, la Regione Piemonte, con l’art. 1-bis introdotto nella legge regionale n. 24 del 1995, ha inteso ribadire ciò che essa ritiene, in realtà, già previsto dalla legislazione vigente.

La disposizione regionale non vieta che nel servizio taxi possano essere introdotte applicazioni informatiche (in luogo del sistema radio-taxi), né esclude dal mercato ogni innovazione per un migliore soddisfacimento della domanda di trasporto, ma ribadisce – anche a vantaggio degli addetti ai controlli – che i relativi servizi devono essere resi nel rispetto della normativa pubblicistica. Nemmeno il descritto servizio Uber potrebbe paragonarsi a forme di condivisione del trasporto su strada, quali il car sharing: in questi ultimi casi, l’autista esegue il tragitto per interesse proprio e, in genere, condivide con gli altri viaggiatori il costo di carburante e pedaggi, sicché non si tratta di uso del veicolo nell’interessi di terzi e non trova applicazione l’art. 82 cod. strad. Nel caso di Uber, invece, l’autista non ha alcun interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, senza la richiesta di costui, non effettuerebbe lo spostamento. Pertanto, questo servizio non solo non garantisce la sicurezza dei trasportati, ma nemmeno genera vantaggi per la collettività in termini di riduzione dell’in­quinamento o del consumo energetico, stimolando al contrario l’uso dei mezzi privati, in contrasto con l’interesse pubblico alla programmazione e regolazione della mobilità e all’incentivazione dell’utilizzo dei mezzi pubblici.

Considerato in diritto

(omissis)

2.– La censura riferita all’art. 117, primo comma, Cost. è inammissibile (omissis).

3.– Deve invece essere respinta l’eccezione di inammissibilità relativa alla censura riferita all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (omissis).

4.– In questi termini, la questione è fondata.

4.1.– Il contenuto dell’art. 1 della legge reg. Piemonte n. 14 del 2015, l’intito­lazione di quest’ultima («Misure urgenti per il contrasto dell’abusivismo»), i lavori preparatori (Consiglio regionale del Piemonte, II Commissione in sede legislativa, sintesi della seduta n. 41 del 18 giugno 2015) e le stesse argomentazioni difensive della Regione Piemonte concorrono univocamente a dimostrare che la disposizione in questione è stata approvata in considerazione della recente emersione di talune forme di trasporto di persone a chiamata, rese possibili dalla diffusione di nuovi strumenti tecnologici, a proposito delle quali sono stati sollevati, da varie prospettive, problemi di compatibilità con la vigente legislazione statale in tema di autoservizi pubblici non di linea. La difesa regionale si è concentrata sui servizi di trasporto a chiamata mediante applicazioni informatiche e, a tale riguardo, ha fatto precipuo riferimento alle pronunce di alcuni giudici di pace, relative a sanzioni amministrative applicate a chi offriva tali servizi; nonché, nel corso dell’udienza, all’ordinanza 2 luglio 2015 del Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa “A”, che ha ritenuto sleale la concorrenza praticata da alcuni gestori di piattaforme informatiche nei confronti dei tradizionali operatori del settore dei trasporti non di linea di persone.

4.2.– In particolare, la disposizione impugnata prende posizione in merito a un aspetto cruciale della problematica in esame, dato che definisce il novero dei soggetti abilitati a operare nel settore dei trasporti di persone con le nuove modalità consentite dai supporti informatici, riservandolo in via esclusiva alle categorie abilitate a prestare i servizi di taxi e di noleggio con conducente.

La portata normativa della disposizione impugnata si desume inequivocabilmente, sia dalla rubrica dell’articolo: «[e]sclusività del servizio di trasporto»; sia dalla piana lettura del testo: «[i]l servizio di trasporto di persone, che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con l’attribuzio­ne di corresponsione economica, può essere esercitato esclusivamente dai soggetti che svolgono il servizio di cui all’art. 1, comma 3, lettere a) e b)», della legge reg. Piemonte n. 24 del 1995, vale a dire il servizio di taxi e di autonoleggio con conducente.

4.3.– Definire quali soggetti siano abilitati a offrire talune tipologie di servizi è decisivo ai fini della configurazione di un determinato settore di attività economica: si tratta di una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato. Sicché, tale profilo rientra a pieno titolo nell’ampia nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., la quale (ex plurimis, sentenza n. 125 del 2014) include sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese pregiudizievoli per l’assetto concorrenziale dei mercati; sia le misure di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, riducendo i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche, in particolare le barriere all’entrata, e al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese.

Del resto, proprio in merito al trasporto di viaggiatori mediante noleggio (di autobus) con conducente, questa Corte ancora di recente ha chiarito che rientra nella competenza legislativa esclusiva statale per la tutela della concorrenza definire i punti di equilibrio fra il libero esercizio di attività siffatte e gli interessi pubblici con esso interferenti (sentenza n. 30 del 2016).

Ciò è di per sé sufficiente ad attestare la fondatezza della censura dedotta nei confronti dell’art. 1 della legge reg. Piemonte n. 14 del 2015.

5.– È noto che, rispetto all’assetto delineato dalla legislazione statale in vigore, che risale nei suoi tratti essenziali al 1992, l’evoluzione tecnologica, e i cambiamenti economici e sociali conseguenti, suscitano questioni variamente discusse non solo nelle sedi giudiziarie, ma anche presso le autorità indipendenti e le istituzioni politiche, per la pluralità degli interessi coinvolti e i profili di novità dei loro intrecci. Del resto, con riguardo ad alcune modalità di trasporto a chiamata mediante applicazioni informatiche, interrogativi analoghi a quelli oggi posti a questa Corte sono attualmente in discussione anche in seno all’Unione europea, in molti degli Stati che ne fanno parte, nonché in numerosi altri ordinamenti in tutto il mondo. Nel contesto di un dibattito così animato, relativo a fenomeni la cui diffusione è grandemente agevolata dalle nuove tecnologie, è comprensibile che, soprattutto dalle aree metropolitane più direttamente interessate, si levi la domanda di un inquadramento giuridico univoco e aggiornato.

È dunque auspicabile che il legislatore competente si faccia carico tempestivamente di queste nuove esigenze di regolamentazione.

Nondimeno, tenuto conto dell’oggetto dell’odierno giudizio e dei suoi limiti, dirimente per questa Corte non può che essere il puro e semplice rilievo che la disposizione regionale censurata tocca un profilo attinente alla concorrenza, come tale rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, che del resto riflette la dimensione (quanto meno) nazionale degli interessi coinvolti.

6.– Deve dunque essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale impugnata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Piemonte 6 luglio 2015, n. 14, recante «Misure urgenti per il contrasto dell’abusivi­smo. Modifiche alla legge regionale 23 febbraio 1995, n. 24 (Legge generale sui servizi di trasporto pubblico non di linea su strada)»;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Piemonte n. 14 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, comma primo, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2016.

   

SOMMARIO:

1. Servizio taxi e servizio di noleggio con conducente fra obblighi di servizio pubblico e logiche di mercato - 2. Il trasporto urbano non di linea e le nuove sfide della sharing economy - 3. La vicenda: la sentenza della Corte Costituzionale n. 265-2016 - 4. L'avvento di Uber in Italia e le problematiche giuridiche sottese ai servizi Uberblack e Uberpop - 5. Verso il 'trasporto privato non di linea' - 6. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Servizio taxi e servizio di noleggio con conducente fra obblighi di servizio pubblico e logiche di mercato

Il trasporto locale non di linea di persone costituisce un mercato fortemente regolato.

All’interno di esso si rilevano, tradizionalmente, il servizio taxi e il servizio di noleggio con conducente (NCC), ambedue previsti e disciplinati dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 [1].

Secondo l’impostazione dell’art. 41 Cost., la regolazione del mercato, e dunque l’interesse ad organizzare il servizio in modo autoritativo, trova il suo fondamento nell’esigenza di coordinare e indirizzare a fini sociali l’attività economica [2]. E nel caso in esame, in particolare, i programmi e i controlli che caratterizzano il mercato di riferimento intendono assicurare la (più ampia) libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e tutti quei diritti rispetto ai quali la mobilità funge da presupposto, oltre che la sicurezza stradale e l’incolumità dei passeggeri.

Preliminare a qualsiasi riflessione sul tema è l’analisi delle regole fondamentali dei servizi taxi e NCC delineate dalla legge quadro testé citata.

Il servizio taxi si rivolge ad un’utenza indifferenziata, cioè a chiunque ne faccia richiesta e senza obbligo di preventiva prenotazione; costituisce un c.d. servizio di piazza, con stazionamento dei veicoli in luogo pubblico (presso le apposite piazzole di sosta) e con possibilità di fermata anche sulla pubblica via; le modalità del servizio e le tariffe sono predeterminate amministrativamente dal Comune che rilascia la licenza d’esercizio al conducente; l’inizio del servizio, coincidente con il prelevamento dell’utente, avviene nell’area comunale di riferimento. All’interno di quest’ultima, inoltre, la prestazione del servizio, a favore dell’utente che la richiede, è obbligatoria [3].

Il servizio NCC, invece, si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la rimessa, e cioè presso la sede organizzativa del vettore, apposita richiesta di prenotazione per una determinata prestazione di trasporto. Il servizio non è reperibile sulla pubblica via e ciò si deduce dal fatto che: lo stazionamento dei veicoli deve avvenire obbligatoriamente all’interno della rimessa, con conseguente divieto di sosta su piazza; la rimessa, situata nel territorio del Comune che rilascia l’autoriz­zazione, non costituisce soltanto il luogo in cui il servizio ha inizio, ma anche quello in cui lo stesso termina, posto che il conducente, una volta raggiunta la destinazione indicata dall’utente, ha l’obbligo di ritorno presso la medesima. Il corrispettivo del trasporto è espressione di autonomia negoziale, in quanto pattuito fra le parti. La prestazione del servizio, infine, non è obbligatoria [4].

Parallelamente alle poche ed essenziali disposizioni previste dalla legge quadro, trovano compiuta applicazione, nella fase di organizzazione dei summenzionati servizi, le previsioni degli enti territoriali: delle Regioni, (talora) degli enti intermedi, infine dei Comuni, veri e propri fulcri, questi ultimi, dell’as­setto strutturale della mobilità locale non di linea [5].

Sulla base di questa breve premessa di natura squisitamente normativa, è possibile ragionare, ora, sulla connotazione più o meno pubblicistica dei servizi in esame.

Il servizio taxi, in particolare, viene definito dalla legge quadro come “servizio pubblico”, in quanto gravato, per il legislatore, da una serie di obblighi diseconomici che il professionista non assumerebbe se potesse agire sulla base del solo criterio della convenienza economica. In particolare:

– obblighi tariffari, in quanto le tariffe, come già visto, non sono espressione di autonomia negoziale, bensì sono amministrate, predeterminate dai Comuni per garantirne la stabilità (rispetto alle variazioni della domanda) e consentirne l’accessibilità all’utenza [6].

– obblighi di prestazione, poiché il tassista, come emerge dal complesso normativo sopra riportato, non può rifiutare la prestazione all’interno del territorio di competenza e durante il proprio turno di servizio, anche a fronte di corse poco redditizie (ad esempio, le corse molto brevi o quelle indirizzate verso zone lontane dal centro della città, caratterizzate, queste ultime, da perdite dovute al rientro in centro senza clienti a bordo della vettura).

– obblighi di continuità (spazio-temporale) del servizio [7]. Il sistema di turni predisposto dalle amministrazioni comunali, infatti, assicura l’erogazione di un servizio minimo per l’intero arco delle 24 ore e in tutte le zone del territorio comunale di competenza. Pertanto, il servizio viene garantito non solo in orari in cui la domanda è alta (negli orari di punta) e nelle zone redditizie (come i centri delle città), ma anche in fasce orarie (tipicamente gli orari notturni) e zone (come le periferie) scarsamente remunerative.

Diversamente, il servizio NCC, pur essendo definito “servizio pubblico” dalla legge quadro, presenta profili che lo avvicinano al trasporto privato. Tale servizio, infatti, non è gravato da obblighi di servizio pubblico. Si caratterizza per un corrispettivo liberamente determinato dalle parti. Non è connotato da alcun obbligo di prestazione e di continuità del servizio.

La natura pubblicistica potrebbe, invero, cogliersi dalla sussistenza di altri obblighi diseconomici che gravano sui conducenti del relativo servizio, in particolare quello di stazionare nella rimessa, ovverosia la sede organizzativa del vettore, con divieto di procacciarsi clientela in luogo pubblico, nonché quello di tornare presso la rimessa dopo ogni prestazione di trasporto. Obblighi, questi, giustificati dalla volontà di evitare una sovrapposizione con il servizio taxi, diversamente concepito quale servizio di piazza, e così non pregiudicare la sostenibilità economica dell’attività svolta dai tassisti [8].

L’assunzione dei predetti obblighi, tuttavia, non viene compensata dagli enti locali in maniera diretta, con sovvenzioni, come avviene tradizionalmente nei servizi pubblici, bensì tramite il contingentamento dell’offerta su base territoriale, con la previsione di un numero massimo di soggetti e di veicoli ammessi a prestare il servizio nell’ambito di uno specifico contesto locale. Evitare la proliferazione indiscriminata dell’offerta assicura, infatti, ai conducenti di entrambi i servizi, la sostenibilità economica del servizio erogato [9]. Il contingentamento, peraltro, va ad aggiungersi ad un sistema d’ingresso al mercato già piuttosto rigoroso, basato sulla titolarità di licenze e autorizzazioni, rispettivamente per il servizio taxi e per quello NCC, che vengono rilasciate dai Comuni solo in presenza di stretti requisiti professionali, a garanzia della sicurezza della circolazione stradale e dell’incolumità dei passeggeri [10].

Il quadro regolatorio delineato, pur valorizzando il dato testuale della legge quadro e pur conforme ad esigenze di chiarezza e linearità espositiva, sconta i problemi di un’eccessiva semplificazione. Parte della dottrina, infatti, in contrapposizione alle indicazioni offerte dal legislatore, ritiene che tali servizi siano, invero, ascrivibili a forme di trasporto locale non di linea regolate dal diritto privato. Ciò vale per il servizio taxi e, tanto più, per quello NCC. L’argomen­tazione principale che mira a negare la natura pubblica ai predetti servizi fa leva, per il servizio taxi, sulla mancanza di veri e propri obblighi diseconomici, per il servizio NCC, sulla minima regolazione pubblica dell’attività economica [11]. La questione è tuttavia complessa e richiederebbe una trattazione più approfondita. Pertanto, si tenga in considerazione che un buon margine di incertezza sussiste intorno al grado di pubblicità dei servizi richiamati e che, nel presente elaborato, ragioni (solo) sistematiche inducono a ricondurre gli stessi alla categoria del trasporto locale non di linea regolato dal diritto pubblico.


2. Il trasporto urbano non di linea e le nuove sfide della sharing economy

Il mercato testé descritto acquisisce oggi nuova luce ed interesse, presentandosi come denso di profili problematici, a causa delle nuove sfide sorte con la sharing economy [12].

Con l’avvento dell’economia della condivisione, in particolare, si afferma “un sistema economico nel quale beni e servizi sono condivisi fra privati, gratuitamente o in cambio di una somma di denaro, tipicamente attraverso internet [13]. Diverse sono le novità che l’economia della share reca con sé. Innanzitutto, si passa dal tradizionale acquisto e consumo proprietario alla condivisione e all’accesso temporaneo a beni e servizi. Inoltre, il modello dello scambio fra imprenditore e privato lascia spazio all’intermediazione di un’impresa fra domanda e offerta di beni e servizi fra privati. Ultimo tassello è, infine, l’inno­vazione tecnologica, la presenza di piattaforme online che consentono, prima, l’intermediazione, poi, la condivisione [14].

Numerosi e sempre in aumento sono i settori economici trasformati dalla sharing economy. Fra di essi, com’è noto, anche la mobilità urbana non di linea, con privati disponibili a condividere la propria automobile e/o la propria attività di guida a favore di altri privati  [15]. L’attività di intermediazione, presupposto per la successiva condivisione, viene esercitata, di norma, da operatori economici di recente costituzione – fra cui il gruppo Uber – che, con le loro applicazioni software mobile (apps), scaricabili su smartphone, mettono in contatto diretto i privati che esprimono il bisogno di mobilità con altri privati disposti a soddisfare tale esigenza.

Il diretto rapporto fra privati ha però creato tensioni in un mercato pressoché dovunque, e anche in Italia, fortemente regolato e controllato da professionisti. Le regole che caratterizzano il mercato del trasporto locale non di linea, peraltro, sono state messe in crisi non solo dall’erogazione non professionale dei servizi, ma anche dall’utilizzo delle piattaforme online di intermediazione ad opera (di una parte più avanguardista) dei professionisti medesimi, desiderosi di svincolarsi da alcuni vincoli ritenuti, alla luce del progresso tecnologico, oramai obsoleti.

Forti sono stati gli scontri sociali che hanno accompagnato l’ascesa di queste piattaforme sul mercato, con accese e prolungate proteste (di una parte più conservatrice) dei vettori tradizionali. Quando poi le istanze sociali si sono proiettate sul terreno giuridico, le amministrazioni locali e le Corti nazionali si sono fatte prime interpreti del dibattito, in uno sfondo di profonda incertezza giuridica, dovuta alla mancanza di un’idonea regolazione, e con interventi non univoci circa l’opportunità di sostenere o frenare l’avanzamento economico dei nuovi operatori.

In questo contesto, che verrà approfondito e analizzato nelle pagine che seguono, talune Regioni, ed è questo il caso che ci riguarda direttamente, hanno emanato leggi regionali introducendo un vincolo di esclusività nell’of­ferta dei servizi di mobilità urbana non di linea. Le stesse, cioè, hanno stabilito che le prestazioni di trasporto potessero essere erogate, in via esclusiva, dai vettori tradizionali, e cioè dai tassisti e dai conducenti del servizio di noleggio con conducente (NCC), con un limite di accesso al mercato per gli operatori riconducibili ai nuovi servizi tecnologici di mobilità. È questo il quadro giuridico e sociale in cui la Corte Costituzionale si pronuncia.


3. La vicenda: la sentenza della Corte Costituzionale n. 265-2016

Con ricorso in via principale il Presidente del Consiglio dei Ministri solleva direttamente innanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Piemonte 6 luglio 2015, n. 14.

Al di là del complesso quadro normativo sotteso alla fattispecie [16], la Regione Piemonte introduce, con la disposizione citata, un principio di esclusività nell’erogazione dei servizi di mobilità locale non di linea di persone, riservando tali prestazioni, ora, in via esclusiva, ai titolari di licenza taxi o di autorizzazione NCC, in contrapposizione al precedente regime in cui anche soggetti diversi potevano erogare il servizio.

Tale limite alla libertà d’impresa è – per il ricorrente – contrario ai dettami della Costituzione. Secondo lo Stato, infatti, la disposizione censurata contrasta: sul piano formale, con l’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., nella parte in cui riserva alla competenza legislativa esclusiva statale la “tutela della concorrenza”; sul piano sostanziale, con l’art. 117, comma 1, Cost., in forza del quale anche la legislazione regionale deve rispettare i principi dell’ordinamento comunitario, fra cui il principio di concorrenza.

Quanto alla prima censura, lo Stato ricorda di avere competenza legislativa esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”, pur avendo le Regioni competenza legislativa esclusiva residuale in materia di “trasporto locale”. In base a tale ripartizione, le Regioni possono determinare le modalità (amministrative e tecniche) con cui il servizio di trasporto debba essere erogato, senza che ciò comporti, però – com’è invece evidentemente avvenuto, per lo Stato, nel caso di specie – un’invasione della sfera di competenza legislativa statale relativa alla tutela dell’assetto concorrenziale del mercato. La Regione Piemonte, infatti, nello specificare le modalità dell’offerta, pone una barriera all’ingresso al mercato per tutti i servizi di trasporto urbano non di linea diversi dai servizi taxi e NCC, in particolare impedendo l’offerta dei nuovi servizi di mobilità resi possibili dall’evoluzione tecnologica (fra cui i servizi di Uber). E la scelta regionale di non regolare, bensì di vietare, e dunque limitare l’iniziativa economica, inciderebbe sulla materia della “tutela della concorrenza [17].

Quanto alla seconda censura, lo Stato ritiene che la disposizione impugnata, quand’anche riconducibile al “trasporto locale”, e cioè alla competenza legislativa regionale, violi il principio di concorrenza, che postula la possibilità di limitare la libertà d’impresa, solo in presenza di un limite strettamente necessario e concretamente idoneo al perseguimento di uno scopo di interesse pubblico. Limite che – per il ricorrente – nella fattispecie in esame non si rileva. La Regione, infatti, come già emerso, decide di vietare, rinunciando a conoscere e regolare, i nuovi servizi resi possibili dall’evoluzione tecnologica. Così facendo, la stessa apporrebbe un limite eccessivamente restrittivo, un ostacolo ingiustificato e sproporzionato allo sviluppo attuale e futuro del mercato dei trasporti.

Secondo la Regione Piemonte, costituitasi in giudizio, il ricorso è invece inammissibile o, comunque, infondato.

Infatti, primariamente, il ricorso sarebbe generico nel motivare le ragioni di illegittimità costituzionale. La norma impugnata, infatti, presenta una finalità ed un contenuto del tutto analogo a quello previsto dalla legge n. 21/1992 [18]. Quest’ultima, in particolare, con lo scopo di garantire non solo la (più ampia) mobilità e libera circolazione di persone, ma anche la sicurezza dei passeggeri e la continuità temporale del servizio (relativamente al servizio taxi), prevede che tali attività di trasporto vengano erogate, in base ad un “regime amministrato”, solamente dai titolari di licenza taxi o di autorizzazione NCC. Diversamente – afferma la difesa regionale – si porrebbe in essere una condotta vietata da una normativa statale, prima ancora che da quella regionale. Del resto – continua – anche osservando l’ordinamento nell’ottica di un’interpretazione sistematica, il mercato di riferimento è escluso da diversi interventi normativi di liberalizzazione [19].

Oltre alla genericità del contenuto del ricorso, la Regione afferma che l’intervento normativo è apparso opportuno in un periodo di crescente abusivismo. Operatori economici come Uber, infatti, consentono a qualunque soggetto, anche non munito di licenza taxi o autorizzazione NCC, di diventare driver ed erogare un servizio di mobilità locale non di linea di persone. Il sistema messo in atto dallo stesso gruppo societario, tuttavia, se da una parte consente all’u­tente di ottenere una prestazione di trasporto meno costosa, dall’altra non garantisce la sicurezza dell’utente e la continuità temporale del servizio, interessi pubblici, questi ultimi, che la legge statale impone di tenere in considerazione. Per tale ragione è stata adottata la legge regionale, che ha ribadito, di fatto, quanto già previsto dalla normativa statale.

La Corte Costituzionale analizza entrambe le censure, a partire da quella di natura sostanziale, che viene dichiarata inammissibile [20], diversamente da quella avente natura formale, ritenuta sia ammissibile [21] che fondata.

Con riguardo alla fondatezza di tale doglianza, la Corte ritiene che dalla lettura dell’art. 1 della legge reg. n. 14/2015 (con il riferimento all’esclusività sia nella rubrica che nel testo dell’articolo impugnato), dal titolo di tale legge regionale (recante “misure urgenti per il contrasto dell’abusivismo”), dai lavori preparatori alla stessa [22], nonché dalle argomentazioni difensive della Regione Piemonte, si deduce che la disposizione contestata è intervenuta proprio per contrastare la diffusione dei nuovi servizi tecnologici di mobilità. E, come afferma la Corte, “la disposizione impugnata […] definisce il novero dei soggetti abilitati a operare nel settore dei trasporti di persone […] riservandolo in via esclusiva alle categorie abilitate a prestare i servizi di taxi e di noleggio con conducente. […] Definire quali soggetti siano abilitati a offrire talune tipologie di servizi è decisivo ai fini della configurazione di un determinato settore di attività economica: si tratta di una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato. Sicché, tale profilo rientra a pieno titolo nell’ampia nozione di concorrenza di cui al comma 2, lett. e), dell’art. 117 Cost., come tale rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato [23]. Da tale affermazione, pertanto, deriva l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge reg. n. 14/2015, per contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. e), Cost.


4. L'avvento di Uber in Italia e le problematiche giuridiche sottese ai servizi Uberblack e Uberpop

Ma l’avvento di Uber, gruppo societario statunitense attivo dal 2013 anche in Italia, sconvolge il mercato della mobilità urbana non di linea.

La start-up Uber offre un servizio tecnologico di intermediazione, tramite un’applicazione software mobile (app), scaricabile su smartphone, fra la domanda e l’offerta di trasporto. Quest’ultimo, dunque, non è direttamente erogato da Uber, che si limita ad instaurare, con l’omonima app, un contatto diretto fra colui che richiede e colui che è disposto ad offrire il servizio di mobilità. Coloro che intendono assumere la veste di autisti (drivers) e di utenti scaricano l’applicazione, si registrano alla piattaforma online divenendo membri della community, accedono alla medesima, si geo-localizzano reciprocamente con sistema satellitare GPS, infine si incontrano per la prestazione concordata. I primi erogano il servizio. I secondi ne usufruiscono, dietro pagamento, con carta di credito, di un corrispettivo. Quest’ultimo viene determinato da Uber con un algoritmo automatizzato e secondo il meccanismo del surge pricing, con un prezzo che cresce (fino al 500%) all’aumentare della domanda. Il pagamento, inoltre, viene anche mediato da Uber, che, dapprima, introita l’intero importo, in seguito, trattenuta una parte (circa il 20%) quale compenso per i servizi di competenza, provvede ad accreditare al driver la restante quota (circa l’80%). Al termine della corsa, i trasportati valutano gli autisti (e viceversa) e Uber, in presenza di valutazioni al di sotto di una certa soglia, può decidere di disattivare i drivers (e gli utenti) [24].

Ma la modalità con cui Uber opera sul mercato solleva non poche questioni giuridiche. Problematiche, queste ultime, che sono diverse a seconda dello specifico servizio offerto dal gruppo, eterogenee fra loro e diffuse in buona parte dei Paesi nei quali il gruppo è attivo [25].

Il focus del presente lavoro sarà limitato all’ordinamento giuridico nazionale e ai problemi che il sistema-Uber genera sulla competizione e sul rispetto delle regole che caratterizzano il mercato del trasporto locale non di linea.

I nodi problematici convergono verso un unico interrogativo di fondo, che attiene alla natura dei servizi effettivamente resi da Uber. In particolare, non appare così pacifica la qualificazione di Uber come mero intermediario fra do­manda e offerta. Il gruppo societario determina, del resto, il corrispettivo, me­dia il pagamento, trattiene una quota dalla prestazione di trasporto resa dai drivers, congiuntamente ai quali sembra costituire, allora, un’unica unità economica. Potrebbe ritenersi, dunque, in maniera altrettanto ragionevole, che, in fin dei conti, Uber non sia terzo rispetto alle parti, ma anzi svolga, alla pari ed assieme ai propri drivers, un servizio di trasporto pubblico.

La riconduzione di Uber in un senso o nell’altro non è scevra di conseguenze giuridiche.

Configurare il gruppo societario come un marketplace, e cioè un operatore che svolge servizi di intermediazione tecnologica, consente di distinguerlo dai vettori tradizionali, di collocarlo in un mercato diverso da quello della mobilità urbana non di linea, di esentare i suoi drivers, in ultima istanza, dal rispetto degli obblighi diseconomici e delle regole che, a causa della connotazione (più o meno) pubblicistica dei servizi resi dai tassisti e dai conducenti NCC, caratterizzano il predetto mercato.

Diversamente opinando, la qualificazione di Uber quale service provider, come gruppo societario che eroga servizi di mobilità, implica la riconduzione della sua offerta al mercato del trasporto urbano non di linea, oltre che la soggezione dei propri autisti ai medesimi obblighi e vincoli pubblicistici che connotano i servizi taxi e NCC.

È possibile analizzare, ora, i servizi resi da Uber. Sono due, in particolare, quelli attivi in Italia che hanno suscitato tensioni e scontri sociali e giuridici: Uberblack, servizio di intermediazione fra autisti professionisti ed utenti; Uberpop, servizio di intermediazione fra autisti non professionisti ed utenti.

Con riguardo ad Uberblack, come già rilevato, sono autisti professionisti ad effettuare la prestazione di trasporto. Alcuni conducenti, cioè, già titolari di autorizzazione NCC, svolgono, per il tramite della piattaforma Uber, un servizio aggiuntivo a quello tradizionale.

In particolare, ci si è chiesti se tali autisti, nell’ambito del servizio Uberblack, siano liberi di operare in base all’esclusivo interesse commerciale, come ritengono i drivers medesimi e Uber, o debbano sottostare ai vincoli gravanti sui conducenti del servizio NCC, in particolare all’obbligo diseconomico del rientro presso la rimessa dopo ogni prestazione di trasporto, tesi sostenuta dai tassisti. Il predetto obbligo, infatti, pur costituendo un rilevante tratto differenziale fra il servizio taxi e il servizio NCC, giustificato dalla volontà politica di assicurare la sostenibilità economica della professione di tassista, potrebbe sembrare oggi eccessivamente anacronistico, alla luce, soprattutto, del progresso tecnologico e della possibilità di ricevere le chiamate ed accettare le prenotazioni anche con veicolo in movimento, dunque lontano dalla rimessa [26].

La giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, sembra, fino ad oggi, orientata a ritenere equiparabili i servizi NCC e Uberblack, così da estendere anche al secondo, con una rigorosa applicazione della legge quadro, l’obbligo di cui sopra. In una serie di decisioni, infatti, si afferma che il conducente Uberblack venuto meno all’obbligo di ritorno in rimessa violi, allo stesso modo di un conducente NCC, le disposizioni precettive contenute nella legge quadro (artt. 3 e 11), con conseguente sottoposizione alle sanzioni previste dalla legge quadro medesima (art. 11-bis) e dal codice della strada (art. 85, comma 4) [27].

Il servizio di Uber che ha tuttavia generato maggiori problematiche è Uberpop. In questo caso, infatti, l’offerta di mobilità viene resa da parte di autisti non professionisti. Questi ultimi, infatti, non sono titolari né di licenza taxi, né di autorizzazione NCC. Posseggono solo uno smartphone con l’app di Uber, un’automobile a 5 porte immatricolata da non più di 8 anni, una patente di guida non sospesa da almeno 3 anni. Requisiti molto poco stringenti, dunque, rispetto a quelli propri degli autisti professionisti.

Non appena divenuto operativo in Italia, il servizio Uberpop è stato osteggiato con forza da parte dei tassisti. Il servizio reso, del resto, si rivolge senza dubbio, nei fatti, alla stessa clientela del servizio taxi, consentendo di soddisfare il medesimo bisogno. Eppure i drivers di Uberpop ritengono di non dover rispettare le regole di accesso al mercato e gli obblighi di pubblico servizio, di non assumersi dunque i relativi costi, potendo così acquisire un notevole vantaggio competitivo ed offrire un servizio a prezzi più contenuti. Sul fronte opposto, i vettori tradizionali sostengono che un sistema analogo possa inficiare la sostenibilità economica della loro attività e pregiudicare il servizio pubblico, oltre che mettere a rischio la circolazione stradale e la sicurezza dell’utenza, interessi pubblici non garantiti dai requisiti minimali che Uber impone ai propri drivers non professionisti.

In questo contesto diviene essenziale qualificare, ancora una volta, la natura del servizio offerto da Uber  [28]. Occorre capire, infatti, se il gruppo operi in un mercato diverso dalla mobilità urbana non di linea o se offra una prestazione in competizione con il servizio taxi, se i suoi drivers siano liberi di offrire le loro prestazioni in base ad una logica di mercato o se debbano rispettare i medesimi obblighi e regole cui sono soggetti i tassisti.

Dopo una serie di sentenze adottate dai giudici di pace che hanno annullato le sanzioni amministrative inflitte dalla polizia municipale [29], il Tribunale di Milano ha ritenuto che i drivers non professionisti di Uber violassero le “regole del gioco”, che la predisposizione e l’utilizzazione di Uberpop integrassero degli atti di concorrenza sleale, per inibire così la funzionalità del servizio sull’intero territorio nazionale [30]. Anche in questo caso, poi, Uber viene rappresentato come operatore economico che effettua, tramite i drivers di Uberpop, con i quali si instaura un’unica unità economica, un servizio di trasporto, in particolare assimilabile, quanto alle modalità di contatto fra domanda e offerta, al sistema radiotaxi. Il mercato di riferimento, del resto, secondo il giudicante, non andrebbe definito sulla base delle modalità con cui si incontrano domanda e offerta, ma tenendo in considerazione la tipologia di clientela, la soddisfazione dei medesimi bisogni, nonché la fungibilità delle prestazioni. Si rileva che ad analoghe considerazioni ed esiti è giunto, recentemente, anche il Tribunale di Torino [31], con una decisione che tende a rafforzare l’orientamento pretorio piuttosto restrittivo nei confronti del servizio Uberpop.


5. Verso il 'trasporto privato non di linea'

Nella parte finale della decisione in commento, la Consulta chiede un celere intervento normativo al legislatore.

Come evidenzia la Corte, infatti, “rispetto all’assetto delineato dalla legislazione statale in vigore, che risale nei suoi tratti essenziali al 1992, l’evoluzione tecnologica, e i cambiamenti economici e sociali conseguenti, suscitano questioni variamente discusse non solo nelle sedi giudiziarie, ma anche presso le autorità indipendenti e le istituzioni politiche […] in seno all’Unione Europea, in molti degli Stati che ne fanno parte, nonché in numerosi altri ordinamenti in tutto il mondo. Nel contesto di un dibattito così animato […] è comprensibile che si levi la domanda di un inquadramento giuridico univoco e aggiornato. È dunque auspicabile che il legislatore competente si faccia carico tempestivamente di queste nuove esigenze di regolamentazione”.

Il monito della Corte Costituzionale, come si vedrà, non rappresenta un caso isolato. Del resto, come emerge dalla pronuncia in epigrafe, il suo intervento si inserisce in un ampio dibattito, che vede coinvolte le autorità amministrative indipendenti, in particolare l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART), il Consiglio di Stato, gli organi politici, la magistratura ordinaria e amministrativa e le istituzioni dell’Unione Europea. Discussione, questa, che, peraltro, attenendo sostanzialmente alla regolazione giuridica della sharing economy, e dunque ad un sistema economico oramai globalmente diffuso, si rileva in una moltitudine di ordinamenti.

Di seguito le indicazioni offerte dai protagonisti di questa “tavola rotonda”. L’AGCM ha più volte lamentato una scarsa apertura alla concorrenza del mercato dei trasporti urbani non di linea, notoriamente resistente ad ogni tentativo di liberalizzazione a causa della strenua opposizione degli operatori tradizionali [32].

Spesso, e anche recentemente, l’AGCM ha anche proposto modifiche normative volte ad aumentare la competizione all’interno del predetto mercato  [33], con scarsa recezione, però, dei decisori pubblici, sordi al grido di cambiamento. Ma qualcosa sembra stia mutando. I cambiamenti socio-economici e l’innovazione tecnologica hanno aperto il mercato di riferimento alle nuove sfide dell’economia condivisa e, con esse, a nuove tendenze di liberalizzazione che impattano – forse mai così vigorosamente – sul mercato della mobilità locale non di linea [34].

A tal fine, l’Autorità – conformemente a quanto espresso da un parere interlocutorio reso dalla prima sezione del Consiglio di Stato [35] – ha ricondotto i servizi che mettono in connessione tra loro domanda di mobilità e offerta di trasporto da parte di autisti non professionisti, come il servizio Uberpop, alla categoria dei servizi di trasporto privato non di linea. Un mercato, cioè, diverso sia da quello dell’intermediazione, che da quello dei trasporti pubblici non di linea. Un servizio, ancora, terzo e differente sia dal servizio taxi che da quello NCC. E, in una prospettiva de iure condendo, ha poi auspicato “l’adozione di una regolamentazione minima di questo tipo di servizi […] anche definendo un “terzo genere” di fornitori di servizi di mobilità non di linea (in aggiunta ai taxi ed agli NCC), ovvero piattaforme on line che connettono i passeggeri con autisti non professionisti”  [36]. Una regolazione leggera e poco invasiva, infatti, secondo l’Autorità, sarebbe in grado di contemperare, da un lato, le ragioni della concorrenza, dall’altro, la sicurezza stradale e l’incolumità dei passeggeri, interessi entrambi degni di protezione [37].

Non troppo dissimile appare la posizione assunta dall’ART, che, nell’e­ser­cizio delle funzioni di segnalazione al Governo e al Parlamento, ha fornito agli organi politici talune proposte di modifica della legge quadro più volte richiamata [38].

Anche l’ART, infatti, come l’AGCM, ha sostenuto, oltre all’opportunità di rimuovere alcuni vincoli connessi con lo svolgimento dei servizi taxi e NCC per sviluppare un reale confronto competitivo [39], la necessità di regolare le piattaforme tecnologiche che svolgono attività di intermediazione tra domanda e offerta di servizi di mobilità non di linea resi da conducenti non professionisti (cd. servizi tecnologici per la mobilità).

Le nuove esigenze di regolazione, in particolare, troverebbero fondamento in quella parte della domanda di mobilità non soddisfatta dai servizi offerti dai vettori tradizionali, specie per i costi inferiori e maggiormente sostenibili che contraddistinguono i nuovi servizi di trasporto. Per l’Autorità, dunque, si tratterebbe di un nuovo segmento di mercato di servizi da far emergere e da regolare, diverso da quello dei servizi taxi e NCC, ma complementare a questi ultimi in quanto riconducibile anch’esso al più ampio mercato di trasporto locale non di linea, connaturato da servizi aventi natura commerciale [40]. E le regole proposte dall’ART, a ben vedere, con evidenti analogie rispetto alle “regole minime” dell’AGCM, sono anch’esse strumentali a rendere maggiormente trasparente l’offerta di questi servizi e a fornire all’utenza maggiori garanzie di sicurezza e qualità del servizio di trasporto [41].

Un ulteriore apporto al dibattito deriva dal Consiglio di Stato, il quale – su impulso del Ministero dell’Interno – si è pronunciato, in sede consultiva, sull’applicabilità della legge quadro (e delle conseguenti sanzioni previste dagli artt. 85, comma 4, e 86, comma 2, del codice della strada) alle nuove forme di intermediazione tecnologica fra domanda e offerta di servizi di mobilità urbana non di linea [42].

Come si legge nel parere de quo, “la disciplina quadro del servizio pubblico di trasporto non di linea, di fronte alle nuove caratteristiche di mobilità che si sono affermate, mostra i segni del tempo e dello sviluppo dell’innovazione tecnologica, per cui si pone il problema di verificare se […] le nuove tipologie di trasporto di persone non di linea, siano ammesse o vietate e, nella prima ipotesi, se siano ad essi applicabili i principi della legge quadro – con le relative sanzioni – oppure se siano espressione della libertà contrattuale delle parti. Tale incertezza perdurerà sino a quando il legislatore non interverrà con una disciplina che sia realmente in grado di ricomprendere sotto la propria vigenza tutta la possibile gamma di servizi di trasporto, siano essi da qualificare come pubblici o privati, in relazione alle proprie concrete modalità di svolgimento”.

Preso atto dell’inadeguatezza dell’attuale disciplina e con l’auspicio di un intervento legislativo, il Consiglio di Stato ha preferito non esprimersi circa l’applicazione ai drivers del regime sanzionatorio indicato [43]. Tuttavia, lo stesso ha assunto posizione relativamente alla natura dei servizi offerti da Uber, configurati quali servizi di trasporto non di linea regolati dal diritto privato. In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che Uber non costituisce un mero intermediario, ma, al contrario, “dalla dinamica contrattuale emerge che la prestazione del trasporto sia un’obbligazione diretta della società” e non del driver, non sussistendo “alcun legame contrattuale diretto tra richiedente e prestatore del trasporto, dato che anche il pagamento è mediato dalla società che gestisce la piattaforma”, la quale “introita l’intero corrispettivo di cui, detratta una parte quale compenso per i servizi di competenza, provvede ad accreditare il restante al prestatore del trasporto [44]. Tale ricostruzione della fattispecie negoziale valorizza il ruolo di Uber a scapito dei drivers e ascrive la sua attività al mercato dei servizi di trasporto. Un servizio di mobilità, quello in questione, che, pur essendo rivolto al pubblico, sarebbe regolato, per il Consiglio di Stato, dal diritto privato, in quanto tale espressione del principio di sussidiarietà orizzontale.

In base alla qualificazione operata dal Consiglio di Stato, poi, il Ministero dell’Interno ha adottato una circolare per escludere l’applicabilità ai drivers di Uber degli artt. 85, comma 4, e 86, comma 2, del codice della strada (rimanendo invece ferma l’applicabilità dell’art. 82 del codice della strada) [45].


6. Riflessioni conclusive

In questo contesto ricco di prese di posizione, sull’orizzonte di un intervento normativo che ancora stenta a decollare, entrano in gioco quelle Regioni, come il Piemonte (ma, a ben vedere, anche la Liguria), che hanno deciso di risolvere le problematiche descritte in maniera drastica, vietando del tutto l’offerta da parte dei nuovi operatori economici. Ma la decisione di frenare legislativamente la diffusione di queste nuove piattaforme non viene condivisa dal Giudice delle leggi, essendo riconducibile ad un intervento accelerato, oltre che, probabilmente, non sufficientemente meditato, che sconfina dalla competenza legislativa regionale per invadere quella statale.

La pronuncia esaminata, infatti, come già visto, ruota attorno ai confini della “tutela della concorrenza”, materia trasversale di competenza legislativa esclusiva statale, che rappresenta, a ben vedere, un contenitore dal perimetro non definito. Ne costituisce riprova il cospicuo contenzioso relativo alla ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni giunto all’attenzione della Consulta, adita in via principale. Lo stesso art. 41 Cost., dall’analisi del quale viene messo in luce che la tutela della concorrenza non coincide con la libertà di iniziativa economica privata, ma piuttosto appare come la sintesi e il punto di equilibrio fra la stessa e i diversi interessi che sono espressione di utilità sociale, non aiuta a darne una rigorosa definizione [46]. La Corte Costituzionale, dal canto suo, non ha mai risolto il problema definitorio, limitandosi ad adottare, in base ad un approccio prettamente casistico, un’interpretazione progressivamente estensiva di tale materia [47], quasi a bilanciare l’attribuzione alla competenza regionale di materie chiave per lo sviluppo economico [48]. E la tendenza ermeneutica della Consulta si rileva con evidenza proprio in quelle decisioni in cui il Giudice delle leggi censura, sulla base degli effetti concretamente esplicati, le barriere all’ingresso nel mercato poste da disposizioni di legge regionale, pur ascrivibili alla sfera delle attribuzioni della Regione [49]. Casistica diffusa, questa, rinvenibile anche nella fattispecie de qua, caratterizzata, come già visto, dalla riconduzione nella materia di “tutela della concorrenza” di una disposizione regionale, relativa al “trasporto locale”, che intende definire il novero dei soggetti abilitati ad erogare i servizi all’interno di quello specifico mercato.

Il contenuto del nuovo ed auspicato intervento normativo, tuttavia, che deve dunque provenire da fonte statale, rimane ancora assai incerto. Occorre legiferare in modo tale da porre sulla stessa soglia di partenza i vettori tradizionali e i nuovi operatori economici, senza che questi ultimi possano sfruttare, com’è avvenuto in una prima fase, le lacune dell’ordinamento e stravolgere il mercato, liberi di muoversi senza le briglia della regolazione. Ma che siano interventi giurisdizionali ad aver arrestato tali piattaforme sembra inopportuno, essendo la questione più propriamente riconducibile ad un problema regolatorio, relativo all’organizzazione di un mercato e alle modalità per esprimere e soddisfare la domanda di mobilità.

Una completa liberalizzazione, così come una piena riconduzione dei nuovi operatori ai vettori tradizionali, non sembrano essere le vie più idonee da percorrere.

La prima rivoluzionerebbe in ottica neo-liberale il mercato della mobilità urbana non di linea, ma verosimilmente a scapito di esigenze sociali degne invece di trovare protezione. Non può sottacersi il rischio che, a fronte di prezzi più competitivi, vengano pregiudicate le esigenze di servizio pubblico e meno valorizzati interessi generali, quali la sicurezza stradale e l’incolumità dei passeggeri. Si pensi al regime dei prezzi amministrati che connota il servizio taxi. Se non vi fosse la predeterminazione pubblica delle tariffe, “la concorrenza determinerebbe il crollo del corrispettivo dovuto, e con esso l’impossibilità di rispettare i diversi obblighi di servizio, oltre agli standard qualitativi a tutela dei consumatori. Con il risultato che al trasporto non di linea dovrebbero provvedere direttamente i pubblici poteri, il che è difficilmente realizzabile, o quantomeno questi dovrebbero ricorrere alla concessione di sussidi [50]. Si pensi, ancora, alle misure di controllo relative alla professionalità e al numero degli operatori ammessi, anch’esse a presidio degli obblighi di servizio pubblico e degli standard qualitativi del servizio [51].

D’altra parte, una piena riconduzione dei nuovi operatori a quelli tradizionali sembra anch’essa sconsigliabile. Il legislatore si sostituirebbe al mercato, decidendo, a monte, chi debba vincere la competizione. Parallelamente e verosimilmente Uber si ritrarrebbe dal mercato, come è avvenuto in tutti i Paesi nei quali i decisori pubblici hanno troppo ridotto il suo campo di azione. Una tale regolazione rappresenterebbe, allora, la mortificazione dell’inno­vazione tecnologica e delle potenzialità di sviluppo del settore, in nome di quegli interessi protezionistici di categoria che, da troppo tempo, e oggi più che mai [52], rendono il mercato di riferimento impermeabile a qualsiasi tentativo di apertura.

Sono note, del resto, le recenti polemiche e gli scioperi dei tassisti in occasione dell’approvazione della legge di conversione del c.d. decreto milleproroghe, un testo che si limita a prorogare un intervento governativo e, con esso, posticipare il momento in cui potrà dirsi effettivamente operativo l’obbligo di ritorno in rimessa per i conducenti NCC, vincolo contenuto in una disposizione ritenuta fino ad oggi, sostanzialmente, “lettera morta” [53]. Se è vero, dunque, che, con tale proroga, come è stato affermato anche in sede politica, “dal punto di vista formale-normativo non cambia nulla” [54], allora le accuse della categoria, in questo caso circa la presunta volontà politica di favorire il servizio NCC (e indirettamente Uber, con riferimento al servizio Uberblack), sembrano essere l’appannaggio di una protesta strumentalizzata e finalizzata al mantenimento degli attuali “privilegi”.

Se poi si osservano le caratteristiche delle nuove offerte, è oltremodo innegabile che tali servizi rappresentino un’opportunità per rendere il mercato di riferimento più efficiente, con la possibilità degli utenti di fruire di prestazioni di trasporto a basso costo e di qualità. Da qui, pertanto, deriva il doveroso tentativo di regolare tali piattaforme, cercando di introdurre forme di adeguata tutela degli utenti, ma allo stesso tempo evitando quelle misure di accesso al mercato e di controllo dell’attività così penetranti da limitare smisuratamente, e concretamente vietare, l’offerta dei nuovi servizi di mobilità.

La strada indicata dalle amministrazioni indipendenti e dal Consiglio di Stato potrebbe costituire, allora, la via mediana, quella più socialmente realizzabile, meglio capace di bilanciare gli interessi dei rappresentanti delle contrapposte categorie. Una soluzione, questa, basata sul riconoscimento della natura privata dei servizi di trasporto offerti dai nuovi operatori economici, su una regolazione leggera e minimale delle nuove piattaforme, sulla predisposizione di misure in grado di contenere gli oneri della platform economy contestualmente assicurando accettabili livelli di tutela del consumatore, su un alleggerimento delle regole anche per i vettori tradizionali, che sembrerebbe essere la più idonea a non falsare la competizione, a porre ambedue i gruppi economici al medesimo livello di partenza, a coniugare, in ultima istanza, due valori solo apparentemente inconciliabili: la tradizione e l’innovazione.


NOTE

[1] La legge 15 gennaio 1992, n. 21 (“Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea”), disciplina gli “autoservizi pubblici non di linea”, intendendosi con tale espressione quei servizi “che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta” (art. 1, comma 1). All’interno di tale categoria, come già detto, rientrano il servizio taxi e il servizio di noleggio con conducente (art. 1, comma 2). Relativamente alla disciplina degli autoservizi pubblici non di linea, cfr., fra gli altri, E. MAGGIORA, Gli esercizi pubblici, Milano, 2007, pp. 420-448; S. ZUNARELLI, Prime considerazioni sulla legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi non di linea, in Trasporti: diritto, economia, politica, 1993, n. 60, pp. 65-80; con specifico riferimento al servizio taxi, cfr. C. IAONE, La regolazione del trasporto pubblico locale – bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, Napoli, 2008, pp. 147-187; G. CARDOSI, Il servizio taxi, in E.M. TRIPODI (a cura di), Le attività economiche liberalizzate dai decreti Bersani, Rimini, 2007, pp. 199-226; V. VISCO COMANDINI-S. GORI-F. VIOLATI, Le licenze dei taxi: abolizione, regolazione o libero scambio di diritti?, in Merc. conc. reg., 2004, n. 3, pp. 515-547; L. MARTINI, L’autotrasporto pubblico non di linea: il servizio di taxi, in A. BRANCASI (a cura di), Liberalizzazione del trasporto terrestre e servizi pubblici economici, Bologna, 2003, pp. 251-286.

[2] Sulla contrapposizione fra libertà e autorità nell’art. 41 Cost., cfr. M. RAMAJOLI, La regolazione amministrativa dell’economia e la pianificazione economica nell’interpretazione dell’art. 41 della Costituzione, in Dir. amm., 2008, pp. 121-162.

[3] Cfr. art. 2, commi 1 e 2; art. 11, commi 1 e 2, legge n. 21/1992.

[4] Cfr. art. 3, commi 1, 2 e 3; art. 11, commi 3 e 4; art. 13, comma 3, legge n. 21/1992.

[5] Cfr. artt. 4 e 5, legge n. 21/1992. In particolare, la legge quadro stabilisce che i Comuni, nel rispetto delle previsioni statali e dei criteri stabiliti dalle Regioni con legge regionale, determinino: il numero dei veicoli da adibire ad ogni singolo servizio (sicché il grado di contingentamento è affidato a scelte discrezionali dei singoli enti locali); le modalità per lo svolgimento del servizio (e cioè i turni quotidiani, gli orari di lavoro, le regole di condotta dei conducenti e le condizioni di sicurezza da garantire agli utenti); i criteri per la determinazione delle tariffe per il servizio taxi (fissate in concreto, di norma, con delibere adottate dalle giunte comunali); i requisiti e le condizioni per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio taxi e dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio NCC.

[6] La regolazione amministrativa del prezzo impedisce al tassista di determinare l’importo della prestazione di trasporto. Il mercato di riferimento è, infatti, caratterizzato da asimmetrie informative. Se il prezzo non fosse amministrato, vi sarebbero rischi di discriminazione a danno degli utenti, parti deboli del contratto. Da tale regime discende, altresì, l’impossibilità per il tassista di calcolare i corrispettivi in base al livello della domanda, in una pura logica di mercato (ciò che avviene, invece, come si vedrà, per i servizi di Uber, con calcolo del prezzo basato sul metodo del c.d. surge pricing). Cfr. A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, in E. MOSTACCI-A. SOMMA (a cura di), Il caso Uber – La sharing economy nel confronto tra common law e civil law, Milano, 2016, pp. 2-3.

[7] Tale obbligo di servizio pubblico è l’unico a non trovare un riferimento normativo espresso all’interno della legge quadro. Tuttavia, parte della dottrina rinviene il suo fondamento giuridico negli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, regolamento 2007/1370/CE, dai quali emerge una nozione ampia di “trasporto pubblico di passeggeri su strada”, in cui sarebbe incluso a pieno titolo il servizio taxi, oltre che alcuni principi riferibili alla categoria medesima, fra cui quello di continuità del servizio. Cfr. C. IAONE, La regolazione del trasporto pubblico locale – bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, cit., p. 159; M.A. CARNEVALI VENCHI, Trasporti pubblici in concessione, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 1109 (seppur con riferimento ai precedenti regolamenti comunitari, che contenevano, a loro volta, analoga definizione e connessi principi).

[8] Sulla differenziazione fra i due servizi quale misura per “mantenere in equilibrio il sistema”, cfr. A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 4. Tuttavia, occorre rilevare che l’obbligo di ritorno in rimessa, introdotto (non già nel 1992, ma) con alcune modifiche alla legge quadro apportate nel 2008 (cfr. art. 29, comma 1-quater, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14), non ha mai trovato certa applicazione. L’efficacia di tale disposizione (e del conseguente vincolo di ritorno in rimessa), infatti, è stata fin dall’origine sospesa (cfr. art. 7-bis, comma 1, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. in legge 9 aprile 2009, n. 33). Ciò, nell’ottica che il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti adottasse un decreto di attuazione volto ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio (art. 2, comma 3, d.l. 25 marzo 2010, n. 40, conv. in legge 22 maggio 2010, n. 73), intervento che, però, dal 2009, è stato continuamente prorogato. Se anche la disposizione che prevedeva l’introduzione di tale obbligo diseconomico fosse entrata formalmente in vigore, dopo una serie di differimenti, in data 1 aprile 2010, la mancata adozione del decreto di attuazione ha comportato, nei fatti, una scarsa ed incerta applicazione della medesima disposizione da parte dei conducenti stessi. Molti di essi, infatti, ritenevano che la disposizione che sanciva l’obbligo di ritorno in rimessa fosse da ritenersi non operativa in mancanza del decreto attuativo. La stessa giurisprudenza, rivelandosi piuttosto divisa circa l’applicazione del summenzionato vincolo, ha contribuito ad accrescere il clima di incertezza (cfr., a favore dell’operatività, Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2015, n. 261, nonché TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 settembre 2012, n. 7516; nel senso contrario, TAR Campania, Napoli, sez. III, 9 aprile 2013, n. 1898, nonché TAR Campania, Napoli, 8 aprile 2013, n. 1857). Recentemente, con l’approvazione in via definitiva della legge di conversione del c.d. decreto milleproroghe (art. 9, comma 3, d.l. 30 dicembre 2016, n. 244, conv. in legge 27 febbraio 2017, n. 19), si è realizzata la ben undicesima proroga del termine per l’adozione del suddetto decreto, fissato ora al 31 dicembre 2017.

[9] Sul contingentamento quale strumento per controbilanciare (e contestualmente assicurare) l’assunzione degli obblighi di servizio pubblico, A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 4; cfr. C. IAONE, La regolazione del trasporto pubblico locale – bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, cit., p. 149. Secondo quest’ultimo Autore, addirittura, con riferimento al servizio taxi, “in alcuni casi si impongono sul settore condizioni di svolgimento del servizio del tutto antieconomiche. È questo il caso dell’aumento arbitrario del numero di licenze slegato da qualsiasi relazione (automatica o oggettiva) con il volume della domanda. […] Molto spesso questi oneri senza ristoro e queste condizioni di impraticabilità del servizio rendono arduo il compito di adempiere alla missione di servizio pubblico assegnata al trasporto pubblico non di linea e prima ancora mettono in serio pericolo la stessa stabilità finanziaria degli operatori” (p. 161). Diametralmente opposta è la preoccupazione di coloro che hanno evidenziato che l’offerta di trasporto non è adeguata, spesso, rispetto alla domanda, circostanza che conferisce agli stessi tassisti attivi sul mercato un potere corporativo molto forte, che è stato in grado di ostacolare, fino ad oggi, i diversi tentativi di liberalizzazione in un’ottica protezionistica (dei redditi) della categoria. Da qui la conseguenza che si tratti di un servizio “fornito in modo nominalmente concorrenziale, ma sostanzialmente monopolistico, ove coesistono regolamentazione, rendita ed inefficienza”. Così, V. VISCO COMANDINI, S. GORI, F. VIOLATI, Le licenze dei taxi: abolizione, regolazione o libero scambio di diritti?, cit., p. 515. Cfr. nota n. 32, per le considerazioni compiute in tal senso dall’AGCM.

[10] Cfr. artt. 6, 8 e 9, legge n. 21/1992. Tali disposizioni disciplinano i requisiti necessari per l’esercizio del servizio taxi e del servizio NCC. In particolare, colui che vuole svolgere professionalmente tali attività deve: superare un esame che accerti i requisiti di idoneità all’esercizio del servizio, con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica del territorio di riferimento, e ottenere così il certificato di abilitazione professionale; iscriversi nel ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea presso le camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura; partecipare – con esito positivo – alla procedura competitiva conseguente all’adozione del bando di pubblico concorso da parte del Comune e così ottenere il rilascio della licenza taxi o dell’autorizzazione NCC (a ben vedere, in alternativa al pubblico concorso, la legge prevede anche la possibilità di vendita delle licenze e delle autorizzazioni, da cui origina, nel primo caso, il tanto discusso “mercato delle licenze”). Del resto “la guida su strada è un’attività pericolosa ma giuridicamente autorizzata per ragioni di utilità sociale, inerenti alla rapidità ed efficienza degli spostamenti di persone e cose accessorie. Tale autorizzazione assume contorni particolari allorquando l’attività non è svolta nel proprio esclusivo interesse, ma viene offerta – dietro corrispettivo – ai terzi. In tali casi, infatti, l’ordinamento prescrive una serie di cautele supplementari, perché lo svolgimento professionale della guida – con il correlato aggravio in termini di usura psico-fisica del conducente – espone a rischio l’incolumità delle persone trasportate e la sicurezza della circolazione stradale” (cfr. Cons. St., sez. I, parere 23 dicembre 2015, n. 3586).

[11] Infatti, al di là della qualificazione legislativa, dubbi particolarmente diffusi sussistono sulla pubblicità del servizio. Relativamente al servizio taxi, cfr. M. DELSIGNORE, Il contingentamento dell’iniziativa economica privata – Il caso non unico delle farmacie aperte al pubblico, Milano, 2011, pp. 192-193, secondo cui la nozione di servizio pubblico è utilizzata qui impropriamente dal legislatore. Secondo l’Autrice, infatti, il servizio taxi, seppur riconducibile ad un servizio di interesse economico generale (in base alla nozione che ne dà il diritto europeo), non è configurabile quale servizio pubblico, “mancando la scelta politica di intervenire a fornire prestazioni diversamente non economicamente convenienti per i soggetti privati”. Si tratterebbe, invece, di un servizio privato, contingentato, peraltro, illegittimamente sotto il profilo costituzionale, “stante l’assenza di controlli e programmi che si rivelino opportuni rispetto ai fini”, in base al dictum dell’art. 41, comma 3, della Costituzione; a sostegno della tesi che nega che si tratti di un servizio pubblico, in particolare non sussistendo alcun obbligo di continuità del servizio, cfr. N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in Trattato di diritto amministrativo, II, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, p. 2266, nota 3; L. MARTINI, L’autotrasporto pubblico non di linea: il servizio di taxi, cit., pp. 251-286, la quale sviluppa la propria trattazione proprio con la precipua finalità di valutare, tramite l’analisi degli elementi normativi da cui è possibile dedurre gli obblighi diseconomici, se sussista la natura di servizio pubblico o meno, concludendo in senso negativo. In contrapposizione, per la natura di servizio pubblico, cfr. Cons. St., sez. I, parere 23 dicembre 2015, n. 3586; in dottrina, cfr. A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 2; C. IAONE, La regolazione del trasporto pubblico locale – bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, cit., pp. 155; M.A. CARNEVALI VENCHI, Trasporti pubblici in concessione, cit., p. 1109. Ancora più discussa è la natura pubblica del servizio NCC. Parte di coloro che, peraltro, argomentano nel senso di configurare il servizio taxi come servizio di trasporto locale regolato dal diritto pubblico, non giungono a medesimo esito per il servizio NCC. Cfr. Cons. St., sez. I, parere 23 dicembre 2015, n. 3586, per il quale “la legge quadro […] parrebbe aver avuto l’intenzione di ricondurre ad unità due fenomeni diversi tra loro – e cioè il servizio taxi e quello NCC – allo scopo di regolamentare il trasporto di persone, con autista, svolto mediante l’utilizzo di mezzi di lusso, quale alternativa al servizio taxi, qualificando, entrambe le tipologie di trasporto, come pubblico”; eppure – prosegue il Consiglio di Stato – il servizio NCC è caratterizzato da una serie di elementi, fra cui la non obbligatorietà della prestazione e la determinazione in via pattizia del prezzo, “che potrebbero indurre in astratto a ritenere più corretto l’inquadramento nell’ambito del trasporto privato non di linea”. In dottrina, cfr. C. IAONE, La regolazione del trasporto pubblico locale – bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, cit., p. 148, secondo cui la rilevanza pubblicistica, spiccata per il servizio taxi, appare invece minima per il servizio NCC, dove “non varca la soglia della mera previsione di un regime di accesso al servizio”.

[12] Sulla sharing economy, in generale, R. BOTSMAN-R. ROGERS, What’s mine is yours. How collaborative consumption is changing the way we live, London, 2010; M. MAINIERI, Collaboriamo. Come i social media ci aiutano a lavorare bene e a vivere bene in tempo di crisi, Milano, 2013. Per una lettura giuridica, cfr. G. SMORTO, Verso la disciplina giuridica della sharing economy, in Merc. conc. reg., 2015, n. 2, pp. 245-277.

[13] Si tratta della definizione offerta dall’Oxford Dictionary nel 2015, in www.oxforddictio
naries.com
.

[14] Per un’analisi puntuale di ciascun elemento definitorio, cfr. G. SMORTO, Verso la disciplina giuridica della sharing economy, cit., pp. 245-277. L’Autore analizza, infatti, il modello di consumo basato sull’accesso temporaneo a beni e servizi, le caratteristiche dei beni e dei servizi condivisibili, la diverse forme di condivisione (con il distinguo fra quelle orientate al mercato e quelle orientate alla comunità), la struttura dei mercati della sharing economy come two-sided markets, il ruolo dell’intermediatore e il rapporto tra pari (peer to peer).

[15] Numerose sono le possibilità che derivano dall’applicazione della logica della condivisione alla mobilità urbana. Un privato può oggi noleggiare ad altro privato la propria automobile, a ore e a fronte del pagamento di un prezzo di mercato o di una tariffa a copertura dei costi (carsharing); ancora, un privato ha la possibilità di condividere con altri privati la propria automobile, per raggiungere una destinazione da lui individuata, in cambio della divisione delle spese e senza scopo di lucro (car pooling, rispetto a cui svolgono servizi di intermediazione noti operatori economici come Blablacar); infine, un privato può condividere contestualmente la propria auto e la propria attività di guida, e dunque offrire un passaggio, su richiesta di altri privati, anche al fine di produrre un guadagno (ridesharing). Quest’ultima modalità di condivisione, che apparentemente si avvicina al carpooling, in realtà se ne distacca: il ridesharing è un servizio su richiesta, a differenza del carpooling in cui il conducente decide di percorrere una tratta indipendentemente dal fatto che trovi o no persone con cui viaggiare. Non rientrano invece nella sharing economy le forme di car sharing gestite da soggetti professionali, con noleggio dell’automobile da parte di un’impresa ad un privato (si pensi a Car2go o ad Enjoy). In tal caso, infatti, pur essendovi l’accesso temporaneo al bene, non vi è intermediazione e rapporto tra pari. Cfr. G. SMORTO, Verso la disciplina giuridica della sharing economy, cit., pp. 249-250. Relativamente ai servizi resi da Uber, il servizio Uberblack non rientra nell’alveo della sharing economy, non essendo connotato da un rapporto peer to peer, mentre dubbi sussistono relativamente al servizio Uberpop. Secondo taluni, infatti, vi sarebbe sharing economy solo nelle forme di condivisione orientate alla comunità, ovverosia quelle caratterizzate dalla pura logica della share e non del profitto (in questi casi l’erogatore materiale del servizio percepisce, al più, un rimborso per le “spese vive” sostenute). Contrari alla riconduzione di Uberpop nell’alveo della sharing economy, cfr., fra gli altri, A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 6; V.C. ROMANO, Nuove tecnologie per il mitridatismo regolamentare: il caso Uberpop, in Merc. conc. reg., 2015, n. 1, pp. 136-137. Sul rapporto fra Uber e la sharing economy, cfr. anche A. DI AMATO, Uber and sharing economy, in The Italian Law Journal, 2016, n. 1, pp. 177-190.

[16] L’art. 1 della legge della Regione Piemonte n. 14/2015 (legge dal titolo “Misure urgenti per il contrasto dell’abusivismo. Modifiche alla legge regionale 23 febbraio 1995, n. 24”), oggetto di censura da parte dello Stato, inserisce l’art. 1-bis nell’impianto dell’antecedente legge della Regione Piemonte 23 febbraio 1995, n. 24 (“Legge generale sui servizi di trasporto pubblico non di linea su strada”). Il precedente art. 1 della legge reg. n. 24/1995, dalla cui analisi occorre partire, costituisce una norma contestualmente definitoria ed esemplificativa. Definitoria, laddove definisce i servizi di trasporto pubblico locale non di linea come quei “servizi che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare ed integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta” (comma 2); esemplificativa, nella misura in cui offre un elenco (si badi bene, non tassativo) di servizi rientranti nel trasporto pubblico locale non di linea, in particolare affermando che “costituiscono servizi pubblici non di linea su strada: a) il servizio di taxi con autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale; b) il servizio di noleggio con conducente e autovettura, motocarrozzetta e veicoli a trazione animale” (comma 3). Tale elencazione, in quanto esemplificativa e non tassativa, consentirebbe il libero dispiegarsi dell’iniziativa economica privata, permettendo anche a soggetti non muniti di licenza taxi o autorizzazione NCC di svolgere il servizio. Tuttavia, dopo le modifiche normative apportate dalla legge reg. n. 14/2015, e in particolare con la previsione del nuovo art. 1-bis, viene introdotto un significativo limite alla libertà d’impresa. Infatti, la nuova disposizione, rubricata “esclusività del servizio di trasporto”, stabilisce che: “il servizio di trasporto di persone, che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con l’attribuzione di corresponsione economica, può essere esercitato esclusivamente dai soggetti che svolgono il servizio di cui all’articolo 1, comma 3, lettere a) e b) – e cioè i titolari di licenza taxi e autorizzazione NCC” (comma 1); “il mancato rispetto delle disposizioni di cui al comma 1 – e cioè la violazione del vincolo di esclusività appena introdotto – comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 6, comma 2 bis” (comma 2), ovverosia – con una serie di rinvii – le sanzioni previste dagli artt. 85, comma 4 e 86, comma 2, del codice della strada, riguardanti, rispettivamente, l’esercizio illegittimo del servizio NCC e lo svolgimento del servizio taxi senza licenza. Per un approfondimento sul richiamato regime sanzionatorio, cfr. G. DI MARCO, Le sanzioni amministrative nel trasporto privato, in A. CAGNAZZO-S. TOSCHEI-C. POZZI (a cura di), Le sanzioni in materia di trasporto marittimo, aereo, terrestre e codice della strada, Torino, 2012, pp. 1029-1034.

[17] Secondo lo Stato, neppure rileverebbe che la disposizione censurata fosse in linea con la legge n. 21/1992. Quest’ultima, infatti, a sua volta, “risalendo al 1992, appare inadeguata rispetto alle nuove possibilità di mobilità offerte dalle innovazioni tecnologiche e ulteriormente possibili in futuro”. Relativamente a tale osservazione, si segnala che anche l’AGCM, in un suo parere (cfr. AS1202 – Legge Regione Piemonte n. 14/2015 – Misure urgenti per il contrasto dell’a­busivismo (24 luglio 2015), ha prospettato dubbi di legittimità costituzionale relativi all’art. 1 della legge reg. n. 14/2015, per contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. e), Cost. Tale Autorità, infatti, analizzando la doglianza relativa al carattere meramente confermativo della legge regionale rispetto alle previsioni statali, ha sostenuto che “l’individuazione delle categorie di soggetti che possono offrire servizi di trasporto non di linea attiene alla materia della concorrenza che, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lett. e), della Costituzione, è rimessa alla esclusiva competenza dello Stato. Come tale, la disciplina in questione non può essere stabilita a livello regionale. Tale rilievo non è superato dal fatto che la norma regionale sia meramente confermativa rispetto a quella statale atteso che – ove future modifiche dell’impianto normativo statale in senso pro-concorrenziale dovessero risultare non allineate con le previsioni regionali – verrebbe a crearsi un contesto normativo non uniforme, con pregiudizio della concorrenza. Si rileva inoltre che in ogni caso la questione del corretto riparto di competenze legislative precede quella attinente al contenuto della disciplina introdotta e, di conseguenza, il riconoscimento della sussistenza della competenza legislativa non può dipendere da tale contenuto”.

[18] Oltre ad essa, anche da altre leggi regionali che il Governo ha deciso di non impugnare. Cfr. art. 16, comma 1-bis, lett. b), legge della Regione Liguria 4 luglio 2007, n. 25, introdotto dall’art. 3 della legge della Regione Liguria 31 marzo 2015, n. 9 (“Modifiche alla legge regionale 19 dicembre 2014, n. 40 e alla legge regionale 4 luglio 2007, n. 25”), che fa riferimento all’esclusività del servizio di trasporto pubblico locale non di linea, con riserva a favore dei titolari di licenza taxi e di autorizzazione NCC.

[19] Cfr. art. 2, direttiva 2006/123/CE; art. 6, d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59; art. 3, commi 1, 5, 11-bis, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge 14 settembre 2011, n. 148; art. 1, comma 5 e art. 36, comma 2, lett. m), n. 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in legge 24 marzo 2012, n. 27.

[20] In particolare, la doglianza di carattere sostanziale viene dichiarata inammissibile per due ragioni: la non corrispondenza fra il ricorso e la delibera del Consiglio dei Ministri che l’ha autorizzato, la quale non contiene alcun riferimento a tale censura (cfr. Corte Cost. sent. 14 gennaio 2016, n. 1; Corte Cost. sent. 3 dicembre 2015, n. 250; Corte Cost. sent. 14 luglio 2015, n. 15); il richiamo generico al principio di concorrenza, senza la specifica indicazione delle norme europee di riferimento (cfr. Corte Cost. sent. 23 marzo 2016, n. 63; Corte Cost. sent. 8 aprile 2014, n. 79; Corte Cost. sent. 20 luglio 2012, n. 199).

[21] Quanto all’ammissibilità della censura di natura formale, la Consulta afferma che, nonostante sia prospettata in maniera generica (cfr. Corte Cost. sent. 10 giugno 2016, n. 131; Corte Cost. sent. 13 aprile 2016, n. 86; Corte Cost. sent. 16 luglio 2015, n. 171; Corte Cost. sent. 15 maggio 2015, n. 82; Corte Cost. sent. 16 aprile 2015, n. 60), il nucleo centrale dell’argomentazione appare chiaro, vertendo sull’invasione della competenza legislativa statale da parte della Regione.

[22] Cfr. Consiglio regionale del Piemonte, II Commissione in sede legislativa, sintesi della seduta 18 giugno 2015, n. 41.

[23] Cfr. Corte Cost. sent. 17 febbraio 2016, n. 30 (con riferimento al trasporto di viaggiatori mediante noleggio di autobus con conducente); Corte Cost. sent. 25 marzo 2014, n. 125. Si tratta di una serie di decisioni richiamate dalla Corte, dalle quali si evince un’ampia nozione di “tutela della concorrenza” di cui al comma 2, lett. e), dell’art. 117 Cost.

[24] Sulla diffusione dei sistemi di monitoraggio ex ante (basati su meccanismi di feedback) in luogo di quelli di enforcement ex post (come i tradizionali sistemi di giustiziabilità dei diritti), cfr. G. SMORTO, Reputazione, fiducia e mercati, in Eu. dir. priv., 2016, n. 1, pp. 199-218. Infatti, con la diffusione del commercio via internet aumentano i rischi relativi all’adempimento dei contratti e più complessa risulta l’attuazione dei diritti in via giurisdizionale. Come afferma l’Autore, “la distanza geografica, la bassa probabilità di interazioni ripetute, il loro carattere spesso anonimo e costi di uscita irrisori, insieme con l’assenza di un quadro di regole condivise, hanno accresciuto in modo considerevole la complessità dei mercati e amplificato le asimmetrie informative, facendo aumentare i rischi di comportamenti opportunistici […]. Così la soluzione che sta emergendo per alleviare i problemi legati all’assenza di fiducia è la creazione, da parte dei privati, di strumenti di verifica preventiva della reputazione, in modo da stabilire la credibilità del singolo e contenerne i rischi di inadempimento”. Tali sistemi reputazionali si sono largamente diffusi anche nei two-sided markets, mercati in cui l’impresa non eroga direttamente il servizio, ma svolge una funzione di intermediazione fra la domanda e l’offerta di servizi. In tali casi, infatti, “la drastica riduzione dei costi di informazione e di decisione e la conseguente aumentata capacità degli intermediari di raccogliere dati sugli utenti, di osservarne i comportamenti, di dettare le regole e di sanzionare le condotte difformi facilitano il coordinamento di domanda e offerta e soprattutto la creazione di un sistema di fiducia”. Dello stesso Autore, cfr. anche G. SMORTO, Verso la regolazione della sharing economy, cit., pp. 264-268.

[25] Le questioni giuridiche, infatti, si differenziano a seconda del tipo di servizio offerto da Uber e, in particolare, diversi sono i nodi problematici relativi al servizio Uberblack e al servizio Uberpop. Quanto alla eterogeneità dei problemi, che è molto evidente nel servizio Uberpop, occorre rilevare che, al di là dei profili – trattati analiticamente nell’elaborato – relativi alla concorrenza e alla regolazione del mercato della mobilità urbana non di linea, altre questioni piuttosto discusse concernono l’indipendenza giuridica di Uber rispetto al rapporto driver-utente (con le conseguenze connesse in materia di responsabilità civile e obblighi assicurativi), all’inqua­dramento dei drivers come lavoratori autonomi o dipendenti (con le ripercussioni relative al trattamento e alle garanzie di ciascuna categoria), al rispetto delle normative interne relative al fisco, all’assistenza, alla previdenza e alla privacy. Sui problemi giuslavoristici, fra i molti, cfr. M. WEISS, Sfide e prospettive per il diritto del lavoro, in Dir. rel. ind., 2016, n. 3, pp. 651-663; A. DONINI, Regole della concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda Uber (Nota a: Trib. Milano, sez. spec. in materia d’impresa, ord. 9 luglio 2015), in Riv. it. dir. lav., 2016, n. 1, II, p. 46 ss.; E. BIALE, Uber: il costo di un’innovazione senza regole, in Il Mulino, 2015, n. 5, pp. 813-821. Relativamente ai problemi che l’arrivo di Uber ha sollevato in Europa e al di fuori di essa, cfr. A. SOMMA, E. MOSTACCI, Il caso Uber – La sharing economy nel confronto tra common law e civil law, cit., capitoli 2, 3, 5 e 6; E. RAFFIOTTA, Trasporti pubblici non di linea e nuove tecnologie: il caso Uber nel diritto comparato, in Munus, 2016, n. 1, pp. 75-95; N. RAMPAZZO, Rifkin e Uber. Dall’età dell’accesso all’economia dell’eccesso, in Dir. inf. e inf., 2015, n. 6, pp. 957-984.

[26] A tal fine, si segnala una pronuncia che, sebbene riguardi specificamente il rispetto dell’obbligo di ritorno in rimessa per il servizio NCC, è estensibile, ragionando a fortiori, anche al servizio Uberblack. Cfr. TAR Lombardia, Milano, decr. presidenziale 10 ottobre 2013, n. 1105, che sospende in via cautelare l’efficacia della determinazione dirigenziale, con cui il Comune di Milano ribadiva la rigorosa applicazione delle disposizioni relative al servizio NCC contenute nella legge n. 21/1992, fra cui l’obbligo di ritorno in rimessa dopo ogni corsa (artt. 3 e 11), nonostante gli strumenti tecnologici (quali la telefonia mobile e, ancora di più, le apps utilizzabili su computer e smartphone) consentano oramai la ricezione di chiamate e l’accettazione di richieste di servizio anche con veicolo in movimento, dunque in luoghi diversi dalla rimessa (Cfr. Comune di Milano, direzione centrale mobilità trasporti ambiente, determinazione dirigenziale 29 luglio 2013, n. 209). In particolare, nel decreto presidenziale, confermato con successiva ordinanza collegiale (cfr. TAR Lombardia, Milano, ord. 23 ottobre 2013, n. 1131) si legge: “sembra […] irrazionale alla luce del progresso della tecnica che, dopo la conclusione di una corsa, il conducente, che immediatamente dopo riceva in via telematica altra richiesta, debba necessariamente fare ritorno alla propria rimessa […] anziché raggiungere direttamente il cliente in attesa”. A seguito della sospensiva accordata dal giudice amministrativo, il Comune di Milano ritira in autotutela il proprio atto in data 14 febbraio 2014.

[27] Cfr. Trib. Milano, sez. I, sent. 6 luglio 2015, n. 8359, che ritiene fondato e accoglie l’ap­pello del Comune di Milano, soccombente nel giudizio di primo grado avanti al giudice di pace (Cfr. Giudice di pace di Milano, sent. 12 novembre 2013, n. 113858), che aveva annullato una sanzione amministrativa irrogata dagli agenti della polizia locale per violazione dell’art. 85, comma 4, del codice della strada, ai danni di un conducente del servizio Uberblack che accettava una corsa senza prima tornare in rimessa. In particolare, il Tribunale di Milano, di fronte alla tesi che consentirebbe agli autisti professionisti di Uber di non fare ritorno in rimessa dopo ogni corsa, incentrata sull’equiparazione fra lo smartphone e la rimessa, nonché fra Uber e la segreteria telefonica, ha affermato che “non può certo ritenersi, senza stravolgere il senso della normativa, oltre che il buon senso, che la sede operativa/rimessa sia l’iphone e che Uber sia la segreteria che passa le chiamate”, confermando pertanto la sanzione inflitta. Cfr. anche TAR Lombardia, Milano, ord. 8 luglio 2016, n. 860. Con questa recente pronuncia il TAR Lombardia ha respinto, in forza della “perdurante vigenza della legge n. 21/1992”, la domanda cautelare contestuale al ricorso proposto da diversi autisti professionisti titolari di autorizzazione NCC, nonché esercenti frequenti del servizio Uberblack, per l’annullamento della nota del Comando di Polizia Municipale di Milano, con cui si stabilisce la possibilità di applicare loro, per la mobilità resa con il servizio di Uber, la sanzione prevista dall’art. 85, comma 4, del codice della strada.

[28] La problematica relativa ai servizi offerti da Uber si rileva pressoché in ogni Paese in cui il gruppo opera. Si attende, peraltro, sul punto, la decisione della Corte di Giustizia sul rinvio pregiudiziale proposto dal Giudice Mercantile di Barcellona, che, in data 16 luglio 2015, ha emesso apposita ordinanza, in una causa sollevata da un’associazione di tassisti di Barcellona contro la società Uber System Spain. In particolare, il giudice spagnolo ha chiesto alla Corte se il servizio Uberpop debba essere considerato una mera attività di trasporto (da cui deriverebbe il tema dell’interferenza con i servizi tradizionali offerti in regime di obblighi di servizio pubblico e/o soggetti a forme di controllo all’accesso) o un servizio elettronico di intermediazione o, infine, un servizio della società dell’informazione ai sensi dell’art. 1, par. 2, direttiva 98/34/CE. Cfr. domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del Juzgado Mercantil n. 3 de Barcelona nella causa C-434/15, Asociatión Profesional Élite Taxi C. Uber Systems Spain S.L. L’attesa verso la decisione della Corte di Giustizia si è recentemente acuita, a seguito delle considerazioni compiute dall’Avvocato Generale M. Szpunar, il quale ha qualificato il gruppo Uber come un “vero e proprio organizzatore e operatore di servizi di trasporto urbano”. Se la Corte di Giustizia dovesse accogliere le considerazioni dell’Avvocato Generale, l’agire del nuovo operatore economico verrebbe particolarmente limitato, in virtù della rilevanza che assumono le decisioni del Giudice europeo all’interno degli Stati membri e dell’obbligo, in capo a questi ultimi, di adattamento al diritto secondario o derivato dell’Unione europea. Per alcune considerazioni, cfr. O. POLLICINO-V. LUBELLO, Un monito complesso ed una apertura al dibattito europeo rilevante: uber tra giudici e legislatori (nota a: Corte Cost, sent. 15 dicembre 2016, n. 265), in www.osservatorioaic.it, 2017, n. 2, pp. 1-16.

[29] Cfr. Giudice di pace di Genova, sent. 16 febbraio 2015, n. 509; Giudice di pace di Milano, sent. 2 aprile 2015, n. 4907. Tali decisioni hanno un valore limitato, in quanto contingente alla fattispecie. Infatti, dette pronunce annullano le sanzioni amministrative inflitte dalla polizia municipale, ma per motivi che attengono al caso di specie, senza affrontare la questione relativa alla natura giuridica del servizio offerto e la conseguente possibilità di applicare in via analogica le sanzioni previste dal codice della strada.

[30] Cfr. Trib. Milano, sez. specializzata in materia d’impresa, ord. 25 maggio 2015 (R.G. n. 16612/2015), confermata in sede di reclamo da Trib. Milano, sez. specializzata in materia d’impresa, ord. 2 luglio 2015 (R.G. nn. 35445/2015 e 36491/2015). Con queste due ordinanze, il giudice dapprima inibisce, in via cautelare ex art. 700 c.p.c., il servizio Uberpop sull’intero territorio nazionale, in seguito conferma tale disposto. La predisposizione e l’utilizzazione dell’app Uberpop, infatti, secondo il giudicante, integrano la FATTISPECIE di illecito concorrenziale di cui all’art. 2598 c.c. Fra i numerosi commenti alle ordinanze, cfr. A. DONINI, Regole della concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda, cit., p. 46 ss.; L. GIOVE-A. COMELLI, Il blocco dell’app Uber pop: concorrenza sleale nei confronti del servizio pubblico taxi (Nota a: Trib. Milano, sez. spec. in materia d’impresa, ord. 25 maggio 2015), in Dir. ind., 2015, n. 3, p. 245 ss.; cfr. V.C. ROMANO, Nuove tecnologie per il mitridatismo regolamentare: il caso Uberpop, cit., pp. 133-140. Da tali decisioni emerge che l’esito cui la giurisprudenza è approdata relativamente al servizio Uberpop è ben più radicale rispetto a quello del servizio Uberblack. I giudici, infatti, non si sono limitati ad estendere anche ai drivers di Uberpop gli obblighi di servizio pubblico e le regole al cui rispetto sono tenuti i tassisti, pena l’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge quadro (art. 11-bis) e dal codice della strada (art. 86, comma 2), diversamente optando per un trattamento altamente punitivo (per l’attività già compiuta) e restrittivo (per il futuro): l’integrazione della concorrenza sleale e l’inibizione del servizio. Si rileva, tuttavia, che, recentemente, il Tribunale di Roma ha adottato un’ordinanza, nella quale ha ritenuto che il gruppo Uber, (anche) con il servizio Uberblack, svolesse una attività in concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c., e che il servizio Uberblack dovesse essere anch’esso inibito su tutto il territorio nazionale. Tale ordinanza, tuttavia, è stata successivamente revocata. Cfr. Trib. Roma, sez. IX – specializzata in materia d’impresa, ord. 7 aprile 2017 (R.G. n. 76465/2016), revocata da Trib. Roma, sez. IX – specializzata in materia d’impresa, ord. 26 maggio 2017, (R.G. n. 25857/2017).

[31] Cfr. Trib. Torino, sez. I – civile, sent. 24 marzo 2017, n. 1553.

[32] Infatti, come sostiene l’AGCM, “nella regolamentazione del servizio taxi è preponderante il ruolo degli operatori già presenti sul mercato che influenzano direttamente tutte le variabili strategiche (prezzi e quantità) che regolano il settore. Una peculiarità del sistema del servizio taxi in Italia è che la licenza può soltanto essere individuale. Ciò implica che il servizio non può essere fornito da imprese organizzate in forma societaria. Pertanto ogni tentativo, anche minimo, di liberalizzazione si scontra con l’effettiva impossibilità per il singolo tassista di garantire individualmente gli obblighi di servizio pubblico che finora sono stati rispettati solo tramite l’accordo di tutti i tassisti presenti sul mercato”. Cfr. segnalazione AS226/2002 – Riforma della regolazione e promozione della concorrenza. In altra segnalazione successiva, l’AGCM afferma che “il mercato del servizio taxi risulta generalmente caratterizzato, a livello locale, da una insufficiente apertura alla concorrenza, che si manifesta in una domanda da parte dei consumatori non pienamente soddisfatta dall’attuale offerta del servizio da parte dei conducenti di taxi. Si rileva, al riguardo, come in gran parte dei principali Comuni italiani la densità di taxi in rapporto alla popolazione risulti inadeguata. Tale circostanza è dimostrata dai lunghi tempi di attesa dei taxi, in particolar modo negli orari in cui la domanda da parte dell’utenza risulta più elevata. Sebbene la normativa vigente attribuisca ai Comuni la competenza in ordine alla determinazione del numero dei veicoli da adibire al servizio di taxi, e quindi ad incrementare eventualmente le licenze a fronte di un’insufficienza dell’offerta, tale facoltà incontra una forte resistenza da parte degli operatori del settore, favorevoli al mantenimento delle restrizioni quantitative. Va osservato che tali comportamenti trovano fondamento nell’elevato costo che gli operatori già attivi sul mercato hanno sostenuto per l’acquisto di una licenza da altri soggetti. Infatti, benché le licenze siano state originariamente rilasciate gratuitamente da parte delle autorità pubbliche, le stesse sono state sovente alienate sulla base di valori economici, di volta in volta crescenti in termini reali, circostanza questa che, di per sé, riflette la scarsità del numero delle licenze, ovvero del numero di taxi attualmente in circolazione. In questo contesto, il valore della licenza rappresenta un asset il cui valore economico assume particolare rilievo al momento della rivendita della licenza stessa da parte del fornitore del servizio, mentre ogni emissione di nuove licenze comporta necessariamente una riduzione del valore di quelle originariamente rilasciate. In tal senso, il timore che un incremento del numero delle licenze possa determinare una riduzione del valore di mercato delle stesse, nonché una riduzione dei ricavi attesi, spiega le resistenze dei fornitori del servizio di taxi a fronte di interventi, da parte delle Amministrazioni locali, volti a favorire una maggiore apertura del mercato”. Cfr. AS277/2004 – Distorsioni della concorrenza nel mercato dei servizi taxi.

[33] Cfr. AS 1137/2014 – Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza (anno 2014) (4 luglio 2014). Con tale atto l’Autorità ha sottolineato “la distorsione riconducibile al fatto che i trasporti non di linea disciplinati dalla legge n. 21/1992 siano stati esclusi dall’ambito di applicabilità delle norme di liberalizzazione introdotte dai d.l. nn. 138/2011, 201/2011 e 1/2012. In particolare, l’Autorità ha auspicato l’abolizione degli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e NCC in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi” (es. per il servizio NCC, l’Autorità ha proposto l’eliminazione dell’obbligo di disporre di rimesse site nel Comune che ha rilasciato l’autorizzazione, di stazionare solo all’interno di tali rimesse, di tornare presso le stesse per l’offerta di ogni nuova prestazione, misura, quest’ultima, che si estenderebbe al servizio Uberblack).

[34] Cfr. AS 1137/2014 – Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza (anno 2014) (4 luglio 2014), laddove l’AGCM ha evidenziato che “l’inadeguatezza del complesso delle norme vigenti emerge anche in considerazione delle nuove possibilità offerte dall’innovazione tecnologica che ha determinato l’affermazione di diverse piattaforme on line che agevolano la comunicazione fra offerta e domanda di mobilità, consentendo un miglioramento delle modalità di offerta del servizio di trasporto di passeggeri non di linea, in termini sia di qualità sia di prezzi”.

[35] Cfr. Cons. St., sez. I, parere interlocutorio 27 maggio 2015, n. 757.

[36] Cfr. AS1222/2015 – Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea (29 settembre 2015). In questa sede, come richiesto dalla prima sezione del Consiglio di Stato con parere interlocutorio n. 757/2015, l’AGCM prende posizione circa l’applicabilità della legge quadro n. 21/1992 e delle conseguenti sanzioni previste dagli artt. 85 e 86 del codice della strada ai conducenti delle nuove piattaforme informatiche. A ben vedere, solo per il servizio Uberpop l’Autorità esclude l’applicazione delle sopra citate disposizioni precettive e sanzionatorie in base alla qualificazione dell’attività come servizio di trasporto regolato dal diritto privato. Per il servizio Uberblack non si rinvengono osservazioni circa la natura del servizio. Tuttavia, anche per Uberblack l’Autorità ritiene di escludere l’operatività delle disposizioni sopra riportate, non trovando applicazione il vincolo di ritorno in rimessa dopo ogni prestazione di trasporto. In tale occasione, infatti, l’AGCM afferma, in contrapposizione all’orientamento giurisprudenziale dominante già analizzato nel corso della trattazione, che “una piattaforma digitale che mette in collegamento tramite smartphone la domanda e l’offerta di servizi prestati da operatori NCC non può infatti per definizione rispettare una norma che impone agli autisti l’ac­quisizione del servizio dalla rimessa e il ritorno in rimessa a fine viaggio. Sotto questo profilo, e in un’ottica di giusto bilanciamento tra i vantaggi concorrenziali derivanti dallo sviluppo di questo tipo di piattaforme digitali (e di tutela degli interessi pubblici ad esse connessi) e la tutela di singole categorie di operatori, seguendo un’interpretazione delle norme costituzionalmente orientata rispettosa del principio di libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione, si ritiene che ai servizi che mettono in collegamento autisti professionisti dotati di autorizzazione NCC da un lato e domanda di mobilità dall’altro non vadano applicati gli articoli 3 e 11 della legge 21/92”.

[37] Fra le misure suggerite dal Presidente dell’AGCM, la registrazione delle piattaforme e l’individuazione di una serie di obblighi e requisiti per i drivers non professionisti. Diversamente, secondo l’Autorità, sarebbero da evitare rigidi massimali alle ore di lavoro per i conducenti, e cioè “soluzioni che, pur rappresentando una apertura a questi servizi, ne potrebbero sancire, di fatto, un’operatività ridotta, non in grado di aumentare la concorrenza sui servizi di trasporto non di linea”. Piuttosto, appare preferibile “prevedere una piena libertà di orario per gli autisti non professionali delle piattaforme, a fronte di compensazioni esplicite per i soggetti gravati da obblighi di servizio pubblico”. Cfr. audizione parlamentare del Presidente Giovanni Pitruzzella del 24 giugno 2015 sul disegno di legge per la concorrenza in discussione. Relativamente ai limiti orari per i drivers, la posizione assunta dall’AGCM si discosta piuttosto evidentemente da quella dell’ART (in merito, cfr. nota 41). Relativamente alla riforma del settore, si rileva che l’AGCM ha recentemente adottato anche una segnalazione, suggerendo agli organi politici di intervenire tempestivamente e introdurre: misure di equiparazione tra il servizio taxi e quello NCC; misure di liberalizzazione, a vantaggio dei nuovi servizi di mobilità a forte contenuto tecnologico; misure di compensazione a favore dei tassisti, categoria che verrebbe maggiormente pregiudicata dall’apertura del mercato. Cfr. AS1354 – Riforma del settore della mobilità non di linea (10 marzo 2017).

[38] Cfr. Atto di segnalazione al Governo e al Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea: taxi, noleggio con conducente e servizi tecnologici per la mobilità (21 maggio 2015).

[39] Le proposte dell’ART riguardano sia il servizio taxi, sia il servizio NCC. In particolare, l’Autorità propone, per i tassisti: la possibilità di praticare sconti, dando spazio al potenziale aumento della domanda; la possibilità di esercizio nella forma di impresa e l’eliminazione del divieto di cumulo di più licenze in capo alla medesima impresa esercente il servizio taxi; la possibilità di fronteggiare incrementi occasionali della domanda con turni flessibili. Relativamente al servizio NCC, l’Autorità suggerisce invece l’eliminazione dell’obbligo di ritorno in rimessa dopo ogni singolo servizio di mobilità. In sostanza, si tratta di tutta una serie di misure che riducono le differenze fra i servizi taxi e NCC, alimentando un sano confronto concorrenziale, che, a loro volta, impatterebbero, seppur indirettamente, sul servizio Uberblack (in particolare tramite l’elimina­zione dell’obbligo di ritorno in rimessa che, come si è già detto, estenderebbe i suoi effetti anche al relativo servizio di Uber). Cfr. all. 1 alla segnalazione; cfr., ancora, l’audizione parlamentare del Presidente Andrea Camanzi del 9 dicembre 2015, nell’ambito dell’audizione sulla legge annuale per la concorrenza.

[40] Più precisamente, nella segnalazione, l’ART distingue fra servizi di natura commerciale (come i servizi offerti da Uber), che devono essere regolati, e quelli di natura non commerciale (come i servizi di car pooling), per i quali non ritiene necessario un intervento regolatorio. Cfr. il proposto art. 3-bis, commi 1 e 2 (cfr. all. 1 alla segnalazione).

[41] Relativamente agli intermediari, l’Autorità propone l’obbligo di registrazione nelle regioni ove è svolto il servizio di trasporto ed ulteriori obblighi in tema di assicurazione RC auto, di trasparenza nella fissazione delle tariffe, di controlli, di privacy, di carta della qualità di servizi e di ADR. Cfr. il proposto art. 3-bis, commi 3 e 6 (all. 1 alla segnalazione). Quanto invece ai conducenti non professionali, l’Autorità ritiene che dovrebbero, oltre ad essere iscritti in un apposito registro costituito su base regionale, essere inquadrati come lavoratori occasionali ed essere così tenuti al rispetto di un tetto massimo di reddito annuale e ad un limite di lavoro settimanale non eccedente le quindici ore (laddove i turni dei tassisti professionisti possono raggiungere le dodici ore giornaliere). Inoltre, gli stessi dovrebbero essere sottoposti ad ulteriori obblighi a garanzia della sicurezza dei trasportati, fra cui “a) avere età maggiore di anni ventuno e possedere la patente da almeno tre anni; b) non avere subito provvedimenti di sospensione della patente; c) essere in possesso dei requisiti morali previsti per i conducenti del servizio; taxi; d) essere in possesso di idoneità psico-fisica; e) esercitare il servizio con auto di proprietà del conducente stesso o di un parente entro il primo grado; f) esercitare il servizio con auto immatricolata da non più di sette anni”. Cfr. il proposto art. 3-bis, commi 5 e 7 (all. 1 alla segnalazione).

[42] Cfr. Cons. St., sez. I, parere interlocutorio 27 maggio 2015, n. 757. Ma soprattutto cfr. Cons. St., sez. I, parere 23 dicembre 2015, n. 3586.

[43] Sul presupposto che la legge quadro e le sanzioni del codice della strada riportate si applicano ai conducenti delle nuove piattaforme tecnologiche solo ove si riconducano i servizi offerti tramite le stesse a quelli erogati dai vettori tradizionali, il Consiglio di Stato ritiene che i servizi offerti tramite tali apps si differenzino dal servizio NCC e, ancora più nettamente, dal servizio taxi. Tuttavia, lo stesso afferma che “la legislazione in materia appare incompleta” e così dispone la trasmissione del parere al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 58 del regolamento per l’esecuzione della legge sul Consiglio di Stato (secondo cui “quando dall’e­same degli affari discussi dal Consiglio risulti che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta, il Consiglio ne fa rapporto al Capo del Governo”).

[44] Infatti, secondo il Consiglio di Stato “si può descrivere il negozio atipico in questione come una fattispecie doppiamente bilaterale che pone al vertice di due distinti rapporti […] la società che gestisce la piattaforma informatica, che da un lato è legata da una prestazione sinallagmatica con il fruitore del servizio di trasporto ed annessi servizi telematici e finanziari, dall’altra è legata al trasportatore a cui riconoscerà una parte del compenso ricevuto quale remunerazione dell’attività in favore di terzi esercitata”. I due rapporti contrattuali, che si collocano all’interno di un’unica fattispecie negoziale atipica e meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., legano pertanto Uber con l’utenza (con la fornitura di un servizio di trasporto e di servizi complementari, a fronte di un corrispettivo) e con i propri drivers (trasferimento al driver di circa l’80% di quanto ricevuto dall’utente in cambio dell’erogazione, da parte del driver, del servizio materiale di trasporto erogato a favore di terzi).

[45] Cfr. Circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, n. 300/A/1842/16/113/1 del 11 marzo 2016. In particolare, il Ministero ricorda che il Consiglio di Stato, con il parere sopra richiamato, ha qualificato i servizi di Uber come servizi di trasporto privato non di linea, diversi dunque dai servizi taxi e NCC, ma che ciò nonostante, in virtù dell’incompletezza della legislazione vigente in materia, ha ritenuto di trasmettere il parere al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 58 del regolamento per l’esecuzione della legge sul Consiglio di Stato. E ha aggiunto che “in mancanza di elementi ermeneutici che consentano di superare gli esposti dubbi circa l’individuazione delle violazioni contestabili, si ritiene che, allo stato attuale, nelle more dell’intervento normativo auspicato dal Consiglio di Stato, non vi siano presupposti per l’applicazione di appropriate sanzioni a carico dei prestatori di tali nuovi servizi di trasporto di persone. Rimane ferma l’applicabilità, nei confronti del conducente del veicolo, della sanzione di cui all’art. 82 del codice della strada laddove venga accertato l’utilizzo del veicolo per una destinazione od uso diversi da quelli indicati sulla carta di circolazione”.

[46] Sulla tutela non assoluta alla libertà d’iniziativa economica privata prevista dall’art. 41 Cost., cfr. M. RAMAJOLI, La regolazione amministrativa dell’economia e la pianificazione economica nell’interpretazione dell’art. 41 Cost., cit., p. 122.

[47] Sull’approccio casistico tipico della Corte relativamente alla “tutela della concorrenza”, cfr. Servizio studi della Corte Costituzionale dal titolo “La tutela della concorrenza nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale”, a cura di M. FIERRO (aprile 2015); M. BELLOCCI, La giurisprudenza costituzionale in tema di tutela della concorrenza nel titolo V della parte II della Costituzione, in www.astridonline.it, 2014; G. CAVALIERI, Regolazione del mercato idroelettrico e tutela della concorrenza, in questa Rivista, 2014, n. 2, p. 347; C. PINELLI, La tutela della concorrenza come principio e come materia. La giurisprudenza costituzionale 2004-2013, in www.osservatorioaic.it, 2014, n. 1, pp. 1-16. Sulla progressiva estensione della materia, cfr. C. BUZZACCHI, Liberalizzazioni, regolazione e ora anche “ri-regolazione”, in questa Rivista, 2015, n. 1, pp. 209-212; M. LIBERTINI, La tutela della concorrenza nella Costituzione – Una rassegna critica della giurisprudenza costituzionale italiana dell’ultimo decennio, in Merc. conc. reg., 2014, n. 3, pp. 503-560; M. MIDIRI, Tutela della concorrenza e giurisdizione, Napoli, 2013, p. 76; V. ONIDA, Il giudice costituzionale e i conflitti tra legislatori locali e centrali, in Regioni, 2007, n. 1, p. 21.

[48] Cfr. M. MIDIRI, Tutela della concorrenza e giurisdizione, cit., p. 76.

[49] Cfr., ancora, M. MIDIRI, Tutela della concorrenza e giurisdizione, cit., p. 78.

[50] Così, A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 3.

[51] Cfr. ancora A. SOMMA, Il caso Uber. Mercati amministrati e disciplina del trasporto pubblico non di linea, cit., p. 4.

[52] L’ostilità all’innovazione da parte dei tassisti è, infatti, talora, manifestamente evidente, quasi a mostrare un rifiuto indiscriminato verso qualsiasi cambiamento della struttura del mercato (anche minimo). Si pensi al recente caso riguardante il Comune di Milano, che ha adottato un bando di gara per l’affidamento della fornitura e gestione del sistema di chiamate taxi, al fine di sostituire le tradizionali colonnine (spesso oggetto di vandalismo e non funzionanti) con un’applicazione software mobile per smartphone. A seguito del ricorso presentato da alcune società che svolgevano il servizio di radio taxi, il Consiglio di Stato, dopo la decisione del giudice di prime cure, si espresso sulla richiesta di annullamento del predetto atto, ritenendo il nuovo sistema di chiamate basato sull’innovazione tecnologica più efficiente e non arrestabile da meri interessi corporativistici. Cfr. Cons. St., sez. V, 11 aprile 2016, n. 1415.

[53] Per la ricostruzione in termini normativi, cfr. nota 8.

[54] Cfr. le dichiarazioni rese in data 17 febbraio da Linda Lanzillotta, senatrice che ha proposto l’emendamento al decreto milleproroghe che ha originato la protesta dei tassisti (http://www.repubblica.it/politica/2017/02/17/news/linda_lanzillotta_attacco_violento_e_personale_ma_non_mi_fermo_-158550213/).