1. Premessa - 2. Legalità formale e legalità sostanziale - 3. I poteri impliciti: vulnus della legalità o applicazione di un criterio interpretativo? - 4. L'implicito e come criterio per ampliare la competenza e come criterio per individuare una nuova competenza - 5. L'implicito nei provvedimenti amministrativi - 6. Provvedimenti impliciti ma titolati dai principi dell'ordinamento amministrativo - 7. Poteri impliciti o principi impliciti (sans texte)? - 8. Poteri impliciti per strumentalità o connessione e individuazione dei criteri limitativi a difesa del principio di tipicità - 9. Conclusioni in ordine alla rete di contenimento a difesa del principio di legalità elaborata da Nicola Bassi - NOTE
Il principio di legalità evoca l’araba fenice la quale, secondo il famoso verso di Metastasio, «che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa». Ed infatti la presenza del principio è indiscussa, ma sono controversi sia la radice costituzionale, sia i suoi confini, sia le sue componenti strutturali. E se la querelle sulla fonte costituzionale è in definitiva non dirimente, perché se vi sono dubbi sulla matrice del principio, non ve ne sono sulla sua presenza, discendendo dai principi della tutela giurisdizionale e da quello della primazia della legge e se si vuole dallo stesso principio di eguaglianza, gli altri profili sono oggetto di continuo dibattito, rivisitazione ed attenzione, come conferma l’accumularsi di letteratura in materia [1]. In questa sede peraltro la nostra riflessione, sollecitata dalla rilettura della monografia di Nicola Bassi (e che si tratti di una rilettura è dimostrato da un mio scritto del 2007, ove più volte essa viene citata [2]) riguarda la sola “legalità amministrativa”, ovvero il rapporto tra tale principio e l’attività nella pubblica amministrazione. Sul punto le indicazioni costituzionali sono precise e convergenti: in primis l’art. 97, secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge e nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari e di conseguenza anche i confini e i contenuti dei poteri, e l’art. 113, che nell’assicurare la piena tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione ne conferma la sottoposizione al principio di legalità.
Tradizionalmente si afferma che nei confronti dell’amministrazione il principio di legalità costituisce un doppio limite. Il primo, c.d. limite esterno, significa che l’amministrazione deve osservare la legge, il secondo, c.d. limite interno, significa che l’amministrazione può fare solo ciò che la legge consente e autorizza. Fino a qui tutto lineare, se non al limite dell’ovvio. Il problema sorge quando ci si domanda: come, o meglio, fino a che punto la legge deve regolare l’attività dell’amministrazione. Sempre secondo la tradizione, si distingue tra legalità formale e legalità sostanziale. La legalità formale si esaurisce nell’attribuire la competenza, mentre il sintagma legalità sostanziale intende esprimere la regola per cui è la legge a dettare anche la disciplina dell’agire amministrativo, che è così non solo previsto dalla legge e subordinato alla legge, ma da questa è diretto e conformato. In altri termini, la legalità sostanziale si avvicina alla riserva di legge (relativa) nel senso che richiede la predisposizione da parte della legge dei criteri e dei principi direttivi entro cui l’azione amministrativa deve inverarsi: e non a caso da molti essa viene radicata nell’art. 23 Cost.. È appena il caso di avvertire che legalità sostanziale non significa che la legge deve determinare in tutto e per tutto il contenuto del provvedimento, essendo intrinseco nell’agire amministrativo (o perlomeno, di gran parte di esso) la presenza di un potere discrezionale, che investe il quomodo se non anche l’an e il quando dell’esercizio della funzione amministrativa, che difatti non si presta ad essere in toto predeterminata per legge: è di palmare evidenza che la legge non può stabilire il contenuto di un piano regolatore o la disciplina della circolazione stradale di una città. La legge determina la competenza, le finalità, la procedura da seguire, l’oggetto, la forma, gli effetti del provvedimento. Il che equivale a determinare il “tipo” di provvedimento, nel senso che è la legge a stabilire l’autorità legittimata ad esercitare il potere, il presupposto, l’oggetto, gli effetti, la finalità (di qui la c.d. tipicità del provvedimento amministrativo). Da aggiungere che per legge si intendono non solo le leggi statali e regionali, ma tutte le fonti primarie, tra cui le fonti eurounitarie, come i regolamenti e le direttive, nonché i principi generali non scritti i quali sono particolarmente diffusi, per antica tradizione, proprio nel diritto amministrativo e ciò sia a livello di principi ordinamentali che di principi di settore (riguardo a questi ultimi si pensi ai tanti principi che presiedono alla disciplina urbanistico-edilizia, a quella dei contratti pubblici, a quella del pubblico impiego).
Da avvertire che la legalità sostanziale non riguarda solo i provvedimenti discrezionali, ma anche quelli vincolati. Infatti anche quest’ultimi sono comunque innervati da regole procedimentali (giusto procedimento, completezza dell’istruttoria, obbligo di motivazione, etc.) che ne garantiscono la necessaria coerenza con la legge e comunque con i principi costituzionali i quali si ricavano dall’art. 97 Cost.. L’esercizio dell’azione amministrativa viene infatti assoggettato ad un iter partecipato ed articolato, che ne regola tutto il percorso. Né la legalità sostanziale è confinabile entro la categoria dei provvedimenti “sacrificativi” cioè quelli che comportano restrizioni o divieti o dinieghi (come sostengono invece coloro che estraggono il principio di legalità sostanziale dall’art. 23 Cost.), ma anche quelli “ampliativi”, non solo perché sovente i provvedimenti “ampliativi” (quali autorizzazioni, concessioni, permessi etc.) sono sacrificativi per i terzi, ma anche perché la disciplina procedimentale che si trae dall’art. 97 Cost., con i suoi derivati in punto di pubblicità, trasparenza, motivazione, investe ogni sorta di provvedimento amministrativo, che quindi viene ad essere diretto e conformato dalla legge e dai principi generali. Ma non è tutto: tale innervatura di principi riguarda anche l’attività non provvedimentale, ovvero l’attività che viene svolta con gli strumenti di diritto privato, che non è affrancata dall’osservanza dei principi generali della funzione amministrativa quali quelli di non discriminazione, di economicità, di proporzionalità etc., che si ricavano dall’art. 97 Cost.. Di modo che la soggezione a tali principi determina uno statuto unitario amministrativo, perché sempre di esercizio di funzioni amministrative si tratta: diverse sono le forme di manifestazione ma tutte hanno da essere coerenti con quanto prescrive l’art. 97 Cost.. Con la conseguenza che anche al di fuori dell’attività provvedimentale, l’attività della pubblica amministrazione è soggetta al principio di legalità che non è dunque meramente formale, perché implica non solo la coerenza con la legge di autorizzazione, bensì pure l’osservanza dei principi di imparzialità e di buon andamento, in tutte loro molteplici espressioni, che la giurisprudenza costituzionale e quella amministrativa hanno individuato e disciplinato e comunque di tutti i principi, compresi quelli di fonte eurounitaria, richiamati dall’art. 1, comma 1, legge 6 agosto 1990, n. 241.
In tal maniera viene ad essere dequotata la distinzione tra legalità sostanziale e legalità formale, perché sempre e comunque l’attività (autoritativa o no) della pubblica amministrazione è soggetta ad un complesso di regole che ne disciplinano lo svolgersi. Regole che sono sia sostanziali che procedimentali, e anzi le prime si rivelano e si rafforzano anche attraverso le seconde: al punto che si è affermato in giurisprudenza e in dottrina il principio della integrazione tra legalità sostanziale e legalità procedimentale, nel senso che la partecipazione procedimentale compensa eventuali carenze della interpositio legislatoris.
L’affermarsi a 360 gradi della legalità sostanziale, se da un lato è elemento di garanzia, dall’altro non risolve affatto i tanti aloni di incertezza che nella “prassi vivente” circondano tale principio. In questo contesto si inserisce la monografia di Nicola Bassi, peraltro concentrata sui poteri autoritativi che determinano compressione o limitazione dello spazio giuridico a disposizione dei destinatari, sicché per definizione l’indagine ha a che vedere con la legalità sostanziale a tutto tondo. Va detto anzitutto che in tale studio vengono ripercorsi tutti gli irti pendii che costellano il principio di legalità, e non solo sotto l’angolazione del suo declinarsi rispetto all’attività amministrativa: dal fondamento del principio alla sua funzione, dal rapporto con la riserva di legge alla c.d. “crisi” del principio di legalità. Tutto ciò come premessa per la disamina del tema centrale della indagine rappresentata dai provvedimenti amministrativi impliciti. Va fatta una avvertenza. Il tema dell’implicito appartiene alla teoria generale dell’interpretazione e poi in specie al diritto internazionale, a quello eurounitario, al diritto costituzionale, e in genere a tutte le ipotesi in cui si debbono definire le sfere di competenza di una autorità, e non da ora: ad es. anche le dispute circa i confini dei poteri dell’Imperatore del Sacro Romano Impero e delle frastagliate e diffuse comunità intermedie dell’epoca medievale ruotavano sovente attorno alla sussistenza o meno di poteri impliciti. Come noto il criterio ha ricevuto positivizzazione, e dunque acquisito una legittimazione superiore a quella nascente dalla mera logica interpretativa, nella Cost. USA (art. 8, n. 8). Da tale previsione è nata la dottrina della necessary and proper clause, così come proposta e motivata nel caso McCulloch v. Maryland. Sulla base di essa la Corte Suprema ha considerato “potere implicito” del Congresso, tra l’altro, la creazione di un ampio diritto penale federale, la regolamentazione del diritto del lavoro, l’esecuzione di ispezioni parlamentari, la possibilità di impiegare tutti i mezzi possibili, anche la confisca, per l’esazione delle tasse, il diritto di espropriazione, il potere di negare l’accesso agli stranieri o di espellerli. La tematica dei poteri impliciti trova continua applicazione con riguardo al profilo del riparto di competenze tra enti territoriali o anche tra organi, e massimamente in ordine al riparto di competenze tra Stato centrale e enti territoriali. Inutile dire poi che il potere implicito costituisce un principio proprio del diritto internazionale pubblico: un trattato internazionale comporta anche la presenza di previsioni, pur non espresse, ma che risultino essere necessarie per la ragionevole applicazione delle previsioni dello stesso trattato e per il raggiungimento dei suoi scopi. Esso del resto ha una espressa canonizzazione nell’art. 352 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), già art. 235 del Trattato di Roma, che autorizza «ogni azione della Unione che appare necessaria nel quadro delle politiche definite dai trattati per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine».
La monografia di Nicola Bassi, in coerenza con il titolo, e dunque in una sorta di parallelismo con le due componenti del titolo (“Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti”) così come esamina in apicibus il tema del principio di legalità, così tratta, sempre a livello di teoria generale, il tema dei poteri impliciti, partendo proprio dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America e dal noto caso della pretesa dello Stato del Maryland di sottoporre a tassazione la Federal Bank. Però – e qui sta l’originalità del contributo – la disamina non è solo funzionale ad identificare le ragioni e i limiti del criterio dell’implicito: criterio che – come risulta dalle esemplificazioni di cui sopra – ha come effetto quello di estendere la competenza. Difatti Bassi si propone anche di verificare se e come lo stesso criterio sia impiegabile non per ampliare la competenza, ma per individuare una nuova competenza. Invero il distinguo è sottile, dato che l’estensione di competenza è anche ontologicamente acquisizione di nuova competenza. Tuttavia un conto è l’estensione di competenza in virtù della strumentalità o della finalità della norma o della ragionevolezza: in tal senso è indicativa la terminologia in uso in Germania, ove si usano espressioni quali ungeschriebene Kompetenzen (“competenze non scritte”), mitgeschriebene Kompetenzen (lett. “competenze con-scritte”, ovvero non verbalmente espresse ma implicite in ciò che è “scritto”), mitgedachte Kompetenzen (“competenze sottointese”), o competenze annesse (Annexkompetenzen), o competenze derivate dalla natura delle cose (Kompetenzen kraft Natur der Sache). Un conto invece è la competenza ex novo, tantopiù con riguardo ai provvedimenti amministrativi, soggetti al principio di legalità e alla sua declinazione in termini di principio di tipicità, considerato che quest’ultimo significa connessione fissata dalla normativa tra i vari elementi dell’atto e predeterminazione degli effetti che esso può produrre: la tipicità implica cioè che la legge nell’attribuire all’amministrazione quel determinato potere, deve stabilirne i presupposti, il procedimento e anche gli effetti. Non si tratta quindi di interpretare estensivamente il contenuto di un potere in virtù di ragioni di connessione o strumentalità (tematica che peraltro Bassi non trascura come vedremo più avanti, sicché ne emergono due categorie di poteri provvedimentali impliciti). Si tratta di individuare ex novo un potere e con esso il suo percorso e i suoi effetti. È di estremo rilievo il fatto che questa accezione di potere implicito, diversa appunto da quella “classica”, non era mai stata oggetto, prima nella monografia di Bassi, di uno studio ad hoc. Al più talune considerazioni incidentali, sparse qua e là in qualche nota o in qualche voce enciclopedica, e comunque senza che venisse colta la distinzione tra il potere implicito per estensione di competenza e il potere implicito di adottare provvedimenti in sé.
Ma come si può giustificare un provvedimento amministrativo implicito secondo la accezione appena indicata? La risposta di Bassi si fonda sul rilievo che il principio di legalità, così come quello più specifico di tipicità, viene ad essere inverato non solo, come nella normalità, da espresse disposizioni di legge, ma anche da principi generali. La esigenza insita in qualunque ordinamento di individuare criteri sistematici e appunto criteri ordinatori ha legittimato la giurisprudenza (per il vero in una serrata e continua dialettica con la dottrina) ad individuare una summa di regole dell’azione amministrativa, al fine sia di porre ordine ad una normativa copiosissima e stratificata, sia di colmare lacune [3]. Regole, in parte, estrapolate da disposizioni contenute in leggi di particolare rilievo anche per la vastità del campo di applicazione e/o per la accuratezza di disciplina (es.: t.u. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato; t.u. legge comunale e provinciale; Codice della navigazione; t.u. sulle acque e impianti elettrici; t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, cui ora si aggiungono i testi unici e i codici della recente stagione normativa: es. codice dell’ambiente, codice dei beni culturali, codice dei contratti pubblici), e di lì “generalizzate” al fine di disciplinare ipotesi analoghe prive di diretta regolamentazione; in parte, invece, elaborate convergendo “in positivo” i vari profili dell’eccesso di potere (c.d. principi sul “formarsi dell’atto”); in parte, attingendo ai principi generali del diritto, desunti per lo più dal diritto privato (si pensi alla giurisprudenza in tema di obbligo di motivazione circa l’interesse pubblico attuale in sede di annullamento d’ufficio, che nasce dal generale principio di tutela della buona fede) [4]; in parte, infine, ricavate dai principi costituzionali (per tutti valga richiamare il principio del giusto procedimento, dedotto dall’art. 97), oltre che dal diritto eurounitario (es. il principio di proporzionalità o il principio di precauzione nella disciplina dell’ambiente), come pure dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (si pensi solo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla c.d. occupazione appropriativa). Sicché – e ciò costituisce affermazione comune in dottrina e in giurisprudenza – il diritto amministrativo non è frutto solo delle leggi che regolano l’attività dello Stato e degli enti pubblici, ma anche dei principi che costituiscono la «parte generale non scritta di tale branca del diritto» [5]. Principi che sono ritenuti idonei ad assicurare il rispetto della riserva di legge. Ed infatti la Corte Costituzionale, investita dal sindacato su leggi carenti di criteri e principi direttivi tali da indirizzare l’esercizio dei poteri discrezionali della P.A., le ha ritenute compatibili con la riserva di legge ex art. 97 Cost., in quanto ha ravvisato comunque la sussistenza di tale elementi attraverso la rete dei principi elaborati dalla giurisprudenza [6] (c.d. norme sans texte). Tali principi possono essere altresì dotati di diretta precettività. Difatti non sempre il principio generale è un limite (ad es. divieto di retroattività) o un criterio (es. proporzionalità o precauzione o tutela dell’affidamento), ma può essere anche una fonte attributiva: cioè il principio si può esprimere sia in una norma regolatrice dell’esercizio del potere, sia anche in una attribuzione del potere stesso. Gli esempi di principi autoapplicativi e attributivi di competenze (c.d. “principi-regole”) sono numerosi: ad es. il potere di controllo sostitutivo viene ritenuto essere attuazione del principio generale, applicabile a tutti gli enti pubblici, del superiore interesse pubblico al supperimento, con tale rimedio, degli organi di ordinaria amministrazione, i cui titolari siano scaduti o mancanti [7]. Mentre dalla presenza del potere di vigilanza si è ricavato il potere dell’autorità vigilante di annullare provvedimenti dell’ente strumentale ritenuti illegittimi [8]. Altro esempio è quello del potere di annullamento d’ufficio del Prefetto sugli atti del Sindaco che viene giustificato attraverso la lettura estensiva delle funzioni di direzione, sostituzione e vigilanza di cui agli artt. 54, comma 12, 54, comma 11 e 9, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Sicché si è ritenuto che il Prefetto dispone del potere di annullare gli atti dello stato civile in cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione di matrimoni contratti all’estero tra persone del medesimo sesso. Ciò per la ragione che per quanto non espressamente prevista da disposizione di legge, la potestà in questione debba intendersi implicitamente ricompresa nelle funzioni di direzione (art. 54, comma 12, d.lgs. n. 267/2000), sostituzione (art. 54, comma 11, d.lgs. cit.) e vigilanza (art. 9, comma 2, d.lgs. cit.) [9]. Altre ipotesi di potere radicato esclusivamente nei principi è il potere di sospensione: da avvertire che qui non intendo riferirmi al potere di sospensione dei propri provvedimenti (ora espressamente previsto e regolato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15: v. art. 14, comma 1, che ha introdotto l’art. 21-quater legge n. 241/1990 e dunque non più implicito) bensì al potere di sospendere l’adozione di provvedimenti di applicazione di sanzioni ripristinatorie in presenza di una domanda di sanatoria (o più esattamente, di accertamento di conformità) [10], potere (e dovere) che la giurisprudenza radica nel principio di collaborazione e di buona amministrazione, oltre che nel principio di ragione il quale osta alla distruzione della res realizzata senza titolo se essa può comunque essere oggetto di titolo abilitativo [11].
La tematica dei poteri impliciti per derivazione dei principi aveva un rilievo ben maggiore all’epoca in cui scriveva Bassi per la considerazione che una serie di poteri di estrema significatività come l’annullamento d’ufficio, la revoca la sospensione, la convalida trovavano radicamento e tutela nei soli principi generali, mentre ora sono stati positivizzati con la legge n. 15/2005 che ha novellato la legge n. 241/1990. È appena il caso di ricordare che il potere di annullamento d’ufficio veniva considerato espressione di jus poenitendi quale attributo “naturale” all’azione amministrativa, in quanto finalizzato ad assicurare la conformità alla legge, mentre la revoca, era considerata una conseguenza dell’unilateralità e della inesauribilità del potere amministrativo ma nel contempo anche dell’applicazione della potestà di diritto privato di revocare i negozi giuridici che non avessero creato diritti [12]. La sospensione era considerata un “meno” e dunque a sua volta implicito nei poteri di autotutela (pure essi impliciti) appena ricordati. Quanto alla convalida trovava fondamento nell’art. 1444, c.c., considerata espressione del principio di conservazione, nonché di quello di economia dei mezzi dell’azione amministrativa. Altro potere implicito del “tempo che fu” è quello di coazione, ovvero il potere della pubblica amministrazione di dare attuazione ai provvedimenti rimasti non eseguiti da parte degli interessati pur intimati in tale senso. Nel senso che il provvedimento, ove per essere eseguito avesse avuto necessità dell’azione dei destinatari dello stesso, era anche per definizione esecutorio. Si tratta della tesi della pienezza della competenza (Cammeo parlava addirittura di pienezza della sovranità, per il vero ascrivendo a tale imperium anche il potere di dettare regole e di dar luogo a controlli) [13] che veniva giustificato sulla scorta di argomenti diversi: chi si appellava ad una ragione per così dire funzionale all’agire amministrativo, sicché vi sarebbe un interesse pubblico intrinseco alla esecutorietà (Borsi scriveva che è la utilitas pubblica a giustificare l’esecutorietà dell’atto amministrativo [14]); chi alla presunzione di legittimità, chi ad una conseguenza implicita dell’imperatività, chi ad un principio generale dell’ordinamento (estraibile da tutta una serie di disposizioni, tra cui in primis l’art. 378, legge 22 marzo 1865, n. 2248, all. F). Fermo restando che la presenza di tale principio era contestata da tempo dalla dottrina più autorevole, ora esso è contraddetto dall’art. 21-ter, legge n. 241/1990 che da un lato ha chiarito che il potere di coazione richiede comunque una espressa base legislativa, e dall’altro ha stabilito che non è sufficiente la mera attribuzione formale di tale potere, essendo invece indispensabile anche una predeterminazione legislativa del concreto esplicarsi di quello che è stata definita [15] capacità di farsi giustizia da sé [16].
Tutti questi esempi, sia quelli “storici” [17] e poi transitati nell’“area della tipizzazione”, sia quelli “vigenti” dimostrano con evidenza come la ricerca del fondamento dei poteri impliciti provvedimentali diviene ricerca dei principi. E, atteso il principio di tipicità, nonché la riserva di legge che domina gran parte dell’attività amministrativa (e non limitata a quella, che si traduce in prestazioni imposte, ovvero nelle c.d. misure sacrificative), ciò significa non solo ricercare il principio di attribuzione del potere, ma anche i criteri del suo svolgersi: si pensi infatti alle regole che circondavano il potere di annullamento d’ufficio prima della disciplina introdotta prima con l’art. 14, legge n. 15/2005 e poi con l’art. 6, legge 7 agosto 2015, n. 124, in punto di efficacia temporale, obbligo di motivazione, presupposti, interessi da comparare. Sicché la individuazione del potere implicito e la delineazione dei suoi tratti è il risultato di un processo interpretativo che percorre la stessa storia, la logica, la funzione del diritto amministrativo.
Ci si potrebbe invero chiedere: se i poteri provvedimentali sono conferiti da principi e se i principi a loro volta soddisfano le condizioni perché sia garantita la c.d. raffrontabilità, perché allora definirli impliciti? E ancora: perché non riferire invece l’aggettivo “implicito” al principio, considerato tale in quanto non inserito in un testo legislativo, e ricavabile solo in via deduttiva da fonti costituzionali o legislative (o anche eurounitarie o internazionali)? La risposta sta nel fatto che si tratta di una questione meramente terminologica: si può infatti nello stesso tempo considerare implicita perché non “testualizzata” sia la fonte sia la sua derivazione provvedimentale. E proprio questo doppio versante dell’implicito fa sì che la monografia di Bassi debba muoversi in una pluralità di fronti, perché alla individuazione dei principi che “generano” lo specifico potere, segue una disamina specifica e puntuale del potere stesso e del suo atteggiarsi e la sua “raffrontabilità”, ovverosia la sua sintonia con i criteri necessari perché venga rispettato il principio di tipicità. Nel contempo la ricerca non si esaurisce nella pur notevole rilevazione della categoria dei provvedimenti impliciti e delle fonti non scritte che ne regolano l’esercizio, in quanto si diffonde nell’individuare le ragioni e i limiti che in generale la individuazione del potere tramite principi vanno ad incontrare. In tal maniera si inoltra ancora negli impervi sentieri del principio di legalità. Che però non viene affrontato solo sulla scorta di argomentazioni di carattere generale e come tali caratterizzate da inevitabile astrattezza, le quali del resto sono state oggetto di rassegna e puntualizzazioni nella parte introduttiva. Va infatti ricordato che già nella premessa Bassi aveva precisato che il suo obiettivo era proprio quello di affrontare, all’interno del macrotema “principio di legalità”, un tema più ristretto idoneo per i suoi tratti peculiari ad instradare l’analisi entro binari in grado di abbinare ad un grado di ineliminabile astrattezza un livello non meno necessario di concretezza. Di qui la scelta di scrutinare l’area dei poteri amministrativi impliciti, come uno degli angoli di visuale da cui osservare e decifrare, se pur in parte qua, il principio di legalità.
Ma l’indagine di Bassi non si limita ai poteri impliciti provvedimentali “derivati” dai principi. Una serie di riflessioni vengono infatti dedicate ad una seconda categoria di poteri impliciti, più in sintonia con le nozioni tradizionali e classiche del potere implicito. Vale a dire quei poteri che si estraggono per strumentalità o continenza o connessione da un potere espressamente attribuito alla legge. La riflessione emerge ancora una volta come pertinente e puntuale. Un conto infatti è la lettura estensiva del comando legislativo o regolamentare per ragioni di strumentalità o connessione, dove vengono in evidenza ratio legis, criteri di ragionevolezza, ovverosia problematiche interpretative tout court, un conto è quando si tratta di espandere la sfera di applicazione di un potere provvedimentale, e dunque – per riprendere la terminologia di Bassi – delimitare i confini esterni di tale potere, confini che il legislatore non ha (salvo i limiti costituzionali) e che il regolamento ha nella legge, ma sono sempre in entrambi i casi confini ben meno protetti di quelli presidiati dal principio di tipicità dei provvedimenti. Sul punto la tesi di Bassi è categorica: il principio di legalità-tipicità si oppone ad un’applicazione del criterio della strumentalità, nel senso che non è ritenuta ammissibile una capacità espansiva della norma attributiva.
Per il vero, questa conclusione è pienamente condivisibile allorquando la materia sia coperta da riserva di legge assoluta, come ad esempio nelle situazioni disciplinate dagli artt. 14, 15, 16, 21 Cost. o anche da riserva relativa. Negli altri casi, come del resto nelle ipotesi di poteri normativi, è in sostanza una questione interpretativa della sfera di applicazione del potere attribuito dalla legge, questione appunto che si risolve attraverso il ricorso ai noti criteri ermeneutici. Ed invero lo stesso Bassi ammette l’estensione dei poteri impliciti attraverso il criterio per cui “nel più vi sta il meno”, e dunque ciò significa che qualsiasi potere provvedimentale tipizzato dalla legge contiene al proprio interno anche poteri connotati da minore incisività, per la posizione giuridica dell’amministrato. Come pure riconosce che ragioni di simmetria inducono ad affermare la presenza del principio del contrarius actus, vale a dire che l’attribuzione legislativa di un potere provvedimentale comprende anche il potere di ritiro dell’atto emanato sulla base del primo. In tali casi non v’è necessità di individuare le regole di esercizio del potere, perché sono già delineati con riferimento al provvedimento principale, cui accede la sospensione o il ritiro. Difatti Bassi giunge ad affermare che poteri del genere dovrebbero essere più precisamente definiti «come poteri impliciti in senso improprio», dato che in realtà «non si collocano in una posizione esterna rispetto ai confini dell’ambito ordinamentale coperto dalla norma attributiva, ma più semplicemente si muovono all’interno della stessa» (v. p. 217 della monografia).
Per il vero i confini esterni non sono mai superabili, stante proprio il principio di legalità. È tuttavia da ritenere che l’Autore, laddove parla di potere implicito che si muove all’interno della norma attributiva, abbia inteso far rilevare che in questi casi il potere non proviene da una fonte non scritta rappresentata da un principio, desumibile per deduzione, ma appunto dalla interpretazione diretta della norma attributiva, nelle cui pieghe nascoste, per ragioni di connessione e strumentalità o continenza è rintracciabile il potere c.d. implicito (tipico caso, il potere di sospensione “intrinseco” del potere di annullamento – come già ricordato – positivizzato dall’art. 14, legge n. 15/2005).
Ancora una volta, però, la ricostruzione non è fine a se stessa. Perché la nozione di connessione o di strumentalità sono nozioni “indeterminate” e come tali si prestano a letture discrezionali sì da dilatare all’eccesso la competenza, si propone di ritracciare una linea di confine di tale categoria di poteri impliciti. La quale viene individuata nella assoluta prevalenza delle ragioni di garanzia dell’amministrato in tutte le sue molteplici proiezioni (tipicità, giusto procedimento, motivazione, pubblicità, etc.) rispetto al principio di efficienza. Si tratta di rilievi decisivi, atteso infatti che la strumentalità, la natura delle cose o la connessione vengono proprio invocate per ragioni di maggiore efficienza e funzionalità, ragioni che però non possono mai fare aggio sulle garanzie costituzionali. La controprova – si osserva – è data dalle ordinanze d’urgenza, che contraddicono la garanzie di tipicità (controbilanciate peraltro da una serie di principi elaborati dalla giurisprudenza), ma che appunto hanno una espressa base nel diritto positivo, oltre che nel super principio dello stato di necessità, il che indirettamente conferma, attraverso l’argomento a contrario, che l’efficienza è subordinata alla legalità.
In conclusione, siamo di fronte ad uno studio che, se pur rivela le comprensibili enfasi, tipiche delle monografie giovanili, verso le premesse di carattere generale e verso la ripetuta giustificazione, motivazione e ricapitolazione del proprio percorso di ricerca, contiene riflessioni non solo ancora valide, ma direi ancor più attuali, a fronte del tumultuoso dilagare della normativa speciale e dunque delle materie oggetto di regolazione e del diffondersi di principi “aperti” (si pensi solo a quelli di precauzione, di azione preventiva, di sviluppo sostenibile che informano l’attività amministrativa in materia ambientale) che richiedono quanto mai necessario l’apprestamento di reti di contenimento. Il che è indispensabile anche per il rispetto di un bene primario come la certezza del diritto, e non a caso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che lo stesso principio di legalità comporta l’esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, precise e prevedibili [18]: difatti il rispetto della legalità (risvolto essenziale del principio) presuppone a sua volta dei parametri sicuri cui riferirsi. E per l’appunto ampio materiale per la costruzione di reti di contenimento e dunque per contribuire alla certezza del diritto è rinvenibile nello studio di Nicola, il che accentua – ammesso che ve ne sia bisogno – il senso di smarrimento e di grande rimpianto che la sua perdita ha prodotto in tutti noi che ne abbiamo apprezzato l’ingegno, la laboriosità, la serietà, la lealtà, il vero e proprio culto per la tradizione del nostro diritto amministrativo e per i suoi conditores di cui la monografia è esemplare testimonianza.
1 La bibliografia sulla legalità è sterminata. Per limitarci al principio di legalità con riferimento alla attività amministrativa preme richiamare: G. BERTI, Dalla legalità formale alla legalità sostanziale, in Il diritto della Regione, 1992, p. 623 ss.; L. CARLASSARE, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Cedam, Padova, 1966; G. CORSO, Il principio di legalità, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2011, p. 4; V. CRISAFULLI, Principio di legalità e giusto procedimento, in Giur. cost., 1962, p. 132; S. FOIS, voce Legalità (principio di), in Enc. dir., vol. XXIII, Giuffrè, Milano, 1973, p. 660; M.S. GIANNINI, Sulla tipicità degli atti amministrativi, in AA.VV., Scritti in memoria di A. Piras, Milano, 1996, p. 319 ss.; R. GUASTINI, voce Principio di legalità, in Dig. Disc. pubbl., vol. IX, Utet, Torino, 1994; F. LEVI, voce Legittimità amministrativa, in Enc. dir., vol. XXIV, Giuffrè, Milano, 1974, p. 136; F. MERUSI, Sentieri interrotti della legalità, Il Mulino, Bologna, 2007; F. MERUSI, La legalità amministrativa, Il Mulino, Bologna, 2012; F. MERUSI, La legalità amministrativa fra passato e futuro. Vicende italiane, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016; G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, pp. 703-777; G. MORBIDELLI, Principio di legalità e provvedimenti amministrativi impliciti, in G. ACOCELLA (a cura di), Materiali per una cultura della legalità, Giappichelli, Torino, 2017; G.U. RESCIGNO, Sul principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, p. 22 ss.; ALB. ROMANO, Il principio di legalità nella Costituzione italiana, in AA.VV., Annuario dell’Associazione Italiana dei costituzionalisti (A.I.C.), Principio di eguaglianza e principio di legalità nella pluralità degli ordinamenti giuridici, Cedam, Padova, 1999, p. 45; F. SATTA, Principio di legalità e pubblica amministrazione nello Stato democratico, Cedam, Padova, 1966; F.G. SCOCA, voce Attività amministrativa, in Enc. dir., VI aggiornamento, Giuffrè, Milano, 2002, spec. p. 85 ss.; D. SORACE, Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. pubbl., 2007, p. 419 ss.; B. SORDI, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, La prospettiva storica, in Dir. amm., 2008, p. 1 ss.
Per quanto concerne la formazione e la funzione dei principi generali del diritto amministrativo, sono da ricordare quantomeno: S. CASSESE, Il Consiglio di Stato come creatore di diritti e come amministratore, in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Giuffrè, Milano, 2001, p. 3 ss.; S. COGNETTI, Profili sostanziali della legalità amministrativa, Giuffrè, Milano, 1993; F. DE LEONARDIS, I principi generali dell’azione amministrativa, in ALB. ROMANO (a cura di), L’Azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2016, spec. pp. 11-26; E. GARCIA DE ENTERRIA, Reflexiones sobre la ley y los principios generales del Derecho, Editorial Civitas, Madrid, 1984; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, in AA.VV, Cinquant’anni di esperienza giuridica in Italia, Giuffrè, Milano, 1984, p. 366 ss.; G. GUARINO, Qualche riflessione sul diritto amministrativo e sui compiti dei giuristi, in Studi in memoria di C. Esposito, IV, Cedam, Padova, 1974, p. 2671 ss.; M. LETOURNEUR, Les principes généraux du droit dans la jurisprudence du C.E., in Conseil d’État, Études et Documents, Imprimerie Nationale, Parigi, p. 1951, p. 19 ss.; M. MAZZAMUTO, I principi costitutivi del diritto amministrativo come autonoma branca del diritto, in M. RENNA-F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012, spec. pp. 24 ss.; F. MERUSI, Sullo sviluppo giurisprudenziale del diritto amministrativo, in Legge, giudici, politica. Le esperienze italiana e inglese a confronto, Giuffrè, Milano, 1983, p. 122 ss.; F. MERUSI, L’affidamento del cittadino, Giuffrè, Milano, 1970, p. 105 ss.; RIVERO J., Jurisprudence et doctrine dans l’élaboration du droit administratif, in Conseil d’État, Études et Documents, Recueil Sirey, Parigi, 1955, p. 27 ss.; J. ROCHE, Réflexions sur le pouvoir normatif de la jurisprudence, in A.J.D.A., 1962, p. 532; G. SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Giuffrè, Milano, 1993.
[2] G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, pp. 703-777.
[3] V., in proposito, l’ampio e documentato studio di G. SALA, cit.
[4] Sulla trasposizione degli istituti privatistici, a loro volta inquadrati secondo i dettami della Pandettistica, nel nostro diritto pubblico, v. per tutti le rilevanti considerazioni di M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit.
[5] Cons. Stato, Ad. plen., 28 gennaio 1961, n. 3, in Cons. Stato, vol. I, 1961, n. 8, ove leggesi che il diritto amministrativo risulta non solo da norme ma anche da principi che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato e ridotto a unità e dignità di sistema. Sulla formazione dei principi nel diritto amministrativo v. altresì, tra i tanti, F. MERUSI, L’affidamento del cittadino, cit.; Id., Sullo sviluppo giurisprudenziale del diritto amministrativo, cit.
[6] V. Corte Cost. 7 aprile 1988, n. 409, molto puntuale nel rilevare che i principi non scritti di matrice giurisprudenziale debbono essere riconosciuti come parametri del corretto esercizio dell’attività amministrativa, ma v. altresì Corte Cost. 24 marzo 1993, n. 103, che ha ritenuto conforme a Costituzione, malgrado la genericità della previsione normativa, l’art. 15-bis, legge 19 marzo 1990, n. 55, così come modificato dall’art. 1 del d.l. 31 maggio 1991, n. 164, conv. in legge 22 luglio 1991, n. 221, che prevede senza alcuna disciplina procedimentale la possibilità di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali e di altri enti locali, sulla base del rilievo che l’adozione di tali misure presuppone comunque la completezza dell’istruttoria procedimentale, la coerenza tra accertamenti e decisione finale, la congruità della motivazione, e dunque «una rete di principi tali da ricondurre la discrezionalità entro parametri confrontabili con il dato normativo».
[7] V. Corte Cost., 20 gennaio 2004, n. 27; Id., 27 luglio 2005, n. 339.
[8] Si tratta invero di questione controversa: del relativo dibattito proprio la monografia di Bassi dà comunque accurato resoconto.
[9] Cons. Stato, sez. III, 26 dicembre 2015, n. 4897.
[10] V. TAR Toscana, sez. II, 17 gennaio 2000, n. 4; TAR Lazio, Latina, 13 dicembre 2001 n. 1166.
[11] Per altri esempi di provvedimenti impliciti derivanti da principi generali; v. G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, cit.
[12] Così F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Vallardi, Milano, p. 45.
[13] F. CAMMEO, L’esecuzione d’ufficio specie nei riguardi dei regolamenti comunali, in Giur. it., 1929, vol. III, pp. 18 ss.
[14] Cfr. U. BORSI, Fondamento giuridico dell’esecuzione forzata amministrativa, in Studi senesi 1905, ora in Scritti di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1976, vol. I, p. 239 ss.: ID. L’esecuzione degli atti amministrativi, in Studi senesi 1901-2, ora in Scritti di diritto pubblico, vol. I, p. 52.
[15] F. BENVENUTI, voce Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., IV, Giuffrè, Milano, 1959, p. 537 ss.
[16] Potremmo aggiungere che in passato anche il potere regolamentare del Governo veniva considerato un potere implicito, che trovava fondamento nella attribuzione di poteri discrezionali, che in tal maniera venivano ad essere autoregolamentatati, a tal fine rifacendosi alla famosa formula di Gneist secondo la quale «ciò che l’Autorità può comandare e vietare in ogni singolo caso, può comandarlo o vietarlo in generale per tutti i casi simili dell’avvenire». Tesi poi abbandonata, a partire dal fondamentale saggio di G. ZANOBINI Sul fondamento legislativo della potestà regolamentare, in Arch. giur., 1922, ora in Scritti vari di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 1955, p. 145 ss., che dimostrò il necessario ancoraggio alla legge del potere regolamentare.
[17] Su cui Bassi si diffonde con ampi ragguagli di ragioni storiche e funzionali.
[18] V. ad es. la sentenza 30 maggio 2000 nel caso Belvedere c. Italia, § 57; nonché, tra le tante, la sentenza 22 settembre 1994 nel caso Hentrich c. Francia, § 42, e la sentenza 8 luglio 1986 nel caso Lithgow e altri c. Regno Unito, § 110.