The European regulatory framework in the energy sector sets out a governance model based, at national level, on the separation between politics and regulation. This model has its own logic. No one can deny that the basic political choices in the field of energy policy must be reserved for the representative legislator. However, the advantages deriving from the separation between politics and regulation are undoubted, in terms of greater stability and technical adequacy of the market discipline, entrusted to bodies with specific expertise and subtracted from changes due to the alternation of political majorities.
The EU legislator has only partially implemented this model. While strengthening the autonomy and independence of national regulators from political pressures, it continues to entrust significant regulatory powers to the European Commission, which is accountable before the European Parliament. The Lisbon Treaty has strengthened this accountability, by providing that the President of the Commission is elected by the European Parliament and that the European Council, in proposing the candidacy, must take into account the results of the polical elections.
As of today, the resistance to the establishment of an independent European regulatory authority still seems insurmountable. In fact, the energy sector reform plan known as the “Winter Package” or “clean energy package for all Europeans”, strengthens the role of the Commission, to the detriment of that assigned to independent regulation.
Is such a choice really necessary?
This essay, aimed at answering such question, is divided into three parts. In the first one, I will analyse the case law which, according to a widespread opinion, would prevent the creation of independent European regulatory authorities. Secondly, I will refer to the evolution of the regulatory and jurisprudential framework which, after the entry into force of the Lisbon Treaty, would seem to allow a strengthening of independent regulation also at European level. Finally, I will move to the analysis of the main issues arising out from the energy governance model outlined in the Winter Package.
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1. Premessa - 2. La creazione di autorità europee di regolazione tra Meroni e Romano - 3. Il Trattato di Lisbona - 4. La svolta della Corte di giustizia - 5. Il Winter Package - 6. Considerazioni conclusive - NOTE
Il quadro normativo europeo nel settore dell’energia delinea un modello di governance fondato sulla separazione politica e regolamentazione [1]. Il legislatore dell’Unione europea, infatti, ha imposto agli Stati membri la creazione di autorità nazionali di regolamentazione (ANR), con posizione di autonomia e indipendenza non solo dal potere economico ma anche da quello politico. Il legislatore ha fissato inoltre gli obiettivi che le stesse sono chiamate a perseguire nell’esercizio delle loro attività, e le ha inserite in una rete volta a garantire un forte coordinamento tra le autorità nazionali e la Commissione e ad assicurare un’attuazione uniforme del quadro normativo su tutto il territorio dell’Unione. In particolare, il cosiddetto terzo pacchetto energia del 2009 [2] ha affidato alle ANR il compito di garantire la corretta e uniforme applicazione del diritto dell’Unione su tutto il territorio europeo. A tal fine le nuove direttive hanno individuato espressamente gli obiettivi generali che le ANR sono chiamate a perseguire [3] e ne hanno esteso le competenze [4], affidando alle stesse anche il potere di irrogare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive alle imprese elettriche che non ottemperano agli obblighi ad esse imposti sulla base della normativa applicabile [5]. Le autorità nazionali sono chiamate ad operare in stretta cooperazione con la Commissione, con l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia («Acer») [6] e con le autorità degli altri Stati membri [7]. Le nuove direttive hanno poi imposto agli Stati membri l’obbligo di assicurare l’indipendenza delle autorità di regolazione non solo dalle imprese regolate, ma anche dal potere politico [8]. A tal riguardo le autorità nazionali, nell’esercizio delle funzioni di regolamentazione, non possono sollecitare né accettare istruzioni dirette da alcun governo o da altri soggetti pubblici o privati e devono essere messe in condizione di poter prendere decisioni autonome, in maniera indipendente da qualsiasi organo politico [9]. È infatti evidente che, ove le ANR fossero dipendenti dagli organi politici nazionali e tenute pertanto a seguire gli indirizzi fissati da questi, risulterebbe impossibile garantire la necessaria [continua ..]
La creazione di autorità europee di regolazione continua a trovare un forte ostacolo nella cosiddetta dottrina Meroni, in forza della quale eventuali deleghe dalla Commissione ad organismi autonomi possono avere ad oggetto soltanto poteri di esecuzione ben definiti, il cui esercizio sia sottoposto al pieno controllo dell’autorità delegante. La delega di un potere che implica «un ampio margine di discrezionalità», secondo la Corte, finirebbe per violare il principio dell’equilibrio istituzionale previsto dai Trattati [16]. Questa impostazione è stata però adottata in un contesto assai diverso da quello attuale. Si trattava infatti di valutare la compatibilità rispetto al Trattato CECA di una delega dell’Alta autorità in favore di due società private di diritto belga per la regolazione di alcuni aspetti relativi a transazioni su rottami ferrosi. La dottrina Meroni è stata tuttavia costantemente richiamata negli anni successivi come limite al conferimento di poteri alle agenzie, che via via andavano proliferando nel panorama europeo [17], nonostante che la decisione Meroni non facesse affatto riferimento alle agenzie [18]. In particolare, la Commissione ha sempre sostenuto che le varie agenzie europee, comprese quelle che vengono indicate come «agenzie di regolazione», sono soggette ai limiti stabiliti in Meroni. Secondo questa impostazione, le agenzie europee di regolazione «non hanno il potere di adottare misure normative di tipo generale. Esse possono esclusivamente adottare, in condizioni ben definite e senza un reale potere discrezionale, decisioni individuali in settori specifici in cui è richiesta una particolare competenza tecnica. Inoltre, non possono esercitare poteri suscettibili di influire sulle competenze che il trattato ha esplicitamente attribuito alla Commissione (ad esempio nella sua funzione di custode del diritto comunitario)» [19]. Un approccio ancor più rigido volto a limitare la possibilità di delegare poteri di regolazione è stato seguito dalla Corte di giustizia nella sentenza Romano [20]. La questione riguardava i poteri di un ente pubblico, istituito da un regolamento [21], di imporre alle autorità nazionali di previdenza alcuni criteri per l’applicazione della disciplina europea in materia in materia di pensione di [continua ..]
L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha mutato soltanto in parte il quadro di riferimento. Il primo degli argomenti addotti in Romano per escludere che la Commissione possa delegare poteri alle agenzie era desunto dall’allora vigente art. 155 TCEE, che prevedeva la possibilità di delega solo in favore della Commissione. Sotto questo profilo, però, il Trattato di Lisbona non ha introdotto novità di rilievo. L’art. 290 TFUE prevede infatti che il legislatore possa delegare il potere di adottare atti non legislativi di portata generale soltanto a favore della Commissione. L’art. 291 TFUE consente inoltre la delega di poteri di attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione solo alla Commissione e, in casi specifici, al Consiglio. Queste disposizioni parrebbero dunque precludere al legislatore la possibilità di delegare atti non legislativi di portata generale o atti esecutivi ad agenzie, e tanto meno ad autorità indipendenti di regolazione. Il secondo argomento impiegato in Romano faceva leva sull’assenza di un controllo giurisdizionale sugli atti delle agenzie. Il Trattato di Lisbona ha però colmato questo vuoto ed aperto la possibilità di una delega di poteri anche a enti diversi dalle istituzioni dell’Unione. Gli artt. 263, 265, 267 e 277 TFUE, infatti, attribuiscono espressamente alla Corte di giustizia giurisdizione su tutti gli atti adottati dagli «organi o organismi dell’Unione». In definitiva, ad oggi, il TFUE non prevede ancora la possibilità di costituire agenzie o altri organismi indipendenti cui affidare poteri di regolazione, prevedendo tuttavia un controllo giudiziario sugli atti adottati da tali enti. La previsione di un controllo giurisdizionale anche sugli atti delle agenzie destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi presuppone però, logicamente, la possibilità di conferire poteri alle stesse. Inoltre l’evoluzione del processo di integrazione europea rispetto al periodo in cui furono adottate le decisioni Meroni e Romano è stata talmente radicale, da giustificare un ripensamento dei principi ivi stabiliti alla luce del nuovo contesto di riferimento [25]. Nella sentenza Meroni, adottata nel 1958, la Corte era chiamata a verificare la conformità rispetto al Trattato CECA di una singolare delega di poteri a [continua ..]
La Grande Sezione della Corte di giustizia ha fornito importanti chiarimenti nella sentenza del 22 gennaio 2014, relativa ai poteri dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) [29]. Con un ricorso ex art. 263 TFUE, il Regno Unito ha chiesto l’annullamento dell’art. 28 del regolamento sulle vendite allo scoperto [30]. Tale disposizione autorizza l’ESMA a imporre, con provvedimenti di natura vincolante, limitazioni sulle vendite allo scoperto, quando ravvisa «una minaccia all’ordinato funzionamento e all’integrità dei mercati finanziari o alla stabilità di tutto o di parte del sistema finanziario dell’Unione e sussistono implicazioni transfrontaliere». La Corte era chiamata a stabilire se il conferimento di poteri siffatti fosse compatibile con i principi in materia di delega di poteri enunciati nelle sentenze Meroni e Romano. L’istituzione dell’ESMA si inserisce all’interno di una serie di misure introdotte dal legislatore europeo, a seguito della grave crisi dei mercati finanziari scoppiata nel 2009 [31]. Per fronteggiare la crisi, che rischiava di mettere a repentaglio la tenuta complessiva dell’unione economica e monetaria (UEM), vennero introdotti molteplici misure. In primo luogo vennero adottati strumenti volti a permettere un maggiore coordinamento tra le politiche economiche degli Stati membri e a garantire il rispetto dei vincoli al debito pubblico introdotti con il Patto di stabilità e crescita del 1997 [32]. In questa categoria rientrano il cosiddetto six pack (un insieme di misure volte a rafforzare il rispetto del Patto prevedendo – tra l’altro – un semi-automatismo per l’irrogazione delle sanzioni nei confronti dei Paesi che ne violano le regole [33]), il «Fiscal Compact» (un trattato internazionale sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Stati dell’Unione europea, che prevede tra l’altro l’obbligo delle parti contraenti di inserire nel proprio ordinamento interno – preferibilmente a livello costituzionale – il principio del pareggio di bilancio), e il «two pack» (che introduce tra l’altro una procedura di vigilanza rafforzata, nell’ambito della quale gli Stati sono chiamati a sottoporre al controllo della Commissione il progetto di [continua ..]
L’attuale quadro normativo europeo, quale emerge dal cosiddetto terzo pacchetto, delinea un sistema di governance fondato su due pilastri, le autorità indipendenti (ANR e ACER) e la Commissione europea, con un equilibrio tutto a favore del secondo, perché la Commissione continua indubbiamente a svolgere il ruolo di guida sia nella definizione degli obiettivi di politica energetica sia nelle scelte di natura regolatoria in materia. L’ACER non rappresenta un mero braccio operativo della Commissione. Si tratta, infatti, di un organismo indipendente, istituito al fine di assicurare l’uniformità delle funzioni di regolazione svolte dalle autorità nazionali [44], che ha rappresentato un decisivo salto di qualità rispetto al Gruppo dei regolatori europei per il gas e l’elettricità istituito nel 2003 [45]. Molti avevano auspicato che l’istituzione dell’ACER potesse essere considerata come un passaggio verso la creazione di un regolatore europeo indipendente dell’energia. Sotto questo profilo, tuttavia, le nuove proposte non solo non contengono alcuna novità, ma addirittura sembrano fare un passo indietro: anziché muovere verso la regolazione indipendente, mirano a un ulteriore rafforzamento della Commissione. Il ruolo centrale della Commissione emerge con nettezza dalla proposta di regolamento sulla governance europea dell’energia, che prevede un forte potere di controllo e di guida della Commissione sulle scelte strategiche degli Stati membri in materia di energia. In particolare, gli Stati sono tenuti a sottoporre i piani nazionali per il clima e i piani nazionali per le rinnovabili e l’efficienza energetica alla Commissione, la quale può inviare raccomandazioni e controllarne l’attuazione [46]. Dall’altro lato, la proposta di regolamento sull’ACER [47] continua a configurare tale organo essenzialmente come centro di coordinamento delle ANR, anziché come vera e propria autorità europea di regolazione. La nuova proposta, inoltre, depotenzia sotto certi profili i poteri dell’ACER ed assoggetta la stessa ad un maggior controllo della Commissione. In particolare, viene previsto un rafforzamento delle competenze del consiglio d’amministrazione e del direttore dell’ACER, a scapito di quelle del comitato dei regolatori, ed una riduzione [continua ..]
L’assetto di governance che emerge dal cosiddetto «Winter Package» è soddisfacente, oppure è auspicabile un rafforzamento della regolazione indipendente? Un esempio delle distorsioni che possono discendere dall’ingerenza politica su scelte che, per la materia cui accedono, dovrebbero essere rimesse alla regolazione indipendente, è offerto dal caso Europa Way e Persidera, recentemente deciso dalla Corte di giustizia [49]. La questione riguarda le procedure per l’assegnazione delle frequenze televisive in Italia, nell’ambito del passaggio dall’analogico al digitale terrestre [50]. L’iniziale disciplina fissata dall’AGCom, che prevedeva l’assegnazione gratuita delle frequenze all’esito di una procedura di «beauty contest», prevedeva l’attribuzione a titolo gratuito di alcuni multiplex a piccoli operatori e nuovi entranti sul mercato. Tale disciplina è stata dapprima sospesa [51], e poi sostituita dal Governo con procedura di selezione pubblica onerosa [52]. La Corte di Giustizia, nel giudizio di rinvio ex art. 267 TFUE, ha riconosciuto che un intervento del Governo volto a sospendere la procedura di assegnazione delle frequenze e a cambiarne le regole, contrasta con la disciplina europea in materia di comunicazioni elettroniche, che affida le funzioni di regolamentazione del mercato televisivo ad una autorità amministrativa indipendente dal potere politico [53]. In particolare, la Corte di giustizia ha sottolineato che il legislatore europeo ha ritenuto necessario garantire ciascuna ANR contro «qualsiasi intervento esterno o pressione politica che potrebbe compromettere la sua imparzialità di giudizio nelle questioni che è chiamata a dirimere». Considerazioni del genere, dettate con specifico riferimento alla disciplina sulle comunicazioni elettroniche, valgono evidentemente anche per il settore dell’energia, dove la disciplina del 2009 ha espressamente tutelato l’indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione dalle ingerenze di ogni potere, sia esso economico o politico. La mancata previsione nel sistema dell’Unione di organi corrispondenti alle ANR non significa il disconoscimento – a livello europeo – di quelle esigenze che hanno giustificato [continua ..]