Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Applicazione ed evoluzione del principio del ne bis in idem: il revirement della Corte EDU e il decisum della Corte di Giustizia nelle cause Menci (C-524-15), Garlsson Real Estate e a. (C-537-16) e Di Puma e Zecca (C-596-16 e C-597-16) (di Marsela Mersini)


CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZIONE, 20 MARZO 2018, C-524/15, NEL CASO MENCI

«Risulta possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunta, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, purché tale normativa persegua un obiettivo di interesse generale prevedendo regole chiare e precise, contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che deriva da un cumulo di procedimenti e preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

Spetta in ogni caso al giudice nazionale verificare che tali requisiti siano soddisfatti e accertare che l’onere derivante per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni autorizzato non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso».

CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZIONE, 20 MARZO 2018, C-537/16, NEL CASO GARLSSON REAL ESTATE E A.

«L’obiettivo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e la fiducia del pubblico negli strumenti finanziari è idoneo a giustificare un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale. Tuttavia, con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la normativa italiana che sanziona le manipolazioni del mercato non sembra rispettare il principio di proporzionalità delle sanzioni alla gravità dell’illecito. Tale normativa nazionale, infatti, autorizza l’avvio di un procedi-mento amministrativo di natura penale per i medesimi fatti che hanno già costituito l’oggetto di una condanna penale. La sanzione penale sembra essere idonea a reprimere essa stessa l’infrazione in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva. In condizioni del genere, proseguire un procedimento amministrativo di natura penale per i medesimi fatti che hanno già costituito oggetto di una simile condanna penale eccederebbe quanto strettamente necessario a conseguire l’obiettivo di tutela dei mercati.

Il principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea conferisce ai soggetti dell’ordinamento un diritto direttamente applicabile nell’ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale».

CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZIONE, 20 MARZO 2018, C-596/16 E C-597/16, NEL CASO DI PUMA E ZECCA

«L’obiettivo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e la fiducia del pubblico negli strumenti finanziari è idoneo a giustificare un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale, qualora tali sanzioni siano intese, in vista del conseguimento di detto obiettivo, a fini complementari aventi ad oggetto, e­ventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento costitutivo dell’in­frazione in oggetto.

Tuttavia, la prosecuzione di un procedimento inteso all’irrogazione di una san-zione amministrativa pecuniaria di natura penale in esito alla definizione del procedimento penale è assoggettata al rigoroso rispetto del principio di proporzionalità. In una situazione come quelle oggetto del procedimento principale, la prosecuzione di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccederebbe manifestamente quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito, una volta che esiste una sentenza penale definitiva di assoluzione che dichiara l’assenza degli elementi costitutivi dell’infrazione che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6 intende sanzionare».

   

SOMMARIO:

1. Il principio del ne bis in idem: disciplina ed evoluzione - 2. Applicazione del principio del ne bis in idem a livello giurisprudenziale - 3. La sentenza A e B contro Norvegia e le critiche presenti nelle conclusioni dell'avvocato generale - 4. Le decisioni della Corte di Giustizia nelle cause Menci, Garlsson Real Estate e a. e Di Puma e Zecca - 5. Quali sono gli scenari possibili? - NOTE


1. Il principio del ne bis in idem: disciplina ed evoluzione

Il principio del ne bis in idem [1] è sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e stabilisce che «nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato». Tale principio è applicato dalla Corte EDU non solo in relazione agli illeciti penali, ma anche con riferimento al procedimento amministrativo nel caso in cui la sanzione che lo concluda abbia natura sostanzialmente penale. Il principio del ne bis in idem trova riconoscimento anche nel diritto dell’Unione europea, precisamente all’art. 50 della Carta dei diritti fonda­mentali il quale afferma che «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge» [2]. Occorre ricordare che la Convenzione non costituisce, fino a che l’Unione europea non vi aderisca, un atto formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea: per questo motivo, il fatto che il principio del ne bis in idem sia allo stesso modo tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali rappresenta un livello di garanzia rafforzato. A livello nazionale l’art. 649 del c.p.p. costituisce la trasposizione, in ambito penale, del divieto di doppio giudizio stabilito dalla Convenzione EDU in quanto stabilisce che «l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345». In questo quadro si comprende, quindi, come tale principio rappresenti, sia a livello internazionale, sia a livello europeo e sia a livello nazionale, un inderogabile principio di civiltà giuridica e che non vi sia, tra i diversi livelli, una divergenza contenutistica quanto, per lo più, una differenza interpretativa. Poste di fronte ad una formulazione letterale potenzialmente restrittiva, la Corte EDU e la [continua ..]


2. Applicazione del principio del ne bis in idem a livello giurisprudenziale

Come si anticipava il tema del divieto di bis in idem è oggi tra i più discussi, in particolare a seguito di una rinnovata attenzione da parte della giurisprudenza della Corte EDU. Innanzitutto, occorre precisare che il divieto del doppio processo rientra nella categoria dei diritti civili e politici dell’individuo, riconosciuto quale principio di diritto internazionale consuetudinario e sancito espressamente in diversi testi convenzionali [8]. Nel contesto normativo sovranazionale europeo, il principio del ne bis in idem ha dapprima trovato riconoscimento nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria fra Stati in materia penale [9], rimanendo fuori dal testo originario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il riconoscimento della garanzia del ne bis in idem nel sistema del Consiglio d’Europa non è esente da complicazioni. Tale diritto non è stato incluso nella CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ma il suo riconoscimento è avvenuto soltanto con l’adozione, il 22 novembre 1984, dell’art. 4 del Protocollo n. 7 allegato alla Convenzione [10] e reso esecutivo nell’ordinamento italiano con l’approvazione della legge 9 aprile 1990, n. 98. Una ragione del ritardo si può sicuramente ravvisare nel timore degli Stati membri che l’applicazione di determinate garanzie convenzionali avrebbe inciso sul margine di discrezionalità concesso agli Stati contraenti, in ordine alla configurazione del sistema punitivo nazionale. Risultano significative, infatti, la mancata ratifica del Protocollo n.7 da parte di Regno Unito, Germania e Paesi Bassi e la ratifica corredata da numerose riserve presentata da Francia, Austria, Portogallo e Italia [11], volte a limitare l’applicazione del ne bis in idem ai soli procedimenti cui la legge nazionale attribuisce natura penale. La Corte di Strasburgo, chiamata a dare concreta attuazione al principio in oggetto, si è trovata sin dalle prime decisioni a dover affrontare il tentativo degli Stati membri di limitare la portata garantistica del principio del ne bis in idem. In forza della formulazione letterale dell’art. 4 del Protocollo n. 7, che opera un espresso richiamo alla «condanna penale» e alla «procedura penale», deve pertanto ritenersi pienamente legittima la [continua ..]


3. La sentenza A e B contro Norvegia e le critiche presenti nelle conclusioni dell'avvocato generale

La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia [26], con un revirement inaspettato, ma, per certi aspetti, comprensibile [27], rispetto al precedente indirizzo [28], stabilisce che il principio del ne bis in idem non viene violato nel caso in cui vi sia una sanzione penale irrogata a carico di chi sia già stato sanzionato in via definitiva dall’Ammini­strazione tributaria con una sovrattassa, purché sussista tra i due procedimenti (penale ed amministrativo) una «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» [29]. A tale criterio la Corte ha fatto riferimento in passato, affermando che esso deve necessariamente sussistere tra i due procedimenti qualificati come penali, al fine di escludere la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. La Corte ha più volte affermato, infatti, che il divieto del ne bis in idem opera sia con riferimento a due procedimenti consecutivi ove il secondo segua ad un primo già divenuto definitivo, sia in presenza di due procedimenti paralleli, quando uno di essi si concluda con un provvedimento definitivo [30]. Per completezza è opportuno indicare le principali tappe giurisprudenziali di questo orientamento. Un primo approdo giurisprudenziale si ritrova nella sentenza Nilsson c. Svezia [31] dove la Corte EDU, nel dichiarare inammissibile il ricorso nel quale si contestava la violazione del ne bis in idem, aveva escluso che, in presenza di una connessione sufficientemente stretta tra i due procedimenti, un doppio processo con l’applicazione di due distinte sanzioni costituisca violazione del­l’art. 4 del Protocollo 7 CEDU. Nello stesso senso si pone la sentenza Hakka c. Finlandia [32], nella quale la Corte ha escluso una violazione del ne bis in idem, posto che le due sanzioni erano state irrogate in procedimenti non consecutivi, ma tra loro «sufficientemente coordinati». Nelle pronunce Shibendra Dev c. Svezia [33] e Lucky Dev c. Svezia, la Corte ha fatto ricorso nuovamente a tale criterio al fine di accertare la compatibilità del sistema del doppio binario in materia tributaria con l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. In tutte queste decisioni è stato applicato il c.d. Nilsson test ovvero il [continua ..]


4. Le decisioni della Corte di Giustizia nelle cause Menci, Garlsson Real Estate e a. e Di Puma e Zecca

Il 20 marzo 2018 la Corte di Giustizia si è pronunciata sui rinvii pregiudiziali [53] nelle cause Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate e a. (C-537/16) e Di Puma e Zecca (C-596/16 e C-597/16) [54]. I ricorsi erano volti a sottoporre alla Corte UE la compatibilità del sistema del doppio binario sanzionatorio penale ed amministrativo con l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea che sancisce il divieto di bis in idem [55]. In tutte le decisioni in commento la Corte di Lussemburgo ha stabilito alcuni punti fermi. In primo luogo ha ritenuto che le sanzione amministrative inflitte avevano natura penale applicando la costante giurisprudenza in materia [56] in relazione alla rilevanza di tre criteri (Engel criteria): la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la natura dell’illecito e il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. I giudici europei hanno affermato che le sanzioni amministrative hanno natura penale quando dotate di un grado di rigore elevato e di finalità non meramente risarcitoria. In secondo luogo la Corte ha stabilito che le sanzioni inflitte avevano perseguito fini di interesse nazionale generale ed erano state applicate ad uno stesso fatto; in tal caso il criterio rilevante ai fini della valutazione è stato quello dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto all’as­soluzione o alla condanna definitiva dell’interessato. Infatti, a fronte delle medesime condotte, il mancato accertamento dell’elemento psicologico nell’am­bito del procedimento diretto alla comminazione della sanzione amministrativa non sarebbe idoneo, di per sé, a mettere in discussione l’identità dei fatti materiali esaminati. Lo snodo fondamentale è rappresentato dal fatto che i giudici della Corte affermino che il cumulo di sanzioni amministrative e penali, pur costituendo una limitazione al diritto garantito dall’art. 50 della Carta, possa presentare una causa di giustificazione che necessita di essere analizzata ai sensi del­l’art. art. 52 par. 1 CDFUE il quale stabilisce che «eventuali limitazioni all’e­ser­cizio dei diritti e [continua ..]


5. Quali sono gli scenari possibili?

La Corte di Strasburgo nella sentenza A e B c. Norvegia ha circoscritto fortemente l’ambito di applicazione del ne bis in idem diversamente da quanto affermato a partire dalla sentenza Grande Stevens c. Italia. È evidente che vi sia stata un’evoluzione nell’interpretazione del principio del ne bis in idem, in seguito all’intervento della Corte di Strasburgo, anche da parte della Corte di giustizia. Nelle decisioni dei giudici di Lussemburgo, discostandosi dalla posizione nel tempo assunta per promuovere i valori dell’Unione nei confronti dei cittadini europei e dei legislatori nazionali, la Corte ha preferito adottare un atteggiamento conservativo nell’interpretare un principio di garanzia sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, di fatto aderendo a quanto espresso dai giudici della Corte EDU. Dalla trattazione che precede emerge come il divieto di bis in idem costituisca una fondamentale garanzia per il singolo individuo. Ed anzi, tra le funzioni ascrivibili al principio in esame, si percepisce con maggiore immediatezza quella di tutela individuale: nel limitare la possibilità di rinnovare la medesima accusa nei confronti dello stesso imputato, è forte l’esigenza di sottrarlo all’in­sicurezza derivante dall’instabilità della propria posizione giuridica nell’ordi­namento, nuovamente oggetto di vaglio giurisdizionale. È importante analizzare, quindi, quanto potrebbe incidere sul singolo individuo il mancato rispetto del divieto di un secondo giudizio. Riportando le parole di autorevole dottrina [63] si può affermare che «la portata della garanzia non consiste tanto – o, comunque, soltanto – nell’evitare il pericolo dell’applica­zione di sanzioni criminali o di misure cautelari per un fatto in ordine al quale sia intervenuta una pronuncia definitiva di proscioglimento, ma anche e soprattutto nell’impedire la semplice sottoposizione ad un ulteriore procedimento penale, con il costo sul piano umano che inevitabilmente comporta». Anche la Corte di Lussemburgo, così come la Corte EDU nella sentenza A e B, individua una serie di criteri da valutare caso per caso per stabilire se vi sia stata una violazione del principio del ne bis in idem; l’affidamento ai giudici nazionali [continua ..]


NOTE