Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti: alla ricerca di una sovranità europea nell'arena economica globale (di Giulio Napolitano)


   

SOMMARIO:

1. Il contesto internazionale e comparato - 2. La base giuridica - 3. La conformazione europea dei meccanismi nazionali di controllo - 4. Le tecniche di cooperazione tra Stati Membri e Commissione - 5. I tratti distintivi della disciplina e l'avanzamento dell'integra­zio­ne amministrativa europea - 6. Il possibile impatto della disciplina europea sugli Stati Membri e sui paesi terzi e la prospettiva geo-politica - NOTE


1. Il contesto internazionale e comparato

Il diritto dell’economia è oggi attraversato da profonde e spesso non facilmente decifrabili trasformazioni, che stanno incrinando e in taluni casi ribaltando i paradigmi dominanti negli ultimi quarant’anni, fondati sull’apertura globale e la regolazione neutrale dei mercati. Una ulteriore e significativa manifestazione di queste trasformazioni è costituita dalla recente approvazione del regolamento (UE) n. 452/2019, volto a stabilire un quadro comune per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione europea. La nuova disciplina è parte integrante di un più ampio pacchetto di misure volte ad affermare l’agenda europea in materia di scambi e investimenti internazionali con il dichiarato scopo di meglio governare la globalizzazione. Già ad una prima lettura, però, l’intervento normativo si presta a una duplice e opposta valutazione. Per un verso, può considerarsi un semplice correttivo a un programma che rimane saldamente orientato alla liberalizzazione e all’integra­zione dei mercati. Per un altro verso, può ritenersi uno dei primi e più organici tentativi di affermare una nuova sovranità europea nell’arena economica globale, eventualmente declinabile anche in chiave protezionista [1]. È d’altra parte difficile stabilire oggi se l’effetto principale del regolamento sarà quello di legittimare e addirittura rafforzare i sistemi nazionali di controllo o invece di limitare la discrezionalità degli Stati membri indirizzando in sede europea l’esercizio di prerogative sovrane fin qui gelosamente custodite dai governi, in continuità con i precedenti tentativi della Commissione e della Corte di giustizia di squalificare i regimi discriminatori e non proporzionati incidenti sulle libertà di circolazione [2]. Non è un caso che il contesto in cui nasce l’iniziativa legislativa della Com­missione sia caratterizzato da due distinti e almeno parzialmente confliggenti ordini di considerazioni. Da un lato, l’ordinamento europeo continua a guardare con favore agli investimenti esteri [3]. La posizione è chiaramente ribadita anche nel primo considerando del regolamento, laddove si afferma che «gli investimenti esteri contribuiscono alla crescita dell’Unione rafforzandone la competitività, creando posti di lavoro ed economie [continua ..]


2. La base giuridica

È in questo contesto che è stato approvato il regolamento (UE) n. 452/2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio, che stabilisce un quadro comune per l’esercizio dei controlli sugli investimenti esteri diretti nell’U­nione. Il regolamento, approvato il 19 marzo 2019 ed entrato in vigore il 10 aprile 2019, diventerà interamente vincolante e direttamente applicabile in ogni Stato Membro l’11 Ottobre 2020, dopo che saranno decorsi i diciotto mesi entro i quali ogni Stato Membro potrà adeguare la propria disciplina interna [13]. La base giuridica per l’intervento normativo del legislatore europeo risiede essenzialmente nell’art. 207 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che attribuisce alla competenza esclusiva di quest’ultima la politica commerciale comune [14]. Tale politica, in base al Trattato, deve essere retta da prin­cipi uniformi in materia di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi e di misure di protezione commerciale, soprattutto in casi di dumping e di sovvenzioni. Naturalmente, la politica commerciale deve essere condotta nel quadro dei più generali principi e obiettivi dell’azione e­sterna del­l’Unione. In proposito, l’art. 3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) stabilisce che, nelle relazioni con il resto del mondo, l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. In questo qua­dro, l’Unione contribuisce, tra l’altro, allo sviluppo di un «commercio libero ed equo», nella rigorosa osservanza delle regole fissate dal diritto internazionale [15]. In particolare, ai sensi dell’impegni sottoscritti dall’Unione e dagli Stati Membri nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), gli in­ve­stimenti e l’accesso ai mercati di paesi terzi sono liberi. Anche nell’ambito di tali accordi, tuttavia, è espressamente riconosciuta la possibilità di adottare misure restrittive in relazione agli investimenti esteri per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, purché nel rispetto di determinate circostanze [16]. Per settant’anni, l’eccezione di sicurezza, apparsa per la prima volta nell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1947, è rimasta [continua ..]


3. La conformazione europea dei meccanismi nazionali di controllo

A premessa del tentativo di definizione di un quadro comune a livello europeo, il regolamento chiarisce espressamente che gli Stati Membri possono mantenere, modificare o adottare meccanismi di controllo degli investimenti diretti nel proprio territorio in materia di sicurezza o ordine pubblico. Ciò significa che, almeno formalmente, gli Stati membri che ancora sono privi di un meccanismo di controllo possono liberamente decidere di continuare a farne a meno. Laddove però gli Stati membri decidano di istituire (o abbiano già istituito) un meccanismo di controllo, l’ordinamento europeo ne stabilisce i principi di disciplina. Innanzi tutto, le regole e le procedure di controllo devono essere trasparenti (anche per quel che riguarda la durata) e non discriminatorie. A tal fine, gli Stati membri devono stabilire nel modo più puntuale possibile le circostanze che danno luogo al controllo, i motivi e dunque i criteri del controllo e specifiche regole procedurali applicabili in tali casi. Inoltre, il funzionamento del meccanismo di controllo e in particolare i termini procedurali fissati devono assicurare che gli Stati Membri tengano in considerazione le osservazioni degli altri Stati Membri e il parere della Commissione. Infine, gli investitori esteri e le imprese interessate devono avere la possibilità di ricorrere contro la decisione di controllo adottata dalle autorità nazionali [24]. Con queste prescrizioni, l’ordinamento europeo cerca di assicurare che i sistemi amministrativi di controllo esistenti a livello nazionale siano retti da alcuni standard minimi volti a garantire la «certezza del diritto» e il rispetto del principio di legalità [25]. In questo modo, l’ordinamento europeo mira a conciliare in modo più efficace la salvaguardia dell’interesse nazionale degli Stati membri con la protezione degli investitori esteri. Questi ultimi, infatti, dovrebbero poter contare su un insieme di essenziali garanzie in termini di prevedibilità delle decisioni pubbliche e accesso a forme di revisione in sede amministrativa o giurisdizionale. L’effettività della tutela, tuttavia, appare limitata quando il parametro di esercizio e quindi di controllo del potere è costituito da un concetto così lato e indeterminato come quello della protezione della sicurezza e dell’ordine pubblico [26]. La partecipazione procedimentale di [continua ..]


4. Le tecniche di cooperazione tra Stati Membri e Commissione

Il perno della disciplina europea è costituito dalla codificazione delle tecniche di cooperazione, basate su procedimenti amministrativi composti che si svolgono su diversi livelli istituzionali. La cooperazione si articola secondo moduli procedurali distinti a seconda che gli investimenti diretti siano oggetto di controllo da parte degli Stati Membri o invece non siano scrutinati in sede nazionale. Nel primo caso, incombe sullo Stato Membro l’obbligo di notificare, non appena possibile, alla Commissione e agli altri Stati Membri ogni investimento straniero sottoposto a controllo [29]. Mentre dunque il procedimento nazionale è normalmente avviato a iniziativa di parte, con la comunicazione da parte del­l’investitore estero all’autorità di governo, la sotto-fase procedimentale di scrutinio sovranazionale è aperta d’ufficio, su iniziativa dello Stato membro. La notifica può essere semplice, traducendosi nel mero inoltro di quella ricevuta dal­l’investitore estero, oppure qualificata, per effetto di una preliminare valutazione dell’autorità competente circa i possibili effetti transnazionali dell’opera­zio­ne. La valutazione si può tradurre nella formulazione di una lista di Stati Membri la cui sicurezza o l’ordine pubblico verrà probabilmente compromessa (effetto transnazionale). Inoltre, lo Stato Membro interessato dovrà preliminarmente valutare se l’operazione possa ricadere anche nell’ambito di applicazione della disciplina europea in materia di controllo delle concentrazioni [30]. Con la notifica grava sullo Stato procedente l’obbligo di fornire una serie di informazioni, la cui fonte ultima è costituita dall’investitore estero o dall’im­pre­sa in cui l’in­vestimento estero è avvenuto o progettato [31]. Le informazioni che devono essere fornite riguardano l’assetto proprietario dell’investitore estero e dell’im­presa target; il valore approssimativo dell’investimento; i prodotti, i servizi e le attività commerciali dell’investitore estero diretto e l’impresa in cui l’in­vestimento estero è programmato; gli Stati Membri in cui l’investitore straniero e l’impresa conducono l’attività di impresa rilevante; il finanziamento del­l’in­vestimento e la [continua ..]


5. I tratti distintivi della disciplina e l'avanzamento dell'integra­zio­ne amministrativa europea

La disciplina dettata dal regolamento si caratterizza per alcuni tratti distintivi che connotano questa nuova e ulteriore ipotesi di integrazione amministrativa europea. In primo luogo, il regolamento offre un modello di controllo sugli investimenti esteri in apparenza limitato sul piano teleologico. Il novero degli interessi protetti, infatti, è limitato alla sicurezza e all’ordine pubblico. L’obiettivo è evitare che il controllo sugli investimenti esteri si tramuti impropriamente in uno strumento di politica industriale, corporativa o peggio ancora clientelare. Il tentativo, tuttavia, è improbo ove si consideri la latitudine e l’indeterminabilità della nozione di sicurezza. In secondo luogo – e in parziale contraddizione con il primo obiettivo – il regolamento contiene una individuazione molto ampia dei settori in cui l’inve­stimento può essere oggetto di scrutinio. La lista è ben più estesa di quella finora considerata nella maggior parte delle legislazioni nazionali. Accanto alle infrastrutture di pubblica utilità, compaiono le reti e le istituzioni volte a garantire il corretto funzionamento del processo democratico e del sistema finanziario, il pluralismo e la libera formazione dell’opinione pubblica. Vi è inoltre una specifica attenzione alla tutela dei dati personali, alla protezione dei sistemi sanitari, alla preservazione della sicurezza alimentare. In terzo luogo, il regolamento introduce una chiara linea di demarcazione tra investimenti esteri privati e pubblici. Su questi ultimi, infatti, grava una presunzione negativa in termini di più elevata minaccia per la compromissione dell’in­te­resse alla sicurezza degli Stati membri e dell’Unione nel suo complesso. In quarto luogo, il regolamento adotta un modello di controllo degli investimenti stranieri che diversamente da quello statunitense e da quello cinese è governato dal principio di legalità e da quello di buona amministrazione. L’o­biettivo è assicurare trasparenza, prevedibilità partecipazione procedimentale, ragionevole durata del procedimento, motivazione delle decisioni pubbliche, diritto alla tutela. Anche in questo caso, tuttavia, il disegno europeo è destinato a restare almeno in parte sulla carta, stante l’ampio margine di discrezionalità che rimane in capo alle autorità pubbliche [continua ..]


6. Il possibile impatto della disciplina europea sugli Stati Membri e sui paesi terzi e la prospettiva geo-politica

Ci si può infine chiedere quale sia il possibile impatto della disciplina europea sugli Stati Membri e sui paesi terzi. Per quel che riguarda i primi, l’adozione del regolamento, innanzi tutto, introduce un forte incentivo agli Stati Membri che ancora non abbiano un sistema di controllo a dotarsene traendo ispirazione dal funzionamento e dalle migliori pratiche dei meccanismi già esistenti. Il regolamento europeo, infatti, da un lato, consente di superare ogni residuo dubbio sulla compatibilità di questo tipo di disciplina con i Trattati; dall’altro, consentendo comunque un intervento di supplenza da parte degli altri Stati membri e della Commissione europea, spinge inevitabilmente i legislatori nazionali a prevedere l’azione principale da parte dello Stato membro più direttamente interessato. Il regolamento, inoltre, favorisce la convergenza tra i sistemi nazionali di controllo, quelli già esistenti e quelli che verranno costituiti. L’effetto complessivo sarà probabilmente una race to the top, perché i legislatori saranno spinti a estendere i settori e gli investimenti scrutinati e a prendere in considerazioni criteri (come quello del coinvolgimento pubblico di altri governi negli investimenti esteri) che fin qui erano stati trascurati a livello nazionale. In taluni casi, come quello italiano, si determinerà anche un allungamento dei tempi del procedimento al fino di garantire l’interlocuzione con gli altri Stati Membri e con la Commissione [42]. L’estensione dei poteri degli Stati è però bilanciato da una possibile riduzione della loro intenzione, a causa della restrizione del margine di discrezionalità. Le autorità nazionali, infatti, dovranno tenere in adeguata (se non massima) considerazione le osservazioni degli altri Stati Membri e i pareri della Commissione e assicurare un controllo giurisdizionale delle loro decisioni. C’è inoltre la possibilità che una volta fissato un quadro comune a livello normativo il controllo della Corte europea di giustizia  sulle decisioni nazionali assunte in nome della sicurezza e dell’ordine pubblico diventi più intrusivo soprattutto per quanto riguarda il rispetto del principio di proporzionalità. È però probabile che molti di questi contro-limiti rimangano sulla carta e che l’effetto pratico del regolamento sia di [continua ..]


NOTE