In questo periodo di crisi e transizioni economiche le regolazioni devono svolgere diversi compiti: dare forma giuridica agli indirizzi politici della UE e nazionali mediante leggi e atti di programmazione.
Successivamente devono monitorare l’implementazione e correggere i difetti emersi nell’attuazione.
Parole chiave: Transizioni sistemiche – Transizioni economiche – Regolazione delle transizioni – Programmazioni – PNRR.
In this period of crisis and economic transitions, regulations must perform various tasks: giving legal form to political guidelines of EU and national through laws and planning acts.
Afterwards they must monitor the implementation and correct the failures that emerged in the carrying out.
Keywords: Systemic transitions – Economic transitions – Regulation of transitions – Planning acts – NRRP (National Recovery and Resilience Plan).
1. Transizioni, crisi decisioni di sistema dei pubblici poteri ed istituti giuridici di regolazione delle transizioni - 2. Le transizioni sistemiche - 3. Le transizioni e “rivoluzioni” economiche - 4. Crisi economiche - 5. Le regolazioni delle transizioni - 6. Segue. Gli atti d’indirizzo - 7. Segue. Le programmazioni - 8. Le programmazioni, pianificazioni e progettazioni integrative ed attuative del PNRR - 9. Il diritto privato regolatorio delle transizioni - NOTE
Gli snodi cognitivi sottesi al titolo di queste note sono quattro:
I) le transizioni, in generale ed in specie quelle a predominanti connotazioni/implicazioni economiche;
II) tra di esse, le transizioni imposte ed accelerate da crisi sistemiche, tardivamente affrontate (ad esempio: i mutamenti climatici) o causate da eventi catastrofali imprevisti (epidemici, naturali, bellici o finanziari), espressivamente chiamate “cigni neri” [1];
III) le decisioni e, poi, le azioni di durata di poteri, di varia natura (pubblici, privati, o di fonte convenzionale [2]) e “dimensione”, volte a codeterminare o condizionare il dispiegarsi dei processi delle transizioni “economiche”;
IV) le tipologie di istituti e procedure giuridici che sono, o potrebbero essere, utilizzabili o configurabili per regolare le svariatissime attività connesse alle transizioni economiche; dunque un diritto futuribile.
Senza dilungarsi “in verba generalia” è indispensabile mettere a fuoco, in forma minimale, le issues ora enunciate.
Il lemma “transizione” esprime una dinamica: un processo di mutamento, di durata e complessità molto variabili, da un sistema [3], o equilibrio, caratterizzato ad un altro, di struttura e funzionamento diversamente connotato nei suoi elementi essenziali.
Le transizioni possono essere accompagnate, o condizionate da “decisioni di sistema” di poteri, operanti alle diverse scale e di diversa natura [4]: pubblici (Stati, UE, organismi internazionali) o privati (“Big Tech”, multinazionali egemoni di mercati o beni).
In questi casi i processi trasformativi, nei loro svolgimenti e fasi, formano oggetto anche di azioni di durata dei decisori, ordinate al progressivo conseguimento degli obiettivi individuati; azioni realizzate mediante strumenti regolatori nel senso più lato (precettivi, promozionali, condizionali, negoziali, disincentivanti, correttivi, sanzionatori).
Quanto più i “progetti” a medio – lungo termine sono complessi tanto più, in situazioni “ordinarie”, appaiono difficilmente adottabili e – soprattutto – implementabili coerentemente, negli anni, da parte dei sistemi istituzionali ed economici democratici e pluralistici (Stati occidentali, UE, organismi internazionali), con strutture politiche nelle quali prevalgono spesso decisioni contingenti, equilibri instabili, suggestioni mediatiche, interessi elettorali ed economici divergenti.
È superfluo sottolineare che, nell’era della globalizzazione economica, le transizioni che riguardano, direttamente o di riflesso, le più varie sfere economiche avvengono sempre più spesso a scala sovranazionale, continentale o mondiale.
Nella maggior parte dei casi, in assenza di disegni strategici, le decisioni di poteri – pubblici o privati (ad esempio: Amazon) [5] – non costituiscono una determinante, ma “soltanto” un’invariante, certo condizionante, dei processi transizionali generati da un coacervo di fattori sistemici: economici, tecnologici, sociali, culturali, demografici, politici generali (volta a volta interagenti in equilibri combinatori variabili).
Ma cosa si intende per transizioni “economiche”?
Non è agevole definire il rapporto tra le transizioni e le rivoluzioni economiche.
A livello forzatamente approssimativo, trattandosi di due macroconcetti, si può ipotizzare che le rivoluzioni economiche strutturali, quale indubbiamente è quella telematica/comunicativa in atto [6], determinano, in tempi e modi variabili, processi transizionali di ampia portata.
La qualificazione “economiche” può avere significati molto diversi: può essere riferita semplicemente ai macrosettori “canonici” (primario, secondario, terziario e quaternario) delle attività di produzione e di scambio di beni o servizi. Viceversa, più ampiamente, può estendersi ai principali fattori che interagiscono con la sfera delle attività economiche in senso stretto e ne condizionano gli assetti: la geopolitica, la geografia, le risorse finanziarie, la logistica, l’energia, l’infosfera, i mari, le acque, le risorse naturali, il clima (e, più in generale, l’ambiente), la demografia, la conoscenza e la cultura, nonché – certo non da ultimo – le politiche economiche, le regolazioni e le istituzioni pubbliche, private o “miste” (ad esempio: enti del terzo settore, che svolgono funzioni di interesse generale).
Tutti i fattori ora richiamati sono strettamente intrecciati con i settori economici.
È sufficiente – in proposito – richiamare “per nomina” alcune delle molte discipline che di tali correlazioni si occupano: la geoeconomia, l’economia circolare e dell’ambiente, l’economia della logistica, dell’energia, del territorio, della cultura, della sanità ed ancora: l’economia politica, monetaria, della domanda pubblica, dei mercati finanziari; e, sul versante che qui direttamente interessa, l’analisi economica del diritto ed il diritto dell’economia.
Senza condividere minimamente una visione totemica dell’economia, in particolare come determinante assoluta del diritto positivo [7], sino a quello “costituzionale” eurounitario, si deve constatarne la pervasività e la ramificazione.
È superfluo ricordare che tutte le attività economiche rilevanti – cui s’è accennato – si organizzano in numerosissimi mercati (ad esempio: il mercato delle trasformazioni territoriali, il “mercato territorio”).
E, per traslato, esistono i “mercati – over ed anche under the counter – delle decisioni e delle regole [8]”.
Insomma: il giurista che si voglia occupare delle transizioni “economiche”, intese nel senso allargato qui suggerito, si trova alle prese – metaforicamente – con un vastissimo “arcipelago” di interrelazioni il cui minimo comun denominatore è la rilevanza economica delle attività cui le relazioni stesse ineriscono.
Nell’ottica delle transizioni i sistemi di relazioni vengono analizzati sotto il profilo della loro ininterrotta dinamica ed in molti casi si possono formulare ipotesi sulle loro configurazioni tendenziali (e, conseguentemente, sui “mezzi giuridici” per concorrere a determinare tali configurazioni).
È superfluo anche sottolineare che, nell’era della globalizzazione, anche le transizioni che riguardano – direttamente o di riflesso – le più varie sfere economiche si svolgono a scala nazionale, ma sempre più spesso sovranazionale, continentale se non globale.
Anche “crisi” è un significante polisemico, un “concetto baule” [9], ma in tutti i significati sottende un processo, uno svolgersi.
Al di là dell’analogia ontologica con le transizioni l’esperienza storica mostra che le crisi economiche – già immanenti e conclamate, oppure improvvise ed impreviste – sono un potente fattore di accelerazione delle transizioni “economiche” in quanto impongono, con la forza delle “dure repliche della storia”, la necessità ed urgenza di passare progressivamente da un assetto di sistema ad un altro, strutturalmente differente, ritenuto funzionale alla ripresa ed allo sviluppo.
Alle situazioni di crisi è consustanziale il decidere [10] come tentare di uscirne.
L’esperienza di quasi un secolo – dalla crisi mondiale del 1929, a quella “petrolifera” del 1973, a quella finanziaria del 2008 (in Europa 2011-12), sino a quelle catastrofali attuali (COVID 19 ed invasione e guerra dell’Ucraina) – mostra che gli Stati, la UE (negli anni più recenti) o accordi internazionali hanno svolto e svolgono un ruolo decisivo per fronteggiare e superare le crisi con impatti economici di portata sistemica.
Per i pubblici poteri del mondo contemporaneo (alle diverse scale) l’adozione e l’esecuzione delle “misure” di contrasto e resilienza alle crisi sistemiche costituisce una funzione vitale imprescindibile (quale che sia stata la causa efficiente della crisi: finanziaria, sanitaria, geopolitica, energetica, etc.).
Subito dopo le misure anticrisi d’emergenza, le successive decisioni d’apice devono riguardare il contenuto, la portata e la durata delle misure strutturali di transizione e discendono da un’approfondita valutazione degli effetti rivelatori che la crisi ha mostrato circa le disfunzioni dei settori o sistemi colpiti.
In sintesi: le crisi, soprattutto economiche, come occasione forzata per accelerare i processi di transizione da un modello strutturale ad un altro (che valutazioni politiche, economiche e, sovente, “vincoli esterni” indicano come obiettivo da perseguire).
Sotto questo profilo vengono in rilievo gli intrecci, cui si è accennato, tra le attività economiche, considerate in sé, e le numerose tematiche direttamente correlate.
Di conseguenza le “decisioni di transizione” (ciò vale anche nei casi in cui non siano rese urgenti da una crisi) hanno sovente per oggetto tematiche trasversali quali gli investimenti pubblici (in tutela dell’ambiente, infrastrutture, digitalizzazione, ricerca tecnologica, industrie “green”, agroalimentare, logistica, sanità, conversione ed autonomia energetica) e la promozione di investimenti privati (ad esempio: nell’economia circolare) comunque congruenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
In altre scienze sociali – ad esempio: la storia economica e la sociologia dei cambiamenti – ha grande rilievo se, come e quando si forma la percezione di una transizione “economica”, come fenomeno complesso di rilevanza sistemica, già in atto e/o di cui si avverte la necessità o la rischiosità, da accelerare o contrastare (ad esempio: la deindustrializzazione).
Assumono dunque grande rilievo le cause, le modalità di svolgimento ed i possibili esiti dei processi transizionali, a partire dalla situazione economico-sociale data.
Per i giuristi – ferma restando la necessità di approfondire le specifiche connotazioni di ogni transizione, considerandone i principali fattori (giovandosi dei portati delle scienze economiche) – l’interrogativo primario è come regolare i vari processi di cambiamento che la caratterizzano.
Una funzione di regolazione è connaturata dalla rilevanza sistemica del “fenomeno”, la quale comporta l’inerenza ad esso di vari interessi generali di cui “occuparsi”.
Essendo una funzione consustanziale allo svolgersi della transizione un’eventuale assenza di regolazione avrebbe una funzione negativa [11], sarebbe, cioè, un difetto strutturale del processo transizionale, il quale verrebbe privato dell’”ossatura” indispensabile alla sua funzionalità.
È un postulato [12] che vale, naturalmente, anche per le regolazioni di fonte privata (ad esempio: per quanto riguarda le piattaforme telematiche, che creano e disciplinano nuovi mercati, determinando potentemente le transizioni di molti settori, in primis finanziari [13]). Per queste fonti regolatorie contrattuali, perché attengono a rapporti interprivati, la tutela dei diritti individuali e la cura degli interessi generali postulano il controllo o la vigilanza su di esse da parte di pubblici poteri, ai vari livelli.
È facilmente comprensibile, poi, che dovendo dare un certo ordine a processi multiformi, di portata sistemica e di consistente durata, si debba fare riferimento alla nozione più ampia di regolazione, ivi compresi gli strumenti più flessibili.
Nella “cassetta degli attrezzi” delle regolazioni “economiche” si rinvengono – si sa – procedimenti ed atti d’”ogni genere”.
In scala discendente si va [14] da atti di indirizzo, di varia efficacia conformativa (substitute law), di organismi internazionali pattizi; alla hard law “a cascata” della UE (sino alle “Comunicazioni”); alle normazioni primarie e secondarie, nazionali e regionali; a provvedimenti amministrativi precettivi, come piani, programmi e direttive; ad altri atti di natura assai discussa (come le “Linee Guida” dell’ANAC) ed, infine, a variegate figure di soft law (sempre esemplificando: best practices; accordi programmatici [15]; nudges [16] – le spinte gentili – da parte di pubblici poteri; impegni [17] assunti nei procedimenti sanzionatori dell’AGCM; comunicazioni “correttive” di irregolarità – che solitamente sono “non gentili” – da parte di Banca d’Italia, IVASS e CONSOB).
Naturalmente l’”intensità” e l’articolazione della funzione regolatoria dipendono dalle decisioni politiche [18] che, per quanto ci riguarda, sono soprattutto europee e nazionali.
Nel concreto il mix di misure regolatorie adottate è, volta a volta, differente.
L’esperienza storica porta a dire – schematizzando – che le transizioni imposte o accelerate da crisi economiche sono caratterizzate da un maggiore interventismo pubblico, sub specie di stanziamenti per programmi di investimenti pubblici ed incentivazioni a progetti privati, per dare – a seconda dei casi – abbrivio o impulso ai processi transizionali e, comunque, per indirizzarli.
Ancora: se il “sottostante” e “propellente” della transizione è una crisi si evidenzia più nettamente la complementarietà tra l’evoluzione tecnologica – che è quasi sempre un asse portante della transizione stessa – e la regolazione, la quale deve essere proattiva allo sviluppo ed all’impiego di nuove tecnologie.
In senso opposto emergono due dicotomie: tra concorrenza ed interventi pubblici e tra autoregolazione dei poteri privati e tutela dei diritti ed interessi dei “consumatori” [19]; ambedue si accentuano nelle situazioni di crisi.
Il tratto comune alle regolazioni pubbliche (sempre nel senso più ampio) in materia di transizioni “economiche” – trasversali, multisettoriali o settoriali (ad esempio: l’agroalimentare) che siano – è la diffusa ed ordinante presenza di atti d’indirizzo, politico e amministrativo, che sono indispensabili per cercare di strutturare questi processi complessi, di ampia portata e lunga durata.
In questa sede appaiono di scarso interesse le risalenti discussioni dei costituzionalisti sulla titolarità della funzione di indirizzo politico tra Governo e Parlamento (non foss’altro per l’avvenuta frantumazione della funzione stessa, essendosi suppletivamente aggiunti – in Italia – il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale [20] e le Regioni; nonché per la crescente “sovrapposizione” degli organi istituzionali della UE ed, infine, per le “direttive” di organismi internazionali cui il nostro Paese partecipa) [21].
Sembra più utile mettere a fuoco la molteplicità ed eterogeneità delle forme, cioè degli atti, in cui si cristallizzano gli indirizzi correlati alle transizioni economiche.
Viene in rilievo, a questo proposito, la distinzione di Giannini tra atti precettivi ed atti normativi, schematizzabile nella formula: tutti gli atti normativi sono (ovviamente) precettivi, ma non tutti gli atti precettivi hanno natura normativa [22].
In parole semplici: il genus degli atti precettivi comprende la species di quelli normativi, ma è più ampio in quanto comprende tutti quelli «idonei a stabilire regole di azione vincolanti per il soggetto che li emana e per i soggetti ai quali sono destinati».
Solo gli atti normativi, viceversa, «hanno forza costitutiva della normazione ordinamentale».
L’articolazione atti precettivi “non normativi”/atti precettivi normativi consente una qualificazione giuridica comprensiva di tutti i tipi di atti di indirizzo che – come s’è accennato – costituiscono la trama regolatoria delle transizioni economiche.
Per fare un esempio d’attualità: ha natura di atto precettivo di indirizzo politico generale il PNRR, concretizzazione a scala nazionale del Next Generation UE (il quale è atto precettivo programmatico dell’Unione).
Tale precettività è legittimata dall’adozione da parte del Governo e dalla successiva approvazione da parte del Parlamento [23].
In sé – nella sua struttura contenutistica – è tipicamente un atto programmatico la cui complessa attuazione avviene:
– sia mediante atti normativi – in primis le riforme “abilitanti” [24] (giustizia, concorrenza, digitalizzazione, contratti pubblici, etc.) da approvarsi con leggi o leggi di delegazione, seguite da decreti attuativi; atti normativi che costituiscono il “precipitato” degli indirizzi del PNRR;
– sia mediante le leggi di bilancio (recanti le risorse per la realizzazione dei programmi operativi, settoriali o intersettoriali) o mediante leggi di settore;
– sia, infine, mediante piani e programmi – taluno in forma di legge provvedimento, la massima parte di natura amministrativa – di vario oggetto: “trasversali” come il PNIEC (energia e clima) o il PTE (transizione ecologica [25]), multisettoriali od oggettuali, (di azioni e/o investimenti pubblici). La gran parte di tali piani prevede la destinazione di risorse a numerosi progetti operativi, alle varie scale e con vari obiettivi, con l’indicazione di tempi, soggetti attuatori, monitoraggi, aggiornamenti.
Senza avventurarci nella complessa “cosmogonia” del PNRR e limitandoci ad utilizzarlo come caso di studio emblematico di atto precettivo ordinato ad una transizione multipla e sinergica – con obiettivi, al contempo, di competitività e sviluppo economico, di realizzazione del principio eurounitario di integrazione ambientale e di sviluppo civile – vengono in rilievo due profili.
Il primo, generale, è la conferma delle centralità – nella regolazione delle transizioni economiche – di varie specie di atti di indirizzo, normativi o precettivi, posti in sequenze variabili, che costituiscono l’asse portante dal quale si dipartono le misure di orientamento, promozione e conformazione dei processi transizionali, da parte dei pubblici poteri.
Il secondo è il vistoso “rientro sulla scena” politico-amministrativa delle programmazioni [26] come configurazione [27] elettiva degli atti di indirizzo; programmazioni di cui era stata prematuramente decretata la recessività negli anni recenti del “neoliberismo regolatorio” [28].
Può esser, utile sul punto una breve riflessione più generale.
In realtà le programmazioni – benché, negli ultimi decenni, neglette dagli studiosi e “dimenticate” dalle amministrazioni – sono ineliminabili perché consustanziali ai processi di scelte discrezionali di priorità tra interventi (e, quindi, tra interessi, da promuovere o “contenere”) da realizzare in un dato ambito spazio temporale [29]. Si pensi solo ai piani territoriali, di sviluppo, dei trasporti, dell’energia, di opere infrastrutturali, di digitalizzazione, di forniture militari, di dismissioni di beni.
In questi ed altri ambiti non “bastano” le regolazioni normative, staticamente, livellatrici di comportamenti e del campo di gioco, e sono indispensabili le programmazioni che prefigurano dinamicamente assetti futuri ritenuti ottimali [30].
Per rimanere al tema di queste note le programmazioni – “tornate sulla scena” – quale “parte in commedia” sono chiamate a recitare nei processi delle transizioni economiche, lunghe come telenovelas?
Fuor di metafora: quali tipi di programmazioni, tra le varie “specie conosciute” (e, in passato, ideologicamente contrapposte), possono essere elettivamente utilizzabili ai fini delle transizioni economiche?
Una tassonomia aggiornata tendenzialmente esclude, nei Paesi ad economia di mercato – pur “corretto” da pubblici poteri – i piani imperativi che funzionalizzano le imprese.
Le programmazioni ordinate alle transizioni economiche sono, “in prima battuta”, per antonomasia, programmazioni di scopo, per obiettivi, a medio-lungo termine, che servono a «guidare i centri decisionali della pubblica amministrazione verso obiettivi di effetti desiderati» [31].
“In prima battuta” perché – come s’è detto – è del tutto probabile che, a fronte del complesso dipanarsi dei processi transizionali, i pubblici poteri che intendono governarli “accompagnandoli” si dotino di un disegno generale (master plan) in progress – in termini giuridici di un atto d’indirizzo a formazione progressiva – nel quale sono indicate, con gli obiettivi, anche le molteplici azioni (e, in qualche caso, le misure urgenti) coordinate al perseguimento degli obiettivi stessi.
Tali azioni possono essere sia di tipo normativo, volte a disciplinare comportamenti di amministrazioni e di attori economici, sia programmazioni e pianificazioni.
Delle prime si accennerà più avanti.
Le seconde possono avere natura diversa. Sempre schematizzando possono essere innanzitutto programmi di investimenti pubblici in vari settori, la cui adozione e realizzazione può esser affidata ad amministrazioni o società a controllo pubblico, ma più spesso ad enti del terzo settore o a privati.
Nel loro insieme costituiscono la domanda pubblica [32] che concorre a stimolare ed orientare la transizione.
Analoga funzione promozionale hanno anche le programmazioni condizionali che – com’è noto – subordinano l’accesso ad ausili finanziari pubblici, da parte di imprese o enti no profit, alla presentazione di progetti conformi alle finalità ed ai requisiti (“condizionalità”) stabilite nel programma.
Infine vi sono le pianificazioni conformative di attività private, in primo luogo quelle territoriali ed urbanistiche.
Una verifica delle ipotesi ora accennate può essere fatta, “in corpore vivo”, analizzando il PNRR il quale è, in sé, un atto programmatico a contenuti, obiettivi e misure molteplici, buona parte dei quali devono esser realizzati mediante piani e programmi amministrativi i cui oggetti ed ambiti spaziali sono i più diversi (e, di conseguenza, lo sono anche i procedimenti ed i contenuti precettivi).
Nella congerie di pianificazioni implicate dal PNRR si rinvengono alcuni tratti comuni:
– l’essere funzionali, in via diretta o mediata, al “modello” di transizione ritenuto preferibile per ciascuno dei macrotemi (ad esempio: l’energia);
– l’avere la componente finanziaria come asse portante;
– l’individuazione di uno o più soggetti attuatori, cui spetta la responsabilità della realizzazione e del monitoraggio del piano;
– l’immanenza, più o meno “vicina”, di poteri di monitoraggio sostitutivi in quanto i piani sono segmenti del PNRR di cui è imprescindibile l’attuazione.
L’attuazione “diffusa” – tra centro e periferia, tra soggetti pubblici e privati – di piani e programmi è un portato del pluralismo istituzionale degli Stati contemporanei (e della stessa UE) e del principio di sussidiarietà [33]; è inevitabile, ma comporta forti rischi di “colli di bottiglia” [34] o di finire in qualche pantano amministrativo [35].
La struttura giuridica del PNRR è stata ben sintetizzata da Amato [36]: «Siamo dunque nei limiti di azioni di indirizzo, promozione e coordinamento di molteplici attività, pubbliche e private, che saranno necessarie in modi e tempi non eludibili e che non sarebbero diversamente coordinabili (certo non lo farebbe il mercato). Di tali azioni, perciò, è ben difficile negare il fondamento e l’utilità, oltre che la permanenza entro i confini di un ruolo pubblico, che è e rimane di programmazione e che di certo non arriva alla conformazione del privato».
(Su quest’ultima affermazione vi sarebbe da dubitare: i piani urbanistici o ad oggetto ambientale conformano le attività dei privati).
È da chiedersi, infine, se le transizioni economiche postulino uno specifico diritto privato regolatorio [37], felice espressione con cui si sintetizza l’immanente necessità che i pubblici poteri regolino le discipline contrattuali di fonte privatistica – poste soprattutto dalle piattaforme digitali o da grandi oligopolisti di beni e servizi – per limitarne il potere di mercato arbitrario ed asimmetrico.
Tale potere – suggestivamente paragonato [38] a quello degli dei della mitologia greca nei confronti dei mortali – se non arginato e proporzionato può influenzare anche il corso delle transizioni economiche.
Gli strumenti mediante i quali i pubblici poteri, eurounitari o nazionali – a tutela del mercato aperto e dei clienti retail – impongono alle imprese discipline contrattuali meno asimmetriche sono essenzialmente di tipo normativo (direttive e regolamenti UE; leggi, decreti delegati, regolamenti, di Ministeri o di Autorità indipendenti, che le norme primarie hanno incaricato di dettare discipline attuative).
Le norme, di vario genere e livello, ben possono – più delle programmazioni – avere contenuti conformativi sia dell’organizzazione che dell’attività di categorie di imprese (in concreto contenuti conformativi dei modelli organizzativi e dei contratti mediante i quali operano).
Un esempio recente di regolamentazione eurounitaria di sistema è il Digital Market Act, sul quale è stato raggiunto un accordo politico tra Commissione e Parlamento europeo, che qualifica le piattaforme come “gatekeeper” – intermediari che determinano l’organizzazione di mercati telematici – e ne disciplina le attività.
È pacifico che le “correzioni” delle asimmetrie e disfunzioni dei mercati mediante norme conformative [39] di imprese trovano fondamento sia nella “Costituzione economica europea” che nell’art. 41 della Costituzione (novellato con l’inserimento dell’ambiente tra i “superinteressi” generali da tutelare, disciplinando le attività delle imprese).
Normazioni recenti hanno previsto che alcune categorie di imprese sia accertata la conformità ai criteri ESG, acronimo di Environmental Social and Governance, quale condizione legittimamente per l’accesso a finanziamenti pubblici e privati, ivi compreso il riscorso al mercato dei capitali, con l’ingresso di Fondi di investimento.
Su questo terreno si può ipotizzare una saldatura tra le azioni e misure ordinate alle transizioni economiche e le normative che prescrivono il possesso dei requisiti ERG e di altri volta a volta prescritti.
Ben possono infatti le programmazioni condizionali, che prevedono finanziamenti pubblici di attività private, subordinare l’accesso ad essi non solo alla presentazione di progetti funzionali al programma, ma anche al possesso di requisiti qualitativi soggettivi, tra i quali – ove occorra – quelli ERG.
Analogo ragionamento può farsi per gli investimenti pubblici.
Le procedure attuative relative agli affidamenti della realizzazione degli interventi previsti nei programmi di investimento ben possono prevedere il possesso dei requisiti ERG, oltre a quelli normalmente richiesti. È, se si vuole, una sorta di nudge rafforzata.
[1] N.N. Taleb, Il cigno nero, Il Saggiatore, Milano, 2007, passim.
[2] H. Kelsen, La théorie juridique de la convention, in Rev. Int. Phil Dr., 1940.
[3] Sui sistemi complessi, spiegati ai “non tecnici”, v. il libro del Premio Nobel G. Parisi, In un volo di storni, Rizzoli, Milano, 2021, cap. I.
[4] G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, Cedam, Padova, 2021, p. 55 ss.
[5] L. Ammannati, I “signori” nell’era dell’algoritmo, in Dir. pubbl. n. 2/2021, p. 381 ss.
[6] F. Merusi, Sulla “struttura” della rivoluzione economica comunicativa in AA.VV. Diritti e mercati nella transizione ecologica e digitale, Studi dedicati a Mauro Giusti, a cura di M. Passalacqua, Cedam, Padova, 2021, p. 31 ss.
[7] Prospettiva che faceva dire a M. Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano 2005, p. 81: “l’economia è creatrice di diritto pubblico” (il che è vero, ma assieme ad altre determinanti: la politica, la domanda sociale, la cultura civile, etc.).
[8] Di “mercato delle leggi” trattano G. Napolitano-M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Il Mulino, Bologna 2009, p. 167 ss., ma – com’è noto – le tipologie delle regolazioni sono molto più numerose ed articolate e comprendono moltissimi atti precettivi, hard e soft. Soprattutto, nei sistemi complessi che caratterizzato la contemporaneità, vengono in rilievo molte matrici non tradizionali di produzione di regolazioni: dalla scienza (si pensi allo stato di emergenza sanitario), alla tecnica (che costituisce la base – ad esempio – del PNIEC), all’intelligenza artificiale; v. in tema il bel saggio di E. D’Orlando, Politica, tecnica e scienza: il sistema delle fonti di fronte al dilemma della complessità, in Dir. amm., n. 4/2021, p. 713 ss.
[9] Al tema sono dedicate intere biblioteche. E plurimis v. la sintesi di C. Colloca, La polisemia del concetto di crisi: società, culture, scenari urbani in SOCIETÀ MUTAMENTOPOLITICA, www.fupress.com/smp (2010).
[10] Tucidide, La guerra del Peloponneso, Garzanti, Milano 2007, usa il vocabolo nel senso di valutare e decidere.
[11] N. Bobbio, L’analisi funzionale del diritto: tendenze e problemi, in Id., Dalla struttura alla funzione, Edizioni di Comunità, Milano, 1977, pp. 100-101.
[12] Sant’Agostino, Enchiridion 1.4, nel suo “Manuale”, usa il termine per indicare i principi fondamentali.
[13] L. Ammannati, Verso un diritto delle piattaforme, digitali? in AA.VV., Algoritmi, BigData, piattaforme digitali, a cura di L. Ammannati-A. Canepa-G.L. Greco-U. Minneci, Giappichelli, Torino, 2021, p. 3 ss.
[14] Sia consentito il rinvio a S. Amorosino, Trasformazioni dei mercati, nuovi modelli regolatori e diritto dell’economia in Id., Le dinamiche del diritto dell’economia, Pacini, Pisa, 2018, pp. 30-31.
[15] E. Picozza, Introduzione al diritto amministrativo, Cedam, Milano, 2018, p. 314 ss.
[16] R.H. Thaler-C.R. Sunstein, La spinta gentile (2009), ed. it. Feltrinelli, Milano, 2014, p. 107 ss.
[17] F. Ghezzi-G. Olivieri, Diritto antitrust, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 311-314.
[18] N. Irti, Del salire in politica, Aragno, Torino, 2014, p.19, nitidamente sottolinea che “La necessità della politica è la necessità stessa della decisione, che permette a una comunità di disegnare il corso del futuro”.
[19] V. S. Amorosino, Le dicotomie delle regolazioni economiche nell’attuale contingenza di crisi in Id., Le regolazioni pubbliche delle attività economiche, Giappichelli, Torino 2021, p. 15 ss.
[20] M. Perini, voce Indirizzo politico (postilla di aggiornamento, 2007) in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989.
[21] L. Casini, Lo Stato nell’era globale, Mondadori, Milano, 2020, p. 33 ss.
[22] M. S. Giannini, Introduzione al diritto costituzionale, Bulzoni Editore, Roma, 1984, p. 69 ss.
[23] Sulla natura giuridica del PNRR v. F. Cintioli, Risultato amministrativo, discrezionalità e PNRR: una proposta per il Giudice in www.giustiziamministrativa.it 2021; G. Montedoro, Il ruolo di Governo e Parlamento nell’elaborazione ed attuazione del PNRR in www.giusti
ziamministrativa.it, 2021.
[24] A. Police, Riforme abilitanti in materia di contratti pubblici, riforma della concorrenza e impatto atteso delle rispettive misure in AIPDA, Next Generation UE. Proposte per il piano nazionale di ripresa e resilienza in www.aipda.it.
[25] F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni in Dir. amm., n. 4/2021, p. 779 ss.; AA.VV., Diritti e mercati nella transizione ecologica e digitale, a cura di M. Passalacqua, Cedam, Milano, 2021.
[26] In tema v. R. Dipace, Politiche e strumenti amministrativi per lo sviluppo dell’economia, in Dir. amm. 2020, p. 903 ss.
[27] Molti contributi interessanti sono contenuti in AA.VV. Scritti in onore di Maria Immordino, Edizioni Scientifiche, Napoli, 2022: A. Barone, Il tempo della perequazione: Il Mezzogiorno nel PNRR; M. Clarich, La riforma della pubblica amministrazione nello scenario post Covid-19: le condizioni per il successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza entrambi nel vol. I, nonché F. Manganaro, La perequazione territoriale nel PNRR alla luce della questione meridionale; V. Molaschi, L’economia circolare nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; V. Tondi della Mura, Recovery Fund e Recovery Plan fra solidarietà, mercato e sviluppo: un equilibrio irrisolto, vol. III.
[28] L. Torchia, Introduzione al Capitolo 5 in AA.VV. Diritto amministrativo progredito, a cura di L. Torchia, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 128 ss; su cui v. le osservazioni critiche di S. Amorosino, Regolazione e programmazione delle infrastrutture, in Id. Le regolazioni pubbliche, cit. p. 78 ss.
[29] Secondo l’efficace formula di sintesi, tuttora valida, di A. Predieri, Pianificazione e Costituzione, Edizioni di Comunità, Milano, 1963.
[30] S. Amorosino, Leggi e programmazioni amministrative: diversità funzionale e riserva di amministrazione in Id. Regolazioni pubbliche mercati imprese, Giappichelli, Torino, 2008, p. 3 ss.
[31] G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, cit. p. 76 ss.
[32] E. Cardi, Mercati ed istituzioni in Italia, Giappichelli, Torino, 2014, p. 241 ss.
[33] M. Renna, I principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in AA.VV., Studi sui principi del diritto amministrativo, a cura di M. Renna-F. Saitta, Giuffrè, Milano, 2012, p. 283 ss.
[34] F. Fracchia, Colli di bottiglia nell’attuazione del PNRR e modello di pubblica amministrazione in AIPDA New Generation UE, cit.
[35] Traduzione del nomignolo dato alle complicazioni delle pubbliche amministrazioni da C.R. Sunstein, Sludge, The MitPress, Boston, 2021.
[36] G. Amato, Bentornato Stato, ma, Il Mulino, Bologna, 2022, p. 97.
[37] R. Natoli, Diritto privato regolatorio in questa Rivista, n. 2/2020.
[38] Y. Meny, Democrazia: l’eredità politica greca, Ariele, Milano 2022.
[39] A. Predieri, Il mercato corretto. La certa osmosi – Gli incerti paradigmi, 2001, rimasto inedito per l’improvvisa scomparsa del Maestro, che ne regalò una prima versione dattiloscritta agli allievi.