Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Il potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti tra matière pénale e divieto di bis in idem (note a margine della sentenza Corte EDU, Grande Stevens e altri c. Italia, 4 marzo 2014) (di Feliciano Palladino)


«1. Il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di severità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata (Engel e altri c. Paesi Bassi), e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta. […] Alla luce di quanto è stato esposto e tenuto conto dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle cui erano passibili i ricorrenti, la Corte ritiene che le sanzioni [per l’illecito di manipolazione del mercato] rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale. […]

2. La Corte reputa che il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfi tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale […]

Per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, la Corte nota che il regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra organi incaricati dell’indagine e organo competente a decidere sull’esistenza di un illecito e sull’applicazione delle sanzioni […] Rimane comunque il fatto che l’ufficio IT, l’ufficio sanzioni e la commissione non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Secondo la Corte, ciò esprime il consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione; ora, in materia penale tale cumulo non è compatibile con le esigenze di imparzialità richieste dall’art. 6 § 1 della Convenzione. […]

3. La Corte rammenta che, nella causa Serguei Zolotukhin c. Russia, la Grande Camera ha precisato che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo ‘illecito’ nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi […]. La Corte osserva che, contrariamente a quanto sembra affermare il Governo, dai principi enunciati nella causa Serguei Zolotukhin sopra citata risulta che la questione da definire non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti previsti dagli articoli 187-ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998 siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dalla CONSOB e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta […].

Secondo la Corte, si tratta chiaramente di un’unica e stessa condotta da parte delle stesse persone alla stessa data. […] Di conseguenza, la nuova azione penale riguardava un secondo ‘illecito’, basato su fatti identici a quelli che avevano motivato la prima condanna definitiva».

  

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Il procedimento sanzionatorio CONSOB in materia di abusi di mercato e la matière pénale - 3. Sanzioni amministrative e principi del giusto processo: l’esten­sione della portata applicativa dell’art. 6 CEDU al procedimento sanzionatorio CONSOB - 4. Il divieto di bis in idem tra procedimento sanzionatorio (formalmente) amministrativo e giudizio penale - 5. Problemi aperti nel diritto vivente: la necessità di un ripensamento del sistema sanzionatorio a doppio binario - NOTE


1. Il caso

Il caso oggetto della pronuncia in commento trae origine da un procedimento sanzionatorio avviato dalla CONSOB nei confronti di alcuni esponenti di primo piano del management del gruppo FIAT e dei loro consulenti, accusati di aver diffuso un falso comunicato nell’ambito della complessa vicenda finanziaria generata da un prestito convertibile contratto da FIAT S.p.a. con alcune banche.

L’accordo prevedeva che, in caso di mancato rimborso, gli istituti di credito avrebbero potuto compensare gli importi dovuti acquisendo il controllo della società debitrice mediante sottoscrizione di azioni di nuova emissione.

Secondo l’ipotesi accusatoria, i responsabili avrebbero volontariamente o­messo di menzionare nel comunicato le trattative in corso tra l’Avv. Grande Stevens e la banca d’affari Merril Lynch International Ltd per la rinegoziazione di un contratto di equity swap, la cui modifica avrebbe consentito agli azionisti di riferimento di FIAT di non perdere il controllo della società.

Al termine dell’istruttoria, la CONSOB ha riconosciuto gli accusati colpevoli dell’illecito di manipolazione del mercato (art. 187-ter t.u.f.) ed ha conseguentemente inflitto loro pesanti sanzioni pecuniarie ed interdittive, la cui misura è stata successivamente ridotta dalla Corte d’Appello di Torino e confermata definitivamente dalla Cassazione con sentenza del 23 giugno 2009.

Sulla base dei medesimi fatti contestati in sede amministrativa, i responsabili della diffusione del comunicato sono stati accusati del delitto di cui all’art. 185 t.u.f. (manipolazione del mercato) e rinviati a giudizio innanzi al Tribunale di Torino.

Nelle more della definizione del primo grado di giudizio, gli interessati hanno proposto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, denunciando una serie di violazioni dei principi sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli addizionali.

In via preliminare, i ricorrenti hanno sostenuto che, a dispetto della scelta classificatoria operata dal legislatore italiano, l’illecito contestato dall’Autorità di Vigilanza dovesse qualificarsi come sostanzialmente penale ai fini dell’ap­plicazione delle garanzie previste dalla CEDU.

Muovendo da tale assunto, gli interessati hanno censurato la procedura sanzionatoria svoltasi innanzi alla CONSOB per violazione delle garanzie in materia di equo processo (art. 6 CEDU), ponendo in rilievo (i) l’assenza di contraddittorio sui fatti oggetto dell’accusa, (ii) il mancato svolgimento di un’u­dienza pubblica e (iii) il palese difetto d’imparzialità dell’organo preposto a decidere fatti oggetto di contestazione.

I ricorrenti hanno altresì dedotto la violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4, Protocollo 7, CEDU, che, come è noto, impone agli Stati firmatari di non sottoporre a procedimento penale chi sia stato già condannato in via definitiva per lo stesso fatto. Nel caso di specie, secondo i ricorrenti, la natura sostanzialmente penale del procedimento svoltosi innanzi alla CONSOB avrebbe dovuto escludere l’esercizio dell’azione penale, posto che le due contestazioni avevano ad oggetto la medesima condotta.


2. Il procedimento sanzionatorio CONSOB in materia di abusi di mercato e la matière pénale

Le censure promosse dai ricorrenti muovono tutte da un assunto comune: nonostante la dichiarata qualificazione amministrativa del procedimento svoltosi innanzi alla CONSOB, le sanzioni inflitte ai responsabili dei comunicati devono considerarsi sostanzialmente penali e, come tali, interessate dal sistema di tutele che la Convenzione riserva alla matière pénale.

Come è noto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha da tempo elaborato una nozione di illecito penale del tutto autonoma rispetto alle classificazioni operate dagli ordinamenti interni, ciò al fine di evitare che i legislatori nazionali possano eludere le garanzie convenzionali riservate alla materia penale semplicemente attribuendo a determinati illeciti carattere amministrativo o disciplinare [1].

Nella celebre pronuncia sul caso Engel ed altri c. Paesi Bassi [2], la Corte EDU ha enucleato tre criteri a ricorrere dei quali un’infrazione può essere attratta nell’orbita penale [3].

Il primo attiene alla qualificazione operata dal diritto interno, che tuttavia assume un’importanza relativa nel ragionamento della Corte e serve soltanto come punto di partenza del percorso ermeneutico: se l’illecito è qualificato come penale dall’ordinamento nazionale, trovano immediata applicazione le garanzie convenzionali, senza necessità di ricorrere ad ulteriori indagini [4] [5].

Non vale, invece, il reciproco, di talché, in assenza di tale requisito formale, il Collegio procede a valutare la natura sostanziale della fattispecie applicando i restanti parametri [6] [7].

Il secondo criterio riguarda la natura dell’infrazione, che viene accertata alla luce delle finalità perseguite dal legislatore attraverso l’adozione della norma sanzionatoria.

In particolare, occorre verificare che la sanzione connessa all’illecito sia posta a salvaguardia di interessi generali – normalmente tutelati dal diritto penale – e si caratterizzi per la sua funzione deterrente e repressiva, non potendosi qualificare come penali sanzioni aventi un carattere meramente risarcitorio o ripristinatorio [8].

L’ultimo criterio attiene, infine, alla gravità della sanzione.

Secondo la Corte, tale parametro deve essere valutato in astratto, prendendo come riferimento la pena massima edittale prevista per l’illecito e, dunque, prescindendo dall’accertamento della gravità della sanzione inflitta nel caso concreto [9].

È bene rilevare che, mentre il primo criterio (la qualificazione attribuita dal diritto interno) da solo non è mai decisivo al fine di stabilire la natura di un illecito, la presenza di almeno uno degli altri due parametri è in genere ritenuta sufficiente per ricondurre la fattispecie nella materia penale.

La Corte si riserva peraltro la possibilità di adottare un approccio cumulativo qualora l’analisi dei singoli criteri non le consenta di pervenire ad una soluzione certa quanto all’intrinseca natura della fattispecie sanzionatoria [10].

Nel caso di specie, quanto alla natura dell’illecito, la Corte europea ha osservato che la norma sanzionatoria violata dai ricorrenti ha la funzione «di garantire l’integrità dei mercati finanziari e di mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni» e che la stessa CONSOB ha tra i suoi scopi il perseguimento di «interessi generali della società, normalmente tutelati dal diritto penale» [11].

Per quanto riguarda la gravità della sanzione, il Collegio ha invece osservato che il sistema punitivo introdotto dal legislatore italiano con la legge n. 62/2005 si caratterizza per sanzioni pecuniarie particolarmente afflittive e «comporta per i rappresentanti delle società coinvolte, la perdita temporanea della loro onorabilità», e, nel caso di società quotate, «l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo […] per una durata variabile da due mesi a tre anni» [12].

Sulla scorta di tali considerazioni, «tenuto conto delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle cui erano passibili i ricorrenti», in continuità con i suoi precedenti in materia, la Corte ha stabilito che «le sanzioni in causa rientr[a]no, per la loro severità, nell’ambito della materia penale» e che, pertanto «il profilo penale dell’art. 6 § 1 [è] applicabile nel caso di specie» [13].


3. Sanzioni amministrative e principi del giusto processo: l’esten­sione della portata applicativa dell’art. 6 CEDU al procedimento sanzionatorio CONSOB

Muovendo da tale approdo preliminare, la Corte di Strasburgo ha accolto parzialmente le doglianze promosse dai ricorrenti con riferimento all’art. 6 CEDU, censurando sia il mancato rispetto dei canoni di equità e pubblicità della procedura sia l’insufficiente imparzialità dell’organo preposto a decidere sulla fondatezza dell’accusa.

Quanto al primo profilo, il Collegio ha innanzitutto dato atto che la sanzione era stata inflitta sulla base di quanto riportato in un documento predisposto dagli organi investigativi dell’Autorità e rispetto al quale i ricorrenti non erano stati posti in condizione di difendersi in maniera adeguata [14].

Come è noto, il principio di parità delle armi tra accusa e difesa è espressione del più generale principio del giusto processo consacrato dall’art. 6 §1 CEDU, per cui gli Stati firmatari hanno l’obbligo di tutelare il diritto dell’interes­sato a partecipare attivamente al giudizio che lo vede coinvolto, garantendogli la miglior difesa possibile.

Sul punto, l’orientamento espresso dalla Corte è costante nel­l’af­fermare che le parti hanno sempre il diritto di poter contraddire eventuali osservazioni formulate dall’accusa, specie quando il parere reso dagli organi inquirenti possa influire in maniera determinante sulla decisione finale [15].

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la mancata comunicazione del documento predisposto dagli organi investigativi dell’Autorità aveva di fatto impedito ai ricorrenti di controdedurre all’ipotesi accusatoria, violando il diritto degli interessati di partecipare al procedimento e di influire attivamente sulla formazione del convincimento dell’organo giudicante.

Ciò detto, la Corte ha posto l’accento sulla mancata celebrazione di un’u­dienza pubblica nel corso del procedimento e nella successiva fase di opposizione innanzi alla Corte d’Appello di Torino evidenziando come tale vizio procedimentale non potesse ritenersi sanato dall’udienza – questa sì, aperta al pubblico – svoltasi davanti alla Corte di Cassazione, attesa la limitata cognizione affidata al Giudice di legittimità [16].

Passando al secondo profilo di doglianza, il Collegio ha innanzitutto richiamato i criteri elaborati dalla giurisprudenza per definire il concetto di imparzialità: secondo la Corte, perché venga rispettata la disciplina dell’art. 6 CEDU, è necessario che l’organo giudicante sia caratterizzato da una terzietà sia soggettiva che oggettiva [17].

Quanto al primo aspetto, nessun componente dell’organo deve avere pregiudizi personali nei confronti dell’accusato e non deve essere portatore di interessi confliggenti con lo stesso [18].

L’imparzialità oggettiva consiste, invece, nell’escludere ogni legittimo dubbio in merito alla terzietà dell’organo nel suo complesso, prescindendo quindi dalle caratteristiche personali dei suoi componenti [19].

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato una carenza di imparzialità oggettiva dell’organo preposto all’irrogazione della sanzione: secondo la Corte, infatti, gli uffici dotati di poteri d’indagine e quelli competenti ad assumere la decisione finale sull’accusa, sebbene formalmente distinti, «non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Secondo la Corte, ciò determina il consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione; ora, in materia penale tale cumulo non è compatibile con le esigenze di imparzialità richieste dall’articolo 6 § 1 della Convenzione» [20].

Tali rilievi fanno il paio con quanto affermato nella nota pronuncia Dubus S.A. c. Francia, in cui la Corte ha vagliato la compatibilità della struttura organizzativa della Commission bancaire francese (COB) con i parametri di imparzialità imposti dall’art. 6 CEDU [21].

Anche in quel caso – esattamente come nella pronuncia in commento – i Giudici europei hanno stabilito che, nonostante la formale distinzione tra l’or­gano istruttorio-accusatorio (il Secrétariat Général) e l’organo competente ad irrogare la sanzione (la Commission), la presenza di uno stretto rapporto di interdipendenza tra gli stessi non garantiva il rispetto delle esigenze di imparzialità richieste dalla Convenzione.

Per dare esecuzione alla sentenza, il legislatore francese ha completamente riformato l’organizzazione amministrativa in materia di vigilanza bancaria, devolvendo le funzioni prima attribuite alla Commission bancaire a due organi nettamente distinti: la Commission des sanctions, competente a decidere sulla fondatezza delle accuse e ad irrogare le sanzioni, e il Collège, che svolge funzioni di indagine e di vigilanza continua sulle condotte poste in essere dagli operatori [22].

Occorre dunque chiedersi se, sulla scorta delle statuizioni contenute nella sentenza Grande Stevens, non sia necessario recepire anche nel nostro ordinamento le indicazioni della Corte di Strasburgo in merito all’interpretazione dell’art. 6 CEDU, adeguando la struttura organizzativa delle Autorità amministrative ai principi espressi in sede europea.

Per la verità, il legislatore italiano si era già mosso in tale direzione con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha introdotto una serie di innovazioni volte a garantire una maggiore imparzialità ed obiettività delle decisioni assunte all’esito delle procedure sanzionatorie di competenza degli Organismi di Vigilanza [23]. Tuttavia, a valle della pronuncia in commento, ci si trova costretti a rilevare che tale intervento non ha raggiunto il proprio scopo e necessita di essere ulteriormente affinato.

Sebbene, infatti, il legislatore nazionale si sia preoccupato di introdurre l’obbligo di attuare una separazione tra funzione istruttoria e funzione decisoria, dalla disamina dei regolamenti adottati dalle diverse Autorità al fine di disciplinare i propri procedimenti sanzionatori emerge la tendenza a disciplinare la procedura di accertamento degli illeciti secondo una struttura trifasica che non sembra garantire una piena conformità ai principi espressi dalla Corte di Strasburgo.

Più nel dettaglio, il modello regolatorio adottato da quasi tutte le Autorità italiane prevede: (i) la prima fase di apprensione dei fatti (o pre-istruttoria), durante la quale vengono raccolte informazioni e dati sulla presunta infrazione, allo scopo di decidere se sia opportuna l’apertura di un’istruttoria ovvero sia possibile disporre l’archiviazione degli atti; (ii) la fase istruttoria, in cui l’Autorità esercita penetranti poteri di accertamento allo scopo di raccogliere gli elementi probatori necessari a sostenere l’accusa [24]; e, infine, (iii) la fase decisoria, all’esito della quale viene adottato il provvedimento finale.

Si è già avuto modo di evidenziare che, secondo i dettami della Corte EDU, l’esigenza di imparzialità della decisione finale può ritenersi garantita solo ove alla formale separazione tra fase istruttoria e fase decisoria corrisponda un effettivo divieto dell’organo preposto all’adozione della misura sanzionatoria di interferire nell’attività degli uffici che hanno istruito la causa e che hanno mosso le contestazioni.

Dall’analisi dei procedimenti sanzionatori di competenza delle diverse Autorità indipendenti nazionali emerge, invece, una sostanziale sovrapposizione tra le funzioni dell’organo che svolge attività d’indagine e quelle dell’organo deputato all’irrogazione della sanzione finale.

Con particolare riferimento al procedimento sanzionatorio diretto dal­l’Au­torità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI), il Regolamento che disciplina la procedura attribuisce agli uffici e al responsabile del procedimento le competenze connesse alla fase pre-istruttoria e a quella istruttoria, investendo un diverso organo (il Collegio) del compito di assumere il provvedimento finale [25].

Occorre, peraltro, rilevare che, sebbene la fase istruttoria sia condotta dagli uffici, essa è comunque soggetta alla direzione dell’autorità deliberante, cui spetta il potere di decidere sugli atti più importanti dell’attività di accertamento. In tale prospettiva, gli organi inquirenti si limitano a svolgere una funzione stru­mentale e di mero supporto al procedimento sanzionatorio.

Ed infatti, l’art. 4, comma 1, del Regolamento prevede che, nei casi di presunte infrazioni, il Collegio, valutate le proposte degli uffici, abbia competenza esclusiva a deliberare sull’avvio dell’istruttoria. Inoltre, ai sensi del successivo art. 11, l’esercizio del potere di effettuare verifiche ispettive, perizie o consulenze da parte del responsabile del procedimento deve essere previamente autorizzato dall’organo collegiale.

Considerazioni in parte analoghe valgono per il procedimento di competenza dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART).

Il Regolamento che disciplina l’esercizio del potere sanzionatorio ripropone la scissione tra fase preliminare, fase istruttoria e fase decisoria e, parallelamente, investe gli uffici dei poteri inquisitori e il Consiglio dei poteri deliberativi [26].

Tuttavia, ancora una volta, l’esigenza che la delibera finale sia assunta da un organo imparziale perché privo di cognizione circa la precedente attività di accertamento non pare pienamente garantita.

Innanzitutto, l’art. 5 del Regolamento dispone che sia il Consiglio ad autorizzare l’avvio del procedimento sulla base delle proposte degli uffici e degli elementi probatori acquisiti nella fase pre-istruttoria. Pertanto, già nel corso delle indagini preliminari l’organo decisorio assume contezza dei fatti e valuta la sussistenza dei presupposti per un intervento sanzionatorio.

Diversamente da quanto accade nel corso del procedimento diretto dal­l’AEEGSI, non è invece necessaria la preventiva autorizzazione del Consiglio per i principali interventi accertativi eseguiti dal responsabile del procedimento. Per vero, tale peculiarità, più che ispirata da un’esi­genza di effettiva separazione delle funzioni, sembrerebbe doversi ricondurre alla minore incisività dei poteri inquisitori che il regolamento attribuisce all’autorità competente operante in seno all’Autorità di regolazione dei trasporti [27].

La sovrapposizione sostanziale tra funzione istruttoria e funzione decisoria riemerge peraltro nella fase finale del procedimento sanzionatorio, per via del riconoscimento al Consiglio del potere di richiedere agli uffici un supplemento d’indagine, con specifica indicazione degli elementi da acquisire [28]: tale facoltà, infatti, consente all’organo collegiale di dirigere l’attività istruttoria e di assu­mere rispetto ad essa una posizione che mal si concilia con la terzietà ed imparzialità richieste dalle norme della CEDU.

Alla luce di quanto brevemente illustrato, si evince che il rischio di parzialità dell’organo competente all’adozione delle misure sanzionatorie nei procedimenti di competenza delle Autorità indipendenti non risulta definitivamente neutralizzato e, conseguentemente, le censure mosse dalla Corte di Strasburgo alla struttura organizzativa della CONSOB nel caso Grande Stevens ben potrebbero valere per l’articolazione interna delle altre Autorità indipendenti nazionali.

Si rende necessario, pertanto, che il Legislatore intervenga quanto prima, riformando le procedure sanzionatorie in modo da evitare indebite commistioni tra poteri decisori e poteri di indagine.

Con ciò non si intende certo sostenere che nei procedimenti sanzionatori amministrativi non sia opportuna la presenza di un organo terzo che sovraintenda all’attività d’indagine degli uffici e che assuma una funzione di garanzia rispetto all’esercizio delle prerogative difensive dell’ac­cusato; al contrario, la scelta di non attribuire agli organi inquirenti il potere di gestire in assoluta autonomia la fase della raccolta degli elementi istruttori da porre a fondamento della proposta di irrogazione della sanzione rappresenta una forma di tutela per il destinatario della contestazione da cui, ad avviso di chi scrive, non si dovrebbe recedere.

Tuttavia, per allineare la struttura dei procedimenti sanzionatori diretti dalle Autorità indipendenti ai principi espressi dalla Corte EDU, sarebbe necessario che l’organo deputato a dirigere l’attività istruttoria non coincidesse con quello cui spetta stabilire se sia o meno opportuno irrogare la sanzione: solo in questo modo, infatti, potrebbe essere garantita una effettiva distinzione (formale e sostanziale) tra la fase di raccolta degli elementi probatori e la fase in cui le emergenze istruttorie vengono valutate al fine di assumere la decisione finale.


4. Il divieto di bis in idem tra procedimento sanzionatorio (formalmente) amministrativo e giudizio penale

Come anticipato in premessa, accanto alla violazione delle norme che regolano l’equo processo secondo Convenzione, i ricorrenti hanno dedotto la violazione del loro diritto a non essere giudicati e puniti due volte per lo stesso fatto.

Come è noto, tale diritto è sancito dall’art. 4, Protocollo 7, della CEDU, a mente del quale «no one shall be liable to be tried or punished again in criminal proceedings under the jurisdiction of the same State for an offence for which he has already been finally acquitted or convicted in accordance with the law and penal procedure of that State».

La norma non esclude che una stessa condotta possa essere astrattamente sussunta in più fattispecie sanzionatorie, ma vieta soltanto l’esercizio del­l’azione penale in relazione ad una “offence” che sia stata già punita con un provvedimento (amministrativo o giurisdizionale) di carattere definitivo e non più soggetto ad impugnazione.

Il perimetro applicativo del divieto di bis in idem è dunque strettamente connesso alla verifica del corretto significato da attribuire al termine “offence”.

Secondo l’opinione prevalente, tale espressione non identifica la fattispecie astratta tipizzata dalla norma sanzionatoria, bensì il fatto storico che ha determinato l’irrogazione della sanzione [29]. Pertanto, al fine di verificare la violazione del divieto di bis in idem, occorre accertare la condotta oggetto di contestazione in sede penale sia sostanzialmente identica a quella che ha determinato una condanna definitiva all’esito di un procedimento qualificabile come penale in base agli Engel criteria.

Tale orientamento ha trovato conferma nella nota sentenza Serguei Zolotukhin c. Russia, in cui la Grande Camera ha stabilito che l’art. 4, Protocollo 7, CEDU «deve essere interpretato nel senso che vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo ‘reato’ nella misura in cui alla base di quest’ulti­mo vi sono fatti identici o che sono sostanzialmente gli stessi» che hanno già condotto all’irrogazione di una sanzione (formalmente o sostanzialmente) penale [30].

Nel caso di specie, il Governo italiano ha contestato la fondatezza delle do­glianze promosse dai ricorrenti sostenendo che la sostanziale diversità tra gli elementi costitutivi dell’illecito sanzionato dall’Autorità di Vigilanza ed il delitto oggetto del giudizio penale non consentiva di ritenere che i due procedimenti vertessero sul medesimo fatto.

La Corte ha disatteso l’eccezione dell’esecutivo, osservando che «la questione da definire non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti […] siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla CONSOB e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta» [31].

Una volta fissata tale premessa maggiore, i Giudici non hanno avuto difficoltà ad accertare che le condotte contestate nei due giudizi erano sostanzial­mente identiche e che, pertanto, «la nuova azione penale riguardava un secondo ‘illecito’, basato su fatti identici a quelli che avevano motivato la prima condanna definitiva».

Alla luce di tali premesse, la Corte ha quindi accolto le doglianze formulate dagli interessati ed ha stabilito che costituisce una violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4, Protocollo 7, CEDU la pendenza di un secondo processo sugli stessi fatti per i quali l’Autorità amministrativa ha già inflitto una sanzione sostanzialmente penale con un provvedimento di carattere definitivo.

Vale la pena rilevare, peraltro, che le conclusioni rassegnate nel caso Grande Stevens in tema di applicazione della garanzia del ne bis in idem a due procedimenti con diversa qualificazione formale (ma entrambi sostanzialmente penali nel senso della Convenzione) hanno trovato immediata conferma nella pronuncia adottata dalla Corte EDU nella causa Nykanen c. Finlandia [32], giunta a poche settimane dal deposito della decisione in commento.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici europei, il ricorrente era stato accusato di aver ricevuto in modo occulto dividendi pari a 33.000 euro; per questa violazione, le Autorità fiscali finlandesi avevano irrogato nei suoi confronti una sanzione amministrativa pecuniaria (sovrattassa) pari a 1.700 euro. Sulla base dei medesimi fatti, il ricorrente era stato successivamente perseguito penalmente e condannato per fronde fiscale ad una pena di 10 mesi di reclusione ed al pagamento di 12.420 euro.

Ebbene, anche all’esito di tale giudizio – così come avvenuto nel caso Grande Stevens – la Corte di Strasburgo ha, in primo luogo, accertato la natura sostanzialmente penale della sanzione tributaria e, muovendo da tale premessa, ha condannato lo Stato finlandese per violazione del divieto di bis in idem, rilevando come l’azione penale fosse stata esercitata in relazione al medesimo fatto storico già sanzionato dalle Autorità fiscali all’esito di un procedimento che, nonostante la formale qualificazione interna, doveva considerarsi sostanzialmente penale ai fini dell’applicazione delle garanzie convenzionali.


5. Problemi aperti nel diritto vivente: la necessità di un ripensamento del sistema sanzionatorio a doppio binario

La parabola interpretativa che emerge dalle sentenze Grande Stevens Nykanen solleva una serie di interrogativi di non facile soluzione.

Se da un lato, infatti, l’applicazione del divieto di doppio giudizio anche a procedimenti che il diritto interno qualifica come formalmente amministrativi rappresenta la logica evoluzione dell’approccio sostanzialista della Corte rispetto alla matière pénale, è del pari evidente che l’estensione della garanzia del ne bis in idem anche a procedimenti di natura non strettamente penale potrebbe determinare conseguenze sistemiche di non poco momento.

Nei commenti che hanno seguito a stretto giro il deposito della sentenza, illustri Autori [33] hanno infatti condivisibilmente osservato che i principi espressi dalla Corte EDU nel caso Grande Stevens in materia di abusi di mercato potrebbero trovare applicazione anche in altri settori dell’ordinamento caratterizzati da un sistema sanzionatorio che preveda la sostanziale sovrapposizione di illeciti di natura amministrativa ed omologhe fattispecie di natura penale volte a reprimere le medesime condotte (c.d. sistema sanzionatorio a doppio binario).

Si pensi, ad esempio, alle norme poste a tutela del corretto esercizio del­l’attività svolta dalle Autorità di Vigilanza, ove alle figure di reato previste dal­l’art. 2638 c.c. si affiancano numerose ipotesi di illecito amministrativo che sanzionano condotte astrattamente sussumibili anche nella norma incriminatrice prevista dal Codice Civile [34].

Altro settore di rilievo è quello tributario, in cui pure si riscontra un sistema di doppio binario di procedimenti amministrativi e penali destinati ad incidere sulle medesime condotte. Tale sovrapposizione viene in rilievo soprattutto con riferimento agli illeciti amministrativi di omesso versamento periodico delle ritenute o dell’IVA, cui, come è noto, si affiancano gli omologhi reati previsti dagli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74/2000.

In queste ipotesi, se dall’applicazione degli Engel criteria dovesse emergere la natura convenzionalmente penale degli illeciti amministrativi previsti dal diritto interno, lo Stato italiano potrebbe essere chiamato nuovamente a rispondere della violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4, Protocollo 7, CEDU.

Ad onor del vero, già prima che la Corte EDU prendesse posizione sul tema, la dottrina nazionale aveva sancito l’incompatibilità del sistema del doppio binario con i criteri di proporzione, ragionevolezza e sussidiarietà che dovrebbero sempre informare la risposta punitiva dell’ordina­mento alle condotte illecite poste in essere dai consociati.

Più nel dettaglio, illustri Autori hanno rilevato nella duplicazione dei procedimenti sanzionatori «una sorta di competizione sanzione penale e amministrativa», che determina un’irragionevole «duplicazione degli sforzi investigativi e di impegno processuale» [35].

L’orientamento espresso dalla dottrina interna trova peraltro riscontro nella dissenting opinion espressa a margine della sentenza in commento dai giudici Karakas e Pinto di Albuquerque, secondo i quali «la sovrapposizione materiale di sanzioni penali ed amministrative […] sovraccarica lo Stato, che deve farsi carico di due inchieste autonome, con il rischio di giungere a conclusioni differenti sui medesimi fatti» [36].

Le perplessità espresse in sede nazionale ed il chiaro tenore dei principi enucleati nella pronuncia in commento rendono più che mai urgente un ripensamento delle scelte sanzionatorie operate dal Legislatore negli ultimi anni: la sentenza Grande Stevens potrebbe dunque rappresentare l’occasione per avviare un’opera di riforma complessiva del sistema sanzionatorio, recedendo dall’utilizzo a volte troppo disinvolto dello stru­mento penale e valorizzando maggiormente la risposta sanzionatoria amministrativa, la cui efficacia deterrente si è dimostrata essere in più occasioni pari – se non superiore – a quella esercitata dalle pene in senso stretto.


NOTE

[1] V. ex multis, Corte EDU, 26 marzo 1982, Adolf c. Austria, e 21 marzo 2006, Valico s.r.l. c. Italia. V. anche Corte EDU, 21 febbraio 1984, Ozturk c. Germania, in cui il Collegio ha affermato che «The Convention is not opposed to the moves towards ‘decriminalisation’ which are taking place – in extremely varied forms – in the member States of the Council of Europe. The Government quite rightly insisted on this point. Nevertheless, if the Contracting States were able at their discretion, by classifying an offence as "regulatory" instead of criminal, to exclude the operation of the fundamental clauses of Articles 6 and 7 (art. 6, art. 7), the application of these provisions would be subordinated to their sovereign will. A latitude extending thus far might lead to results incompatible with the object and purpose of the Convention» (§ 49).

[2] Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel ed altri c. Paesi Bassi. In dottrina, si v. in particolare C.E. PALIERO, ‘Materia penale’ e illecito amministrativo secondo la Corte eur. dir. uomo: una questione classica a una svolta radicale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 894 ss.

[3] Per una approfondita disamina dell’applicazione giurisprudenziale degli Engel criteria si v. M. ALLENA, L’art. 6 CEDU come parametro di effettività della tutela procedimentale e giudiziale all’interno degli stati membri dell’Unione Europea, in Riv. it. dir. pubbl. communit., 2012, p. 267 ss. Sugli aspetti chiaroscurali della dottrina Engel, si veda invece, E. MARZADURI, Processo penale e processo disciplinare: giurisprudenza “europea” e prospettive per la legislazione interna italiana, in V. CAPPELLETTI-A. PIZZORUSSO (a cura di), L’influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Giuffrè, Milano, 1982, p. 593 ss.

[4] Cfr. Corte EDU, 21 febbraio 1984, Ozturk c. Germania, secondo cui «in any event, the indications furnished by the domestic law of the respondent State have only a relative value» (§ 52).

[5] Cfr. per tutte, Corte EDU, 23 ottobre 1995, Schmautzer c. Austria, § 28.

[6] La valenza univoca delle attribuzioni formali degli ordinamenti nazionali è stata acutamente definita one-way autonomy da P. VAN DIJK-F. VAN HOOF-A. VAN RIJN-L. ZWAAK, Theory and practice of the European Convention of Human Rights, Intersentia Publishers, Antwerpen-Oxford, 2006, p. 543.

[7] Cfr. Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel ed altri c. Paesi Bassi, in cui si afferma che «it is first necessary to know whether the provision(s) defining the offence charged belong, according to the legal system of the respondent State, to criminal law, disciplinary law or both concurrently. This however provides no more than a starting point. The indications so afforded have only a formal and relative value and must be examined in the light of the common denominator of the respective legislation of the various Contracting States» (§ 82).

[8] Cfr. Corte EDU, 1 febbraio 2005, Ziliberberg c. Moldova, in cui la Corte ha qualificato una sanzione amministrativa pecuniaria come sanzione penale in quanto «the fine was not intended as pecuniary compensation for damage but was punitive and deterrent in nature». Si veda, altresì sul punto, Corte EDU, 24 febbraio 1994, Bendenoun c. Francia, § 47.

[9] Cfr. ex multis Corte EDU, 28 giugno 1984, Campbell e Fell c. Regno Unito, § 72; 21 febbraio 1984, Ozturk c. Germania, § 50; 8 giugno 1976, Engel ed altri c. Paesi Bassi, § 82.

[10] Cfr. Corte EDU, 24 febbraio 1994, Bendenoun c. Francia, in cui la Corte, dopo aver analizzato i singoli criteri enucleati dalla sentenza Engel osserva che «none of them is decisive on its own, but taken together and cumulatively they made the "charge" in issue a "criminal" one within the meaning of Article 6 para. 1 (art. 6-1), which was therefore applicable» (§ 47).

[11] Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, § 96.

[12] Ibidem, § 97,

[13] Ibidem, § 99-101.

[14] Ibidem, § 117. L’applicazione delle tutele previste dall’art. 6 CEDU anche ai procedimenti sanzionatori amministrativi è trattata con dovizia di particolari da F. GOISIS, Un’analisi critica delle tutele procedimentali e giurisdizionali avverso la potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, alla luce dei principi dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette, in Dir. proc. amm., 2013, p. 669 ss. Il tema è trattato altresì da M. ALLENA, op. cit. Interessanti spunti di riflessione anche in M. SIRAGUSA-C. RIZZA, Violazione delle norme antitrust, sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’au­torità di concorrenza e diritto fondamentale a un equo processo: lo “stato dell’arte” dopo le sentenze Menarini, KME e Posten Norge, in Giur. comm., 2013, p. 408 ss.; A.E. BASILICO, Il controllo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust e l’art. 6 CEDU, in Rivista AIC, n. 4/2011.

[15] Nella sentenza resa nel caso Morel c. Francia, 6 giugno 2000, la Corte ricorda che il diritto ad un procedimento in contraddittorio implica, in linea di principio, la facoltà per le parti di un processo, penale o civile, di avere cognizione di ogni documento o osservazione presentata al giudice. Cfr., altresì, Corte EDU, 27 marzo 1998, J.J. c. Paesi Bassi, § 43; 12 aprile 2007, Martelli c. Italia; 4 ottobre 2007, Corcuff c. Francia, § 31.

[16] Grande Stevens, § 122, 152-155.

[17] V. Corte EDU, 24 giugno 2003, Garaudy c. Francia; 15 novembre 2001, Papon c. Francia; 25 luglio 2000, Tierce e altri c. San Marino; 15 giugno 2000, Pullicino c. Malta; 25 luglio 2000, Tierce e altri c. San Marino.

[18] V. Corte EDU, 23 giugno 1981, La Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio.

[19] Cfr. Corte EDU, 20 maggio 1998, Gautrin e altri c. Francia; 15 dicembre 2005, Kyprianou c. Cipro.

[20] Grande Stevens, § 137.

[21] Corte EDU, 11 settembe 2009, Dubus S.A. c. Francia.

[22] Ordonnance n. 2010-76 del 21 gennaio 2010, art. L. 612-4.

[23] Per un commento alla disciplina introdotta dalla legge n. 262/2005 si v. L. DE ANGELIS-N. RONDINONE (a cura di), La tutela del risparmio nella riforma dell’ordinamento finanziario: commento alla legge 28 dicembre 2005, n. 262 e ai provvedimenti attuativi, Giappichelli, Torino, 2008.

[24] Gli strumenti garantistici, da taluni considerati carenti nella fase di indagine preliminare trovano pieno riconoscimento nel corso dell’istruttoria, ove si esplicano tutte le facoltà partecipative e difensive dei soggetti destinatari della contestazione dell’addebito. All’opinione di chi ritiene inapplicabile la legge n. 241/1990 alla fase pre-istruttoria, in quanto priva di valenza procedimentale (M. RAMAJOLI, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Giuffrè, Milano, 1998, p. 433) si contrappone la tesi di coloro che ritengono qualificabile tale fase come vero e proprio subprocedimento autonomo (L. DE LUCIA, Denunce qualificate e preistruttoria amministrativa, in Dir. amm., 2002, p. 730 ss.), evidenziando altresì che l’esigenza del contraddittorio rilevi maggiormente proprio in questo contesto, che rappresenta la naturale sede di in cui vengono raccolti i primi elementi probatori che confluiranno poi nel provvedimento finale, tant’è che alcune Autorità indipendenti lo assicurano quantomeno in via di prassi (M. CLARICH-L. ZANETTINI Le garanzie del contraddittorio nei procedimenti sanzionatori dinanzi alle Autorità indipendenti, in Giur. comm., 2013, p. 364; D. AGUS, Il procedimento sanzionatorio dell’Isvap, in Giorn. dir. amm., 2006, p. 901; M . SCALISE-P. MARIANO, L’Isvap, in AA.VV. (a cura di G.P.P. CIRILLO-R. CHIEPPA), Le autorità amministrative indipendenti, Cedam, Padova, 2011, p. 932; L. SCHIONA, Le garanzie procedimentali nell’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie da parte dell’Isvap, in Assic., 2009, p. 399).

[25] Cfr. Delibera 243/2012/E/com, adottata in attuazione del d.lgs. n. 93/2011.

[26] Cfr. Regolamento del 27 febbraio 2014 disponibile sul sito dell’ART, www.autorita-trasporti.it

[27] L’art. 5 del Regolamento non contiene alcun riferimento ad un generale potere di eseguire ispezioni, perizie e consulenze, limitandosi a prevedere la possibilità degli uffici di richiedere al destinatario della contestazione e ad ogni altro soggetto documenti, informazioni e/o chiarimenti in relazione al procedimento in corso.

[28] Art. 12 del Regolamento che disciplina la procedura sanzionatoria dell’ART.

[29] V. Corte EDU, 23 ottobre 1995, Gradinger v. Austria, nonché la decisione della Commissione nel caso Raninen v. Finland, n. 20972/92, 7 marzo 1996.

[30] Corte EDU, 10 febbraio 2009, Serguei Zolotukhin c. Russia, § 82.

[31] Grande Stevens, § 224.

[32] Corte EDU, 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia.

[33] G.M. FLICK-V. NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? “Materia penale”, giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in Rivista AIC, N. 3/2014; F. VIGANÒ, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

[34] L’art. 2638 c.c. prevede espressamente che «Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.

La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58».

Le condotte contemplate dalla richiamata disposizione sono peraltro idonee ad integrare omologhe ipotesi di illecito amministrativo.

Si pensi, ad esempio, con specifico riferimento al settore bancario, all’art. 144, comma 4, del t.u.b., a mente del quale l’ostacolo all’esercizio delle funzioni di controllo spettanti alla Banca d’Italia in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali è punita con una sanzione amministrativa che può raggiungere anche i 258.225 euro.

La sovrapposizione tra fattispecie amministrative e penali si coglie altresì nel dettato dell’art. 14, comma 5, legge n. 287/1990, il quale sanziona chiunque si rifiuti od ometta, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni e i documenti richiesti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ovvero fornisca informazioni e documenti in tutto o in parte non veritieri.

[35] Con particolare riferimento al sistema del doppio binario in materia di market abuse si veda A. ALESSANDRI, Attività d’impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, p. 555.

[36] Grande Stevens – Opinione in parte concordante ed in parte dissenziente dei giudici Karakas e Pinto de Albuquerque, § 27.

Fascicolo 2 - 2014