Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Regolazione finanziaria ed esternalità del contratto: i contratti rivolti ai terzi (di Paolo Giudici)


It is widely shared, especially among Italian lawyers, the view that financial regulation interferes with contract law in order to correct asymmetric information. This article shows, instead, that financial regulation interferes with a large part of the contracts used in financial markets in order to govern third-party effects of those contracts. The article analyzes some of the contracts where those third-party effects are present and how regulation tackles the problem of contract extension. The article shows that there are new contracts where the problem arises, e.g. the market maker or the liquidity provider contract. Accordingly, the article offers a completely different perspective on a significant part of the interaction between financial regulation and contract law.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Fallimenti del mercato e contratto - 3. (Segue). Problemi di azione collettiva, ambiguità del contratto, regolazione - 4. Il contratto di collocamento - 5. Il contratto di revisione - 6. Il contratto di rating - 7. Gli analisti finanziari - 8. Contratti con cui si promettono prestazioni anche nell'interesse degli investitori: il contratto tra il market-maker e l'emittente o il mercato - 9. Il contratto di quotazione - 10. La disciplina dell'informazione societaria come un contratto tra l'emittente, i primi sottoscrittori e le future generazioni di investitori - 11. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Introduzione

La dottrina civilistica è ormai perfettamente consapevole che esistono ampie aree di sovrapposizione tra la tradizionale disciplina dei contratti e la regolazione economica [1]. Le ragioni di questa sovrapposizione sono di solito analizzate per settori o aree disciplinari e usualmente scandite intorno al tema della protezione della parte debole [2]. Nel diritto dei mercati finanziari l’interferenza tra disciplina del contratto e regolazione è particolarmente significativa. Anche in questo settore l’analisi della dottrina si concentra prevalentemente sulla necessità di protezione della parte debole: l’osservazione ricorrente è che nel mercato finanziario esiste una forte asimmetria informativa tra il lato dell’offerta di prodotti finanziari e il lato della domanda, soprattutto quando sul lato della domanda stanno investitori retail e piccole imprese; una gran parte della regolazione, dunque, sarebbe diretta a colmare questa asimmetria informativa [3]. La spiegazione che si offre al profondo intervento della regolazione sulla materia finanziaria e che si concentra sul topos dell’asimmetria informativa ignora altri fenomeni che sono, invece, di grande rilevanza per una corretta comprensione della disciplina. Le asimmetrie informative, infatti, sono tradizionalmente gestite, nel mercato finanziario, attraverso l’intervento di “intermediari”, cui l’impresa che emette strumenti finanziari (l’emittente) dà incarico di “certificare” determinate informazioni per rassicurare i potenziali investitori e indurli a sottoscrivere o acquistare quegli strumenti. Il contratto tra l’emittente e l’intermediario è un contratto che si rivolge anche od esclusivamente ai terzi investitori. Tra gli esempi di questi contratti, di cui la regolazione finanziaria si occupa in maniera più o meno intensa, troviamo il contratto tra l’emittente e il consorzio di collocamento, il contratto (tra tutti, decisamente il più complesso e, per questo, il più regolamentato) con il revisore contabile, quello con l’agenzia di rating. Sono, in altre parole, i contratti tra l’emittente e quelli che, nella terminologia dell’analisi economica del diritto, sono definiti gatekeepers, in quanto la loro cooperazione è necessaria all’emittente per accedere al mercato [continua ..]


2. Fallimenti del mercato e contratto

I rapporti tra regolazione e contratto sono oggetto di forti pregiudizi. Le norme sui contratti sono norme di diritto privato e nella nostra tradizione giuridica spesso si rifiuta l’idea che il diritto privato possa avere a che fare con la regolazione [11]. Con il termine «regolazione» la nostra tradizione indica l’intervento pubblico nei mercati, attraverso il controllo dell’ingresso delle imprese nel mercato (autorizzazioni), il controllo delle loro attività economiche, eventualmente il controllo della loro uscita dai mercati [12]. Questa tradizione riflette una concezione degli ordinamenti in cui diritto pubblico e diritto privato sono fortemente compartimentati. Secondo questa concezione, il diritto dei contratti si occupa solo di rapporti tra privati. Esso interviene su questi rapporti per riconoscere (o disconoscere) effetti giuridici a certi comportamenti e per facilitare il raggiungimento di accordi vincolanti. Il principio portante è quello dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.): le parti sono libere di articolare i propri rapporti patrimoniali come credono, anche concludendo contratti che non appartengono a tipi aventi una disciplina particolare, con il solo limite della realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2, c.c.). Il principio dell’autonomia contrattuale è fondato, in economia, sul primo teorema dell’economia del benessere. In un’economia perfettamente concorrenziale, gli scambi determinano la pareto-efficienza del sistema. Il libero (anche nelle articolazioni negoziali) scambio, dunque, produce la migliore allocazione delle risorse all’interno della società: è la mano invisibile di Adam Smith. Il supporto al principio dell’autonomia contrattuale è offerto anche dal teorema di Coase. Assenti i costi di transazione, due parti razionali libere di contrattare tra loro troveranno la distribuzione delle relative ricchezze che massimizza il proprio benessere e, quindi, il benessere sociale. Qualsiasi restrizione alla libertà contrattuale limita la possibilità di raggiungere questo risultato [13]. Secondo la visione tradizionale, le eccezioni al principio dell’autonomia contrattuale sono dunque limiti collocati alla periferia del diritto privato. In particolare, le norme imperative sono prevalentemente viste come norme di protezione di [continua ..]


3. (Segue). Problemi di azione collettiva, ambiguità del contratto, regolazione

Gli economisti giustificano la regolazione in presenza di fallimenti del mercato con argomenti ormai entrati nel bagaglio culturale dei giuristi. Tra i fallimenti del mercato vi sono, oltre al potere di mercato, le esternalità del consumo o della produzione, che si distinguono in negative e positive [16]. Le esternalità negative sono i costi che chi consuma o produce un bene o un servizio impone ai terzi o all’intera collettività, senza subirli (senza «internalizzarli», con il neologismo di uso comune nel linguaggio degli economisti) [17]. Le esternalità positive sono invece i benefici che chi produce o consuma il bene offre ai terzi o all’intera collettività [18]. Vi sono poi i beni pubblici, come la difesa o la sicurezza interna [19], che hanno caratteristiche ulteriori rispetto alle semplici esternalità, quali la non rivalità e la non esclusività nel consumo, che ne giustifica generalmente una trattazione separata, come un’autonoma forma di fallimento del mercato [20]. Altre esternalità sono quelle dettate dagli effetti dei comportamenti presenti sulle generazioni successive: si pensi, per esempio, ai temi relativi alla protezione dell’ambiente e delle specie animali in pericolo di estinzione o, nella materia che ci occupa, alle generazioni di azionisti che si succedono nella partecipazione in una società [21]. In presenza di esternalità non sempre è possibile trovare un accordo contrattuale che soddisfi il teorema di Coase, per cui può essere necessario l’intervento della regolazione. I problemi generati dalle esternalità, come del resto i problemi generati dal potere di mercato, sono problemi di azione collettiva. Dietro i fallimenti del mercato si cela, all’essenza, un problema di negoziazione efficiente, causato dai «costi di transazione», descrivibili come «search and information costs, bargaining and decision costs, policing and enforcement costs» [22]. I costi di transazione sono un elemento del mondo in cui viviamo. Quando peraltro i diritti della personalità, i diritti reali [23] e gli impegni contrattuali sono efficacemente tutelati, normalmente gli scambi avvengono, le esternalità sono «internalizzate», il potere di mercato è ridotto o annullato, le asimmetrie informative gestite e i comportamenti [continua ..]


4. Il contratto di collocamento

Le società che emettono valori mobiliari non hanno un canale distributivo per il collocamento dei titoli presso gli investitori e hanno, quindi, la necessità di rivolgersi ad intermediari finanziari specializzati. La storia della materia mostra che sul mercato si è progressivamente affermato un modello. L’emittente incarica un intermediario, che opera da capofila, svolge una due diligence sull’emittente e prende parte alla redazione del prospetto, organizza il consorzio o i consorzi di intermediari che partecipano al collocamento [30]. La regolazione considera il collocamento di strumenti finanziari un servizio d’investimento e lo sottopone alla relativa disciplina. Tuttavia, il contratto tra l’emittente e gli intermediari non è oggetto di norme specifiche e, dunque, la regolazione in apparenza se ne disinteressa. Il capofila partecipa con l’emittente alla redazione del prospetto informativo, che è un documento di cui, invece, la regolazione si è impossessata. Infatti, chi intende sollecitare l’investimento attraverso un’offerta pubblica deve predisporre un prospetto (art. 3, direttiva 2003/71/CE; art. 94 TUF) [31]. I contenuti del prospetto sono fissati dalla legge, a livello europeo, secondo schemi predeterminati dalla regolazione di settore [32]. La disciplina di settore prevede la responsabilità per le inesatte informazioni contenute nel prospetto (art. 6 direttiva 71/2003/CE) e la presenza di un responsabile del collocamento, che vigila sull’intera procedura di offerta al pubblico [art. 93-bis, comma 1, lett. e); art. 94, comma 9, TUF]. Le ragioni per cui la regolazione finanziaria si interessa così meticolosamente del prospetto e, più in generale, degli obblighi di informazione degli emittenti sono oggetto di analisi approfondite. Vi sono ragioni di riduzione dei problemi di azione collettiva degli investitori [33], di standardizzazione [34], di contenimento delle esternalità positive generate dalla diffusione di informazioni [35]. Non vanno però dimenticate ragioni ulteriori, che toccano più direttamente i temi del contratto e della responsabilità civile. L’analisi storica mostra che il contratto tra l’emittente e il capofila (il c.d. «originator») [36] ed il suo consorzio nulla diceva circa i diritti degli investitori. [continua ..]


5. Il contratto di revisione

Il contratto di revisione ha dei caratteri che lo rendono ancora più peculiare del contratto di collocamento. In quest’ultimo, gli intermediario (in particolare, il capofila) assumono un ruolo di “certificatori di informazioni” nei confronti degli investitori con la due diligence, senza peraltro che il contratto attribuisca diritti specifici agli investitori (come visto, ci ha poi pensato la regolazione). La classe dei soggetti cui le informazioni sono rivolte, comunque, è chiara: si tratta degli investitori cui sono destinati gli strumenti finanziari. Il contratto di revisione è invece molto più complesso. Si tratta di un contratto che nasce perché gli azionisti hanno bisogno di controllare l’operato degli amministratori. Il controllo si attua attraverso la verifica delle scritture contabili e dei bilanci. Un tempo gli azionisti avevano dei propri comitati interni (di qui l’evoluzione che ha portato, in Italia, al collegio sindacale), ma poi si è avuto l’affidamento a professionisti esterni: i revisori dei conti [56]. I revisori dei conti, tuttavia, servivano anche in fase di emissione, perché potevano certificare le informazioni contabili riportate nei prospetti, fornendo rassicurazioni agli investitori e assolvendo, dunque, una funzione analoga a quella degli intermediari parti del consorzio di collocamento [57]. Inoltre, i giudizi sui bilanci e sull’informazione finanziaria in genere potevano servire anche agli investitori del mercato secondario, che su di essi potevano fare affidamento per le proprie scelte di investimento [58]. Ne è nato un rapporto contrattuale che nei fatti assolve tre diverse funzioni, non sempre coerenti tra loro: (a) corporate governance interna, come controllo degli azionisti sugli amministratori; (b) ausiliario delle emissioni, come certificatore di informazioni prodotte proprio dagli amministratori, nell’interesse della società ma a beneficio degli investitori del mercato primario; (c) fornitore di informazioni affidabili sul mercato secondario, per i futuri azionisti e gli altri futuri investitori [59]. La predisposizione di un contratto che soddisfi interessi tanto diversi non è facile. Il primo problema è chi sceglie il revisore contabile e, soprattutto, chi negozia i contenuti del contratto di revisione, comprensivo delle clausole di responsabilità. Il [continua ..]


6. Il contratto di rating

In tutti i settori del commercio esistono intermediari che valutano i prodotti (nel nostro caso, i prodotti finanziari) e formulano dei giudizi, solitamente sinteticamente espressi con codici alfanumerici. Si va dalle stelle (delle guide di ristoranti e delle riviste di musica o fotografia) ai punteggi espressi in frazioni o in colori. Nel settore dei strumenti finanziari di debito il giudizio si chiama rating e l’evoluzione ha portato gli emittenti ad ingaggiare imprese specializzate nella valutazione della loro solidità finanziaria, ovverosia del loro rischio di insolvenza (agenzie di rating), al fine di fornire informazioni agli investitori che, essendo dispersi a e quindi affrontando irrisolvibili problemi di azione collettiva, non riescono ad incaricare e pagare in proprio l’agenzia di rating [65]. Pure in questo campo, dunque, ha prevalso lo «issuer pays model». Anche il contratto tra l’emittente e l’agenzia di rating non prevede diritti a favore degli investitori. Tuttavia, rispetto al collocamento e alla revisione qui vi sono due complicazioni aggiuntive. In primo luogo, almeno negli Stati Uniti, le agenzie di rating si sono sempre difese dalle azioni di responsabilità affermando che le proprie valutazioni sono pure opinioni (equivalenti, in qualche misura, a quelle dei giornalisti). Coerentemente, esse hanno sempre cura di inserire, nei propri report, clausole espresse di esclusione della responsabilità nei confronti dei terzi [66]. Per differenziarsi, tuttavia, le agenzie di rating usano anche diffondere opinioni su soggetti con cui non hanno stipulato alcun contratto di rating: si tratta dei rating «unsolicited», che hanno alcune precise funzioni economiche [67] e una funzione giuridica, ossia dare supporto all’argomento dell’attività giornalistica [68]. In secondo luogo, e coerentemente con la tesi della mera opinione giornalistica, nei propri report l’agenzia di rating espressamente svaluta il valore delle proprie dichiarazioni, degradandole a mere opinioni nonostante la due diligence da essa svolta sull’emittente e dichiarando espressamente di non assumersi alcun tipo di responsabilità nei confronti dei terzi. Il contesto, qui, non è ambiguo: nel contratto tra l’emittente e l’agenzia di rating è sostanzialmente pacifico che quest’ultima non intende assumersi [continua ..]


7. Gli analisti finanziari

Ci si può allora domandare se la falsificazione possa giungere da un’area simile, cioè quella relativa alla regolazione degli analisti finanziari “sell-side”, ossia gli analisti che distribuiscono raccomandazioni sul mercato. Ma anche in questo caso, dietro tale regolazione si nascondono contratti rivolti anche ai terzi. La figura professionale nacque nel sistema americano in un’epoca in cui i negoziatori operavano in regime di prezzi concordati e, quindi, in assenza di possibilità di concorrenza sui prezzi, si facevano concorrenza attraverso l’offerta di servizi accessori, quali, appunto, l’offerta di raccomandazioni di acquisto o vendita diffuse in termini generalizzati da analisti specializzati, raccomandazioni che prima venivano diffuse alla clientela e poi al mercato. In epoca successiva, la presenza degli analisti divenne un fondamentale supporto per l’attività di origination da parte delle banche d’affari, che assicuravano la copertura (implicitamente: favorevole) dei propri analisti agli emittenti che a loro si fossero rivolte. Si venne così a creare una situazione in cui il contratto di collocamento, rivolto anche agli investitori (nei termini che si sono illustrati, nella misura in cui prevede una due diligence del capofila, che poi partecipa alla redazione del prospetto), poteva prevedere, espressamente o implicitamente, delle attività di analisi (favorevole) sul titolo rivolte agli investitori, destinate però a non essere riconosciute come collegate al collocamento e, quindi, ad apparire indipendenti [79]. Anche in questo caso, pertanto, è intervenuta la regolazione, fondamentalmente per eliminare le ambiguità create da un contratto rivolto (anche) ai terzi che nascondeva una parte delle prestazioni rese ai terzi, per fare in modo che esse apparissero indipendenti. La disciplina degli analisti finanziari detta una serie di regole che devono essere osservate, ma non contiene norme espresse sulla responsabilità dell’intermediario presso cui l’analisti opera e della persona fisica che svolge l’attività (v. artt. 69 ss. Reg. emittenti). Si può arrivare a quella responsabilità tramite l’applicazione dei principi generali in tema di responsabilità extracontrattuale da informazione inesatta [80]. Tuttavia, è ancora una volta chiaro che la [continua ..]


8. Contratti con cui si promettono prestazioni anche nell'interesse degli investitori: il contratto tra il market-maker e l'emittente o il mercato

Sin qui si sono visti contratti e discipline già contaminati dalla regolazione e riguardanti la diffusione di un bene pubblico come l’informazione. Vorrei portare un altro esempio di contratto in cui si prevedono prestazioni a favore della propria controparte ma, in realtà, anche a favore degli investitori, cui però il contratto non attribuisce diritti di alcun tipo. Nel mercato finanziario stanno diventando sempre più comuni i contratti attraverso cui un intermediario assume l’obbligo di operare da market maker, su un titolo o su un gruppo più o meno ampio di titoli, nei confronti del gestore di un mercato o di un sistema multilaterale di negoziazione [81]. La funzione economica del market maker è quella di garantire sempre un certo margine di liquidità al mercato. Il contratto può anche intercorrere con l’emittente, che può avere un interesse proprio a garantire una certa liquidità al mercato del proprio titolo tramite la presenza di un intermediario che operi da market maker, o che può semplicemente dare esecuzione ad un impegno preso con il gestore del mercato, che può desiderare la presenza, su certi strumenti finanziari, di soggetti che garantiscano quella liquidità («liquidity providers»). L’impegno del market maker o del liquidity provider non si sostanzia mai in una promessa al pubblico. Il contratto stipulato tra il market maker e il gestore del mercato (o l’emittente) suscita il solito problema relativo all’estensione dei suoi effetti, anche se in forma ancora diversa rispetto ai contratti in precedenza analizzati. Mentre l’inadempimento del collocatore e dell’agenzia di rating (in merito alla qualità della due diligence) può paradossalmente giovare all’emittente, che riesce a piazzare valori mobiliare a prezzi più vantaggiosi rispetto a quanto gli sarebbe invece stato possibile, il market maker tendenzialmente danneggia da un punto di vista reputazionale il mercato e, quindi, si espone concretamente ad una sua azione di risarcimento dei danni. Peraltro il market maker danneggia anche gli investitori che, facendo affidamento sulla sua presenza, non siano riusciti a liquidare tempestivamente (o ad assumere tempestivamente) le proprie posizioni. Negli Stati Uniti la crisi finanziaria ha condotto a una situazione in cui, nel giro di pochi giorni, nel febbraio [continua ..]


9. Il contratto di quotazione

Se vi è un contratto regolamentato, nel diritto dei mercati finanziari, questo è il contratto di quotazione [83]. Anche qui, come per il caso del contratto con il revisore legale, i problemi di azione collettiva sono acuiti da problemi intergenerazionali. La gestione dei mercati finanziari è stata organizzata secondo due moduli prevalenti. Il primo, che ha avuto successo soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, è quello delle borse gestite da imprese-mercato, normalmente nella forma di consorzi tra intermediari. Il secondo modello è quello della borsa pubblica, che è stato prevalente in Europa continentale e in Italia sino alla fine del Novecento. Oggi, a seguito del movimento di liberalizzazione e ri-regolazione della materia, nel nostro ordinamento vige un sistema misto, in cui i mercati regolamentati sono gestiti da imprese private sottoposte a intensi controlli pubblici. In un mercato libero l’emittente interessato a vedere i propri valori mobiliari negoziati su un mercato dovrebbe stipulare un contratto (contratto di quotazione) con la società di gestione del mercato, in forza del quale si impegna a garantire certi standards qualitativi fissati dalla stessa società di gestione. Quest’impegno servirebbe a rendere credibile l’emittente nei confronti degli investitori. In un mercato perfettamente concorrenziale probabilmente la società di gestione avrebbe i giusti incentivi per fissare contrattualmente i requisiti più adatti, sostanzialmente sostituendosi agli investitori stessi e, perciò, risolvendo un loro problema di azione collettiva. In un mercato non concorrenziale, invece, la società di gestione potrebbe non fare le scelte più efficienti. Ciò non danneggerebbe soltanto lei, ma tutto il sistema economico, visto che il mercato finanziario è un efficiente sistema per la selezione degli investimenti delle imprese che vi operano e per il loro finanziamento. Il contratto tra la società di gestione e l’emittente può allora creare anche delle esternalità negative che si riverberano sull’economia di un intero paese. Di qui, soprattutto negli ordinamenti in cui la concorrenza tra borse è minore, il forte controllo della regolamentazione sul contratto di quotazione. Dal punto di vista del contratto rivolto ai terzi, la mancanza di adeguati incentivi in capo al gestore del [continua ..]


10. La disciplina dell'informazione societaria come un contratto tra l'emittente, i primi sottoscrittori e le future generazioni di investitori

Quando gli emittenti offrono al pubblico dei prodotti finanziari, intendono generalmente promuovere un mercato secondario su quei prodotti, per poterne consentire la liquidabilità da parte dei primi sottoscrittori e, perciò, renderli più appetibili. Per questa ragione l’offerta al pubblico si accompagna quasi sempre alla richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato. La facile liquidabilità è un valore importante per un investimento e la presenza di un mercato secondario la rende, almeno teoricamente, possibile. Si è detto che i primi sottoscrittori di uno strumento finanziario hanno un problema di azione collettiva perché, essendo numerosi e dispersi, non hanno modo di organizzare una propria due diligence per valutare le informazioni fornite dall’emittente. Questo problema diventa ancora più grave per coloro che dovranno acquistare dai primi sottoscrittori, non solo perché saranno anch’essi numerosi e dispersi (questa volta, anche temporalmente), ma soprattutto perché l’emittente potrebbe non avere più incentivi a fornire informazioni su di sé: una volta acquisiti gli apporti dei primi sottoscrittori, un emittente che non avesse più intenzione di utilizzare il mercato dei capitali per finanziare le proprie attività potrebbe smettere di fornire volontariamente informazioni al mercato. Questo è un problema per i primi sottoscrittori, che intendono investire in un valore mobiliare destinato ad avere un mercato secondario per avere una ragionevole certezza di poter liquidare la propria posizione. Di conseguenza, il problema ricade sull’emittente, che ha il problema di rendere credibili i propri impegni nei confronti dei propri finanziatori. Lo strumento classico per rendere credibili i propri impegni è il contratto. Se potesse esistere un contratto tra l’offerente sul mercato primario e i primi sottoscrittori, questi ultimi chiederebbero all’offerente di consentire agli successivi acquirenti una due diligence review sull’emittente, per poterne meglio valutare il valore o, comunque, di continuare a fornire credibili informazioni su di sé al mercato, quasi come ad immaginare un costante aggiornamento del prospetto, per garantire ai primi sottoscrittori e poi in sequenza a tutte le successive generazioni di investitori la possibilità di trovare [continua ..]


11. Osservazioni conclusive

La regolazione dei mercati finanziari è prevalentemente giustificata, nella parte che coinvolge i rapporti tra gli emittenti, i gatekeepers e gli investitori come un meccanismo normativo volto a ridurre le asimmetrie informative. In questo studio, invece, ho cercato di dimostrare che una larga parte della disciplina dei mercati finanziari afferente quei rapporti non riguarda tanto il problema dell’asimmetria informativa, quanto il problema degli effetti di una nutrita serie di contratti che coinvolgono l’emittente e il gatekeeper (contratto di collocamento, contratto di revisione, contratto con l’agenzia di rating), l’emittente e il gestore del mercato (contratto di quotazione), il gestore del mercato o del sistema di negoziazione e le varie possibili forme di market maker (contratto di market maker). Questi contratti sono rivolti ai terzi, nel senso che le prestazioni che essi prevedono vanno in tutto (contratto con l’agenzia di rating; contratto con il market maker) o in parte (contratto di collocamento) a beneficio degli investitori. Questi contratti sollevano dei problemi di cui la regolazione si occupa. La loro funzione è di generare servizi (informazioni o prezzi e liquidità, a seconda dei casi) a beneficio di terzi (gli investitori), risolvendo un problema di azione collettiva di quegli stessi terzi, che non riescono ad organizzarsi per stipulare direttamente un contratto con chi deve fornire i relativi servizi. Tuttavia, questi contratti nascono spesso in maniera ambigua o s’infrangono di fronte a problemi intergenerazionali. Essi si rivolgono ai terzi ma non gli offrono espressamente dei diritti. Noi oggi non percepiamo più questo fenomeno per i contratti che sono ormai oggetto di consolidata regolazione (il contratto di collocamento, in tutta la parte che riguarda il prospetto; il contratto di revisione), proprio perché è stata la regolazione a sciogliere l’ambiguità e imporre l’attribuzione di diritti specifici ai terzi. Ma abbiamo di fronte agli occhi contratti che sono stati oggetto di regolazione solo di recente (il contratto tra l’emittente e l’agenzia di rating) o, ed è ovviamente il caso di maggior interesse ai fini del presente articolo, contratti che non sono ancora stati oggetto di compiuta regolazione e in cui il problema si pone: è il caso del contratto con il market maker o il liquidity [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2014