The paper aims to address a very significant problem in the practice of the Regulatory Authorities, namely the subjective limits of the res judicata by which the administrative judge quashes general acts. In the first part, after recalling the conceptual framework of the extension of the subjective effects of res judicata, the paper present an overview of case law about Tariff Acts of the Italian Authority for electricity gas and water services (Autorità per l’energia elettrica il gas e i servizi idrici) in order to highlight the characteristics of this specific category of regulating acts. The second part of the paper highlights the unresolved problematic issues, considering the appropriateness of rationalizing the appeals of this particular category of acts.
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1. Posizione del problema - 2. Limiti soggettivi del giudicato di annullamento degli atti generali - 3. Limiti soggettivi del giudicato di annullamento di atti generali dell'AEEGSI - 3.1. Primo periodo regolatorio. Pluralità di decisioni giurisdizionali sull'atto generale e sorte degli appelli - 3.2. Secondo periodo regolatorio. Facoltà per l'amministrazione di estendere l'effetto dell’annullamento giurisdizionale - 3.3. Ancora sulla pluralità di decisioni giurisdizionali sull'atto generale e sulla sorte degli appelli - 4. Sulla inscindibilità degli atti di regolazione - 5. Successione e pluralità di impugnazioni del medesimo atto generale - 6. Pluralità di decisioni di annullamento di un unico atto generale, appellabilità e sorte degli appelli - 7. Alcuni rilievi conclusivi - NOTE
La delimitazione dell’ambito di efficacia soggettiva del giudicato di annullamento dei propri atti generali rappresenta un problema largamente presente nella prassi delle Autorità di regolazione. Ogni qual volta il giudice amministrativo annulli una delibera tariffaria o un atto generale con cui sono fissate le modalità operative nella gestione di un servizio, infatti, si pone per l’Autorità soccombente il problema di stabilire quale sia la portata del giudicato, non soltanto, com’è ovvio, nei confronti di coloro che lo hanno impugnato, ma anche, soprattutto, nei confronti di quanti, pur non avendo preso parte al giudizio, siano comunque destinatari dell’atto annullato [1].
Malgrado si tratti di un fenomeno di frequente accadimento, avente rilevanti implicazioni di ordine teorico e pratico, il tema non è stato oggetto finora di specifiche riflessioni da parte della dottrina. Probabilmente la carenza di studi sull’argomento è dovuta all’implicita convinzione che il problema degli effetti soggettivi del giudicato di annullamento degli atti generali delle Autorità di regolazione non presenti profili di specialità tali da giustificare una riflessione apposita. Ma, per quanto tale conclusione possa apparire a prima vista esatta, almeno con riferimento ai profili più squisitamente processuali del problema, vi sono comunque buone ragioni per occuparsi dell’argomento nella particolare prospettiva appena enunciata. Senza dimenticare, peraltro, che già sul piano generale le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza in ordine agli effetti soggettivi del giudicato di annullamento di atti normativi e generali non sono esenti da contraddizioni e perplessità [2].
L’interesse specifico per l’argomento risiede principalmente nella particolare natura degli atti generali di regolazione e, più in generale, nelle peculiarità del fenomeno regolatorio.
Al riguardo, com’è noto, vi è tra gli studiosi un vivace dibattito in ordine ai caratteri della regolazione e alla possibilità teorica di ricondurre i relativi poteri al paradigma classico del potere amministrativo discrezionale.
Secondo una parte della dottrina, infatti, la funzione regolativa sarebbe irriducibile all’archetipo del potere discrezionale poiché «il suo tratto caratteristico [è] quello di conciliare principi e valori di sistema, in una prospettiva sempre più market oriented, con diritti e interessi contrapposti, ma equiordinati, dei privati» [3]. Per quanto l’esattezza di tale affermazione necessiterebbe di essere verificata mediante una puntuale analisi dei singoli poteri di regolazione delle diverse Autorità (al fine di stabilire se effettivamente, nell’esercizio di ciascuno di essi, le Autorità siano chiamate a compiere solo scelte di natura tecnica o anche scelte propriamente discrezionali [4], la tendenza a ritenere che gli atti generali di regolazione spesso risolvano un confronto tra interessi omogenei, secondo logiche in parte diverse da quelle proprie della discrezionalità, sembra effettivamente farsi strada [5]. Più in generale, sicuramente, è il rapporto tra legge e regolazione ad essere problematico [6]. La generalità e l’indeterminatezza degli indirizzi che le norme attributive dei poteri di regolazione assegnano alle Autorità, infatti, fanno sì che lo spazio di azione di cui queste dispongono nella definizione delle regole dei mercati sia particolarmente ampio. Di conseguenza, il ruolo del giudice nella conformazione dei poteri di regulation diventa fondamentale, anche per la definizione, speculare, del ruolo delle Autorità [7]. È la giurisprudenza, infatti, che, attraverso una continua opera di ricostruzione del significato delle norme, e procedendo per via di successivi aggiustamenti, stabilisce caratteri, intensità e limiti del potere regolatorio.
In questo contesto – e, più in generale, nel governo complessivo dei fenomeni economici – il delinearsi del ruolo del giudice non è indifferente alle regole che governano il processo [8].
Al contrario, le regole del processo, spesso di carattere speciale, concorrono in maniera decisiva a configurare la posizione del giudice quale arbitro di ultima istanza del corretto funzionamento dei mercati. Basti pensare, al riguardo, alle regole sulla giurisdizione, sulla competenza, sul rito.
È in questa cornice che si inscrive la riflessione che qui verrà condotta.
Quando il giudice amministrativo è chiamato a sindacare della legittimità degli atti generali di regolazione, infatti, il momento della tutela, con le sue specifiche regole processuali, acquista un significato particolare vuoi perché, a fronte di una pluralità di impugnazioni avverso il medesimo atto avente effetti inscindibili, il giudice è chiamato a pronunciarsi più volte sulla medesima vicenda, con conseguente rischio di asimmetrie tra decisioni che accolgono il ricorso e altre che confermano la legittimità dell’atto impugnato; vuoi anche perché gli atti generali, per la stessa funzione cui assolvono, sono «intesi a dettare una disciplina in divenire, procedente per via di successivi assestamenti» [9], con la conseguenza che il loro annullamento provoca pericolosi vuoti normativi che possono determinare una grave instabilità del quadro regolatorio e delle sue modalità di applicazione [10].
In breve, affrontare un problema squisitamente processuale qual è quello oggetto del presente scritto significa anche occuparsi, sia pure indirettamente, delle condizioni per il buon funzionamento del mercato. La corretta applicazione delle regole processuali – tra le quali è da annoverare certamente anche quella relativa agli effetti soggettivi del giudicato – si riverbera, infatti, sul corretto funzionamento del sistema economico, essendo evidente che al tema degli effetti dell’annullamento giurisdizionale degli atti generali delle Autorità di regolazione sono sottese tanto le esigenze di parità di trattamento degli operatori economici destinatari degli atti delle Autorità quanto le esigenze di tutela degli utenti dei servizi di pubblica utilità [11].
È noto che al giudicato amministrativo si estende analogicamente la regola stabilita dall’art. 2909 c.c. per il giudicato civile, in base alla quale il giudicato ha effetti soltanto tra le parti del giudizio, i loro eredi o aventi causa [12]. Conseguentemente, di norma, i terzi estranei al giudizio come non sono pregiudicati dalle statuizioni della sentenza allo stesso modo non possono avvantaggiarsene.
La regola dell’efficacia inter partes del giudicato di annullamento soffre tuttavia – secondo la costante giurisprudenza, non solo amministrativa – di un’importante eccezione nel caso in cui l’annullamento colpisca talune «peculiari categorie di atti amministrativi, quali quelli aventi una pluralità di destinatari, contenuto inscindibile ed affetti da vizi di validità che ne inficino il contenuto in modo indivisibile per tutti i loro destinatari» [13]. Appartengono a tale categoria i regolamenti e, più in generale, gli atti normativi, nonché gli atti amministrativi generali e collettivi (contrapposti agli atti plurimi, cioè aventi una pluralità di destinatari, ma idealmente divisibili in una serie di autonomi provvedimenti riguardanti ciascun destinatario). In questi casi, dunque, stante la natura indivisibile degli effetti dell’atto annullato, la sentenza di annullamento non si limita a produrre effetti nei confronti delle sole parti del giudizio, ma deve estendersi necessariamente ultra partes o addirittura erga omnes, nel caso di atti normativi.
La ratio di tale consolidata impostazione giurisprudenziale risiede nel fatto che la decisione giurisdizionale di annullamento di un atto a contenuto generale inscindibile, ovvero a contenuto normativo, non potrebbe produrre effetti circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario che non può esistere per taluni e non esistere per altri. Pertanto, mentre nel caso di atti plurimi (divisibili) la sentenza di annullamento dispiega i propri effetti soltanto nei confronti del ricorrente vittorioso e l’amministrazione ha la facoltà (ma non l’obbligo) di estendere gli effetti del giudicato ai terzi estranei al giudizio per ragioni di parità di trattamento e compatibilmente con le proprie risorse economiche, dell’annullamento giurisdizionale di un atto collettivo (indivisibile) beneficia senz’altro anche il terzo.
Questa costruzione si fonda, in definitiva, sulla natura dell’atto oggetto di annullamento da parte del giudice e, più esattamente, sulla divisibilità o meno degli effetti dell’atto stesso in relazione ai suoi destinatari. Così, laddove l’atto sia volto a provvedere in modo unitario e indivisibile, pur se nei confronti di più soggetti, ma considerati come un gruppo unitario e inscindibile, l’annullamento scaturente dalla sentenza non potrebbe che prodursi necessariamente nei confronti di tutti.
Al riguardo, peraltro, è bene precisare che la stessa giurisprudenza amministrativa ammette l’efficacia ultra partes del giudicato di annullamento unicamente in relazione agli effetti eliminatori, mentre per quanto concerne gli effetti rinnovatorio e conformativo questi resterebbero comunque circoscritti alle sole le parti del giudizio [14]. Conseguentemente, e in coerenza con la nozione di cosa giudicata ex art. 2909 c.c., l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato non può essere chiesta da chi non sia stato parte nel relativo giudizio di cognizione [15].
La tesi giurisprudenziale sopra sintetizzata è stata fatta oggetto di critica da parte della dottrina che ha correttamente ritenuto di dover distinguere tra effetti del giudicato, che fa stato solo nei confronti delle parti, ed effetti dell’annullamento dell’atto, che si producono anche nei confronti dei terzi, al pari di qualsiasi altro fatto di annullamento, senza tuttavia che ciò comporti alcun vincolo di accertamento con valore di giudicato.
In altre parole, altro sono i limiti soggettivi del giudicato, altro la delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento.
Tale distinzione concettuale, mentre non contraddice il risultato pratico cui mira la giurisprudenza sopra richiamata in ordine all’estensione degli effetti dell’annullamento di un atto generale, rileva tuttavia al fine di precisare con maggiore esattezza in che termini il terzo possa risentire degli effetti – positivi o negativi che siano nei suoi confronti – della sentenza.
Cosi, ad esempio, mentre sembrerebbe scontato che quanti abbiano proposto ricorso autonomo contro un atto generale altrove annullato si vedranno dichiarare la cessazione della materia del contendere o la sopravvenuta carenza di interesse – senza tuttavia alcuna estensione ad essi del giudicato – i terzi che risentano negativamente dell’annullamento dell’atto non potranno sottrarsi agli effetti dell’annullamento, ma – poiché il giudicato non si estende loro – potranno, in un’eventuale successiva controversia, contestare pienamente che l’atto annullato fosse illegittimo [16].
Chiarito, sia pure sinteticamente, il quadro concettuale elaborato dalla giurisprudenza per risolvere il problema dell’estensione dell’efficacia soggettiva del giudicato di annullamento, occorre ora verificare se le soluzioni costruite dal giudice sul piano generale trovino applicazione anche ai casi di annullamento di atti generali delle Autorità di regolazione.
Si rende dunque opportuno a questo punto spostare il piano dell’analisi dal generale al particolare, esaminando il tema a partire dall’esposizione di alcuni casi concreti. Sarà possibile in tal modo cogliere dal di dentro delle fattispecie sottoposte all’attenzione del giudice il concreto atteggiarsi dei problemi relativi all’efficacia soggettiva del giudicato di annullamento. Com’è stato efficacemente sottolineato, infatti, «non è mai possibile (…) ridurre a semplice massima le concettualizzazioni presenti nell’elaborazione giurisprudenziale, perché la visuale del giudice è sempre condizionata dalle esigenze pratiche di disciplina poste nel caso concreto» [17].
Se si guarda, dunque, alla casistica giurisprudenziale qualche esempio interessante può essere offerto dal contenzioso relativo agli atti generali con i quali l’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e i Servizi idrici definisce i criteri per la determinazione delle tariffe del gas e ai relativi provvedimenti applicativi. Ovviamente ciò non significa che il problema non si ponga, o non si possa porre in futuro, anche con riferimento alla prassi di altre Autorità di regolazione e così pure in riferimento ad altre tipologie di atti generali. Più semplicemente, la casistica in materia di annullamento di atti espressione di potestà tariffaria dell’AEEGSI che qui si prenderà in esame sembra poter costituire un terreno di prova idoneo ad offrire, pur con i dovuti adattamenti, utili indicazioni anche per altri settori regolati. La potestà tariffaria, infatti, rappresenta in questi casi un elemento qualificante della regolazione, in quanto la tariffa, dovendo rispondere ai criteri generali sanciti dall’art. 1 della legge n. 481/1995, rappresenta in certo senso il punto di equilibrio e di sintesi di tutti gli interessi in gioco riconducibili ai diversi soggetti coinvolti [18].
Per ragioni di chiarezza espositiva i casi giurisprudenziali qui in esame saranno sinteticamente presentati secondo un ordine e una scansione utili, per un verso, a chiarire la particolarità del contenzioso in materia che, come accennato, è caratterizzato dal susseguirsi continuo, con effetti a catena, di deliberazioni dell’Autorità e decisioni giurisdizionali e, per altro verso, ad enucleare il contenuto e la portata dei principi di diritto in esso affermati, nonché i profili problematici che rimangono aperti.
Appare quindi più conveniente descrivere dapprima il contenzioso sviluppatosi in materia e riservare ad un secondo momento l’analisi critica dei principi e delle categorie giuridiche che emergono dai casi esaminati.
Vengono dunque anzitutto in rilievo una serie di pronunce nelle quali il Consiglio di Stato ha confermato l’impostazione sopra sintetizzata in ordine agli effetti del giudicato di annullamento.
In tali sentenze, infatti, il giudice amministrativo ha affermato che il giudicato di annullamento avente ad oggetto un atto di natura generale e indivisibile quale la regolamentazione dei criteri di determinazione delle tariffe per l’attività di distribuzione del gas ha effetto erga omnes.
Conseguentemente, il Consiglio di Stato ha dichiarato improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse gli appelli proposti dall’Autorità volti a censurare le sentenze del TAR Lombardia che avevano annullato la delibera, stante il passaggio in giudicato di altre sentenze del medesimo TAR pronunciate nei confronti di diversi ricorrenti, ma aventi ad oggetto i medesimi atti [19].
Con tali decisioni il TAR Lombardia aveva infatti annullato la delibera dell’AEEGSI n. 237/2000, nella parte in cui, ai fini della determinazione del vincolo sui ricavi di distribuzione (VRD), stabiliva che – per il primo periodo di regolazione (quadriennio 2000-2004) – il costo del capitale investito rilevasse esclusivamente attraverso criteri parametrici (e non invece sui dati concreti della singola gestione) nonché nella parte in cui prevedeva che, nel caso di servizio svolto in forma associata per più Comuni, i singoli vincoli per il ricavo distribuzione e per il ricavo vendita al dettaglio fossero riferiti a ciascuna località e non all’ambito tariffario complessivamente inteso (non considerando che i costi riconosciuti per singole località, sommati insieme, sono inferiori al costo risultante per l’ambito tariffario complessivamente considerato) [20].
In ottemperanza alle pronunce relative a tale profilo, l’Autorità ha successivamente introdotto una procedura di calcolo del capitale investito di tipo «individuale», fondata sul metodo del costo storico rivalutato, cui potevano accedere gli esercenti che disponevano di dati concreti. In particolare, con la delibera n. 170/2004, relativa al secondo periodo di regolazione (2004-2008), veniva lasciata alle imprese la scelta tra metodo parametrico e metodo individuale (ossia basato sui costi effettivamente sostenuti), i cui modi di applicazione sono stati poi definiti con la delibera n. 171/2005.
Anche la delibera n. 170/2004 veniva impugnata da alcune società operanti nel settore della distribuzione del gas, deducendosi, tra l’altro, l’illegittimità dei modi di calcolo del valore massimo dei ricavi, in quanto fondati sul mero aggiornamento di dati relativi a precedenti anni termici, determinati sulla base della delibera n. 237/2000, già annullata dal TAR.
Il motivo veniva tuttavia rigettato sia dal TAR che dal Consiglio di Stato [21]. Quest’ultimo, in particolare, riteneva che l’introduzione del metodo individuale in alternativa a quello parametrico fosse in grado di offrire adeguata tutela a tutti gli operatori del settore. Posto, infatti, che il metodo individuale avrebbe consentito una adeguata valorizzazione dei costi effettivamente sostenuti, il metodo parametrico avrebbe costituito uno strumento alternativo «del quale può disporre l’esercente che ritiene assicurata, dalle tariffe approvate dall’Autorità per il precedente anno termico, un’adeguata copertura dei costi sostenuti per l’erogazione del servizio».
Sebbene in queste ultime pronunce non rilevi un problema di estensione soggettiva degli effetti del giudicato di annullamento della precedente delibera n. 240/2000 le sentenze da ultimo citate sono importanti in quanto – come meglio si chiarirà nel paragrafo successivo – precisano che con i nuovi atti generali dell’AEEGSI (deliberazioni nn. 170/2004 e 171/2005) determinativi dei criteri per il calcolo delle tariffe, potevano ritenersi «definitivamente superate le ragioni delle illegittimità originariamente colte con riguardo alla precedente delibera tariffaria» (n. 237/2000).
Malgrado – come visto nel paragrafo precedente – la deliberazione dell’Autorità n. 170/2004 avesse passato indenne il sindacato di legittimità del giudice amministrativo il problema dei limiti soggettivi del giudicato di annullamento veniva nuovamente a porsi all’inizio del secondo periodo regolatorio.
Infatti, anteriormente all’adozione della delibera n. 171/2005 – che, come detto, ha definito i modi di applicazione del metodo individuale – alcune società operanti nel settore del gas proponevano, con riguardo al sistema parametrico, istanze alla AEEGSI di rideterminazione del VRD per l’anno termico 2003/04 (rientrante nel primo periodo regolatorio e valore base di calcolo del VRD per il periodo successivo) considerando l’ambito tariffario nel suo complesso.
L’Autorità respingeva le istanze presentate ritenendo che soltanto gli esercenti in possesso di dati concreti per il calcolo dei costi di capitale, secondo il metodo di calcolo individuale, avrebbero potuto determinare il vincolo sui ricavi di distribuzione riguardo all’ambito tariffario complessivamente inteso.
Le suddette Società impugnavano quindi i dinieghi dell’Autorità e il giudice amministrativo accoglieva i ricorsi affermando l’illegittimità della motivazione dei detti provvedimenti poiché «la ratio che giustifica il computo dei costi di gestione per ambito tariffario complessivo (e non per sommatoria delle singole località) non è scalfita dalla circostanza che i costi di capitale siano calcolati con il metodo parametrico, conseguendone altrimenti l’effetto per cui le società titolari di gestioni associate possono avere riconosciuti i costi obiettivamente sostenuti soltanto se adottano il metodo individuale, con disparità di trattamento tra gli esercenti a seconda che utilizzino il metodo parametrico o individuale, che invece la stessa delibera n. 170 del 2004 presenta come alternativi ed equivalenti» [22].
Alla luce di queste sentenze altre società di distribuzione del gas proponevano all’AEEGSI istanza di rideterminazione del VRD per il periodo antecedente al secondo periodo regolatorio, incidente su tale periodo, e quindi per il detto secondo periodo, in modo che la regola che, in caso di gestioni associate, limitava il calcolo del VRD alla sommatoria dei costi per le singole località servite potesse essere definitivamente superata per tutti gli operatori del settore. In sostanza tali operatori chiedevano all’Autorità l’estensione nei loro confronti del giudicato di annullamento dei provvedimenti (individuali) di determinazione delle tariffe pronunciato nei confronti di altri concorrenti.
L’Autorità ha rigettato le domande di rideterminazione del VRD formulate dalle società istanti e ha dichiarato di non voler procedere alla richiesta estensione, essendo l’estensione del giudicato a terzi estranei al giudizio facoltà ampiamente discrezionale.
Nei confronti di tali dinieghi le società richiedenti hanno proposto impugnazione dinanzi al giudice amministrativo affermando, tra l’altro, la violazione del giudicato delle sentenze del TAR Lombardia n. 6691/2001 e del Consiglio di Stato n. 4448/2002 (aventi effetti erga omnes in quanto relative ad atti generali) nonché, conseguentemente, la nullità dei successivi atti dell’Autorità, applicativi della delibera annullata, ex art. 21 septies, legge n. 241/1990.
Il TAR ha parzialmente accolto i ricorsi di annullamento avverso i provvedimenti di approvazione delle tariffe. Anzitutto il giudice di primo grado ha affermato che gli effetti del giudicato (delle sentenze TAR n. 6691/2001 e Cons. St. n. 4448/2002) invocati dalle ricorrenti non riguardavano la parte caducatoria, bensì il contenuto ordinatorio e conformativo, che esse non erano legittimate a far valere sulla base della citata regola secondo cui la portata della sentenza si estende ultra partes solo per ciò che riguarda gli effetti caducatori [23].
Il Tribunale ha inoltre negato la legittimazione delle ricorrenti a far valere la nullità delle delibere adottate dall’AEEGSI ritenendo che la legittimazione ad agire per la declaratoria della nullità sia per sua natura circoscritta alle sole parti cui il giudicato si riferisce. Poiché solo le parti sono legittimate a proporre giudizio di ottemperanza solo esse possono far valere nei confronti dell’atto amministrativo difforme il vizio di violazione del giudicato.
Il TAR ha altresì negato la caducazione automatica e, quindi, per gli anni precedenti al 2007/2008 ha dichiarato la carenza di legittimazione all’impugnazione in quanto gli atti applicativi avrebbero dovuto essere impugnati nei termini.
Infine, il Tribunale ha accolto il ricorso in relazione all’impugnazione del provvedimento di approvazione della tariffa per l’anno in corso, essendo stata tempestiva l’impugnazione, per difetto di motivazione. Secondo il Tribunale, illegittimamente l’Autorità aveva deciso di non estendere anche alla ricorrente la portata precettiva delle sentenze del 2006 e 2007 sulla base della motivazione che tale estensione avrebbe determinato un indebito e non previsto aumento della tariffa di distribuzione con conseguente pregiudizio anche della certezza del sistema tariffario.
Da ultimo, la sentenza del TAR è stata ribaltata in sede di appello, avendo il Consiglio di Stato ritenuto congrua la motivazione con cui l’Autorità aveva rifiutato di estendere il giudicato di annullamento dei provvedimenti di diniego pronunciati nei confronti di altre imprese del settore [24].
Un altro gruppo di pronunce è relativo a un atto generale (deliberazione n. 248 del 29 dicembre 2004) con il quale l’AEEGSI aveva rivisitato il meccanismo di indicizzazione delle tariffe per la fornitura del gas naturale ai clienti finali del mercato vincolato. Con tale atto l’Autorità aveva, tra l’altro, reso obbligatoria l’introduzione nei contratti, anche quelli di compravendita di gas all’ingrosso, di una clausola di salvaguardia volta a fissare un limite all’aumento dei prezzi del gas nel caso di rincari del costo del petrolio. Con la stessa deliberazione veniva anche disposta la revisione del corrispettivo variabile relativo alla commercializzazione all’ingrosso, con aggiornamento delle condizioni economiche di fornitura del gas a decorrere dal primo trimestre del 2005.
La deliberazione n. 248/2004 veniva quindi impugnata da numerosi operatori e il TAR della Lombardia, con una pluralità di decisioni di pressoché identico contenuto, ritenendo fondate alcune delle censure dedotte, disponeva l’annullamento della succitata delibera.
Le sentenze di primo grado, tuttavia, venivano impugnate dall’Autorità dinanzi al Consiglio di Stato. In particolare, per quanto di interesse in questa sede, nei giudizi di impugnazione delle sentenze di primo grado n. 3716/2005 e n. 3718/2005, la sesta Sezione del Consiglio di Stato, con due distinte ordinanze, dichiarava improcedibili gli appelli proposti dall’AEEGSI, per tardività del deposito, e rimetteva all’Adunanza Plenaria la decisione circa l’ammissibilità, rispettivamente, dell’appello e dell’opposizione di terzo proposti da alcune associazioni di consumatori che non erano state parti nel giudizio di primo grado [25].
L’Adunanza Plenaria, a sua volta, si è pronunciata con le sentenze dell’11 gennaio 2007, nn. 1 e 2, risolvendo in senso negativo entrambe le questioni sottoposte al suo esame.
Sebbene queste pronunce non attengano direttamente al problema degli effetti soggettivi del giudicato, vi è un passaggio della sentenza n. 2/2007 che merita di essere qui sottolineato. Il giudice amministrativo, infatti, sia pure incidentalmente, sembrerebbe condividere la tesi sostenuta dai terzi opponenti in ordine al venir meno per essi dell’interesse alla decisione. Questi ultimi, infatti, chiedevano che venisse dichiarata da parte del giudice la sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione, poiché «l’atto inscindibile dell’Autorità per l’energia elettrica e per il gas, annullato con effetti erga omnes da una pluralità di decisioni del TAR della Lombardia, contrassegnate dallo stesso petitum e causa petendi, doveva ritenersi ritornato in vita (e anche questa volta con effetti erga omnes) a seguito della riforma», da parte del Consiglio di Stato, «di una delle decisioni di primo grado emanate dal TAR Lombardia» [26]. In realtà la decisione ritiene inammissibile l’opposizione per altre ragioni, secondo il criterio della «ragione più liquida», rilevando che una pronuncia «nei sensi auspicati dai ricorrenti (declaratoria di carenza di interesse dei terzi opponenti) postulerebbe incombenti istruttori rivolti a stabilire se veramente tutti gli annullamenti disposti in primo grado siano stati pronunciati – come si asserisce – sulla base delle stesse censure. (La presenza di decisioni di primo grado di annullamento per censure differenziate varrebbe, infatti, ad impedire – fino a quando non cadono tutte le sentenze – la riemersione dell’atto annullato in primo grado)». Nondimeno, come si può intuire dalla lettura dei brani appena riportati, la costruzione che vuole un ritorno in vita dell’atto inscindibile annullato in primo grado da una pluralità di decisioni aventi medesimi petitum e causa petendi, a seguito della riforma da parte della sentenza di appello di una delle decisioni di primo grado, pare essere condivisa dall’Adunanza Plenaria, in quanto (almeno apparentemente) logico corollario dell’impostazione sopra richiamata con riferimento agli effetti erga omnes del giudicato.
Per quanto la giurisprudenza richiamata nei paragrafi precedenti non si discosti dagli orientamenti dominanti sul tema dell’efficacia dell’annullamento giurisdizionale degli atti generali, meritano di essere segnalati alcuni aspetti.
Un primo rilievo attiene alla caratterizzazione degli atti impugnati, sotto il profilo che interessa il nostro tema. È noto che l’estensione ultra partes degli effetti della sentenza di annullamento, che la giurisprudenza riconosce in presenza di una variegata tipologia di atti amministrativi con pluralità di destinatari, è legato al carattere «inscindibile» degli stessi. Non vi è però omogeneità di impostazione nella identificazione del significato o, meglio, dell’oggetto della inscindibilità, che giustifica l’effetto esteso della decisione di annullamento. A seconda dei casi infatti può rilevare l’indivisibilità dell’atto, del suo contenuto, dei suoi effetti o del vizio che lo inficia [27].
Nel caso degli atti di regolazione la giurisprudenza, coerentemente con il rilievo dottrinale per il quale la indivisibilità dell’atto o degli effetti o del vizio non è che «la conseguenza di una indivisibilità che sta a monte, cioè l’indivisibilità del potere e della regola che lo regge e che il giudice accerta» [28], si mostra decisa nel ritenere la inscindibilità carattere legato alla natura stessa del potere esercitato, affermando che «gli atti con cui un’autorità amministrativa indipendente disciplina le modalità di esercizio di poteri di vigilanza e controllo sul settore di attività oggetto di regolazione presentano un carattere ontologicamente inscindibile, rappresentando l’espressione di una volontà unitaria da parte dell’autorità, la quale provvede in modo funzionalmente non frazionabile nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, bensì come componenti di una platea unitaria ed indivisibile» [29].
Questa impostazione mette in evidenza il carattere necessariamente infrazionabile della decisione, sul piano oggettivo e funzionale, ed individua nell’unitarietà della volizione, in un contesto di interessi complesso e pur destinato ad una pluralità di soggetti, uno dei caratteri tipici del potere di regolazione.
Alla stessa conclusione porta il rilievo che «il contenuto dispositivo generale, unitario e inscindibile» di un atto «riconducibile al modello di azione basato sulla regolazione» non si rivolge a destinatari determinati, ma a gruppi indeterminati di soggetti non individuabili a priori, appartenenti alle categorie individuate dalla legge. Questo secondo profilo accentua, sotto il profilo dell’efficacia soggettiva, la natura inscindibile dell’atto di regolazione, legandolo al carattere della generalità [30].
Il cumulo di questi due principi porta ad escludere la possibilità che l’annullamento di un atto di quel tipo produca effetti differenziati per categorie di destinatari, limitando l’estensione ultra partes ai titolari di interessi omogenei (e inscindibili) a quelli dedotti nell’impugnazione accolta [31].
Una seconda questione, messa in luce dalla rassegna giurisprudenziale che precede, che si intreccia con quella della estensione delle decisioni di annullamento di atti generali di regolazione, riguarda la problematica che nasce nel caso di pluralità di impugnazioni avverso il medesimo atto. Questa possibilità, che evidentemente non si verifica nelle sole impugnazioni di atti generali, appare normale e frequente nel caso che interessa, in considerazione della pluralità di soggetti coinvolti unitariamente dall’atto generale, ma autonomamente ed ugualmente legittimati alla contestazione di quest’ultimo.
Come si è visto dall’analisi della giurisprudenza sopra richiamata, non è agevole individuare i criteri che governano il concorso di impugnazioni del medesimo atto generale, soprattutto se si considera lo svolgimento della controversia nei due gradi di giudizio.
Le stesse ragioni che inducono a riconoscere un effetto ultra partes alle decisioni di annullamento degli atti generali, imporrebbe un coordinamento che, per quanto possibile, contenga la possibilità di pronunce contrastanti o anche semplicemente di sfasamento dei tempi e degli ambiti di produzione degli effetti, soprattutto nel campo della regolazione, per i motivi ai quali si è accennato nei paragrafi iniziali.
In realtà, una prima razionalizzazione dei diversi processi sul medesimo oggetto è offerta dai principi generali che regolano l’azione nel processo di impugnazione.
Può leggersi in questa prospettiva il tema della procedibilità di una impugnativa avverso un atto generale già annullato su ricorso di un diverso interessato. È noto che in questi casi la giurisprudenza ritiene improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto contro un atto generale già annullato in altro giudizio, proprio in considerazione del dispiegarsi ultra partes degli effetti dell’annullamento giurisdizionale.
Dal punto di vista del concorso delle impugnazioni, si dovrebbe concludere che, dopo la pubblicazione della prima sentenza di annullamento dell’atto generale, non vi potrebbe essere un secondo annullamento dello stesso atto [32]. In questo senso la regola dell’improcedibilità del ricorso successivo diviene anche criterio di razionalizzazione del concorso di impugnazioni.
Va verificato se il secondo ricorrente, che vede precluso l’accertamento richiesto al giudice, ma si giova, sul piano sostanziale, dell’effetto generale dell’annullamento dell’atto che ha impugnato, subisce limitazioni di tutela.
Prescindendo dalle questioni legate alle caratteristiche proprie delle sentenze di rito ed al grado di vincolo che esse esercitano nei confronti dell’Amministrazione, si potrebbe sostenere l’opportunità che il giudice non si arresti ad una pronuncia di rito, ma esamini la domanda nel merito, ai fini di una eventuale richiesta di risarcimento del danno (come prevede l’art. 34, terzo comma c.p.a.) o al fine di consentire al ricorrente di beneficiare dell’effetto conformativo del giudicato [33].
Per quanto attiene al primo profilo, l’azione risarcitoria non pare preclusa o compromessa da una decisione di improcedibilità che prende atto dell’annullamento del provvedimento lesivo: l’avvenuto annullamento presuppone comunque l’illegittimità dell’atto, mentre gli altri elementi della responsabilità dell’amministrazione saranno oggetto dell’azione risarcitoria. Né sembra che in questo caso al ricorrente possa opporsi di non aver agito esperendo gli strumenti di tutela ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a. o che si ponga una questione nell’applicazione del termine al quale è sottoposta l’azione risarcitoria, stante l’ampiezza della formulazione del quinto comma della norma appena citata, che lega la decorrenza del termine al passaggio in giudicato della sentenza resa sulla domanda di annullamento, indipendentemente dai suoi contenuti [34].
Sotto il secondo profilo, la questione può assumere rilievo se si condivide la tesi che l’effetto cosiddetto conformativo dell’annullamento non si estende ai terzi, i quali quindi avrebbero interesse ad una definizione della controversia anche nel merito, al fine di valersi di questo tipo di efficacia della decisione in sede di rinnovazione. È noto che la tesi giurisprudenziale che distingue, nel giudicato di annullamento dell’atto generale, l’effetto caducatorio da quello conformativo, riconoscendo solo al primo efficacia ultra partes, è stata messa in discussione dalla dottrina [35]. La giurisprudenza, tuttavia, anche quando afferma la possibilità che i soggetti estranei al giudizio siano legittimati a proporre un’azione di ottemperanza nei confronti della sentenza di annullamento di un atto generale, collettivo indivisibile o comunque a contenuto inscindibile, se portatori di una situazione di vantaggio, derivante dal giudicato di annullamento, precisa che «la legittimazione dei terzi estranei deve inerire al solo profilo cassatorio del giudicato» [36]. Resta però difficile comprendere in concreto fino a che punto possa spingersi la pretesa esecutiva «limitata» al profilo cassatorio; mentre non sembra che il terzo incontri limiti nel contestare la modalità e gli esiti della rinnovazione in sede di giudizio di cognizione.
A prescindere da questi temi, è comunque evidente che anche l’effetto processuale (la improcedibilità del ricorso avverso l’atto annullato) è conseguenza del mero fatto dell’avvenuto annullamento dell’atto generale oggetto di impugnazione, indipendentemente dai motivi che lo hanno determinato [37] e senza che occorra prendere in considerazione i caratteri propri dell’efficacia del giudicato (la conseguenza non muterebbe infatti nel caso di annullamento in via amministrativa dell’atto generale) [38].
Si noti anche che generalmente si riconosce, nel caso di pluralità di ricorsi avverso il medesimo atto generale, che se anche uno dei ricorrenti vede rigettata la sua impugnazione, non di meno beneficia dell’estensione a suo favore degli effetti dell’annullamento dell’atto generale, ottenuto da un altro soggetto [39]. Anche questa situazione è la conseguenza del mero effetto costitutivo erga omnes della decisione di annullamento. L’effetto non muta per il fatto che vi sia una sentenza, anche definitiva, che ha negato la pretesa del ricorrente: non vi è infatti un “giudicato” che ostacoli l’espandersi degli effetti dell’annullamento a quel particolare rapporto, in linea con la ricostruzione prevalente degli effetti delle sentenze di rigetto della domanda di annullamento.
Tornando alla questione della pluralità di giudizi, il meccanismo dell’improcedibilità del ricorso avverso l’atto già annullato dovrebbe escludere che vi possano essere decisioni successive di pari grado diverse dalla prima; ma dovrebbe evitare che vi possano essere anche più sentenze successive dello stesso identico tenore.
Resta tuttavia possibile che più sentenze di annullamento dello stesso atto siano adottate contestualmente, come frequentemente avviene, o in momenti successivi, nel tempo che intercorre fra la decisione e la pubblicazione della prima sentenza. Anche quando le decisioni, contemporanee o successive, sono identiche, il cumularsi della loro portata costitutiva genera una serie di questioni, legate in particolare all’appello, alle quali si accennerà in prosieguo.
La soluzione dovrebbe essere ricercata negli strumenti di concentrazione ed economia processuale previsti dalla normativa (fondamentalmente lo scarno art. 70 c.p.a.) [40] e dai principi giurisprudenziali sulla riunione dei processi connessi. È noto che la riunione, nel giudizio di primo grado, è espressione di una facoltà ampiamente discrezionale del giudice [41]. Essa presuppone comunque requisiti di connessione fra le impugnazioni che, nel caso che interessa in questa sede, possono verificarsi nelle ipotesi in cui le impugnazioni avverso l’unico atto generale – che solo per questo sono oggettivamente connesse e parzialmente connesse sul piano soggettivo [42] – presentino anche identità di motivi [43].
Più complesse sono le questioni, in parte affrontate dalla giurisprudenza esaminata nella rassegna che precede, legate ai riflessi della pluralità di decisioni di annullamento di un atto generale sul tema della loro appellabilità e della sorte degli appelli.
Anzitutto merita di essere considerata l’affermazione del Consiglio di Stato, nelle decisioni in rassegna, che dichiara improcedibili per difetto sopravvenuto di interesse gli appelli proposti dall’Autorità avverso sentenze del TAR che avevano annullato atti generali, laddove nel frattempo fossero passate in giudicato altre sentenze del TAR non impugnate ed aventi ad oggetto i medesimi atti.
Viene in questo modo riaffermato, nella sostanza, il principio che l’annullamento dell’atto propaga i suoi effetti oltre l’ambito del rapporto dedotto nel primo giudizio, sicché è impossibile rimettere in discussione la questione della legittimità dei contenuti precettivi di un atto «definitivamente annullato erga omnes».
In questo caso, chi resiste all’appello dell’Amministrazione beneficia della preclusione processuale che deriva dalla improcedibilità della impugnazione, stante la definitività di una pronuncia di annullamento dell’atto generale, resa in un giudizio promosso da altro ricorrente; l’Amministrazione è tenuta a riconoscere che l’annullamento del proprio atto generale ha effetto anche nei confronti di rapporti ancora contestati che su di esso si fondano.
Questa regola, peraltro, va confrontata con un diverso principio richiamato proprio con riferimento agli atti generali dell’Autorità e per il quale, di fronte ad una pluralità di decisioni di annullamento del medesimo atto inscindibile, quest’ultimo dovrebbe ritenersi ritornato in vita (erga omnes) a seguito della riforma anche di una soltanto delle decisioni di primo grado, con effetto «non soltanto per l’appellante a cui favore risultava emanata la sentenza», qualora le impugnazioni si fondassero sui medesimi motivi [44]. La possibilità di «riemersione» dell’atto annullato da una pluralità di sentenze anche in base ad una sola decisione di riforma in appello potrebbe infatti non apparire del tutto coerente con la conclusione della improcedibilità dell’appello dopo il passaggio in giudicato di altre decisioni di annullamento.
Se infatti l’accoglimento di un solo appello avverso una delle plurime sentenze che hanno annullato il medesimo atto generale fa riemergere l’atto con valenza erga omnes, non vi sarebbe ragione per ritenere che un solo annullamento in primo grado divenuto definitivo precluda l’esame degli appelli successivi.
In realtà sembra che la riemersione possa valere solo in relazione alla prima decisione di appello che riformi una delle sentenze di annullamento. Le successive decisioni di appello dovrebbero riconoscere l’improcedibilità degli appelli successivamente esaminati, sempre che l’oggetto delle impugnazioni originarie sia identico. Quest’ultimo aspetto è centrale: la sentenza di appello che riforma una sentenza di annullamento è infatti una decisione di rigetto del ricorso originario; per la nota asimmetria che caratterizza le decisioni di rigetto e di accoglimento di azioni impugnatorie, può verificarsi che vi siano, da un lato, pronunce che riconoscono la validità dell’atto impugnato, con riferimento ai motivi dedotti, e, dall’altro lato, pronunce che annullano il medesimo atto, rimuovendolo dal mondo giuridico.
Ma di fronte alla intangibilità di una decisione di annullamento dell’atto generale non sembra che vi sia spazio per una «riemersione» dell’atto annullato.
Se si attribuisse alla «riemersione» una portata più ampia, si giungerebbe a conclusioni incoerenti. Si potrebbe infatti affermare la possibilità che l’atto stesso sia definitivamente annullato per alcune vicende e riemerso per altre. La stessa Amministrazione potrebbe valersi dell’effetto estensivo della riemersione dell’atto annullato, se fosse accolto l’appello di un altro interessato. Né si potrebbe sostenere che la preclusione derivante dalla inoppugnabilità di una delle decisioni di annullamento operi solo rispetto ad appelli di uno stesso soggetto [45]: questa conclusione apparirebbe difficile da giustificare, di fronte ai principi che governano gli effetti dell’annullamento degli atti generali.
In realtà, la «definitività» della sentenza che preclude il corso degli appelli contro altre sentenze di annullamento del medesimo atto generale, da un lato, non può essere il riflesso della formazione del giudicato formale, che non avrebbe effetto preclusivo rispetto ad altri rapporti processuali, ma la conseguenza del mero fatto dell’annullamento divenuto inoppugnabile, come in effetti sembra ricostruirla la giurisprudenza esaminata [46]. Dall’altro lato, occorrerebbe però considerarla come impossibilità «erga omnes» di rimettere in discussione l’annullamento dell’atto generale, una volta che sia divenuta inoppugnabile anche una sola di diverse sentenze di annullamento del medesimo atto generale, pur pendendo appelli sulle altre sentenze, anche di soggetti diversi, destinati, a questo punto a diventare improcedibili, poiché comunque l’atto generale è definitivamente rimosso dal mondo giuridico.
Nella pratica sono peraltro noti casi nei quali il Giudice di appello si è pronunciato più volte, dopo una prima decisione di conferma, con decisioni successive difformi, sull’annullamento del medesimo atto generale, operato con più sentenze contestuali [47], evidentemente superando la questione della improcedibilità dell’appello dell’amministrazione di fronte all’intangibilità di una decisione di annullamento dell’atto generale.
In questo caso è inevitabile il conflitto fra i giudicati, che non può essere ritenuto “meramente logico”, se si accede alla ricostruzione prevalente che considera il carattere esteso dell’effetto di annullamento come un problema di efficacia erga omnes del giudicato. Più decisioni di appello che confermano e riformano due o più identiche sentenze di annullamento erga omnes dello stesso atto generale, producono esattamente l’effetto di far convivere un annullamento definitivo erga omnes con una riemersione sempre erga omnes. Difficile, a questo punto, immaginare un criterio di risoluzione del conflitto che consenta di far prevalere una delle decisioni. Non sembra che possa ragionevolmente farsi riferimento al criterio cronologico o ad un criterio di prevalenza sul piano logico di una delle decisioni [48].
Probabilmente la questione richiama il tema dei limiti all’efficacia erga omnes dei giudicati di annullamento di atti inscindibili, che talora sono affiorati in giurisprudenza. Fra questi si indica il limite dei rapporti esauriti [49]. In realtà, si tratta di un riferimento piuttosto incerto (si fa l’esempio della prescrizione). Nella fattispecie appena citata il limite potrebbe però operare quanto meno nel senso di ritenere sottratto all’effetto erga omnes il giudicato inter partes, qualora difformi, riportando in questo modo sul piano logico il contrasto fra i giudicati. Ma si tratta ovviamente di comprendere quale sia la decisione che produce effetto erga omnes.
In realtà, se sopravvive una di più sentenze di annullamento del medesimo atto, divenuta intangibile (perché confermata in appello o non appellata), sembra logico riconoscere alla stessa, per il suo carattere costitutivo, effetto di annullamento dell’atto, che non sarebbe toccato da decisioni di appello, anche successive, che riformando altre sentenze di annullamento del medesimo atto, rigettano le originarie impugnazioni: questa conclusione sarebbe giustificata dalla asimmetria, quanto agli effetti, delle pronunce di accoglimento e di rigetto delle azioni di annullamento e sarebbe coerente con il principio, affermato dalla giurisprudenza citata, della improcedibilità dell’appello dell’Amministrazione di fronte al giudicato sceso su una di più sentenze di annullamento, nonché con il principio della portata ultra partes del giudicato di annullamento dell’atto inscindibile.
Come si vede, una rigorosa e coerente applicazione dei principi richiamati si scontra talora con esigenze pratiche, che inducono ad attenuarne la portata, se non a disattenderli, e comunque è resa difficoltosa dalla mancanza di regole certe ed acquisite che consentano la traduzione dei principi in adeguati istituti processuali.
Sulla tematica esaminata rilevano e si intrecciano infatti profili diversi. Se il tema dell’estensione ultra partes degli effetti delle pronunce che riguardano gli atti generali è legato agli aspetti sostanziali del regime di questi ed alla conformazione dei poteri amministrativi, le problematiche poste dal concorrere di una pluralità di giudizi e di pronunce sullo stesso oggetto quando questo è un atto generale, richiamano altre questioni, che mostrano la difficoltà di garantire una soluzione impeccabile nell’ambito dei principi del processo amministrativo.
Secondo il tradizionale orientamento, l’effetto esteso, sul piano soggettivo, dell’annullamento dell’atto generale è coerente con l’efficacia tipica degli atti dei quali si discute, che si conserva nelle vicende che li riguardano. La concatenazione è in sé lineare: l’atto amministrativo ha effetti generali; la decisione di annullamento (giurisdizionale o amministrativa), che partecipa dello stesso carattere costitutivo del primo atto, ha anch’essa effetti generali; la pronuncia di annullamento dell’annullamento produce effetti non dissimili, ripristinando, con effetto erga omnes, l’efficacia dell’atto generale “riemerso”.
Nel caso di pluralità di impugnazioni in sede giurisdizionale aventi ad oggetto lo stesso atto generale, l’effetto esteso delle pronunce di annullamento deve confrontarsi con i caratteri del processo amministrativo e delle decisioni del giudice amministrativo, ed in particolare, nell’ottica che interessa, con le questioni che riguardano il regime delle preclusioni processuali e la stabilità della pronuncia di annullamento (e che, con molta approssimazione, si possono ricondurre al tema del giudicato). Ma le soluzioni risentono del carattere specifico dell’oggetto dei giudizi.
In effetti, nelle vicende processuali richiamate, abbiamo visto che l’annullamento dell’atto generale produce effetti nei processi non ancora conclusi contro lo stesso atto, rendendo prive di oggetto le impugnazioni di altri soggetti, che debbano essere decise dopo il primo annullamento o comunque soddisfacendo l’interesse che le giustifica. In sé, però, questa conclusione è la conseguenza del mero fatto dell’annullamento e non dei caratteri tipici della decisione giurisdizionale (e del giudicato): non cambierebbe, infatti, se l’annullamento fosse pronunciato in via amministrativa.
Nel caso della improcedibilità dell’appello dell’Autorità dopo la definitività di uno fra più annullamenti dello stesso atto generale prevale la considerazione che la possibilità di rimettere in discussione la decisione di annullamento metterebbe a rischio l’affermazione della portata erga omnes dell’annullamento dell’atto generale. Sebbene la stabilità raggiunta dalla decisione di annullamento sia determinata dall’applicazione delle regole proprie del giudicato formale (ma sarebbe lo stesso se si parlasse di un annullamento amministrativo divenuto inoppugnabile), ciò che rileva è che un atto generale ad effetti inscindibili non potrebbe essere annullato per alcuni e non per altri dei suoi destinatari.
Nel caso della sentenza di appello che riformi l’annullamento e rigetti la originaria impugnazione, sembrerebbe che possa operare, nel caso di identità di motivi, la regola della riemersione erga omnes dell’atto generale.
Sul piano processuale gli appelli che siano successivamente portati in decisione su altre sentenze di annullamento dello stesso atto generale, per i medesimi motivi, dovrebbero ritenersi quindi improcedibili.
Su questa conclusione incide come si vede la questione della identità di motivi che sorreggono le impugnazioni concorrenti. Per ragioni logiche infatti mentre l’annullamento dell’atto inscindibile può operare erga omnes in considerazione del mero carattere costitutivo della decisione, la «riemersione» dell’atto annullato, conseguente all’accoglimento di un appello ed alla riforma di una sentenza di primo grado, pur in presenza di altre decisioni di annullamento dello stesso atto, può avere efficacia estesa solo se i motivi di impugnazione sono i medesimi. Se le sentenze di primo grado avessero accolto motivi diversi o profili diversi, in pendenza di più appelli, non opererebbe la riemersione dell’atto annullato fino all’accoglimento di tutti gli appelli. In questo modo, la riemersione sembra essere conseguenza di un mero accidente.
Invero, ad ogni sentenza di primo grado che ha annullato il medesimo atto generale dovrebbe riconoscersi un effetto costitutivo, che potrebbe essere rimosso solo con altra decisione costitutiva di riforma. In questo modo, infatti, si nega qualsiasi efficacia alle decisioni successive alla prima e la regola della riemersione riposa, in definitiva, sulla convinzione che non potrebbero esserci valutazioni differenti sui medesimi motivi.
In realtà, le difficoltà segnalate in questa breve rassegna manifestano una esigenza di fondo: quella di razionalizzare e possibilmente ricondurre ad unità i processi sulle impugnazioni concorrenti avverso il medesimo atto amministrativo generale a contenuto inscindibile. Si tratta di una esigenza che non è meramente processuale, ma che evidentemente si riflette sul piano sostanziale, condizionando la stabilità e la certezza della regolazione.
Sul piano processuale, i meccanismi di razionalizzazione e riconduzione ad unità sono diversi. Come si è visto, la affermazione della improcedibilità dei ricorsi avverso lo stesso atto generale già annullato, in considerazione del carattere esteso della efficacia della decisione di annullamento, è già uno strumento di razionalizzazione dei giudizi concorrenti sullo stesso oggetto, che dovrebbe consentire di escludere una seconda pronuncia di merito dopo una prima decisione di annullamento dell’atto generale. Nel caso di giudizi simultanei o successivi sullo stesso oggetto dovrebbe soccorrere la facoltà di disporre la riunione dei giudizi.
Anche le regole sulla competenza territoriale e funzionale dei Tribunali amministrativi regionali e sulla sua inderogabilità dovrebbero soccorrere, proprio in questa materia, consentendo la concentrazione delle controversie che riguardano gli atti generali ed in particolare gli atti di regolazione. In particolare, il principio di cui all’art. 13, comma 4 bis, c.p.a. che sancisce la prevalenza del foro ordinario dell’atto generale, sottraendolo allo spostamento per connessione, dovrebbe rispondere all’esigenza di concentrare in unica sede l’impugnazione dell’atto generale [50]. Nelle materie che trattiamo vale poi la competenza funzionale sancita dagli artt. 14 e 135 c.p.a.
Nonostante ciò sarebbe auspicabile un rafforzamento della disciplina positiva che garantisse le esigenze proprie di un processo così particolare, come quello che ha ad oggetto atti generali e soprattutto atti di regolazione.
È già stato osservato come nel caso degli atti generali delle autorità di regolazione si manifesti la necessità di un processo che tenga conto dei tempi della regolazione e della complessità delle relazioni coinvolte da essa [51].
La specialità del rito dovrebbe riguardare anche la creazione di meccanismi atti a rendere possibile la concentrazione, in primo e secondo grado, dei giudizi che attengono agli atti di regolazione, intervenendo sui criteri per garantire, ove possibile, un simultaneo giudizio ed una pronuncia unica, anche attraverso la puntualizzazione dei poteri di riunione dei giudizi ed una diversa regolamentazione dei poteri di impulso delle parti.
È sempre attuale, poi, il tema della pubblicità delle decisioni giurisdizionali che riguardano gli atti generali [52] ed in particolare gli atti di regolazione.
La produzione di effetti erga omnes richiederebbe anche misure di conoscibilità della decisione giurisdizionale analoghe a quelle previste per l’atto annullato ed idonee a fornire certezza sulla sorte dell’atto di regolazione e sulla decorrenza della cessazione dei suoi effetti.
In questo senso è noto che la normativa sul ricorso straordinario prevede la pubblicità con le medesime forme degli atti annullati della decisione di annullamento di atti amministrativi generali a contenuto normativo [53]. La stessa ratio imporrebbe che anche nei casi esaminati, ed in particolare nei settori sensibili della regolazione, le decisioni del giudice amministrativo fossero pubblicate. Fin da ora sembrerebbe comunque possibile o che il giudice, con la sentenza di merito, imponga all’amministrazione gli incombenti necessari a garantire una adeguata conoscibilità della pronuncia [54], ovvero che l’Autorità intenda i vincoli di trasparenza e le regole pubblicità previsti dalla legge per i suoi atti nel senso di estendere alle decisioni di annullamento del giudice amministrativo le stesse forme di conoscibilità degli atti di regolazione annullati. Non senza rilevare l’opportunità di una specifica disciplina che tenga conto anche del possibile disallineamento temporale fra l’efficacia inter partes e l’efficacia estesa della decisione di annullamento, se quest’ultima dipendesse dalla pubblicazione della sentenza nelle forme dell’atto annullato, in coerenza con i caratteri e le esigenze dell’attività di regolazione.
[1] Per un esempio in cui è possibile apprezzare l’emersione di tale problematica dinanzi al giudice amministrativo si veda la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2012 n. 5469 pronunciata su un ricorso presentato dall’AEEGSI e volto ad ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza ex art. 112, comma 5, c.p.a. Tra i quesiti posti dall’Autorità ve ne era anche uno relativo all’ambito soggettivo del giudicato di annullamento di una delibera tariffaria. Il giudice ha ritenuto il quesito inammissibile ritenendo che «nel caso di specie non viene sottoposto un quesito di interpretazione del giudicato (che è stato reso tra parti ben specifiche e che pertanto vale tra le parti), ma un quesito generale sulla estensione soggettiva degli effetti del giudicato, che esula dalla sua interpretazione, e attiene all’esercizio dei poteri amministrativi di estensione soggettiva degli effetti del giudicato».
[2] Ciò è dovuto anzitutto all’incertezza che avvolge la definizione di atto generale già nel diritto sostanziale. Sul punto si vedano, da ultimo, M. RAMAJOLI-B. TONOLETTI, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, in Dir. amm., 2013, p. 53 ss. Per una critica degli orientamenti giurisprudenziali sul tema A. TRAVI, Il giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, p. 912 ss.
[3] Così G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 102. Ciò tuttavia non significa – secondo questa impostazione – che l’Autorità di regolazione non ponga in essere una ponderazione di interessi, ma solo che mancherebbe qui un interesse pubblico primario al quale ordinare gli altri interessi, pubblici e privati. Lo stesso Autore afferma, poco dopo (p.103), che «l’esercizio della funzione è caratterizzato, ora, dalla ponderazione-conciliazione ‘policentrica’ tra interessi di sistema e privati (si pensi alle determinazioni tariffarie); ora, dal semplice bilanciamento tra interessi privati contrapposti (si pensi alla determinazione dei livelli qualitativi e delle condizioni contrattuali) …». Impostazione analoga era già presente in S. CASSESE, Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato, concorrenza, regole 2002, p. 265 ss., in particolare pp. 267-268. Altra parte della dottrina, invece, propende per la soluzione opposta, ritenendo che i poteri di regolazione non possano che comprendere quell’ineliminabile elemento di ponderazione degli interessi pubblici e privati che è tipico della decisione amministrativa. Così, ad esempio, F. MERUSI-M. PASSARO, voce Autorità indipendenti, in Enc. dir., Agg., VI, 2002, p. 179, secondo i quali «l’attività di regolazione o di aggiudicazione, quella tipica delle autorità indipendenti, investe sempre un potenziale conflitto tra un interesse pubblico (…) ed altri interessi pubblici (…) o privati (…), la cui soluzione o mediazione, in via regolamentare o decisoria, implica necessariamente quella ponderazione comparativa tra gli interessi coinvolti che è il connotato precipuo della discrezionalità amministrativa».
[4] Un tentativo in questo senso è operato da E. BRUTI LIBERATI, La regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici a rete, Giuffrè, Milano 2006, pp. 55-56, in relazione ai poteri regolatori con i quali sono fissati i criteri e gli obblighi finalizzati ad assicurare l’accesso alle infrastrutture del gas. Lo stesso Autore, peraltro, sembra prediligere l’idea che in linea generale i poteri di regolazione comprendano anche una componente di discrezionalità. Cfr. E. BRUTI LIBERATI, Servizi di interesse economico generale e regolatori indipendenti, in E. BRUTI LIBERATI e F. DONATI, La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 75 ss., in particolare p. 84 ss.; v. anche ID., Regolazione indipendente e politica energetica nazionale, in questa Rivista, n. 1/2014, p. 81 ss. in particolare pp. 95-96.
[5] In questi termini si esprime A. TRAVI, Autorità per l’energia elettrica e giudice amministrativo, in E. BRUTI LIBERATI e F. DONATI, Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007, p. 73 ss.
[6] Di «rapporto ambiguo con la legge, quasi di sofferenza nei suoi riguardi» parla M. RAMAJOLI, Potere di regolazione e sindacato giurisdizionale, in E. FERRARI, M. RAMAJOLI, M. SICA (a cura di), Il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, Giappichelli, Torino, 2006, 265 ss., in particolare, p. 267.
[7] Non a caso i rapporti tra Autorità indipendenti e giudici sono oggetto di costante attenzione da parte della dottrina poiché, com’è stato notato da A. TRAVI, Autorità per l’energia elettrica e giudice amministrativo, cit.: «il momento della tutela contribuisce a definire il ruolo dell[e] Autorità, orientando il [loro] approccio nella regolazione del settore».
[8] Esempi in questo senso sono offerti da G. NAPOLITANO, Il grande contenzioso economico nella codificazione del processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2011, p. 677 ss. Sul rapporto tra giurisdizione ed economia si veda anche F. PATRONI GRIFFI, La legge, l’economia, il giudice, in Rassegna Astrid, n. 5/2015.
[9] M. RAMAJOLI-B. TONOLETTI, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, cit., p. 97.
[10] Sul punto cfr. G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, cit., p. 139.
[11] Spunti in questa prospettiva sono presenti in G. NAPOLITANO, Il grande contenzioso economico nella codificazione del processo amministrativo, cit. e in E. FERRARI, Garanzia e regolazione dei mercati di fronte al sindacato dei giudici, in E. FERRARI-M. RAMAJOLI-M. SICA (a cura di), Il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, cit., p. 345.
[12] Si tratta di giurisprudenza consolidata le cui origini risalgono ai primi anni del secolo scorso. Per una disamina di questa giurisprudenza si v. P.M. VIPIANA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Milano 1990, p. 260 ss. Recentemente sul tema v. anche M. FOSFORO, I limiti soggettivi del giudicato amministrativo, in Giur. it., 2014, p. 666 ss.
[13] Così Cass. civ., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3364 che riprende Cass. civ., Sez. I, 13 marzo 1998, n. 2734, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 573. Per l’affermazione nella giurisprudenza amministrativa della regola generale e della relativa eccezione vedi, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350. Con specifico riferimento agli effetti dell’annullamento di un atto generale di regolazione dell’AEEGSI v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6153.
[14] Cons. Stato, Sez. IV, 18 luglio 1990, n. 561; Id., 6 marzo 2000, n. 1142.
[15] Solo in taluni isolati ed eccezionali casi, portando alle estreme conseguenze le premesse del ragionamento più sopra richiamato, la giurisprudenza amministrativa si è spinta fino al punto di ammettere che il giudizio di ottemperanza nei confronti di una sentenza di annullamento di un atto generale passata in giudicato potesse essere attivato anche da soggetti terzi rispetto al giudizio di merito. Cons. Stato, Sez. V, 9 aprile 1994, n. 276; Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2009, n. 7249; Id. 2 maggio 2012, n. 2489.
[16] Queste considerazioni sono sviluppate da A. TRAVI, Il giudicato amministrativo, cit., in particolare, p. 934.
[17] M. RAMAJOLI-B. TONOLETTI, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, cit., p. 60.
[18] In questo senso A. TRAVI, La (diretta o indiretta) regolazione dei prezzi: presupposti e limiti di ammissibilità nei mercati liberalizzati. Stimoli all’efficienza e principio di aderenza ai costi, in E. BRUTI LIBERATI-F. DONATI, (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, cit., p. 177 ss., in particolare 181, secondo cui «la tariffa diventa il fattore che esprime un punto di equilibrio fra tutti i vari interessi e rispetto a questo equilibrio un obiettivo essenziale è rappresentato dall’efficienza dell’operatore».
[19] Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4895; Id., 4 settembre 2002, nn. 4448, 4449, 4450; Id., 19 agosto 2002, n. 4184. A conclusioni identiche il Consiglio di Stato è pervenuto con riferimento alle delibere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas attuative dei compiti di vigilanza ad essa attribuiti per garantire l’osservanza del divieto di traslazione sui prezzi al consumo della maggiorazione dell’imposta sul reddito delle società (IRES). Cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. VI, 15 settembre 2011, nn. 5148, 5149, 5150, 5151. Riconosciuta a tali delibere la natura di atto amministrativo generale a contenuto unitario e inscindibile ne discende, sul piano processuale, «che il loro annullamento in sede giudiziale determina il venir meno degli effetti nei confronti di tutti i destinatari, compresi quelli rimasti estranei alla controversia». Pertanto «i soggetti destinatari di un atto generale per essi pregiudizievole, rimasti estranei al giudizio, potranno invocare (…) nei confronti dell’amministrazione resistente rimasta soccombente, il giudicato di annullamento formatosi nei confronti di quest’ultima su ricorso di altro interessato».
[20] Il riferimento è alle sentenze del TAR Lombardia, 13 giugno 2001, n. 6691, 6692, 6693, 6694, 6695, 6698. I contenuti delle predette sentenze sono stati poi sostanzialmente ribaditi da TAR Lombardia, 16 marzo 2004, n. 1711.
[21] TAR Lombardia, Sez. IV, 1 aprile 2005, n. 743; Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1399.
[22] TAR Lombardia, nn. 613, 919, 1011/2006, confermate in Cons. Stato, Sez. VI, nn. 3476, 2242, 2243/2007.
[23] TAR Lombardia, Sez. III, 4 febbraio 2009, nn. 1129-1133.
[24] Cons. Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2011, nn. 45-49. I principi affermati in tali decisioni sono stati poi confermati da Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2011, n. 6743.
[25] Il riferimento è alle ordinanze della Sezione sesta del Cons. Stato, 6 giugno 2006, n. 3408 e 4 settembre 2006, n. 5101.
[26] Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2006, n. 3352, che ha riformato TAR Lombardia, 28 luglio 2005, n. 3478 e, per l’effetto, ha respinto il ricorso di primo grado avverso la deliberazione n. 248/2004.
[27] Per una rassegna delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali sulla questione si veda in particolare P.M. VIPIANA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, cit., p. 280 ss., con rilievi ancora attuali. Il tema riaffiora in giurisprudenza anche con riferimento a questioni del tutto diverse: si veda di recente per l’affermazione della indivisibilità degli effetti di un atto dal punto di vista oggettivo, al fine della determinazione della competenza territoriale, Cons. Stato, Ad. plen., 7 novembre 2014, n. 29.
[28] M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 3a ed., Il Mulino, Bologna, 1983, p. 402.
[29] In questi termini, Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388.
[30] In questo senso Cons. Stato, Sez. VI, 15 settembre 2011, nn. 5150 e 5151, già citata, che ha ritenuto che «la delibera A.e.e.g. n. 109/2008, con il suo contenuto dispositivo generale, unitario e inscindibile, riconducibile al modello di azione amministrativa basato sulla regolazione, non si rivolge a destinatari determinati, ma a un gruppo indeterminato di destinatari non individuabili a priori, appartenenti alle categorie individuate dall’art. 81 d.l. n. 112 del 2008, sicché presenta natura di atto amministrativo generale a contenuto unitario e inscindibile», dalla quale deriva, sul piano processuale la conseguenza che il suo «annullamento in sede giudiziale determina il venire meno degli effetti nei confronti di tutti i destinatari, compresi quelli rimasti estranei alla controversia».
[31] Si veda, in relazione all’impugnazione di provvedimenti tariffari, la vicenda decisa da Cons. Stato, Sez. VI, 21 agosto 1993, n. 585, nella quale si ammette la possibilità di limitare l’estensione degli effetti della decisione di annullamento per categorie omogenee di destinatari, e le osservazioni di P.M. VIPIANA, L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti tariffari ancora al vaglio del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 1995, p. 527 s.
[32] Mentre, per la asimmetria delle decisioni di accoglimento e di rigetto nel processo amministrativo di impugnazione, dopo una prima decisione di rigetto, non può escludersi l’esame delle impugnazioni diverse sul medesimo atto.
[33] La sentenza che dichiara improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse non offre evidentemente le stesse opportunità di una decisione di merito di accoglimento, soprattutto per quanto attiene alla ottemperanza ed alla possibilità in quella sede di contestare la nullità dell’atto dell’amministrazione che violi o eluda la pronuncia di annullamento. È poi evidente che possono residuare profili di utilità del processo anche quando questo debba chiudersi con una sentenza di rito: a parti invertite ed in secondo grado Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4896, pur dichiarando l’improcedibilità di un appello proposto dall’Autorità avverso una sentenza del TAR Lombardia a seguito del passaggio in giudicato di altre sentenze del TAR che annullavano il medesimo atto, non ha omesso di pronunciarsi in ordine all’interesse dell’Autorità a vedere affermata la sussistenza del proprio potere in astratto, precisando che «la portata di tale decisione, concernendo il profilo della sussistenza del potere in astratto, soddisfa un interesse dell’appellante non scalfito dal dedotto previo passaggio in giudicato delle citate sentenze del Tribunale di prime cure volte all’annullamento del provvedimento di che trattasi. Se ne ricava, con riferimento alla presente fattispecie, che l’annullamento della delibera n. 248/2004, non pregiudica (…) la persistenza del potere amministrativo in effetti riesercitato dall’Autorità con le determinazioni prima specificate».
[34] La questione potrebbe avere risvolti diversi nel caso in cui il terzo non avesse mai impugnato l’atto generale e si fosse giovato comunque dell’effetto esteso del suo annullamento.
[35] Esattamente A. TRAVI, Il giudicato amministrativo, cit., p. 933, rileva che l’effetto rinnovatorio-conformativo è un corollario dell’accertamento che comporta la caducazione dell’atto impugnato: la latitudine dei limiti soggettivi non può essere diversa.
[36] Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2009, n. 7249.
[37] Sempre nella prospettiva della tutela del secondo ricorrente, nei singoli casi, potrebbe rilevare la eventuale diversità dei motivi di impugnazione proposti con il ricorso dichiarato improcedibile. Certamente possono trarsi utilità diverse dall’accoglimento di vizi diversi: ma questo aspetto riguarda fondamentalmente il momento della rinnovazione degli atti, mentre sulla procedibilità dell’impugnazione rileva la mera considerazione che l’atto che ne è oggetto è stato annullato.
[38] Vanno infatti condivisi i puntuali rilievi di A. TRAVI, Il giudicato amministrativo, cit., p. 931 s.
[39] Ricorda Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007, n. 1 che «in coerenza con il costante indirizzo giurisprudenziale formatosi sulla efficacia “erga omnes” della sentenza di annullamento di un atto generale dal contenuto inscindibile» l’atto generale definitivamente caducato non trova applicazione nei confronti di tutti i soggetti interessati «anche se non abbiano proposto ricorso ovvero abbiano proposto un ricorso respinto».
[40] Ai sensi del quale «il collegio può, su istanza di parte o d’ufficio, disporre la riunione di ricorsi connessi».
[41] L’esercizio del potere di riunire i giudizi non è soggetto all’obbligo di motivazione, né può dar luogo ad un vizio della decisione che non ha disposto la riunione: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 aprile 2014, n. 2086, Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034, Cons Stato, Sez. V, 17 ottobre 2012, n. 5294; Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 823. D’altra parte è stato evidenziato che la mancata riunione dei ricorsi non può essere sindacata in appello se non quando il giudice di primo grado sia incorso in un palese arbitrio e più in particolare quando il rapporto di pregiudizialità tra le cause connesse sia così stretto da non consentire al giudice di decidere i ricorsi separatamente: Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2008, n. 74; Cons. Stato, Sez. IV, 27 febbraio 1996, n. 18. La riunione è possibile anche in appello: Si afferma infatti che l’art. 70 c.p.a. «conferisce al giudice amministrativo il generale potere discrezionale di disporre la riunione di ricorsi connessi, con la conseguenza che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell’economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati» Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 356; Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 320, Cons. Stato, Sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4204. Si veda anche Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388, che dispone la riunione degli appelli contro una pluralità di decisioni di primo grado di annullamento delle stesse delibere adottate dall’AEEGSI in attuazione dell’art. 81 del d.l. n. 112/2008. In dottrina, evidenzia le lacune della disciplina normativa del giudizio amministrativo con pluralità di parti M. Ramajoli, Il cumulo soggettivo nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, p. 1237 ss.
[42] La giurisprudenza ammette la connessione soggettiva anche solo quando sono proposti gravami avverso le medesime amministrazioni da ricorrenti diversi: sul punto, ancora, M. RAMAJOLI, op. ult. cit. e giurisprudenza ivi citata.
[43] Dispongono, ad esempio, la riunione di gravami proposti da ricorrenti diversi contro una stessa deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, perché «rivolti verso un unico provvedimento e aventi ad oggetto identiche censure», TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 10 maggio 2013, n. 1237 o «per connessione oggettiva essendo impugnata la stessa delibera con argomentazioni identiche», T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 29 novembre 2010, n. 7382. Invero, il profilo dell’identità di motivi potrebbe essere recessivo rispetto all’esigenza di concentrazione dei giudizi, legata fondamentalmente alla portata erga omnes dell’effetto della decisione. Certamente la diversità dei motivi rende più complicata la riunione, ma l’effetto esteso della decisione, che ne consiglia l’unicità, si produce per il mero fatto dell’annullamento, indipendentemente dalle ragioni che lo sorreggono.
[44] Si tratta di una conclusione che, come visto supra al § 3.3, sembra sia pure incidentalmente avallata dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 2/2007, così massimata in Foro amm. CDS 2007, 1, 94: «un atto inscindibile, annullato con effetti erga omnes da una pluralità di decisioni del Tar rese su azioni contrassegnate da stesso petitum e stessa causa petendi, deve assumersi ritornato in vita a seguito della riforma da parte della sentenza di appello del Consiglio di Stato di una delle decisioni di primo grado. Ne consegue la riemersione degli effetti dell’atto medesimo per tutti gli altri ricorrenti che abbiano proposto impugnativa sulla base di censure identiche a quelle in seguito riconosciute prive di fondamento dal giudice di secondo grado e non soltanto per l’appellante a cui favore risulti emanata la sentenza».
[45] Nel senso che se una sentenza di annullamento diviene definitiva – sia pure in pendenza di una pluralità di giudizi di appello di altre sentenze relative allo stesso atto, non ancora decisi – ciò impedisce una decisione utile negli altri appelli proposti dallo stesso appellante.
[46] Ritiene infatti il giudice amministrativo che dopo il “passaggio in giudicato” di alcune sentenze di annullamento dell’atto generale «non residua alcun interesse giuridicamente apprezzabile in capo all’Amministrazione» a coltivare un appello contro sentenza analoga (medesimi profili atto e motivi di impugnazione), perché la decisione dell’appello non potrebbe mantenere in vita le statuizioni rimosse. Cfr le già citate sentenze Cons Stato, Sez. VI, n. 4450/2002, n. 4184/2002 e n. 4895/2007.
[47] Si veda ad esempio la vicenda dell’annullamento dell’art. 8 del decreto ministeriale 6 febbraio 2006, che aveva modificato i criteri di adeguamento della tariffa incentivante stabilita dal precedente decreto ministeriale 28 luglio 2005, per la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare provocando la reazione dei gestori di impianti fotovoltaici, pronunciata dal TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, con sentenze del 10 novembre 2006, n. 2124, 2125 e 2126. Sulle tre sentenze si sono pronunciati Cons. Stato, Sez. VI, 4 aprile 2008, n. 1435, che ha rigettato l’appello sulla seconda sentenza; Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012 n. 9, che ha accolto l’appello sulla terza sentenza, e Cons. Stato, Sez. VI, 30 luglio 2013, n. 3990, che uniformandosi alla Plenaria, ha accolto l’appello contro la prima sentenza, riformandola.
[48] Nell’esempio fatto nella nota precedente si potrebbe forse ipotizzare di riconoscere all’argomento usato dalla Plenaria, che ha attribuito al decreto ministeriale impugnato una efficacia meramente interpretativa, una priorità logica rispetto al rilievo dell’illegittimità per violazione della regola della irretroattività. Ma qualsiasi conclusione voglia trarsi in termini di efficacia delle pronunce è a nostro avviso arbitraria.
[49] Si veda ad esempio, in materia tariffaria, la decisione Cons. Stato, Sez. VI, n. 585/1993 cit.; cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 23 aprile 2004, n. 2380: l’annullamento di atti normativi indivisibili opera con il solo limite delle posizioni esaurite.
[50] «4-bis. La competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l’interesse a ricorrere attrae a sé anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento tranne che si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza». Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 25 novembre 2013, n. 10048: sussiste la competenza del Tar Lazio, sede di Roma, ex art. 13 comma 4 bis c.p.a., a conoscere la controversia avente ad oggetto un decreto ministeriale a contenuto regolamentare generale.
[51] Per questa notazione v. ancora G. NAPOLITANO, Il grande contenzioso economico nella codificazione del processo amministrativo, cit. Secondo questo Autore sarebbe necessario introdurre un rito speciale per l’impugnazione degli atti generali di regolazione. «Questo tipo di contenzioso [infatti] solleva questioni specifiche proprio in ordine ai tempi del giudizio, che, a seconda dei casi, rischiano di essere troppo anticipati (perché magari non si sono potuti sperimentare i benefici di una regola contestata) o tardivi (quando i danni di una decisione si sono già prodotti ed è difficile ripristinare la situazione quo ante, perché molteplici operatori sono coinvolti in una complessa trama di relazioni commerciali e finanziarie)». La notazione è ripresa da M. RAMAJOLI-B. TONOLETTI, Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, cit., p. 97.
[52] Il tema riaffiora talora in dottrina e in giurisprudenza. Sulla questione dell’efficacia erga omnes dell’annullamento dei regolamenti e delle forme di pubblicità della decisione, si veda ad esempio F. CINTIOLI, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale, Torino, 20072, p. 338, che ritiene «indispensabile che siano apprestati adeguati strumenti pubblicitari». Si veda anche il parere reso dall’Adunanza Generale del Cons. Stato, 8 febbraio 1990, n. 16/89, in Cons. Stato, 1992; I, p. 303, reso sul disegno di legge delega per l’emanazione di norme sul processo amministrativo, approvato alla Camera il 12 ottobre 1989, che prevedeva che l’Amministrazione dovesse dare «pubblicità nelle medesime forme di pubblicazione degli atti annullati» alla sentenza definitiva che pronunci l’annullamento di atti amministrativi generali a contenuto normativo.
[53] L’art. 14, comma 3, d.P.R. n. 1199/1971, per il ricorso straordinario, stabilisce che, qualora il decreto di decisione del ricorso straordinario pronunci l’annullamento di atti amministrativi generali a contenuto normativo, del decreto stesso deve essere data, a cura dell’Amministrazione interessata, nel termine di trenta giorni dalla emanazione, pubblicità nelle medesime forme di pubblicazione degli atti annullati.
[54] Risulta che decisioni di questo contenuto siano state adottate, in sede di ottemperanza, in materia di tariffe autostradali: si veda la decisione Cons. Stato, Sez. IV, 14 marzo 1995, n. 172 citata da M. CLARICH, La giustizia, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo generale, II, p. 2085. Si veda anche, in sede di ottemperanza della sentenza di annullamento di alcune clausole del regolamento per l’abbonamento telefonico (approvato con decreto ministeriale del 1988), la decisione Cons. Stato, Sez. VI, 30 novembre 1993, n. 954, che ha disposto che il Ministero, in ottemperanza al giudicato, provvedesse alla pubblicazione di un estratto della decisione ottemperanda, in applicazione del principio contenuto nel sopra citato art. 14, comma 3, d.P.R. n. 1199/1971.