Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

L'impatto delle sentenze del Consiglio di Stato nn. 600, 810, 1224, 1274 e 1712 del 2015 sul sistema di finanziamento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di Marco Orofino)


Consiglio di Stato, sez. III, 17 febbraio 2015, n. 600 e n. 810. Pres. G. Romeo. Est. S.M. Russo

«Non si possono accollare indistintamente sugli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche tutti i costi inerenti alle diverse attività istituzionalmente affidate all'Agcom, che sono comprensive anche di attività che non riguardano il mercato delle comunicazioni elettroniche, ma quelli (diversi) della televisione, della radiodiffusione, dell'editoria e dei servizi postali; di conseguenza, è da escludere che i contributi degli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche possano essere estesi alla copertura di costi di attività diverse le quali, in difetto d'un serio, razionale e proporzionato dato normativo di rango primario, non possono essere ricondotte a fattispecie differenti secondo un'analogia dubbia, specie se il comparto considerato non abbisogni o non sia coperto da ragioni di regolazione ex ante».

Consiglio di Stato, sez. III, 10 marzo 2015, n. 1224. Pres. G. Romeo. Est. S.M. Russo

«L'interpretazione delle regole sul prelievo finanziario a carico degli operatori del settore delle comunicazioni e a favore dell'Agcom va modulata in base a quanto dispone l'art. 1362 c.c., senza limitarsi al solo senso letterale delle parole, ma avendo riguardo alle effettive intenzioni della norma e delle parti dell'obbligazione tributaria per ciascuna specifica categoria di operatori chiamati alla contribuzione de qua».

 

«Tutti i vari operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche soggiacciono ad un unico regime del prelievo finanziario in favore dell' Autorità nazionali di regolazione, però ciascuna categoria per lo specifico mercato di sua competenza, identificato dalle raccomandazioni della Commissione UE e, in Italia, dall'Agcom, in relazione, cioè, al contenuto del rispettivo regime autorizzativo e di regolazione ex ante ed al fine di finanziare la suddetta Autorità con i ricavi strettamente corrispondenti e a detto mercato ed ai costi di gestione (previ e successivi al rilascio dell'autorizzazione), negli ovvi limiti di concorrenza a tali spese e con ripartizione proporzionata tra i contribuenti; pertanto, il prelievo de quo è non già una sovrimposta sui ricavi iscritti a bilancio, ma una tassa di scopo, ossia un'imposizione parzialmente commutativa, che finanzia non già l'Agcom. in sé o per l'universo delle funzioni comunque afferenti al settore delle comunicazioni elettroniche, ma il servizio che rende agli operatori della sola frazione di tale settore che afferisce al mercato della telefonia vocale mobile, di cui alla delibera n. 34/2006/CONS e nella sola misura in cui e fintanto che quest'ultimo abbisogni di regolazione».

«Ai sensi del Considerando n. 30 alla direttiva n. 2002/20/CE la contribuzione a carico degli operatori del settore delle comunicazioni deve intendersi limitata all'Autorità nazionale di regolamentazione e solo per la gestione del regime di autorizzazione e la concessione dei diritti d'uso; al tempo stesso, secondo quanto disposto dall'art. 12, § 2), dir. n. 2002/20/CE, le A.N.R., compresa l'Agcom, sono obbligate a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi, documento questo che non coincide con il bilancio dell'Autorità, né lo doppia, giacché serve al calcolo, anch'esso soggetto a facile ed immediata leggibilità, delle differenze tra l'importo totale dei diritti riscossi ed i costi amministrativi sopportati, al fine pure di apportare le opportune rettifiche, in dare o in avere con le imprese contribuenti».

Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2015, n. 1274. Pres. G. Romeo. Est. S.M. Russo.

«L'onere contributivo dovuto all'Agcom, e posto a carico degli operatori dei servizi di telecomunicazione, deve essere commisurato non alle spese di funzionamento generale, ma a quelle specifiche sostenute per la gestione dell'autorizzazione generale; deve quindi trattarsi di un prelievo sobrio, come prescritto dall'art. 12, § 2) della dir. n. 2002/20/CE che, a questo riguardo, impone alle Autorità nazionali di regolazione, compresa quindi l'Agcom, di “… pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi…”; si tratta di un documento che non coincide con il bilancio dell'Autorità, né lo doppia, giacché serve al calcolo, anch'esso soggetto a facile ed immediata leggibilità, delle differenze tra l'importo totale dei diritti riscossi ed i costi amministrativi sopportati, al fine pure di apportare le opportune rettifiche, in dare o in avere con le imprese contribuenti».

Consiglio di Stato, sez. III, 1 aprile 2015, n.1712. Pres. G. Romeo. Est. S.M. Russo.

«L’interpretazione secondo buona fede non ammette l’interpolazione di significati spuri (per non dire inventati di sana pianta) e unilaterali nell’applicazione delle fonti primarie, né abusi della potestà autoritativa della P.A. emanante. Essa le impone di dettare regole comportamentali certe, legittime, non estemporanee e stabili, soprattutto quando da esse derivino effetti negativi nei confronti del destinatario».

   

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il modello di finanziamento tra disciplina europea e disciplina interna - 3. Le modifiche legislative al sistema di finanziamento volte a ridurre i trasferimenti erariali ed aumentare la quota di contribuzione degli operatori - 4. La sentenza pregiudiziale della Corte di Giustizia - 5. Le argomentazioni del Consiglio di Stato e le implicazioni sul sistema complessivo - 5.1. L'intervento del Consiglio di Stato a precisazione del corretto presupposto della contribuzione - 5.2. L'individuazione della base imponibile - 5.3. La diretta applicazione dell'art. 12, par. 2 della direttiva autorizzazioni - 5.4. La preferenza del Consiglio di Stato per una lettura orientata delle norme interne in vece della loro disapplicazione - 6. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Con cinque sentenze “gemelle” depositate nell’arco di poco meno di due mesi, la Terza Sezione del Consiglio di Stato è intervenuta, in modo molto significativo, sul meccanismo di finanziamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) [1]. I cinque casi, giunti all’attenzione della Suprema magistratura amministrativa, dopo un iter giurisdizionale contrassegnato anche da un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, traggono origine da una serie di ricorsi presentati da cinque società operanti, a diverso titolo, nel settore delle comunicazioni elettroniche [2]. Gli atti impugnati sono la delibera 599/10/CONS dell’AGCOM recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2011” [3], e le delibere, rivolte ai singoli operatori, con cui l’AGCOM ha ingiunto loro di provvedere entro sessanta giorni all’esatto adempimento degli obblighi contributivi dovuti nel quinquennio 2006-2010 e non versati, secondo AGCOM, nel loro corretto ammontare [4]. Gli articolati motivi di gravame formulati, in primo grado, dai ricorrenti possono essere così raggruppati e sintetizzati: a) illegittimità rispetto al diritto comunitario del presupposto contributivo definito dalla legge n. 266 del 2005 e delle conseguenti delibere AGCOM; b) illegittimità ai sensi del diritto comunitario del trasferimento dei contributi riversati dagli operatori, dall’AGCOM ad altre Autorità, disposto in via transitoria dalla legge n. 191/2009; c) violazione, per quanto riguarda le delibere ingiuntive, dell’obbligo di interpretazione secondo buona fede nell’applicazione delle fonti primarie sul prelievo contributivo. Il TAR Lazio, in primo grado, ha accolto tutti i ricorsi presentati provvedendo, previa disapplicazione delle norme di legge ritenute incompatibili con il diritto europeo, ad annullare le suddette delibere [5]. Il Consiglio di Stato ha confermato nel merito quanto deciso dal TAR, respingendo, quindi, tutti i ricorsi proposti da AGCOM, ma ha modificato, per ciò che riguarda la disapplicazione delle norme di legge interne, le conclusioni dei giudici di prime cure [6].


2. Il modello di finanziamento tra disciplina europea e disciplina interna

Per comprendere la portata delle decisioni assunte dal Consiglio di Stato occorre ripercorrere brevemente le tappe che hanno condotto l’AGCOM ad adottare le delibere oggetto di impugnazione nonché porre in evidenza il loro contenuto. Bisogna innanzitutto partire dal modello di finanziamento previsto per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Esso trova la sua prima disciplina nella legge n. 481/1995 che definisce i principi generali per la disciplina delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. L’art. 2, comma 38, legge n. 481/1995 disegna un sistema di finanziamento di tipo misto prevedendo che gli oneri derivanti dall’istituzione e dal funzionamento delle Autorità di regolazione siano coperti in parte attraverso trasferimenti erariali e in parte tramite contributi versati dai soggetti regolati esercenti i servizi di pubblica utilità. Questo modello è fatto proprio dalla successiva legge n. 249/1997, istitutiva dell’AGCOM. L’art. 6 di tale legge prevede, infatti, che gli oneri di istituzione e di funzionamento siano coperti in parte con il contributo erariale precedentemente destinato al Garante per la radiodiffusione e l’editoria e, in parte, attraverso un contributo dei soggetti regolati da calcolarsi proprio ai sensi del richiamato art. 2, comma 38, legge n. 481/1995. La misura e le modalità del contributo dovuto all’Autorità dai soggetti regolati, ai sensi del combinato disposto dell’art. 38 della legge n. 481/1995 e del­l’art. 6 della legge n. 249/1997, sono inizialmente rimessi alla definizione del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro del Tesoro [7]. Con il decreto 4 luglio 2001, il Ministro dell’Economia ha individuato i contribuenti assoggettati, la base imponibile su cui calcolare il contributo e l’ali­quota contributiva. La platea dei contribuenti è stata definita in modo molto ampio: sono, infatti, stati elencati i fornitori di reti e servizi di telecomunicazione, le emittenti televisive e le emittenti radio, gli editori, le concessionarie di pubblicità, i fornitori di servizi e prodotti telematici e i produttori di programmi radiotelevisivi. Per quanto riguarda la base imponibile, il decreto in questione ha previsto che essa fosse calcolata sulla base dei ricavi conseguiti dai suddetti operatori a fronte delle attività ricadenti [continua ..]


3. Le modifiche legislative al sistema di finanziamento volte a ridurre i trasferimenti erariali ed aumentare la quota di contribuzione degli operatori

L’assetto normativo fin qui descritto è stato modificato da due importanti interventi legislativi. Il primo si è avuto con la legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), che ai sensi dei commi 65 e 66 dell’art. 1, prevede per quattro Autorità indipendenti – tra cui l’AGCOM [23] – che le spese di funzionamento non coperte da finanziamento a carico dello Stato siano finanziate dal mercato di competenza “secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità” [24]. L’intento dichiarato di tale legislazione era di trasferire progressivamente i costi della regolazione dallo Stato ai soggetti regolati rispondendo così a evidenti esigenze di contenimento della spesa pubblica [25]. La principale innovazione rispetto al Codice delle comunicazioni riguarda il riferimento “al mercato di competenza” come presupposto per l’individuazione dei soggetti obbligati al contributo e dei ricavi rientranti nella base imponibile, laddove invece la disciplina codicistica si riferiva agli operatori che forniscono i propri servizi in regime di autorizzazione generale e ai correlati ricavi [26]. Molto rilevante è anche il fatto che la legge n. 266/2005 abbia previsto che sia l’AGCOM, in ossequio al principio di autonomia, a definire con apposita delibera, sottoposta per l’approvazione al Presidente del Consiglio dei ministri sentito il Ministro dell’Economia [27], sia l’entità della contribuzione, nei limiti massimi previsti dalla legge ossia non superiore, a regime, al 2 per mille sia i termini e le modalità del versamento [28]. Nulla specificano, invece, i commi citati circa le eventuali deduzioni dalla base imponibile; il contestuale rinvio alla legislazione vigente sembra far supporre che essa non introduca al riguardo alcuna novità. Come emerge dalle delibere adottate per gli anni dal 2006 al 2008 [29], l’AGCOM non ha modificato il presupposto della contribuzione (imprese che forniscono servizi in regime di autorizzazione generale) e per la definizione della base imponibile ai fini dell’applicazione dell’aliquota ha fatto riferimento, in maniera alquanto generica, [continua ..]


4. La sentenza pregiudiziale della Corte di Giustizia

La sentenza resa in via pregiudiziale dalla Corte di Giustizia il 18 luglio 2013, sul rinvio del giudice amministrativo di primo grado, riveste particolare importanza sia per le sentenze del Consiglio di Stato oggetto di commento sia perché essa sottolinea le condizioni e i limiti del prelievo contributivo posto in capo agli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche [34]. Il TAR Lazio – Roma aveva domandato se “le disposizioni comunitarie di settore, in particolare le disposizioni di cui alla direttiva 2002/20, dovessero essere interpretate come ostative alle discipline nazionali, in particolare la legge n. 266/2005, anche per come in concreto applicata in sede regolamentare.” [35]. A questa domanda pregiudiziale, la Corte di Giustizia risponde innanzitutto chiarendo che l’art. 12 della direttiva autorizzazioni non osta alla disciplina di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel caso italiano, ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica siano tenute, in funzione dei loro ricavi, a versare un diritto amministrativo destinato a coprire i costi sostenuti dall’Autorità nazionale di regolazione. Un sistema di finanziamento anche prevalentemente basato sui contributi degli operatori è dunque in astratto compatibile con il diritto europeo che, come correttamente ricorda la Corte di Giustizia non prevede né il modo in cui determinare l’importo dei diritti amministrativi né le modalità di prelievo [36]. Questo non significa però che gli Stati membri possano imporre agli operatori qualsivoglia tipo di onere perché questo priverebbe di ogni effetto utile la disciplina europea che garantisce la libertà di fornire reti e servizi di comunicazione elettronica [37]. Per questo la Corte di Giustizia richiama, citando la sua precedente giurisprudenza, le tre condizioni che devono contemporaneamente essere rispettate per affermare la compatibilità di una tale disciplina nazionale al diritto europeo [38]. La prima condizione è che il diritto amministrativo prelevato dagli operatori autorizzati alla fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica sia esclusivamente destinato alla copertura dei costi che si riferiscono alle attività menzionate nell’art. 12 della direttiva autorizzazione. Contrariamente a quanto, invece, dedotto in giudizio dal [continua ..]


5. Le argomentazioni del Consiglio di Stato e le implicazioni sul sistema complessivo

Le sentenze in commento confermano, come si è detto, le decisioni di primo grado e, dunque, l’annullamento delle delibere contestate, sia della delibera volta a definire le modalità di contribuzione per l’anno 2011 sia di quelle ingiuntive volte al recupero dei contributi 2006-2010. Le motivazioni con cui il Consiglio di Stato respinge i ricorsi presentati contro le sentenze di primo grado meritano una specifica attenzione poiché esse appaiono in grado di incidere pro futuro in modo assai significativo sul meccanismo di finanziamento dell’Autorità.


5.1. L'intervento del Consiglio di Stato a precisazione del corretto presupposto della contribuzione

Il punto cardine delle cinque sentenze in commento è quello in cui il Consiglio di Stato individua il presupposto della contribuzione e, di conseguenza, delimita la platea dei contributori. Questo avviene con una serie di passaggi logici tra loro concatenati. Innanzitutto, il Consiglio di Stato ricorda che l’attitudine alla contribuzione delle imprese soggette al prelievo è individuata dalla norma primaria UE nel rapporto di diretta proporzionalità tra aliquota, base imponibile e presupposto, da un lato, ed entità dei costi sostenuti dalle ANR per le sole attività di regolazione ex ante, dall’altro lato. Con la specificazione della regolazione ex ante, il Consiglio di Stato intende esclusivamente riferirsi alle attività che l’AGCOM è chiamata a svolgere per l’individuazione dei mercati rilevanti, l’analisi delle loro condizioni di concorrenzialità, l’imposizione e il successivo controllo degli obblighi asimmetrici. Sulla base di questa preliminare delimitazione, il Consiglio di Stato reinterpreta l’art. 65 della legge n. 266/2005 specificando che laddove la norma si rifà al “mercato di competenza” per l’individuazione dei soggetti obbligati al contributo, tale espressione deve essere riferita non al mercato delle comunicazioni elettroniche in senso complessivo, ma a ciascuno dei mercati rilevanti in cui il settore è scomposto [41]. Pertanto, ai fini dell’imposizione contributiva ciò che rileva è la definizione di ciascun mercato rilevante. Gli operatori che forniscono i prodotti e i servizi facenti parte dello specifico mercato rilevante costituiscono la platea dei contributori. Il loro contributo, secondo il Consiglio di Stato, non “finanzia l’AGCOM in sé o per l’universo delle funzioni afferenti al settore delle comunicazioni elettroniche, ma il servizio che rende agli operatori di sola quella frazione di tal settore che afferisce al mercato della telefonia vocale”, al mercato della terminazione delle chiamate vocali su singole rete mobili, al mercato della telefonia in postazione fissa, ecc. Il fatto che il contributo richiesto agli operatori, come il Consiglio di Stato sottolinea, sia strettamente connesso con lo specifico servizio reso dall’AGCOM comporta rilevanti conseguenze formali e sostanziali. Da un punto di vista formale, [continua ..]


5.2. L'individuazione della base imponibile

L’impostazione seguita dal Consiglio di Stato per l’individuazione del corretto presupposto della contribuzione e quindi della platea dei contributori si riflette evidentemente anche sul calcolo della base imponibile. In principio, come sì è avuto modo di sottolineare, il Ministro e l’Autorità avevano previsto che la base imponibile venisse calcolata sulla base dei ricavi conseguiti da ciascun operatore al netto dei ricavi conseguiti per attività non regolamentate e al netto delle quote riversate agli operatori terzi. Le delibere impugnate prevedevano, invece, l’ampliamento della base imponibile a tutti i ricavi conseguiti per attività rientranti nel settore delle comunicazioni elettroniche. Il Consiglio di Stati riconducendo, come si è visto, la nozione di mercato di competenza a quella di mercato rilevante, limita il calcolo della base imponibile ai soli ricavi conseguiti da prodotti e servizi ritenuti, in esito all’identifica­zione di ogni specifico mercato rilevante, parte del medesimo [42]. Questo significa che non tutti i servizi erogati in regime di autorizzazione generale e, quindi, comunque regolamentati, concorrono per il Consiglio di Stato alla definizione della base imponibile su cui calcolare il contributo, nulla rilevando a tal fine quale sia il motivo per cui essi non sono stati ricondotti ad uno specifico mercato rilevante [43]. Se ne conclude che la corretta base imponibile avrebbe dovuto essere individuata avendo cura di selezionare, ai sensi delle singole delibere adottate da AGCOM sui mercati rilevanti, i soli ricavi prodotti dai servizi e i prodotti che, in quel momento specifico, costituivano il mercato oggetto di identificazione e di successiva analisi.


5.3. La diretta applicazione dell'art. 12, par. 2 della direttiva autorizzazioni

Un altro punto rilevante delle sentenze in commento è quello in cui il Consiglio di Stato, richiamando sul punto la sentenza della Corte di Giustizia, sottolinea come il principio di corrispondenza imponga all’AGCOM di pubblicare un rendiconto annuo dei costi amministrativi sostenuti per le attività di regolazione ex ante e dell’importo complessivo dei diritti riscossi. Questo documento contabile, come specificato dalla Corte di Giustizia, non può coincidere con il bilancio dell’Autorità e nemmeno esserne mera copia. Infatti, dovendo servire al calcolo delle differenze eventuali tra costi e diritti riscossi, in maniera tale da consentire anno per anno le opportune rettifiche, è assolutamente necessario che i costi della regolazione ex ante siano non solo scorporati dai costi generali, ma anche suddivisi alla luce delle argomentazioni del Consiglio di Stato tra i diversi mercati rilevanti. Il richiamo operato dal Consiglio di Stato è particolarmente importante poiché rende evidente il fatto che, nonostante gli obblighi di rendicontazione e di rettifica esplicitamente individuati dalla direttiva 20/2002 non siano stati, come si è avuto modo di rilevare, recepiti dal Codice delle comunicazioni elettroniche, essi siano nondimeno direttamente applicabili sul piano interno.


5.4. La preferenza del Consiglio di Stato per una lettura orientata delle norme interne in vece della loro disapplicazione

’art. 4 del Trattato sull’Unione Europea enuncia, come noto, il principio di leale cooperazione tra UE e Stati membri. Le applicazioni di tale principio da parte della Corte di Giustizia sono state molteplici e molto interessanti. Sulla base di tale principio gli Stati membri sono certamente tenuti ad interpretare il diritto nazionale in conformità al diritto europeo e, ove tale interpretazione non sia possibile, a non applicare le norme nazionali che confliggono con il diritto europeo [44]. Come si è detto nella Premessa, il TAR Lazio aveva provveduto in primo grado ad accogliere i ricorsi e ad annullare tutte le delibere impugnate dagli operatori, previa disapplicazione delle norme di legge. Il giudice di prime cure aveva, infatti, ritenuto che le norme di cui alla legge n. 266/2005 e alla legge n. 191 del 2009 fossero incompatibili con il diritto europeo e da esse derivasse l’illegittimità delle delibere AGCOM. Il Consiglio di Stato opta come si è evidenziato per un’altra strada e corregge sul punto le conclusioni del TAR. Per ciò che riguarda, l’art. 1, commi 65 e 66, legge n. 266/2005 preferisce adottare una lettura orientata delle norme interne in modo tale da renderle compatibili con il diritto europeo, piuttosto che concludere per la loro formale disapplicazione. L’equiparazione, che è a fondamento di tutto l’iter decisionale del Consiglio di Stato, della nozione di mercato di competenza, utilizzata dalla legge, alla nozione di mercato rilevante è l’esempio più evidente dello sforzo compiuto per evitare la disapplicazione. Per ciò che riguarda, invece, l’art. 2, comma 241, legge n. 191/2009, la correzione del Consiglio di Stato rispetto alla disapplicazione del TAR è piuttosto tranchant. Per la Suprema magistratura amministrativa, l’ampliamento del prelievo sanzionato come illegittimo non si è verificato perché è intervenuta la norma in questione. Nonostante l’AGCOM nelle motivazioni della delibera 599/10/CONS facesse riferimento a tale norma quale fondamento sostanziale dell’aumento dell’aliquota contributiva, la legge n. 191/2009 non interviene in alcun modo sul presupposto del prelievo né sulla base imponibile. Come segnala il Consiglio di Stato, tale disciplina reca solo l’obbligo del­l’AGCOM di distrarre in via temporanea una parte [continua ..]


6. Osservazioni conclusive

In conclusione di questo breve commento è opportuno mettere in luce alcune criticità che emergono dalle pronunzie del Consiglio di Stato. Esse non attengono al contenuto delle decisioni in sé e, quindi, al rigetto dei ricorsi AGCOM ed alla conferma dell’annullamento delle delibere impugnate, ma derivano piuttosto dalla complessiva ricostruzione operata dal Consiglio di Stato. La prima perplessità riguarda la conclusione cui giunge il Consiglio di Stato per cui il prelievo a favore dell’AGCOM debba essere commisurato alla sola attività di regolazione ex ante dei mercati volta all’imposizione e al controllo degli obblighi asimmetrici [45]. Da un lato è certamente vero che la gestione, il controllo e l’applicazione dell’autorizzazione generale sono, a norma del Codice delle comunicazioni elettroniche, attività svolte prevalentemente dal Ministro e, quindi sulla base del principio di corrispondenza tra diritti e costi, esse non possano essere computate in capo all’AGCOM. Da un altro lato, però, sembra altrettanto innegabile che oltre alla regolazione asimmetrica dei mercati, l’AGCOM possa sia vantare competenze in materia di cooperazione internazionale (contribuisce, ad esempio, alle attività del BEREC), sia competenze in ordine alla regolazione generale dei mercati (potendo adottare decisioni a contenuto generale in materia di accesso e di interconnessione), sia competenze per l’applicazione del diritto derivato (disponendo del potere di fornire le segnalazioni e i pareri che ritiene opportuni). Attività queste che rientrano, anche accogliendo l’interpretazione tassativa e restrittiva formulata dalla Corte di Giustizia [46], senza dubbio nel novero delle attività espressamente elencate tanto nell’art. 12 della direttiva autorizzazione quanto nell’art. 34 del Codice. Tali attività sono meno dispendiose, in termini di risorse economiche necessarie, rispetto alla regolazione asimmetrica. Ciò non toglie che esse determinino comunque dei costi che, ai sensi del diritto europeo, possono legittimamente essere riversati sugli operatori di comunicazione elettronica. Se si condivide quest’analisi, si può anche provare a immaginare de iure condendo un doppio regime di contribuzione. Uno a copertura delle attività di regolamentazione asimmetrica ed uno [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2015