Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Le clausole generali nel diritto pubblico dell'economia (di Margherita Ramajoli, Professoressa ordinaria di Diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Milano Statale)


Le disposizioni costituzionali dedicate ai rapporti economici ricorrono frequentemente a clausole generali (“utilità sociale”, “fini sociali”, “funzione sociale” e “utilità generale”). In questa maniera la Costituzione mostra capacità di flessibilità e adattamento a nuovi scenari, economici, sociali e giuridici, specialmente dovuti all’in­fluenza del diritto dell’Unione europea. La Corte costituzionale ha riconosciuto al legislatore ordinario ampi margini di discrezionalità nel riempimento delle clausole generali, ma al tempo stesso ne ha limitato i confini a fini di garanzia, imponendo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, come quelli di ragionevolezza e di proporzionalità. Anche le norme di rango primario che attribuiscono poteri alle autorità indipendenti sono costellate da clausole generali, perché la complessità e la rapida evoluzione dei mercati in cui agiscono queste amministrazioni rendono difficile al Parlamento prefigurare un sistema completo ed esaustivo di puntuali regole di disciplina. L’ap­prezzamento delle clausole generali o dei concetti giuridici indeterminati contenuti in norme di legge che è effettuato dalle amministrazioni è ricondotto da dottrina e giurisprudenza alla categoria delle valutazioni tecniche complesse. Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa di concretizzazione delle clausole generali in materia economica si presenta problematico ed è possibile individuare diversi orientamenti giurisprudenziali, a livello sia nazionale, sia europeo, in relazione agli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, di regolazione e di garanzia espressivi di valutazioni contraddistinte da opinabilità. In questo contesto di estrema incertezza si ritiene che la contestualizzazione o concretizzazione della disposizione normativa contenente clausole generali o concetti giuridici indeterminanti sia un’operazione che attiene ad una quaestio juris, come tale pienamente sottoposta al sindacato giurisdizionale.

General clauses in public economic law

Constitutional provisions concerning economic relations frequently rely to general clauses (“social utility,” “social ends,” “social function,” and “general utility”). In this way, the Constitution has shown capacity for flexibility and adaptation to new economic, social and legal scenarios, especially due to the influence of European Union law. The Constitutional Court has granted the policy maker wide margins of discretion filling in the general clauses, but, at the same time, the Court has specifically required compliance with the general principles of the legal system, such as those of reasonableness and proportionality. Even primary legislation granting powers to independent authorities refers to general clauses, because the complexity and rapid evolution of the markets, in which those administrations operate, make it difficult for Parliament to prefigure a complete and exhaustive system of timely regulation. The interpretation of general clauses or indeterminate legal concepts (contained in rules of law and carried out by administrations) is referred by doctrine and jurisprudence to the category of complex technical assessments. Judicial review of the administrative action in applying general clauses to economic matters is problematic. Different jurisprudential orientations, both at the national and European levels, could be identified in relation to acts carried out by supervisory, regulatory and guarantee authorities that are expressive of evaluations marked by opinability. In this context of extreme uncertainty, the contextualization or concretization of the regulatory provision containing general clauses or indeterminate legal concepts is an operation that pertains to a quaestio juris, as such fully subject to judicial review.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le clausole generali nella Costituzione: a) l’utilità sociale e la discrezionalità legislativa; b) la dialettica tra legislatore e Corte costituzionale nell’attività d’integrazione valutativa - 3. Le clausole generali nella legislazione: rules e standards nella disciplina antitrust - 4. Le clausole generali nella giurisprudenza amministrativa: all’in­terno della spirale ermeneutica tra fatto, tecnica e diritto - NOTE


1. Premessa

Le clausole generali presentano alcuni caratteri costanti e stabili relativi alla loro funzione e alla loro struttura. Ciò indipendentemente dal settore giuridico considerato e ferma restando la vaghezza della relativa nozione [1]. Dal punto di vista funzionale il ricorso alle clausole generali garantisce elasticità all’ordina­mento, il quale, per un verso, si mantiene attuale nonostante il trascorrere del tempo e, per altro verso, si adatta più facilmente alle circostanze concrete. La clausola generale assolve a una funzione di “adeguamento permanente del­l’ordinamento allo sottostante realtà socio-economica” e pertanto vale a “supplire alle lacune” di una normativa che tutto non può prevedere [2]. Emblematicamente la dottrina ha qualificato le clausole generali come “finestre aperte sulla società” [3], “organi respiratori” del diritto [4], “polmoni della vita giuridica” [5]. L’evocata flessibilità si ottiene mediante una determinata struttura normativa. Dal punto di vista strutturale le clausole generali sono formule lessicali aperte, indeterminate e incomplete (“gravi ed eccezionali ragioni”, “buona fede”, “sana e prudente gestione”, “giusta causa” e così via), che comportano una particolare delega all’interprete del potere di concretizzazione della disposizione che le contiene. La norma in cui è racchiusa una clausola generale non descrive la fattispecie astratta in modo tassativo ed esaustivo, ma rinvia all’interprete per il completamento e la specificazione della clausola stessa [6]. Vero è che ogni disposizione normativa presenta di regola un certo qual grado di indeterminatezza. Ritenere che nel campo giuridico esista sempre un significato oggettivo preesistente che l’interprete sarebbe chiamato a svelare è costruzione artificiosa, non corrispondente alla realtà. Come ben precisato da Mortara, la concretizzazione di una norma non è un’operazione riconducibile all’automaticità di una sussunzione logica, perché la commisurazione dei fatti ad una norma astratta è un processo complesso nel quale la norma costituisce criterio di selezione dei fatti, mentre i fatti sono criterio di individuazione della norma e di chiarimento del suo [continua ..]


2. Le clausole generali nella Costituzione: a) l’utilità sociale e la discrezionalità legislativa; b) la dialettica tra legislatore e Corte costituzionale nell’attività d’integrazione valutativa

Le clausole generali costellano la Costituzione, che ben si presta ad accogliere questa tecnica normativa. Le Costituzioni moderne, a differenza di quelle d’epoca liberale, offrono un quadro pluralista di interessi e valori antagonisti, che non sono composti secondo un preciso e già predeterminato criterio di priorità. La loro composizione è rinviata a momenti successivi e demandata al potere costituito e alla giurisprudenza costituzionale. Questi soggetti istituzionali riscrivono “interpretativamente” la Costituzione e così determinano e modificano i punti di equilibrio tra principi enunciati, interessi concorrenti e valori contrapposti. In questa logica le clausole generali si rivelano una risorsa preziosa per la loro attitudine a “tenere costantemente in moto la Costituzione” e ad assicurarne “la incessante ed adeguata rigenerazione interna” [14]. La tecnica normativa delle clausole generali è ampiamente utilizzata nel Titolo III della Parte I, dedicata ai rapporti economici. Gli articoli ivi contenuti sono tutti costruiti intorno clausole generali; basti pensare alla “utilità sociale” e ai “fini sociali” che compaiono rispettivamente al secondo e al terzo comma del­l’art. 41, oppure alla “funzione sociale” della proprietà privata prevista al secondo comma dell’art. 42, o ancora alla “utilità generale” contemplata all’art. 43. È proprio grazie a queste clausole generali che le disposizioni costituzionali in materia economica hanno mantenuto vitalità e conservato elasticità nel corso del tempo, anche nel dialogo sempre più fitto con il diritto dell’Unione europea. Ne è prova tangibile la clausola generale dell’utilità sociale, tanto criticata in Assemblea costituente da Einaudi per la sua “pericolosa genericità” [15], ma che ha in realtà rappresentato uno straordinario strumento di adattamento dell’ordinamento giuridico al continuo evolversi della vita politica, sociale ed economica [16]. Nel caso della libertà d’iniziativa economica si ricorre alla tecnica delle clausole generali perché la compressione della sfera d’autonomia privata è costituzionalmente legittima solo se è preordinata a consentire il soddisfacimento di interessi rilevanti che vengono [continua ..]


3. Le clausole generali nella legislazione: rules e standards nella disciplina antitrust

Scendendo al livello della normazione primaria il ricorso da parte del legislatore a clausole generali o concetti giuridici indeterminati [38] è particolarmente frequente nel caso di attribuzione di poteri alle autorità indipendenti. Vero è che clausole generali come ordine pubblico, oppure necessità e urgenza caratterizzano da tempo immemorabile le norme attributive del potere delle amministrazioni tradizionali, specie operanti nel settore della sicurezza pubblica [39]. Tuttavia, in ambito economico e segnatamente nei settori regolati il fenomeno in questione si presenta con tratti ancora più accentuati, quasi da essere considerato tipico e qualificante. Ciò per molteplici ragioni e in primo luogo perché la complessità e la rapida evoluzione dei settori in cui agiscono le amministrazioni indipendenti, nonché l’atipicità e la fantasia delle condotte imprenditoriali rendono arduo al Parlamento prefigurare un sistema completo ed esaustivo di puntuali regole di disciplina [40]. L’attenzione dottrinale e giurisprudenziale si è concentrata in particolare modo su una tra le implicazioni della tecnica legislativa delle clausole generali quando chiamate a darvi attuazione siano quelle particolari amministrazioni indipendenti che sono le autorità di regolazione. La premessa è tracciata in maniera suggestiva da una nota decisione del Consiglio di Stato del 2005. Secondo il giudice amministrativo i poteri delle autorità di regolazione sono attribuiti da “leggi d’indirizzo che poggiano su prognosi incerte”, “rinvii in bianco all’esercizio futuro del potere, inscritto in clausole generali o concetti indeterminati che spetta all’Autorità concretizzare” [41]. Più di recente sempre il Consiglio di Stato ha parlato di “clausole aperte da implementare in base al prudente apprezzamento dell’Autorità a seconda degli scopi di tutela da raggiungere” [42]. Se questa è la premessa, è la conseguenza ultima tratta dal particolare dettato normativo ad apparire meritevole di riflessione. Infatti, gli atti delle Autorità, “pur talvolta non rinvenendo immediatamente nel proprio sistema se non clausole generali e non anche un puntuale fondamento nelle norme primarie (europee e nazionali) di settore”, sono reputati legittimi nella misura in [continua ..]


4. Le clausole generali nella giurisprudenza amministrativa: all’in­terno della spirale ermeneutica tra fatto, tecnica e diritto

Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa di concretizzazione delle clausole generali in materia economica si presenta problematico. È possibile individuare due orientamenti giurisprudenziali, a livello non solo nazionale, ma anche europeo, in relazione agli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, di regolazione e di garanzia espressivi di valutazioni contraddistinte da opinabilità [59]. L’identificazione di questi due filoni pretori ha comunque alle spalle un’at­ti­vità di loro schematizzazione e semplificazione, visto che la giurisprudenza non è sempre lineare e talvolta si registra una discrasia tra affermazioni di principio contenute nelle decisioni e sindacato concretamente effettuato. Inoltre, anche se la giurisprudenza è ormai solita sostenere che il giudice amministrativo non è vincolato alla rappresentazione del fatto data nell’atto amministrativo oggetto di impugnativa e dispone di un pieno accesso al fatto stesso, nondimeno risulta controverso proprio il sindacato sul confronto tra i fatti accertati con il parametro normativo contestualizzato. a) Secondo un primo orientamento il procedimento di integrazione della clausola generale è scomponibile al suo interno: “un conto è l’accertamento del fatto storico (che precede ogni valutazione)” e “un conto è la contestualizzazione del concetto giuridico indeterminato richiamato dalla norma”. Quest’ul­timo è “fuori dall’accertamento del fatto e rientra nel suo apprezzamento, questo sì, sottratto alla completa sostituibilità della valutazione del giudice a quella dell’amministrazione”[60]. Il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni economiche complesse è simile a quello svolto nei riguardi delle valutazioni di opportunità e contraddistinto da deferenza nei riguardi dell’amministrazione: una verifica esterna e indiretta secondo lo schema dell’eccesso di potere, un riscontro del rispetto delle norme di procedura e di motivazione e dell’insussistenza di manifesta irragionevolezza o di palese travisamento dei fatti, un controllo estrinseco sulla ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione [61]. La giurisprudenza ha coniato a tal proposito il principio di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023