Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La istituzione del servizio pubblico e il riallineamento del sistema dei servizi pubblici locali (di Simone Torricelli, Professore ordinario di diritto amministrativo, Università degli studi di Firenze)


Il lavoro analizza il nuovo decreto di riordino della disciplina sui servizi pubblici locali, con riferimento al momento della istituzione del servizio. In particolare, si concentra sui profili legati alla scelta tra istituzione del servizio e modalità alternative di garanzia delle prestazioni, in funzione del soddisfacimento dei bisogni che l’ente individua sulla base di una valutazione politica. Affronta poi il profilo della scelta tra modalità diverse di garanzia del servizio pubblico, guardando specificamente agli strumenti della imposizione degli obblighi di servizio pubblico e della creazione di diritti speciali o esclusivi, e considera il problema della idoneità della nuova normativa a istituire direttamente poteri autoritari in grado di limitare mercato e libertà d’impresa e funzione di valori sociali.

The 'establishment' of a public service and the realignment of the local public service system

The paper analyzes the new legislation reorganizing local public services, with particular reference to the ‘istituzione’ (by which a public authority, face to a market failure, decides to create a public service). First, it focuses on the choice between the establishment of the public service and the existing alternative modes to satisfy the needs that the entity identifies on the basis of a political assessment. It then addresses the issue of the following choice between different forms of organization of public services, looking specifically at the imposition of public service obligations and the creation of special or exclusive right. At last, it considers the problem of the suitability of the new legislation to establish new public powers capable of restricting market and individual economic freedoms in view of the satisfaction of social values.

SOMMARIO:

1. I servizi pubblici locali e la resistenza al cambiamento - 2. La giuridicizzazione del processo di costruzione del servizio pubblico - 3. La rilevazione dei bisogni e la centralità della politica - 4. La residualità del servizio pubblico e la preferenza per interventi di orientamento del mercato - 5. Le alternative alla gestione pubblica: il problema della riserva di legge - 5.1. L’imposizione di obblighi di servizio pubblico - 5.2. La creazione di diritti speciali o esclusivi - 6. L’istituzione del servizio e gli spazi della tutela - NOTE


1. I servizi pubblici locali e la resistenza al cambiamento

Nella disciplina complessiva dei servizi pubblici, il regime giuridico dei servizi pubblici locali ha da sempre presentato marcati tratti di specialità. Anche in conseguenza di ciò, l’assetto concreto dei servizi pubblici locali si è progressivamente allontanato dai modelli di sviluppo dei servizi pubblici nazionali. Questi ultimi sono stati attraversati da processi complessivi di liberalizzazione che, in gradi diversi nei diversi settori, hanno aperto mercati e indotto privatizzazioni, e che hanno solo lambito il livello locale. Più volte il legislatore è intervenuto [1], ma l’in­sta­bilità normativa che ha costretto gli enti locali a governare in condizioni di permanente regime transitorio, non ha contribuito a che i tentativi di ripensare il sistema raggiungessero pienamente gli obiettivi perseguiti. Eppure non si è mai dubitato della portata generale dei principi di sussidiarietà e di concorrenza; neppure si è mai dubitato che l’esigenza di creare spazi di mercato anche nella definizione delle modalità organizzative dei servizi pubblici valesse trasversalmente per ogni tipo di prestazione di rilievo economico, quale che fosse l’ente (statale o locale) preposto alla sua garanzia. Per i servizi pubblici locali è mancato, invero, l’innesco fornito dal diritto europeo, in assenza del quale le coordinate di fondo, anche di natura costituzionale, che avrebbero dovuto regolare l’intervento pubblico nell’economia sono rimaste sostanzialmente disattese. Anzi, il diritto europeo ha giocato un ruolo ambiguo: la giurisprudenza europea si è soprattutto occupata di limitare gli affidamenti diretti alle società in house, ma, ritenendo irrilevante dal punto di vista del rispetto del diritto europeo la scelta tra in house e ricorso al mercato [2], ha di fatto legittimato un sistema in cui la presenza pubblica poteva risultare sovrabbondante. In questo quadro, si può cogliere uno degli elementi di fondo che caratterizzano la riforma operata con il d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 nel riallineamento della disciplina dei servizi pubblici locali alla evoluzione che ha investito complessivamente il regime giuridico dell’intervento pubblico e nella ricomposizione, almeno parziale, delle aporie. Un obiettivo perseguito innanzitutto attraverso una ritessitura della trama dei principi che regolano la [continua ..]


2. La giuridicizzazione del processo di costruzione del servizio pubblico

Il d.lgs n. 201/2022 regola il momento della istituzione del servizio con riferimento, ovviamente, a quelle attività che non siano qualificate come servizio pubblico direttamente dal legislatore. Il termine “istituzione” non è nuovo, ma nemmeno così consueto. Evoca il momento genetico del processo di organizzazione del servizio pubblico che già precedentemente la dottrina aveva isolato e più spesso indicato come “assunzione” [4], ma che ora è, non solo riconoscibile, bensì anche specificamente normato [5]. D’altra parte, se l’“assunzione” da parte dell’ente si presenta come la faccia di una medaglia la cui altra è inevitabilmente la “titolarità” o la “pertinenza” pubblica [6], l’“istituzione” appare invece neutra rispetto al profilo della appartenenza del servizio e prelude o comunque consente di affrontare in modo più laico il tema del rapporto tra pubblico e privato. Alla identificazione di un atto formalizzato di istituzione del servizio si accompagna la definizione del suo regime giuridico [7]. Ciò su un presupposto: che se la scelta di assumere la responsabilità di assicurare che certe prestazioni siano garantite o che ne siano garantite certe modalità di fruizione è una scelta essenzialmente politica, non lo è invece (o non lo è interamente) la scelta conseguente in ordine al se istituire o meno il servizio. Questo rappresenta un elemento di novità. Nell’approccio tradizionale, il flusso decisionale che porta alla costruzione di un servizio pubblico risultava giuridicizzato a partire dal momento della definizione delle modalità di gestione: di fatto, ciò che viene prima era considerato attratto in modo pressoché integrale dalla sfera insindacabile della politica. L’assenza di una giurisprudenza quantitativamente significativa sulla assunzione del servizio [8] ne è una dimostrazione. Il decreto di riordino anticipa il momento della giuridificazione: emerge, tra l’as­sunzione della responsabilità pubblica sulle prestazioni e la determinazione su come gestire, una fase intermedia che implica una triplice valutazione. Prima, occorre verificare che vi sia l’esigenza di un intervento pubblico. Poi, se ciò è, occorre stabilire se tale [continua ..]


3. La rilevazione dei bisogni e la centralità della politica

La disciplina della istituzione muove, come detto, dal riconoscimento della funzionalizzazione del servizio pubblico ai bisogni della comunità. Gli enti locali non assicurano solamente le prestazioni dei servizi pubblici ad essi attribuiti per legge (in questo caso la valutazione della necessarietà è fatta legislativamente), ma possono istituirne di ulteriori quando, nell’esercizio della propria autonomia, li “riteng[a]no necessari per la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali” [9] allo scopo di “garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale” [10]. La dizione richiama ma non collima con quella gia contenuta in una disposizione oggi abrogata del TUEELL, secondo cui “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali” [11]. In coerenza con l’evoluzione dottrinale che ha portato sovente a costruire la sistematica dei servizi pubblici a partire dalle persone, l’origine del servizio è individuato nel bisogno (pur riferito dal legislatore alle comunità e non direttamente ai fruitori, stemperando così un poco il rilievo della novità testuale), cui si connettono implicazioni attinenti alla realizzazione di più generali valori di sviluppo e coesione. Coerentemente, ma con una certa enfasi, il decreto di riordino lega inscindibilmente l’organizzazione e la erogazione dei servizi all’esigenza di assicurare la centralità del cittadino e dell’utente [12]. Il legislatore, peraltro, non manca di sottolineare il profilo valutativo della rilevazione dei bisogni che prelude alla costruzione del servizio (superando l’affermazione per cui gli enti locali “provvedono” alla gestione dei servizi che realizzino fini sociali e promuovano lo sviluppo, si rimette anche testualmente a ciò che gli enti locali “ritengano” necessario). E qui un secondo elemento distintivo della disciplina: dall’affermazione della centralità del ruolo politico dell’ente locale, deriva, per un verso, una più chiara responsabilizzazione sul piano politico del­l’ente, ma, per l’altro, il temperamento del [continua ..]


4. La residualità del servizio pubblico e la preferenza per interventi di orientamento del mercato

Il terzo perno cui si aggancia la disciplina della istituzione si coglie nell’affermazione della residualità del servizio pubblico [14]. Una residualità teorica, ma non necessariamente quantitativa, del tutto coerente con il richiamo al limite della proporzionalità dell’intervento pubblico, che deve essere commisurato alle esigenze e non debordare. Ciò, a cominciare dalla prescrizione per cui, rilevato il bisogno insoddisfatto, il primo compito dell’ente è quello di lasciare spazio alle persone che intendano operare nel­l’ambito delle attività rispetto alle quali il bisogno si è manifestato, anche promuovendone la capacità di realizzare l’interesse generale da perseguire e a prescindere dal motivo che le muova. Così, il primo strumento di intervento teso a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali deve consistere nel “favorire” l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle imprese: “favorire” implica in primo luogo, in un rapporto di continenza, l’astenersi dall’ostacolare, per estendersi poi sino al punto di presupporre in positivo una attività dell’amministrazione tesa a orientare le attività private e renderle così idonee a realizzare nella misura desiderata i bisogni individuati come meritevoli in sede politica. Questa prima forma di garanzia dei bisogni fuori dal servizio pubblico gioca sull’alterazione dei comportamenti di mercato, sia delle imprese che degli utenti, determinabile attraverso interventi promozionali. Sui comportamenti delle prime, creando artificialmente occasioni di profitto da cogliere adeguando l’attività di prestazione agli obiettivi pubblici perseguiti; sui comportamenti dei secondi, attraverso uno specifico sostegno economico che, per un verso, consenta loro di accedere alla prestazione e che, per altro verso, ne potenzi la forza economica rendendo effettivo il diritto di scelta tra fornitori e offerte diverse. L’intervento solo all’apparenza può risultare poco invasivo: esso, invece, interferisce sulle dinamiche economiche indirettamente, ma in modo potenzialmente significativo, creando situazioni di vantaggio a chi aderisca ad una modalità di fornitura che contribuisce al perseguimento delle finalità pubbliche. Ne origina un ordine del mercato dichiaratamente valoriale che rende [continua ..]


5. Le alternative alla gestione pubblica: il problema della riserva di legge

Una volta istituito, perché necessario, il servizio pubblico, si pone il problema di come garantirlo. E di nuovo il legislatore impone un processo decisionale articolato per passaggi successivi. Se possibile e sufficiente, l’ente procede imponendo obblighi di servizio pubblico agli operatori del mercato; ove questo non basti, può attribuire diritti speciali e, se ancora i diritti speciali non risultino sufficienti, approda alla istituzione di una privativa con la conseguente attribuzione di diritti esclusivi, da gestire in forme varie, anch’esse da scegliere in funzione della preferenza per il mercato [16]. Per misurare la portata della disciplina occorre però preliminarmente porsi un problema interpretativo che ne condiziona l’ambito applicativo. Occorre chiedersi se, nel momento nel quale il legislatore indica, come strumenti di garanzia del servizio pubblico, l’imposizione di obblighi di servizio o la contrazione del mercato attraverso un contingentamento o un monopolio legale, abbia inteso prevedere che la delibera istitutiva del servizio fa emergere un potere imperativo generalizzato (da esercitare sempre nel rispetto del suo presupposto, e cioè della necessarietà e proporzionalità rispetto al fine) o se invece gli artt. 12 e 13 debbano essere interpretati come norme di rinvio a poteri altrimenti previsti dall’ordinamento. Si estende così al versante locale un problema sistemico della disciplina della regolazione: quello del rapporto tra norma e potere (e della interpretazione della norma che attribuisce un potere), che continua a non trovare un assetto definitivo [17]. Il punto è evidentemente delicato. Aderire alla prima interpretativa implica accentuare il carattere innovativo della disciplina, rafforzando il ruolo dell’ente locale; ad esso, infatti, verrebbe riconosciuta una funzione di organizzazione, conformazione e regolazione del mer­cato che dipende solo dalla rilevazione della sua inadeguatezza, da individuare peraltro sulla base di una valutazione politica dei bisogni. Il riconoscimento di una simile funzione avrebbe l’effetto di attribuire un potere imperativo generalizzato tale da offrire all’ente in ogni caso e in ogni mercato tutta la serie progressiva delle opzioni possibili, rendendo residuale la sola eventualità di un intervento che avvenga attraverso ordinari strumenti contrattuali. All’oppo­sto, [continua ..]


5.1. L’imposizione di obblighi di servizio pubblico

Come si è visto, nell’elencazione ad andamento progressivo delle forme di garanzia dei bisogni, il legislatore segue un ordine di preferenza inversa determinato dal grado crescente di incidenza sul mercato (tanto minore è l’effetto limitativo, quanto più lo strumento è preferito). In quest’ottica, istituito il servizio, la misura da considerare in via prioritaria è quella della regolazione dei soggetti già presenti o che decideranno di entrare nel mercato. Superata la soglia che impone l’istituzione, l’ente si trova infatti a dover verificare innanzitutto “se la prestazione del servizio possa essere assicurata attraverso l’impo­si­zione di obblighi di servizio pubblico a carico di uno o più operatori, senza restrizioni del numero di soggetti abilitati a operare”, anche prevedendo “eventuali compensazioni economiche” [19] che, proprio per questo legame con gli obblighi di servizio, possono sfuggire al divieto di aiuti di Stato. Si ricava da questa previsione che l’istituzione del servizio non ne comporta una “titolarità pubblica” (affermazione questa che rischia di preludere a una limitazione del controllo sulle modalità con cui questa “titolarità” viene gestita e, alla fine, anche a una decolorazione della posizione degli operatori e dei fruitori finali [20]), ma che implica invece esclusivamente l’assunzione di una responsabilità per la garanzia dei bisogni la cui soddisfazione è divenuta doverosa. Ne consegue anche che un servizio pubblico locale può non essere gestito, ma solo regolato [21]. La fattispecie ha carattere autoritativo. Non solo ne rimane fuori la previsione di sovvenzioni ai fornitori che ritengano di aderire ad una modalità di prestazione voluta da chi sovvenziona; ne rimane anche fuori l’ipotesi della stipulazione di contratti stipulati con uno o più fornitori, tra quelli che operano nel mercato, da cui derivino obblighi di prestazioni da rendere dietro corrispettivo [22]. È vero che anche in questi casi emergono obblighi che sono destinati a soddisfare bisogni e che, almeno nel secondo caso, possono essere definiti come obblighi di servizio pubblico [23] (ed è altresì vero che neppure in queste ipotesi vi è una restrizione autoritativa del numero di soggetti che operano [continua ..]


5.2. La creazione di diritti speciali o esclusivi

Nella scala graduata degli strumenti di intervento a garanzia dei bisogno, l’art. 13 prefigura l’attribuzione di diritti speciali ed esclusivi solo “in assenza di misure meno restrittive della libertà d’impresa” e sempre se indispensabile all’adempimento della funzione affidata al gestore del servizio, sulla base di un’adeguata analisi economica. Condizioni, queste, rafforzate dal richiamo al rispetto del diritto dell’Unione europea, cui il legislatore sceglie di rinviare a prescindere dal fatto che si tratti di una fattispecie di per sé rilevante sotto il profilo europeo o che si tratti invece di una situazione puramente interna. I riferimenti sono sovrabbondanti, ma proprio questa sovrabbondanza segnala la volontà del legislatore di rendere effettiva la residualità dell’ipotesi, come anche, prima ancora, di corrispondere all’obiettivo, posto dalla legge delega, del superamento dei regimi di esclusiva non conformi ai principi di adeguatezza e proporzionalità “e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio” [34]. Da questo obiettivo si trae, invero, un parametro fondamentale per l’interpre­ta­zione del decreto delegato. È un diritto esclusivo e speciale, nella definizione che ne dà il legislatore ai fini della disciplina di riordino, “il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa”, che ha l’effetto di riservare, nell’un caso, a un unico operatore economico, nell’al­tro caso a due o più operatori economici, l’esercizio di un’attività in un ambito (si può aggiungere) territorialmente e settorialmente determinato [35]. La definizione combina il dato dello strumento giuridico che “concede” il diritto, con l’effetto della “riserva”; l’art 13, poi, indica un quadro rigido di regole sostanziali e formali da seguire. Neppure in questo caso, però, il legislatore precisa in quali casi un ente locale, con un proprio atto regolamentare o amministrativo, possa, sussistendone le condizioni, ricorrervi. Prescindendo dall’ipotesi della attribuzione in via legislativa (improbabile, ma possibile, sempre che ciò non implichi lesione dell’autonomia locale) e posto che la [continua ..]


6. L’istituzione del servizio e gli spazi della tutela

Ogni processo di giuridicizzazione di ciò che è precedentemente libero produce due rischi. Da un lato, il rischio che, ove le regole non diano origine a pretese tutelabili, esse finiscano con il perdere di effettività; dall’altro il rischio che un eccesso di emersione di pretese tutelabili renda il sistema difficilmente gestibile. Ciò accade anche per il decreto di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali. L’emersione di un atto formalizzato consacrato alla istituzione del servizio fa emergere aspettative di tutela e nuove possibilità di contenzioso, tanto più considerando che a quell’atto è agganciato uno specifico e articolato regime giuridico, che risponde a principi e a regole di tipo sia sostanziale che procedimentale. In altri termini: l’esistenza di un atto di istituzione definisce uno spazio di controllabilità della scelta dell’amministrazione di creare il servizio, come anche, almeno in astratto, della scelta di non crearlo. Risulta certamente rafforzato l’interesse degli operatori rispetto all’interferenza dell’amministrazione sul mercato: un interesse a che l’amministrazione non distorca l’assetto concorrenziale con interventi promozionali che alterino le condizioni di parità tra gli operatori, a che essa non imponga obblighi che limitino la libertà di impresa, a che non riservi o contingenti costituendo ambiti di profitto protetti, a che non intervenga direttamente sottraendo spazio al privato. D’altronde quella parte del regime giuridico dell’atto di istituzione che limita la discrezionalità dell’ente tende proprio a garantire le libertà delle imprese operanti nel mercato e la loro concorrenza. Di fronte a questo nuovo quadro, però, c’è da chiedersi se non si ponga in modo più definito uno spazio di tutelabilità anche della pretesa delle persone, individualmente o in forma aggregata, alla istituzione di un servizio pubblico. Si è osservato in premessa, come il legislatore indichi il bisogno della comunità come categoria fondante della istituzione del servizio e, anzi, della doverosità di quella istituzione, prevedendo coerentemente, ma con una disposizione (troppo) blanda, la possibilità di ricorrere a forme di consultazione pubblica. Per altro verso, però, sottolinea il carattere politico della [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023