Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Corte di giustizia dell'Unione europea, libertà di stabilimento, limiti al golden power (di Aldo Sandulli, Professore ordinario di diritto amministrativo, Dipartimento di Giurisprudenza, Luiss Guido Carli)


Lo scritto analizza i contenuti della recente sentenza della Corte di giustizia del­l’Unione europea sul caso Xella Magyarorzág e i possibili effetti della stessa sulla di­sciplina nazionale dei golden powers.

In particolare, si esamina il rapporto tra le regole euro-unitarie del mercato interno e quelle europee e nazionali della difesa e sicurezza e della protezione degli attivi strategici, fermandosi soprattutto sui limiti soggettivi e oggettivi al golden power.

European Union Court of Justice, freedom of establishment, boundaries to the FDIs screening di Aldo Sandulli **

The essay aims to analyse the contents of the recent judgment of the Court of Justice of the European Union on the case Xella Magyarorzág and the effects of the same on the national discipline of the so-called golden powers.

In particular, the paper examines the relationship between the Euro-Union rules of the internal market and the European and national rules of national security and the protection of strategic assets, deepening the subjective and objective limitations to the golden power.

Massime

Il Regolamento (UE) 2019/4521, relativo ai controlli sugli investimenti esteri diretti, non trova applicazione all’acquisizione oggetto del giudizio. Tale Regolamento riguarda esclusivamente gli investimenti nell’Unione Europea da parte di società di Paesi terzi. Esso non può trovare dunque applicazione nel caso di specie, poiché la società che intende realizzare l’investimento risiede nell’Unione, non rilevando quindi il fatto che una società registrata in un Paese terzo detenga su di essa una influenza maggioritaria. La questione pregiudiziale, quindi, deve quindi venire in rilievo soltanto alla luce della libertà di stabilimento (art. 54 TFUE) e, in quanto tale, è ricevibile.

L’obiettivo di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento in ghiaia, sabbia e argilla a livello regionale a favore del settore edile non può giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento, non rientrando tale obiettivo tra gli interessi fondamentali della collettività che possono giustificare una restrizione a titolo di ordine pubblico e sicurezza pubblica, come invece avviene nel caso della sicurezza dell’approvvigionamento dei settori del petrolio, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Il divieto di acquisizione posto dal governo ungherese è sproporzionato, non avendo fornito l’esecutivo alcuna prova che la suddetta acquisizione di società residente costituisca un vulnus all’autonomia strategica e possa rappresentare una minaccia effettiva e sufficientemente grave all’ordine e alla sicurezza nazionale dello Stato.

Pertanto, costituisce una lesione della libertà di stabilimento di particolare gravità il meccanismo di controllo degli investimenti esteri con il quale è stato vietato a una società ungherese – sulla quale detiene una influenza maggioritaria una società registrata in uno Stato estero – di acquisire altra società ungherese che estrae materiali edili.

Estratto

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

27 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE, letto in combinato disposto con i considerando 4 e 6 del regolamento 2019/452 nonché con [continua..]

SOMMARIO:

1. Il rilievo della sentenza della Corte di giustizia - 2. I termini della questione - 3. I contenuti della sentenza - 4. Le conclusioni dell’Avvocato generale - 5. L’impatto sulla disciplina italiana del golden power - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il rilievo della sentenza della Corte di giustizia

Con la sentenza resa nel caso Xella Magyarorzág (cd. caso Ungheria) [1], la Corte di giustizia si è espressa per la prima volta sul perimetro del regolamento (Ue) 2019/452, istitutivo di un quadro per il controllo dei Foreign Direct Investments (Fdis) [2], in particolare circoscrivendo e restringendo la nozione di investimento estero diretto (Ied) e, in tal modo, limitando i poteri speciali dei governi degli Stati membri, legati al cd. golden power [3]. Come è noto, il citato regolamento è stato adottato al fine di proteggere, soprattutto a seguito del nuovo contesto geopolitico, attraverso nuove forme di intervento pubblico in economia [4], il patrimonio industriale e il know how tecnologico continentale nei settori strategici, con particolare riferimento a quelli che impattano su difesa e sicurezza nazionale. È interessante rilevare, per precisare il contesto di riferimento, che la Commissione sta lavorando alla revisione di tale regolamento, al fine di precisarne meglio alcuni contenuti, tra cui quelli dell’applicazione soggettiva [5]. La Corte di giustizia ha risolto la questione pregiudiziale sollevata dal giudice ungherese sul piano della libertà di stabilimento, statuendo la non applicabilità alla fattispecie in oggetto del regolamento (Ue) 2019/452. La sentenza è significativa per tre ragioni principali. Innanzitutto, essa ha perimetrato in senso restrittivo la nozione di investimento estero diretto ai sensi del citato regolamento. In secondo luogo, la decisione dei giudici di Lussemburgo ha accolto la tesi della Commissione e si è espressa difformemente alle conclusioni rese dal­l’Av­vocato generale Tamara Ćapeta [6]. Queste ultime avevano ricostruito un complesso quadro di competenze, orientandosi, in linea con la posizione del governo italiano (anch’esso intervenuto nella procedura), in favore dell’appli­cabilità alla fattispecie in esame del regolamento (Ue) 2019/452. In terzo luogo, la sentenza impatterà sulle discipline nazionali degli Stati membri in tema di controllo degli Fdis [7], tra le quali quella italiana sui golden power. Si tratta, pertanto, di valutarne le possibili ricadute. Si può aggiungere, in avvio, che il caso in oggetto costituisce la dimostrazione delle ricadute di carattere interpretativo generale che possono scaturire dalla soluzione giurisprudenziale di [continua ..]


2. I termini della questione

Da mihi factum, dabo tibi ius. La peculiarità della fattispecie in oggetto ha fortemente inciso sui contenuti della decisione dei giudici di Lussemburgo: il provvedimento del Ministro ungherese può essere considerato un tipico esempio di sviamento di potere, nonché una lesione della libertà di iniziativa economica privata. Il decreto del Ministro magiaro, sotto l’egida della disciplina nazionale del golden power, ha eluso i principi cardine del mercato nell’ordi­na­mento europeo, con l’intento di proteggere la proprietà nazionale di una società operante nell’estrazione di materie prime per prodotti per l’edilizia. L’Ungheria non è nuova a sviamenti della normativa europea della concorrenza e del mercato a protezione della nazionalità delle proprie aziende. Emblematica è una recente decisione della Commissione Ue [8], con la quale si è imputata all’Ungheria la violazione degli artt. 21 del regolamento (Ue) sulle concentrazioni (2004/139) e 49 Tfue. Il governo ungherese aveva vietato alla Vienna Insurance Group AG (Vig) l’acquisizione di Aegon Hungary, interferendo indebitamente con la competenza esclusiva della Commissione a decidere in merito a una concentrazione di dimensione euro-unitaria. Sicché, nelle aree in cui le istituzioni europee hanno una competenza esclusiva, esse possono procedere a valutare, da quella angolazione, la compatibilità del controllo sugli Ide con la disciplina europea sulle concentrazioni. Si esamini la situazione di fatto oggetto del presente contributo. Una società ungherese, la Xella Magyarorzág (detenuta da una società tedesca, a sua volta detenuta da una società di diritto lussemburghese, controllata indirettamente da una società registrata alle Bermuda, capogruppo del gruppo Lone Star, facente capo a un cittadino irlandese) ha pattuito di acquisire altra società ungherese, la Janes és Társa, proprietaria di una cava per l’estrazione di sabbia, argilla e ghiaia (la quale produce lo 0,52% della produzione nazionale), la quale vende il 90% del materiale estratto alla Xella. La legislazione ungherese (in particolare, la legge LVIII/2020) [9] contempla l’obbligo di notifica al Ministro competente in caso di acquisizioni di società strategiche da parte di investitori esteri (sono considerate estere anche [continua ..]


3. I contenuti della sentenza

La pronuncia della Corte di giustizia fornisce una nozione ristretta di investimento estero diretto. La Corte limita l’ambito di applicazione del regolamento (Ue) 2019/452 agli investimenti su interessi nazionali strategici effettuati da impresa costituita o comunque organizzata conformemente alla legislazione di un paese terzo. Ciò non implica che gli Stati membri non possano introdurre limitazioni ulteriori riguardanti gli investimenti esteri diretti “indiretti”, ma queste ultime possono essere considerate legittime esclusivamente se non sono in contrasto con le libertà fondamentali Ue. Per i giudici di Lussemburgo, la disciplina ungherese, la quale estende l’esercizio dei poteri speciali anche a società registrate in Ungheria o in altro Stato membro, laddove società registrate in un paese terzo detengano una influenza maggioritaria, si colloca fuori dall’ambito di applicazione del citato regolamento. Per un’applicazione dei contenuti del regolamento a società registrate presso uno Stato membro dell’Unione, bisognerebbe dimostrare la necessità di contrastare un tentativo di eludere il meccanismo di controllo di cui all’art. 3, par. 6, il quale si ha, come precisa il considerando 10 del regolamento, nel­l’ipo­tesi di «investimenti realizzati nell’Unione tramite costruzioni artificiose che non riflettono la realtà economica ed eludono i meccanismi di controllo e le relative decisioni, ove l’investitore sia in ultima istanza di proprietà di una persona fisica o di un’impresa di un paese terzo o da essa controllato». La Corte ritiene che la fattispecie rientri invece nella lesione della libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 ss. Tfue (e non in quella relativa alla libertà di circolazione dei capitali, di cui agli artt. 63 ss. Tfue). Su tale base normativa, la Xella Magyarorzág va qualificata società dell’Unione, essendo collegata al­l’or­di­namento giuridico di uno Stato membro e avendo un proprietario finale cittadino dell’Unione, pur facendo parte di una holding la cui capogruppo è registrata in un paese terzo. Ne consegue, pertanto, la non applicabilità dell’art. 65, par. 1, lett. b), Tfue, in materia di libertà di circolazione dei capitali, per il quale lo Stato membro può adottare le misure necessarie per [continua ..]


4. Le conclusioni dell’Avvocato generale

Una direzione diametralmente opposta rispetto a quella della Corte avevano seguito le conclusioni dell’Avvocato generale. Il ragionamento compiuto è sicuramente meno lineare sul piano tecnico, ma orientato a tener conto della complessità del mondo reale. Le considerazioni di apertura sono di contesto, dedicate alla trasformazione del quadro geopolitico nell’ultimo quarto di secolo. Mutamento che non può evitare di riflettersi sull’assetto giuridico dell’Unione europea: «La principale questione alla quale la Corte dovrà pertanto rispondere è se la presenza di una partecipazione facente capo a soggetti di paesi terzi in un’impresa del­l’Unione possa, in determinate circostanze, costituire una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza nazionali degli Stati membri. Se mi avessero rivolto una domanda del genere venti anni or sono, non avrei avuto motivo di dubitare di trovarmi di fronte a un tipo di protezionismo non tollerato in un mercato libero e aperto» [18]. Da questa considerazione metagiuridica si dipartono gli interrogativi giuridici e, cioè, in che modo le norme debbano tradurre tale trasformazione e quale sia il riparto di competenze tra Unione e Stati membri in materia di investimenti diretti provenienti da paesi terzi. Il Trattato di Lisbona ha inquadrato gli investimenti esteri diretti nella politica commerciale comune. Si tratta quindi di capire come intendere il rapporto con le norme sulla libera circolazione dei capitali e se gli investimenti diretti provenienti dall’estero rientrino nella competenza esclusiva dell’Unione in materia di regolamentazione degli scambi commerciali oppure se tali investimenti facciano parte della competenza concorrente in materia di mercato interno. Ciò al fine di comprendere quale sia lo spazio normativo lasciato agli Stati membri per controllare e bloccare l’acqui­si­zione di società situate nel loro territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. D’altra parte, va anche considerato che l’effetto diretto delle disposizioni del Tfue sulle libertà fondamentali consente ai tribunali nazionali di controllare le decisioni delle autorità nazionali in materia di Ide. Ciò può indurre a una maggiore cautela sul fatto che le decisioni di divieto o rimedio siano giustificate da «una minaccia reale e [continua ..]


5. L’impatto sulla disciplina italiana del golden power

Sotto il profilo dell’ambito di applicazione soggettivo, si produce un effetto diretto della sentenza della Corte di giustizia sulla disciplina italiana, per cui la giurisprudenza amministrativa ne terrà conto e vi potranno essere riflessi [20], anche se, come si preciserà nel prosieguo, le conseguenze potrebbero essere meno dirompenti di quanto possa apparire prima facie. La disciplina italiana in materia, come è noto, ha conosciuto, soprattutto a seguito delle crisi pandemica e ucraina, una estensione significativa dell’appli­cazione del golden power, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo [21]. Ci si è interrogati spesso circa la compatibilità della disciplina nazionale con le libertà economiche poste a livello euro-unitario e, come è noto, la giurisprudenza amministrativa italiana ha fornito un responso positivo al­l’in­terrogativo [22]. La pronuncia della Corte di giustizia ripropone il tema da un’altra angolazione. Dal punto di vista soggettivo, sia l’art. 1 (difesa, sicurezza nazionale, ordine pubblico) sia l’art. 2 (servizi essenziali di interesse generale, servizi economico-finanziari e altri settori inerenti l’approvvigionamento strategico) del decreto-legge n. 21/2012, come integrati e modificati nel corso dell’ultimo triennio, sono destinati a un ridimensionamento, dal momento che entrambi contengono disposizioni circa l’ambito soggettivo che potrebbero essere in contrasto con il contenuto della sentenza della Corte. Innanzitutto, entrambi gli artt. sono costruiti nel seguente modo: vi sono commi iniziali che stabiliscono standard per controlli sulle operazioni di acquisizione, senza precisare l’ambito soggettivo di applicazione; vi sono poi commi in cui si richiedono controlli più stringenti per acquisizioni operate da società di paese estero. Proprio da quest’ultimo tipo di disposizioni si percepisce che i commi precedenti hanno invece un’applicazione estesa sia ad aziende di paese estero sia a imprese di Stato membro dell’Unione. Si guardi, in particolare, all’art. 2 del citato decreto-legge, il quale si sofferma nel dettaglio sul profilo soggettivo. Il comma 2-bis, aggiunto con il cd. d.-l. Liquidità, stabilisce che «Qualsiasi delibera, atto od operazione, adottato da un’impresa che detiene uno o più degli attivi [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

C’è un importante positivo punto fermo nella pronuncia della Corte di giustizia: è quello della proporzionalità della misura adottata e dell’assolvimento dell’obbligo di adeguata motivazione al fine di provare la giusta misura del potere esercitato dal governo. Per giustificare una limitazione dell’investimento estero diretto, in pratica, deve essere rinvenuta una adeguata e seria minaccia agli interessi strategici nazionali. Questa parte della pronuncia (anche le conclusioni dell’Avvocato generale si erano mosse nella medesima direzione) identifica puntuali standard sotto il profilo oggettivo e procedurale. Al proposito, sulla base della distinzione operata dalla sentenza, vi è anche da ragionare se non si possa ipotizzare l’eser­cizio di un controllo di proporzionalità più o meno intenso a seconda se il soggetto che interessato all’acquisizione sia un investitore estero tout court ovvero un soggetto Ue controllato da un’impresa extra-Ue. Le considerazioni della Corte sulla proporzionalità della misura adottata dal governo nell’esercizio dei poteri speciali, tra l’altro, sono suscettibili di avere un effetto riflesso anche sugli orientamenti della giurisprudenza italiana, dal momento che molto si discute in ordine alla natura del provvedimento del governo, quando esso si pronunci nel senso dell’imposizione del veto oppure di prescrizioni e/o condizioni. Quanto statuito dai giudici di Lussemburgo pare andare nella direzione dell’esclusione della natura di atto politico della delibera del Consiglio dei ministri e porre una serie di vincoli procedurali e di principio anche alla qualifica di atto di alta amministrazione, poiché, se il provvedimento deve rispondere a proporzionalità e deve essere adeguatamente motivato, il successivo sindacato giurisdizionale non può essere eccessivamente limitato. Un controllo giurisdizionale penetrante, come dimostra anche il caso ungherese, funge da necessario frangiflutti alla “discrezionalità politica”, da un lato, e da opportuna garanzia per i principi e le libertà economiche euro-unitarie, dal­l’altro. Ciò posto, si è detto che la pronuncia rileva soprattutto sotto il profilo soggettivo. Gli investimenti esteri diretti sottoponibili a controllo sono soltanto quelli operati direttamente da una società di un paese [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023