Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La tutela della concorrenza tra Costituzione e diritto dell'Unione europea (di Filippo Donati)


Il presente saggio mira a verificare se, ed entro quali limiti, le specificità del modello costituzionale italiano possano creare ostacoli alla realizzazione di una piena ed effettiva convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione della disciplina antitrust.

The Antitrust Enforcement in the Italian Constitutional System and in the European Union law

This essay aims at verifying if, and to which extent, the specific features of the Italian constitutional system may hamper a substantial approximation of domestic and European jurisprudence on public enforcement of antitrust law.

Key Words: Constitution – European Union – Competition – Antitrust

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La concorrenza nella Costituzione e nel diritto dell’Unione - 3. Le convergenze - 4. Le incertezze - 5. Le divergenze - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Il buon funzionamento del mercato interno richiede l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri delle regole di concorrenza. Le specificità dei singoli sistemi nazionali, tuttavia, potrebbero favorire comportamenti non omogenei tra le autorità incaricate, a livello nazionale ed europeo, di garantire l’osservanza del diritto antitrust.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”), ad esempio, non sempre, nell’esercizio della funzione di tutela della concorrenza, si limita ad applicare la legge al caso concreto, come se fosse un giudice [1], ovvero ad effettuare scelte di natura tecnico-economica che non implicano quella ponderazione di interessi tipica della discrezionalità amministrativa [2].

In determinate circostanze, infatti, anche l’AGCM finisce per svolgere una funzione amministrativa discrezionale, che comporta la ponderazione dell’in­te­resse primario (tutela della concorrenza) con gli altri interessi, pubblici e privati, in gioco [3]. Questa attività di bilanciamento tra interessi contrapposti, effettuata “nell’ambito di un contraddittorio che non si differenzia – se non per la sua intensità – da quello procedimentale classico”, emerge in particolare “nei rilevanti poteri para-regolatori e consultivi attribuiti all’Autorità garante [4] (…) e nell’ampio margine di discrezionalità amministrativa che connota istituti quali le autorizzazioni in deroga di intese vietate, l’accettazione degli “impegni” e i cosiddetti programmi di clemenza [5]”. È sulla base di questi rilievi che la Corte costituzionale, in una assai nota decisione [6], ha escluso la legittimazione del­l’AGCM a sollevare questioni incidentali di costituzionalità.

Anche la Commissione europea, quando applica il diritto della concorrenza, può essere chiamata a svolgere operazioni di bilanciamento tra interessi contrapposti.

Ciò accade, ad esempio, quando deve valutare la compatibilità di misure di aiuto, essendo necessario stabilire se lo Stato, nell’accordare un vantaggio ad una determinata impresa o categoria di imprese, abbia perseguito uno degli obiettivi di interesse generale previsti dall’art. 107 TFUE e, in tal caso, se l’aiu­to sia appropriato e proporzionale per raggiungere tale obiettivo. Molto si è discus­so sul nuovo approccio della Commissione alla luce della crisi finanziaria ed economica che, nel corso dell’ultimo decennio, ha investito tutti gli Stati mem­bri dell’Unione europea e che ha reso necessari numerosi interventi statali in favore delle banche. In un contesto del genere la Commissione europea ha infatti dovuto tenere conto dell’interesse generale alla salvaguardia di imprese che rivestono un ruolo strategico per l’assetto economico e sociale degli Stati membri [7].

Può quindi accadere che la valutazione sulla legittimità di aiuti di Stato o comportamenti d’impresa finisca per dipendere da un bilanciamento, da effettuare alla luce della particolarità del caso concreto, tra l’esigenza di garantire la concorrenzialità del mercato e l’esigenza di non pregiudicare altri interessi che trovano riconoscimento e tutela nella Costituzione o nel diritto dell’Unione [8].

La ponderazione di interessi effettuata dalle autorità di concorrenza, nazionali ed europee, è spesso oggetto di sindacato giurisdizionale. Il giudice, nel decidere al riguardo, deve ovviamente tenere conto del quadro normativo di riferimento. Esistono tuttavia nel nostro ordinamento alcune specificità, in particolare quelle riconducibili ai principi che, secondo il nostro giudice delle leggi, “caratterizzano l’identità costituzionale italiana” [9].

Di qui l’interrogativo se la specificità del nostro modello costituzionale possa rappresentare un ostacolo alla convergenza delle giurisprudenze, nazionali ed europea, in materia di diritto della concorrenza.


2. La concorrenza nella Costituzione e nel diritto dell’Unione

La Costituzione, fino alla riforma del 2001, non faceva espresso riferimento alla concorrenza [10]. La norma base della nostra costituzione economica, l’art. 41 Cost., rifletteva l’idea che la concorrenza non fosse bisognosa di particolare tutela costituzionale, costituendo “il mero riflesso del riconoscimento della libertà di iniziativa economica individuale” [11]. La stessa libertà di impresa, però, è collocata su un piano diverso rispetto agli altri diritti e libertà fondamentali, almeno sotto due profili.

In primo luogo, a differenza di altre libertà (artt. 13, 14 e 15 Cost.), quella d’impresa non è qualificata come “inviolabile”. La stessa Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, pur non accogliendo le ricostruzioni cha hanno assegnato alla iniziativa economica privata un rango inferiore rispetto alle altre libertà [12], non ha mai qualificato l’iniziativa economica privata come diritto fondamentale.

In secondo luogo, la libertà d’impresa è sottoposta dalla Costituzione a limitazioni assai più ampie di quelle che invece sono ammesse per le altre libertà. Alla luce dei penetranti limiti previsti dall’art. 41, commi 2 e 3, Cost., in dottrina è stata persino prospettata la tesi della “funzionalizzazione” dell’iniziativa economica privata a fini di utilità sociali individuati in sede di programmazione dell’attività economica [13]. Questa impostazione non è mai stata accolta dalla Corte costituzionale, che ha sempre inquadrato l’iniziativa economia privata in termini di libertà [14]; essa tuttavia ben riflette le ambiguità sottese alla formula impiegata dalla Costituzione italiana, suscettibile di essere sviluppata in direzioni opposte [15].

Diversamente, l’Unione europea, fin dall’origine, ha avuto come obiettivo preminente il buon funzionamento del mercato e la tutela della concorrenza e della libertà d’impresa. Il riconoscimento, nei Trattati istituitivi, della libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, il divieto di aiuti pubblici alle imprese e la previsione di una articolata disciplina a tutela della concorrenza, finivano per attribuire alla libertà di iniziativa economica privata un ruolo centrale ed una garanzia assai più forte di quella tracciata dalla nostra Costituzione.

Questa differenza di fondo tra l’ordinamento dell’Unione europea e il sistema costituzionale italiano, tuttavia, si è nel tempo attenuata.

Il nostro ordinamento, infatti, ha progressivamente accolto i valori della concorrenza e del mercato, che oggi sono stati espressamente riconosciuti sia sul piano legislativo [16] sia sul piano costituzionale, attraverso l’esplicito riferimento alla concorrenza nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., introdotto dalla leg­ge cost. n. 3/2001 [17].

Per converso, il sistema dell’Unione europea si è dimostrato sempre più sensibile all’esigenza di tutela dei diritti fondamentali. Esigenza, questa, che ha trovato un primo riconoscimento a livello pretorio nella giurisprudenza della Corte di giustizia e che oggi trova piena garanzia nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Tale contesto ha facilitato l’attuazione di meccanismi di coordinamento tra diritto nazionale e diritto europeo anche nel settore antitrust.

In questa prospettiva, ad esempio, il legislatore ha imposto l’obbligo di interpretare la legge n. 287/1990 “in base ai principi dell’ordinamento dell’Unio­ne europea in materia di disciplina della concorrenza” [18]. Una disposizione del genere, che riprende un’analoga previsione contenuta nella legge sul procedimento am­ministrativo [19], parrebbe superflua, attesa la preminenza del diritto del­l’Unio­ne europea e il principio di interpretazione conforme del diritto interno al diritto dell’Unione, più volte sancito dalla Corte di giustizia [20]. Del resto, a seguito dell’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato applica direttamente le norme dell’Unione europea, mentre l’applicazione del diritto interno è ormai circoscritto a casi tutto sommato residuali. Eppure, il richiamo all’obbligo di interpretazione conforme contenuto nella legge n. 287/1990 è indicativo della preoccupazione del nostro legislatore di garantire un coordinamento e una uniformità di fondo dell’appli­cazione della disciplina antitrust a livello nazionale e a livello europeo [21].

Anche il legislatore dell’Unione si è fatto carico di tale esigenza. Il regolamento n. 1/2003, in particolare, ha istituito un meccanismo di cooperazione continuativa tra la Commissione e le Autorità antitrust nazionali [22] che, come già riconosciuto dalla Corte di giustizia [23], sono chiamate a rispettare le decisioni della Commissione in materia di concorrenza. La cooperazione opera anche nei rapporti tra la Commissione e le giurisdizioni nazionali [24]. La stessa creazione della rete delle autorità garanti della concorrenza è volta a garantire un coordinamento sulla base di best practices e linee guida comuni, al fine di assicurare un’uniforme applicazione della disciplina della concorrenza in tutta l’Unione europea [25]. Per superare gli ostacoli che ancora impediscono la piena realizzazione di tale obiettivo, la direttiva (UE) n. 1/2019 ha conferito alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri più efficaci per l’appli­cazione del diritto dell’Unione.

La giurisprudenza costituzionale, inoltre, ha in più occasioni riconosciuto che la nozione di concorrenza accolta nel nostro ordinamento coincide con quella dell’Unione europea [26]. Ciò non toglie, tuttavia, che la riserva di legge di cui all’art. 41, comma 2, Cost., attribuisce al legislatore il compito di definire quell’utilità sociale, al cui perseguimento è subordinata la tutela della libertà d’impresa. In questa prospettiva è ancora radicata in parte della dottrina italiana l’idea che la libera concorrenza, nel nostro ordinamento, non potrebbe avere una centralità analoga a quella che riveste nell’ordinamento dell’Unione [27]. Si è osservato a tal riguardo, anche di recente, che, a differenza di quanto accade nelle giurisprudenze delle Corti nazionali e della Corte EDU, in cui la persona umana rimane al centro delle tutele, nella filosofia della Corte di giustizia l’esigenza di garantire il corretto funzionamento del mercato rivestirebbe tuttora posizione preminente [28].

Le specificità del nostro modello costituzionale, tuttavia, non sono tali da impedire la realizzazione di una piena ed effettiva convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee nel­l’at­tuazione della disciplina antitrust.


3. Le convergenze

In linea generale, è possibile oggi osservare una decisa convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee in materia di attuazione dei principi della concorrenza.

Emblematico è il caso delle professioni intellettuali.

In questo campo, la tutela del libero mercato e della concorrenza deve essere bilanciata con altri interessi di rilievo costituzionale.

Con riferimento alla professione di avvocato [29], ad esempio, la disciplina che subordina l’esercizio della professione al previo ottenimento di un titolo abilitativo e al controllo da parte dell’ordine professionale è funzionale al perseguimento di interessi di rilievo costituzionale. La normativa sull’accesso alla professione mira infatti ad assicurare la preparazione tecnica e deontologica degli avvocati, al fine di assicurare una efficace tutela dei diritti e un buon funzionamento della giustizia [30].

La disciplina richiamata è stata però incisa dalla direttiva 98/5/CE, che ha introdotto nuove regole volte a permettere agli avvocati migranti di esercitare la professione in tutto il territorio dell’Unione europea, con il titolo conseguito in uno Stato membro  [31]. Con questa direttiva, l’Unione europea ha voluto porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui possono discendere ineguaglianze ed ostacoli alla libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento [32]. In mancanza di una normativa di armonizzazione circa i requisiti per acquisire il titolo di avvocato, però, un meccanismo del genere ha finito inevitabilmente per favorire prassi di “forum shopping”, ovvero i comportamenti degli aspiranti avvocati che hanno scelto, per l’esame di abilitazione, paesi in cui i requisiti di accesso sono meno rigorosi di quelli applicati nello Stato di origine.

Molti cittadini italiani si sono recati in Spagna per acquisire la qualifica di avvocato, al fine di poter esercitare l’at­ti­vità professionale in Italia con possibilità, compiuti tre anni di pratica continuativa con il titolo d’origine, di ottenere il titolo professionale in Italia. La Cor­te di giustizia, in una decisione molto criticata, ha di fatto legittimato la vicenda dei cosiddetti abogados, escludendo che in casi del genere ricorra un utilizzo abusivo del diritto dell’Unione [33]. Nonostante le critiche sollevate da più parti, la giurisprudenza italiana si è uniformata all’orientamento della Corte di giustizia [34].

Sempre con riguardo al mondo delle professioni, è nota la vicenda relativa alle tariffe professionali. La Corte di giustizia considera gli ordini professionali come associazioni di imprese tenute, in quanto tali, al rispetto delle norme di concorrenza [35], ed ha ritenuto incompatibile con i principi sanciti dal diritto del­l’Unione una normativa, come quella prevista in Italia per gli spedizionieri doganali, che rimetteva all’ordine professionale la potestà di fissare una tariffa obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria [36]. Secondo questa giurisprudenza, le tariffe minime per la liquidazione degli onorari possono essere introdotte con un atto normativo generale [37], non invece a mezzo di una decisione delle associazioni professionali di categoria, a condizione ovviamente che non vengano lese altre norme dei Trattati [38].

Nell’ambito di una politica volta a realizzare una “liberalizzazione” delle professioni intellettuali, nel 2006 il cosiddetto decreto Bersani abolì le tariffe professionali minime obbligatorie, stabilite con decreto ministeriale, e i vincoli alla pubblicità della professione [39]. Alcuni ordini professionali, tuttavia, hanno approvato misure volte, nella sostanza, a orientare i comportamenti degli iscritti verso l’applicazione di tariffe minime uniformi, al fine di tutelare la dignità e la deontologia degli appartenenti alla categoria. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, seguendo la giurisprudenza della Corte di giustizia, ha ritenuto illegittimi quei provvedimenti degli ordini professionali volti a orientare gli iscritti a pratiche da cui possa discendere una limitazione della concorrenza. La giurisprudenza amministrativa ha confermato questa impostazione, ritenendo che il Consiglio nazionale forense, quando adotta atti che, per il loro contenuto, sono idonei ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati, può essere qualificato alla stregua di un’as­sociazione di imprese ai sensi dell’art. 101 TFUE [40].

Anche con riferimento alla tematica, assai discussa, relativa alla ammissibilità, in materia di illeciti concorrenziali, dei cosiddetti danni punitivi, ovvero di una condanna ad un risarcimento ulteriore rispetto a quello necessario per compensare il danno subito, la giurisprudenza italiana si è allineata a quella europea.

La Corte di giustizia, nella sentenza sul caso Manfredi, ha stabilito che il riconoscimento di un indennizzo punitivo al terzo danneggiato da una condotta anticoncorrenziale, pur essendo escluso dalla direttiva (UE) n. 104/2014 [41], non è incompatibile con il diritto dell’Unione. Al riguardo la Corte ha osservato che, in mancanza di disposizioni comunitarie in materia, spetta all’ordi­na­mento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i criteri che consento­no di determinare l’entità del risarcimento, purché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati. Peraltro, ha aggiunto la Corte, “una forma particolare di risarcimento, qual è il risarcimento esemplare o punitivo, deve poter essere riconosciuta nell’ambito di azioni fondate sulle regole comunitarie di concorrenza, qualora possa esserlo nell’ambito di azioni analoghe fondate sul diritto interno” [42].

L’indirizzo “possibilista” della Corte di giustizia è stato di recente condiviso dalla Corte di cassazione, che ha superato l’orientamento legato al “carattere monofunzionale della responsabilità civile, avente la sola funzione di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto leso” [43]. La Suprema Corte ha infatti riconosciuto, nella sua più recente giurisprudenza, che la funzione risarcitoria del risarcimento del danno non è più “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state introdotte qua e là disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento” [44]. In questa prospettiva la Corte ha quindi ammesso la compatibilità con l’ordinamento italiano dell’istituto dei risarcimenti punitivi, riconoscendo la possibilità di delibare una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere, purché essa si fondi su una base normativa adeguata che permetta di ritenere rispettati i principi di tipicità e prevedibilità che rilevano in materia [45].

Un ultimo esempio di convergenza che è opportuno richiamare in questa sede è offerto dalla sentenza n. 13/2019 della Corte costituzionale, precedentemente richiamata. In questa decisione, infatti, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’AGCM non presenti quei requisiti di terzietà rispetto agli interessi in gioco, ritenuti necessari per poter sollevare una questione incidentale di legittimità costituzionale.

Anche la Corte di giustizia, nella sentenza Syfait [46], aveva negato all’Au­to­rità antitrust greca la legittimazione a richiedere una pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ritenendo che la stessa non possa essere considerata un “organo giurisdizionale”. A tale conclusione la Corte di giustizia è pervenuta osservando che l’Autorità antitrust greca è soggetta al controllo non solo del Ministero dello sviluppo economico, ma anche della Commissione, che ha il potere di avocare singoli procedimenti.

La Corte costituzionale, seppure con argomentazioni differenti, è giunta a conclusioni analoghe a quelle della Corte di giustizia in ordine alla impossibilità di configurare le autorità nazionali antitrust come organi che esercitano una funzione sostanzialmente giurisdizionale, assimilabile a quella di un giudice, ai fini del riconoscimento del potere di sollevare una questione pregiudiziale, sia che verta sulla costituzionalità di una legge o di un atto con forza di legge, sia che attenga alla interpretazione o alla validità del diritto del­l’Unione.


4. Le incertezze

La convergenza tra giurisprudenze è senz’altro favorita dall’impiego del meccanismo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE [47]. Si tratta, com’è noto, di uno strumento che permette ai giudici nazionali di “dialogare” con la Corte di giustizia, per ottenere da essa indicazioni circa l’interpretazione o la validità del diritto dell’Unione europea. Indicazioni che, evidentemente, il giudica a quo non può disattendere [48].

La vicenda giudiziaria sull’intesa restrittiva della concorrenza tra i gruppi farmaceutici Hoffmann-La Roche e Novartis Farma, recentemente al centro di una complessa vicenda giudiziaria, costituisce, sotto questo profilo, un caso singolare. Da una parte, infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario effettuare un rinvio di interpretazione ex art. 267 TFUE. Dall’altra parte, però, non pare essersi integralmente attenuto alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia.

I giudici amministrativi erano chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento [49] con cui l’AGCM aveva comminato pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti dei gruppi Roche e Novartis, per un’intesa restrittiva della con­correnza. La contestazione riguardava la ripartizione del mercato di due prodotti farmaceutici formalmente destinati, rispettivamente, all’applicazione oncologica (Avastin off-label) e all’applicazione oftalmica (Lucentis), ma sostanzialmente equivalenti e sostituibili, mediante diffusione di notizie ingannevoli per gli utilizzatori [50]. La vicenda sollevava numerose questioni riguardanti, tra l’altro, l’individuazione del mercato rilevante, la sostituibilità dei prodotti oggetto dell’intesa, la configurabilità di un illecito concorrenziale per effetto della divulgazione di notizie circa l’efficacia e la sicurezza di determinati medicinali in un quadro caratterizzato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche disponibili.

Per risolvere tali questioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di avere indicazioni sul­l’interpretazione della disciplina europea rilevante nel caso di specie [51].

L’ordinanza di rinvio merita di essere segnalata perché conferma una “sensibilità” del giudice amministrativo verso la giurisprudenza della Corte di giustizia in una materia, quella della tutela del diritto alla salute, in cui non molti anni prima lo stesso Consiglio di Stato aveva teorizzato l’esistenza di una sfera nella quale la sovranità nazionale sarebbe piena e non suscettibile di subire alcun tipo di condizionamenti da parte del diritto dell’Unione. Il riferimento è alla notissima (peraltro assai criticata) sentenza con cui la quinta sezione del Consiglio di Stato aveva affermato, con una assai discutibile interpretazione della teoria dei “controlimiti”, che nella materia attinente alla tutela del diritto alla salute è “concepibile conservare uno spazio giuridico statale del tutto sottratto all’influenza del diritto comunitario, uno spazio nel quale lo Stato continua ad essere interamente sovrano, vale a dire indipendente, e perciò libero di disporre della proprie fonti normative” [52]. Il diritto alla salute, secondo quella decisione, rientrerebbe nell’area “dei diritti fondamentali, la cui tutela funge da insopprimibile “controlimite” alle limitazioni spontaneamente accettate con il Trattato”. La disciplina nazionale che mira a garantire tale diritto, pertanto, riguarderebbe un’area riservata alla giurisdizione dei giudici nazionali, “che non è stata intaccata dal trasferimento a favore della Corte di Giustizia delle competenze interpretative sul Trattato CEE, e pertanto rimane insensibile al […] contrasto […] con principi comunitari” [53].

Nel caso in esame, invece, nonostante si vertesse nel campo relativo alla tutela del diritto alla salute dei cittadini, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario attivare il rinvio pregiudiziale ex art. 276 TFUE alla Corte di giustizia, al fine di avere indicazioni in ordine alla ricostruzione della normativa rilevante per accertare la sussistenza dell’illecito anti-concorrenziale contestato [54].

Il Consiglio di Stato [55] ha seguito le indicazioni offerte dalla Corte di giustizia in ordine alla configurazione del mercato rilevante e delle condotte in astratto suscettibili di sanzione [56]. In tal modo ha dimostrato di aver superato il precedente orientamento, che considerava il settore inerente alla tutela della salute come una sfera estranea alla cessione di sovranità in favore dell’Unione.

La sentenza è stata però sottoposta a critiche [57] sotto un diverso profilo, per non avere osservato l’obbligo di provvedere alle verifiche richieste dalla Corte di giustizia su due aspetti di rilevanza centrale per la soluzione del caso: la legittimità o meno della fabbricazione e della commercializzazione dei due prodotti, da una parte, e l’esistenza o meno di adeguate prove circa l’ingan­ne­vo­lezza o meno della diffusione delle informazioni contestate, dall’altra parte. Il Consiglio di Stato, pur avendo correttamente attivato il meccanismo di rinvio pregiudiziale, non ha dunque tratto fino in fondo le conseguenze che l’apertura di un “dialogo” con la Corte di giustizia comporta [58].


5. Le divergenze

Nonostante la tendenziale convergenza tra giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione dei principi in materia di antitrust, l’esigenza di effettuare un bilanciamento dei diversi valori rilevanti potrebbe determinare differenze di valutazioni in determinati casi concreti. Anche in situazioni del genere, tuttavia, il dialogo e la reciproca apertura potrebbero permettere alle Corti di individuare soluzioni condivise.

Al riguardo, emblematico è il caso che ha dato origine al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia effettuato dalla Corte costituzionale con la recente ordinanza n. 117/2019 [59].

La questione riguarda l’art. 187-quinquiesdecies del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazioni finanziarie (TIF), che punisce con una sanzione pecuniaria da 50.000 euro a 1 milione chi, nell’ambito di una audizione disposta dalla Consob nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza in un procedimento volto ad accertare un abuso di informazioni privilegiate, si rifiuti di rispondere a domande da cui potrebbe emergere la propria responsabilità.

Secondo la Corte una disposizione del genere, che obbliga la persona indagata a rispondere a domande su fatti che potrebbero essere impiegati contro di lui, risulta contraria al cosiddetto “diritto al silenzio”, che invece è garantito nell’ambito del processo penale dalla Costituzione (art. 24), dalla CEDU (art. 6), dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 14) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47-48). Quale corollario del diritto di difesa sancito nell’art. 24 Cost., esso rientra nel novero dei diritti inalienabili della persona umana che caratterizzano l’identità costituzionale italiana.

Il “diritto al silenzio”, aggiunge la Corte, si estende necessariamente anche ai procedimenti che, sebbene di carattere formalmente amministrativo, sono funzionali all’irrogazione di sanzioni di carattere sostanzialmente “punitivo”, come sono quelle previste dall’art. 187-bis TIF in materia di abuso di informazioni privilegiate.

Il problema, nel caso di specie, discende dal fatto che l’obbligo per gli Stati di sanzionare chi rifiuta di rispondere alle domande poste dall’autorità in sede di vigilanza è stato imposto dalla direttiva (CE) n. 6/2003 e ribadito dal regolamento (UE) n. 596/2014. La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 187-quinquiesdecies TIF si porrebbe quindi in contrasto con il diritto dell’Unione europea.

Sulla base di questi presupposti la Corte ha ritenuto necessario un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e ha chiesto alla Corte di giustizia se, alla luce degli artt. 47 e 48 CDFUE e della giurisprudenza della Corte EDU sull’art. 6 CEDU, sia possibile interpretare la direttiva (CE) n. 6/2003 e il regolamento (UE) n. 596/2014, in maniera da permettere agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell’Autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura afflittiva. In caso di risposta negativa, la Corte costituzionale ha chiesto altresì alla Corte di giustizia di valutare l’eventuale illegittimità delle disposizioni del diritto dell’Unione lesive del diritto al silenzio.

La questione sottoposta alla Corte di giustizia non appare di facile soluzione.

La tesi sostenuta dalla Corte costituzionale sottende un approccio assai diverso da quello seguito dalla Corte di giustizia con riferimento alle indagini svolte dalla Commissione per l’accertamento di illeciti anticoncorrenziali [60]. La Corte di giustizia, infatti, ha ammesso in più occasioni l’obbligo di “attiva collaborazione” dei soggetti indagati [61], affermando che gli stessi sono tenuti a “rispondere ai quesiti di mero fatto apposta la commissione” [62] e a soddisfare le richieste della stessa di produzione di documenti preesistenti. L’unico limite al dovere di rispondere che incombe sulle imprese interessate, nella giurisprudenza europea, riguarda il divieto per la Commissione di “imporre all’impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad mettere l’esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla commissione”.

Siamo quindi in presenza di una divergenza nella giurisprudenza delle due Corti, che riflette un diverso bilanciamento dei valori in gioco. È tuttavia auspicabile che il “dialogo” instaurato attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE consenta alla Corte di giustizia di tenere conto delle esigenze di natura costituzionale evidenziate dalla nostra Corte, favorendo in tal modo la convergenza anche sulla portata del diritto di difesa nei procedimenti amministrativi volti ad accertare condotte lesive della concorrenza.


6. Considerazioni conclusive

Occorre a questo punto tornare all’interrogativo iniziale.

Dalle osservazioni sin qui svolte emerge che la specificità del nostro modello costituzionale non ha, fino ad oggi, impedito una tendenziale convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione della disciplina antitrust.

Anche laddove persistono divergenze, il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE può permettere una forma di “dialogo” volto ad evitare pericolosi conflitti e, in tal modo, assicurare l’uniforme attuazione del diritto del­l’Unio­ne in tutti gli Stati membri.

Sotto questo profilo, è assai importante la disponibilità manifestata anche dalla Corte costituzionale ad avvalersi di tale meccanismo e a utilizzarlo come nuovo e importante strumento di dialogo e cooperazione. Già nel caso Taricco il rinvio pregiudiziale ha permesso di superare un conflitto che pareva insolubile e di raggiungere una soluzione che, in ultima analisi, si è rivelata idonea a bilanciare le esigenze dell’ordinamento europeo con le specificità del sistema costituzionale italiano. È auspicabile che analogo risultato possa essere raggiunto anche a seguito dell’ordinanza n. 117/2019 [63], in cui la Corte costituzionale ha invitato la Corte di giustizia a precisare la propria giurisprudenza su un tema di particolare rilievo costituzionale perché – osserva la Corte – il “diritto al silenzio” rientra nel novero dei diritti inalienabili della persona umana che caratterizzano l’identità costituzionale italiana. Nel caso di specie, vi sono mar­gini che potrebbero consentire alla Corte di giustizia di meglio precisare le pro­prie conclusioni con riferimento ai diritti delle persone fisiche nei cui confronti sono aperti procedimenti ispettivi per illeciti anticoncorrenziali puniti con sanzioni formalmente amministrative ma, nella sostanza, di natura punitiva. In effetti, la giurisprudenza della Corte di giustizia volta a limitare l’esercizio del “diritto al silenzio” nei procedimenti instaurati dalla Commissione per l’ac­cer­tamento di illeciti anticoncorrenziali si è formata con riguardo a persone giuridiche e non a persone fisiche, come nel caso del giudizio che ha dato origine all’incidente di costituzionalità e al rinvio ex art. 267 TFUE. Inoltre la giurisprudenza europea, come evidenziato nell’ordinanza di rinvio, è in larga parte antecedente all’entrata in vigore del trattato di Lisbona e quindi suscettibile di essere precisata nell’ottica di un’interpretazione volta ad assicurare la massima tutela dei diritti ivi riconosciuti.

Affinché il dialogo sia fruttuoso, però, è necessario che il giudice a quo sia disponibile ad ascoltare la voce del giudice ad quem. La Corte di Giustizia, anche di recente, ha più volte evidenziato che il giudice interno, dopo aver esercitato il potere di rinvio ex art. 267 TFUE, è vincolato all’interpretazione del diritto dell’Unione europea fornita dalla CGUE [64]. Spetta infatti alla CGUE l’ultima parola in ordine all’interpretazione e alla validità del diritto dell’Unione [65], salva ovviamente l’extrema ratio del ricorso all’arma dei “controlimiti”.

Il dialogo delle Corti, nazionali ed europee, e la disponibilità reciproca a tenere conto dei valori dei rispettivi ordinamenti costituiscono, oggi più che mai, il presupposto indispensabile per il progresso dell’integrazione europea [66].


NOTE

[1] Per la tesi secondo cui l’AGCM è un’autorità di “garanzia” il cui compito essenziale è quello di ap­plicare in maniera indipendente la disciplina antitrust con attività per certi aspetti assimilabile a quel­la degli organi giurisdizionale, cfr. G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, p. 647 ss.; Id., Le autorità indipendenti, in A. Predieri (a cura di), Le au­to­rità indipendenti nei sistemi costituzionali ed economici, Firenze, 1997, p. 306 ss.; M. Clarich, Per uno studio sui poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in F. Bassi-F. Meru­si (a cura di), Mercati e amministrazioni indipendenti, Milano, 1993, p. 128 ss.

[2] Per la tesi secondo la quale le autorità indipendenti, inclusa l’AGCM, non dovrebbero di norma (salvo che ciò sia previsto esplicitamente dalla legge) esercitare una discrezionalità amministrativa basata sul bilanciamento degli interessi, pubblici e privati, che rilevano nel caso concreto, cfr. E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica politica e demo­crazia, Torino, 2019, spec. p. 31 ss.

[3] In questa prospettiva cfr., tra gli altri, F. Merusi-M. Passaro, Autorità indipendenti, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, 2002, p. 177 ss.; A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici po­teri, Torino, 2007, spec. p. 245 ss.

[4] Artt. 21, 22, 23 e 24 della legge antitrust e art. 23-bis, comma 4, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria».

[5] Rispettivamente, artt. 4, 14-ter e 15, comma 2-bis, della legge antitrust.

[6] Corte costituzionale, sent. n. 13/2019. La decisione è criticata da E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica politica e democrazia, cit., p. 126, nota 2. Sull’ordinanza di rimessione cfr., in senso critico, M. Clarich, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato come “giudice a quo” nei giudizi di costituzionalità, e M. Libertini, Osservazioni sull’ordinanza 1/2018 (proc. 1803) dell’AGCM, entrambi in Federalismi.it, n. 14/2018. A commento della sentenza n. 13/2019 v. M. Midiri, Autorità garante della concorrenza e am­ministrazione: una troppo drastica assimilazione, in Giur. cost., 1, 2019, p. 94 ss.; M. Chiarelli, L’au­torità garante della concorrenza non è giudice: nota a Corte costituzionale, 31 gennaio 2019, n. 13, in Federalismi.it, 17 luglio 2019. Sulla questione relativa alla possibilità di configurare l’AGCM come giudice ai fini della sollevabilità della questione cfr. anche P. Carnevale, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato fra legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale in via incidentale ed evocazione della “zona franca”. Primissime considerazioni alla luce della ordinanza di remissione del 3 maggio 2018 dell’AGCM, in Federalismi.it, n. 17 del 12 settembre 2918; G. Colavitti, L’AGCM solleva la questione di costituzionalità dell’art. 93 ter della legge notarile, in Notariato, n. 4/2018; M. Libertini, Osservazioni sull’ordinanza 1/2018 (proc. I803) del­l’AGCM, in Federalismi.it, n.14/2018; M. Ridolfi, L’indipendenza dell’Agcm alla luce del­l’or­di­nanza n. 1 del 3 maggio 2018, in Federalismi.it, n. 14/2018; G. Mazzantini-M.C. Marzocca, Legittimazione dell’Autorità quale giudice a quo di fronte alla Corte costituzionale e alla Corte di Giustizia europea, in Osservatorio costituzionale, n. 2/2018.

[7] Al riguardo cfr. la comunicazione della Commissione Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato – Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009 (COM(2005) 107). In dottrina cfr., fra gli altri, B. Nascimbene-A. Di Pascale (editors), The Modernization of State Aid For Economic and Social Development, Springer, 2018; F. Croci, L’Impatto della crisi finanziaria sugli aiuti di Stato al settore bancario, Il Diritto dell’Unione europea, 2014, p. 733 ss.; C. Osti, La riforma degli aiuti di Stato e il nuovo approccio economico de­lla Commissione, in C. Schepisi (a cura di), La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Sta­to, cit., p. 57 ss.; V. Giglio, Crisi finanziaria e aiuti di Stato alle banche in difficoltà, in C. Sche­pisi (a cura di), La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato, cit., p. 127 ss.; non­ché D. Hildebrand-A. Schweinsberg, Refined Economic Approach in European State Aid Control – Will It Gain Momentum?, in World Competition, 2007, p. 449 ss.

[8] Per una diversa prospettiva cfr. peraltro R. Bin, La concorrenza nel bilanciamento dei valori, in M. Ainis-G. Pitruzzella (a cura di), I fondamenti costituzionali della concorrenza, Bari, 2019, 65 ss., secondo il quale la concorrenza non è un bene da bilanciare con altri beni costituzionali e non può giustificare limitazioni alla tutela dei diritti costituzionali.

[9] Così, da ultimo, Corte Cost., ord. n. 117/2019, punto 7.1 del considerato in diritto, su cui cfr. infra par. 4). Cfr. anche le due pronunce rese nell’ambito della notissima “saga Taricco”: sent. n. 115/2018, n. 5 del considerato in diritto, e ord. n. 24/2017, punti 6-8), Sul tema dei “controlimiti” e dell’identità costituzionale esiste una letteratura sterminata. Per una critica all’impiego da parte della Corte costituzionale del concetto di “identità costituzionale” cfr. F. Fabbrini-O. Pollicino, Constitutional Identity in Italy: Institutional Disagreements at a Time of Political Change, in C. Calliess-G. Van Der Schyff (ed.),Constitutional Identity in a Europe of Multilevel Constitutionalism, Cambridge, 2019, p. 201 ss.

[10] Sul fondamento costituzionale della concorrenza cfr. da ultimo M. Ainis-G. Pitruzzella (a cura di), I fondamenti costituzionali della concorrenza, Atti del Convegno di Studi I fondamenti costituzionali della concorrenza, Bari, 2019, ed ivi, in particolare, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale e diritto della concorrenza: c’è dell’altro oltre l’efficienza economica?. Cfr. inoltre M. Manetti, I fondamenti costituzionali della concorrenza, in Quad. cost., 2019, p. 315 ss.

[11] Cfr. M. Libertini, La tutela della concorrenza nell’ordinamento italiano: dal codice civile del 1942 alla riforma costituzionale del 2001, in Moneta e Credito, vol. 68, n. 272 (dicembre 2015), p. 370. Nel senso che la concorrenza trovi il fondamento nella libertà di iniziativa economica cfr. G. Morbidelli, Iniziativa economica privata, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989, p. 6; A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, II, Padova, 1992, p. 493 ss.

[12] Cfr. M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983, p. 582 ss.

[13] Sul punto cfr., ad esempio, C. Mortati, Il diritto al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica, in Atti della commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione, Roma, 1953, IV, I, p. 96.

[14] La Corte costituzionale ha infatti ammesso che i limiti all’iniziativa economia privata non posso essere “tali da renderne impossibile o estremamente difficile l’esercizio” e ha sempre rivendicato il potere di “vagliare il rapporto di congruità fra mezzi e fini, per salvaguardare la libertà garantita contro interventi arbitrariamente restrittivi (Corte Cost., sent. n. 12/1963) o contro interventi che praticamente annullano il diritto primario inerente alla libertà stessa (Corte cost., sent. n. 39/1963)” (sent. n. 78/1970). Più in generale, la Corte ammette limitazioni alla libertà di iniziativa economica privata giustificate da esigenze di utilità sociale e dalla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, “purché, per un verso, l’individuazione dell’utilità sociale non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue” (sent. n. 56/2015).

[15] Cfr. E. Cheli, Libertà e limiti all’iniziativa economica privata nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nella dottrina, in Rass. dir. pubbl., 1960, p. 303. Sull’inquadramento dell’art. 41 Cost. cfr., fra gli altri, F. Galgano, Art. 41, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Rapporti economici, II, Bologna-Roma, 1982, p. 1 ss.; A. Baldassarre, Iniziativa economica privata, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p. 582 ss.; G. Morbidelli, Iniziativa economica privata, in Enc. giur., XIX, cit., p. 1 ss.; S. Ninatti, Iniziativa economica privata (libertà di), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, IV, Milano, 2006, p. 31 ss.; M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2005, p. 1429 ss.; Id., La tutela della concorrenza nella Costituzione. Una rassegna critica della giurisprudenza costituzionale dell’ultimo decennio, in Mercato concorrenza e regole, 2014, p. 503 ss. Sulla costituzione economica cfr., fra gli altri, M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983; Id., Economia nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., V, Tori­no, 1990, p. 373 ss.; G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in Quad. Cost., 1992, p. 1 ss.; P. Bilancia, Il modello dell’economia sociale di mercato tra Costituzione italiana e Trattati europei, in M. Melica-M. Mezzetti-V. Piergigli (a cura di), Studi in onore di Giuseppe de Vergottini, III, Assago-Padova, 2015, p. 2223 ss.; Q. Camerlengo, Costituzione, economia, società, Bari, 2017, p. 81 ss.; G. De Vergottini, La costituzione economica italiana: passato e attualità, in Diritto e So­cietà, 2010, p. 333 ss.; G.U. Rescigno, Costituzione economica, in Enc. giur., Aggiornamento, XI, Roma, 2001, p. 1 ss.; F. Saitto, I rapporti economici. Stato e mercato tra intervento e rego­lazione, in F. Cortese-C. Caruso-S. Rossi (a cura di), Immaginare la repubblica. Mito e attualità dell’Assemblea costituente, Milano, 2018, p. 125 ss. Cfr. inoltre G. Pitruzzella, La costituzio­ne economica europea: un mercato regolato e corretto, nulla a che vedere con il fondamenta­lismo di mercato, in Federalismi.it, 1 agosto 2018; Id., L’Europa del mercato e l’Europa dei diritti, in Federalismi.it, 20 marzo 2019.

[16] Legge n. 287/1990.

[17] L’orientamento volto ad individuare nell’art. 117, comma 2, lett. c), Cost. una mera previsione di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, e non invece una norma di portata sostanziale volta a conferire tutela costituzionale al principio di concorrenza, non è stata accolto dalla Corte costituzionale. Cfr. al riguardo M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione. Una rassegna critica della giurisprudenza costituzionale dell’ultimo decennio, cit., 503 ss.; Id., Concorrenza, in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, p. 195 ss.

[18] Art. 1, comma 4, legge n. 287/1990.

[19] Cfr. art. 1, comma 1, legge n. 241/1990.

[20] Cfr. da ultimo Corte di giustizia, Grande sezione, sent. 24 giugno 2019, causa 573/17, Popławski, par. 55.

[21] In argomento cfr. M. Clarich-I. Marrone, voce Concorrenza – IV) Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Enc. dir., Milano, 1995, spec. p. 2.

[22] Art. 11, regolamento (CE) n. 1/2003.

[23] Cfr., fra le altre, le sentenze 28 febbraio 1991, causa C-234/89, Delimitis e 14 dicembre 2000, causa C-344/98, Masterfoods.

[24] Art. 15, regolamento (CE) n. 1/2003.

[25] Cfr. al riguardo Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza (2004/C 101/03).

[26] Cfr. ad esempio Corte costituzionale, sentenze nn. 14/2004, 401/2007, 45/2010, 83/2018.

[27] Cfr. M. Luciani, Gli aiuti di Stato nella Costituzione italiana e nell’ordinamento europeo, in Eurojus.it, n. 3/2019, p. 68. Non sono peraltro mancate letture in senso opposto, volte ad evidenziare che, per effetto della riforma del 2001, la concorrenza, intesa non solo come diritto di libertà individuale riconosciuto a persone e imprese ma anche come concorrenza effettiva del mercato, assume ormai un rilievo centrale anche nel nostro sistema costituzionale (cfr. M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, cit., p. 1429 ss.; Id., La tutela della concorrenza nella Costituzione. Una rassegna critica della giurisprudenza costituzionale dell’ultimo decennio, cit., p. 503 ss.).

[28] Cfr. L. Delli Priscoli-M.F. Russo, Liberalizzazioni e diritti fondamentali nella diversa prospettiva delle Corti europee e nazionali, in Diritto Mercato Tecnologia, n. 1/2016, p. 84.

[29] In merito al bilanciamento tra tutela della concorrenza e altri interessi pubblici sottesi alla disciplina della professione forense v. G. Colavitti, Concorrenza, statalismo e crisi dell’au­to­nomia deontologica, in Rivista AIC, 4, 2016.

[30] Sull’argomento v. L. Delli Priscoli-M.F. Russo, Liberalizzazioni e diritti fondamentali nella diversa prospettiva delle Corti europee e nazionali, in Diritto Mercato Tecnologia, 1, 2016, p. 98 ss. In particolare, a proposito delle liberalizzazioni nel campo delle professioni intellettuali, il diritto fondamentale dell’individuo di esplicare la propria personalità mediante l’esercizio di un’at­tività lavorativa (es. artt. 1, 2, 4 e 35 Cost.), nel quadro della nostra Costituzione, “non può però che essere bilanciato, con quello della collettività ad avere a che fare con professionisti preparati, principio a sua volta il più delle volte posto a protezione di diritti fondamentali (così, ad esempio, nel caso dell’avvocato a tutela del diritto di difesa, e nel caso del farmacista a tutela del diritto alla salute)”. Sullo stesso tema v. amplius L. Delli Priscoli, Liberalizzazioni e diritti fondamentali, Roma, 2015.

[31] Direttiva (CE) n. 5/1998 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, in GUCE n. L 077 del 14 marzo 1998.

[32] Sent. 7 novembre 2000, C‑168/98, Lussemburgo c. Parlamento e Consiglio.

[33] Corte Giust., 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13,Torresi. In argomento cfr., fra gli altri, G. Viciconte, La Corte di Giustizia dell’Ue apre le porte agli abogados, in Questione giustizia, 23 settembre 2014.

[34] Cass., sez. un., 22 dicembre 2011, n. 28340, in Corr. giur., 2012, 653, con nota critica di G. Di Federico, L’iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti: la “via spagnola” e il divieto di abuso del diritto. La Suprema Corte (Sezioni Unite, 4 marzo 2016, n. 4252) ha inoltre stabilito che, in base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, i consigli dell’ordine italiani non possono chiedere all’avvocato stabilito il possesso del requisito (che pure è previsto dalla legislazione nazionale forense per gli avvocati italiani) della condotta irreprensibile. Resta peraltro fermo il divieto di utilizzare il titolo di avvocato nei primi tre anni di esercizio della professione, fino al conseguimento dell’iscrizione all’albo (Cass., Sezioni unite, sent. 15 marzo 2016, n. 5073).

[35] Cfr. al riguardo E. Bergamini-B. Nascimbene, Libere professioni, servizi e concorrenza. Nor­me nazionali e diritto UE a confronto, in Diritto del commercio internazionale, n. 1 del 1 marzo 2019, p. 14 ss.

[36] Cfr. Corte Giust., sent. 18 giugno 1998, causa C-35/96, CNSD.

[37] Corte Giust., sent. 19 febbraio 2002, caso C-35/99, Arduino, in cui si afferma la natura di provvedimento normativo a carattere statale del decreto ministeriale n. 585/94 di approvazione delle tariffe forensi. In senso contrario si era peraltro pronunciata parte della giurisprudenza italiana: cfr. Corte App. Torino, sent. 11 luglio 1998, n. 79; Cass. civ., sent. 2 aprile 2001, n. 4788.

[38] Cfr al riguardo Corte Giust., Grande Sezione, sent. 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla.

[39] D.l. n. 223/2006.

[40] Cons. Stato, sez. VI, sent. 28 gennaio-22 marzo 2016, n. 1164.

[41] Cfr. l’art. 3, comma 3 della direttiva, secondo cui “il pieno risarcimento ai sensi della presente direttiva non conduce a una sovra-compensazione del danno subito, sia sotto forma di risarcimento punitivo che di risarcimento multiplo o di altra natura”.

[42] Corte Giust., sez. III, sent. 13 luglio 2006, Cause riunite C-295/04 a C-298/04, Man­fredi, p. 93. In argomento cfr. C. Massa, Il divieto di risarcimenti punitivi nella direttiva 2014/104/UE sul private antitrust enforcement, in Diritto del commercio intern., 2018, 321 ss., la quale auspica una modifica della direttiva (UE) 104/2014 al fine di permettere espressamente alle autorità nazionali di prevedere un risarcimento “punitivo” per gli illeciti anticoncorrenziali, così come previsto dalla direttiva (CE) n. 48/2004 in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

[43] Cass. civ., sez. III, sent. 19 gennaio 2007, n. 1183.

[44] Cass., sez. un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, in tema di responsabilità degli amministratori.

[45] Cfr. Cass., sez. un., sent. 5 luglio 2017, n. 16601.

[46] Corte Giust., Grande Sezione, 31 maggio 2005, C-53/03.

[47] La decisione della Corte di giustizia nel caso degli abogados (Grande Sezione, 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13,Torresi), com’è noto, è stata pronunciata a seguito di rinvio pregiudiziale del Consiglio nazionale forense.

[48] Con specifico riferimento alla vicenda sopra richiamata della libera circolazione degli avvocati, invece, in dottrina è stato sostenuto che il giudice nazionale potrebbe disattendere la decisione della Corte di giustizia invocando il principio costituzionale, espresso dal comma 5 del­l’art. 33 Cost., secondo cui è prescritto un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, nonché il diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr. L. Delli Priscoli-M.F. Russo, Liberalizzazioni e diritti fondamentali nella diversa prospettiva delle Corti europee e nazionali, cit., p. 101). Si tratta peraltro di una impostazione contraria al costante insegnamento della Corte di giustizia, secondo cui il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà conferitagli dall’art. 267 TFUE è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dal­l’inter­pretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora ritenga, alla luce di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione (cfr. Grande Sezione, sent. 15 gennaio 2013, C-416/10, Krizan, punto 69; v. inoltre Grande Sezione, 4 dicembre 2018, causa C-378/17, Minister for Justice and Equality c. Workplace Relations Commission; Corte Giust., sez. III, sent. 4 giugno 2015, causa C-5/14, Kernkraftwerke Lippe-Ems GmbH).

[49] AGCM, I760 – Roche-Novartis/farmaci Avastin e Lucentis, provv. n. 24823 del 27 febbraio 2014, in Boll., n. 11, 2014. Sulla decisione cfr. L. Arnaudo, The Strange Case of Dr. Lucentis and Mr. Avastin, in Eur. Competition L. R., 2014, p. 347; R. Pardolesi, Nota a AGCM (provvedi­mento n. 24823, 27 febbraio 2014, Roche-Novartis), in Foro It., 2014, p. 278; G. Comandè-L. Nocco, Hard Cases make bad law. O no? L’antitrust, il caso Avastin-Lucentis ed i farmaci off-label, in Riv. it. med. leg., 2014, p. 779.

[50] La vicenda riguarda l’impiego di due medicinali biotecnologici, Avastin e Lucentis, sviluppati dalla Genentech, società farmaceutica statunitense controllata dal gruppo Roche. Questi medicinali hanno come effetto consiste nell’inibizione di un gruppo di proteine individuate quale fattore di crescita angiogenetico presente in varie patologie tumorali e dell’occhio. I due medicinali, benché sottoposti allo stesso meccanismo di azione terapeutica, sono stati sviluppati per scopi terapeutici differenti. L’Avastin, commercializzato dalla Roche che ha ottenuto regolare l’Autorizzazione al­l’Immissione in Commercio (AIC), è formulato per indicazioni terapeutiche in ambito oncologico e, a tal fine, viene commercializzato in fiale applicate per via endovenosa. Il Lucentis è stato sviluppato per scopi oftalmici in fialette mono uso somministrate tramite iniezione diretta nell’occhio (“uso intravitreale”) ed è commercializzato da Novartis, in virtù ad un contratto di licenza con Genentech, ad un prezzo assai superiore rispetto all’Avastin. Prima che il Lucentis venisse commercializzato, la classe medica aveva maturato una certa confidenza con la pratica clinica di frazionare l’Avastin in siringhe monouso al fine di somministrarlo nell’ambito terapeutico oftalmico. Tali operazioni di frazionamento, necessarie per le applicazioni intraoculari, contribuivano a ridurne sensibilmente il costo per unità (82 euro per siringa mono uso) sostenendone il largo impiego nelle terapie oftalmiche. Tuttavia, un siffatto uso del medicinale non è incluso nella sua AIC (cd. uso off-label o fuori etichetta/registrazione). L’AGCM ha ritenuto che le imprese interessate hanno posto in essere una strategia collusiva che mirava a ridurre le quote di mercato di Avastin, enfatizzandone i possibili effetti collaterali in caso di utilizzo off-label, al fine di impedire che le applicazioni di Avastin off-label, meno costose, erodessero le vendite di Lucentis, in grado di generare margini di profitto più elevati. Per una più dettagliata ri­costruzione dei fatti di causa cfr. cfr. M. Guidi, Il complesso bilanciamento tra le norme della con­correnza dell’Unione europea e la disciplina regolatoria del settore farmaceutico: il caso Avastin-Lucentis, in Eurojus.it, n. 3/2019, p. 33 ss.

[51] Cons. Stato, sez. VI, ord. 11 marzo 2016, n. 966.

[52] Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2005, n. 4207. Al riguardo cfr. eventualmente, F. Donati, La teoria dei “controlimiti” secondo una recente sentenza del Consiglio di Stato, in Le fonti del diritto, oggi. Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso. Pisa, 3-4 marzo 2005, Pisa, Edizioni Plus, 2006, p. 421 ss.

[53] Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2005, n. 4207, par. 3.4 del considerato in diritto.

[54] Corte Giust., sent. 23 gennaio 2018, C-179/16, F. Hoffmann La Roche e a, su cui cfr. M. Colangelo, M. Maggiolino, Il caso Avantis-Lucentis alla prova della Corte di Giustizia, in Mercato concorrenza regole, 2, 2018, 299 ss. Il caso era assai complesso. L’operazione contestata riguardava la concertazione, da parte di società facenti capo al gruppo Roche e Novartis, di strategie volte a ostacolare la commercializzazione del farmaco “Avastin” per la cura patologie oculari, al fine di favorire maggiori vendite per il farmaco “Lucentis”, di gran lunga più costoso del primo. In Italia la commercializzazione di medicinali è subordinata al rilascio di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) da parte dell’Agenzia italiana del farmaco. Il farmaco “Avastin” viene però utilizzato per la cura di malattie oculari in modalità “off-label” ovvero in un ambito non coperto dalla relativa Aic. La Corte di giustizia ha ritenuto che tale circostanza non debba impedire di ricondurre i due farmaci allo stesso mercato rilevante e ha ravvisato un rapporto di sostituibilità tra di stessi per il fatto che entrambi sono oggetto di utilizzo da parte dei medici per la cura di patologie oftalmiche.

[55] Sezione VI, sent. 15 luglio 2019, n. 4990, su cui cfr. M. Guidi, Il complesso bilanciamento tra le norme della concorrenza dell’Unione europea e la disciplina regolatoria del settore farmaceutico: il caso Avastin-Lucentis, cit., p. 33 ss.; M. Colangelo, Antitrust, regolazione ed incertezza scientifica: riflessioni a margine della sentenza del Consiglio di Stato nel caso Avastin-Lucentis, in Rivista della Regolazione dei Mercati, n. 1/2019, p. 195 ss.

[56] Il giudice a quo si è attenuto a quanto statuito dalla Corte di giustizia, in particolare in ordine alla astratta possibilità di includere nel mercato rilevante i due medicinali in oggetto, alla rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 101 TFUE di un’intesa tra le parti di un accordo di licenza, e alla possibilità di configurare una restrizione della concorrenza «per oggetto» per l’in­tesa tra due imprese che commercializzano due medicinali concorrenti volta, in un contesto segnato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche, alla diffusione di informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali.

[57] Cfr. G. Tesauro, Sui vincoli (talvolta ignorati) del giudice nazionale prima e dopo il rinvio pre­giudiziale: una riflessione sul caso Avastin/Lucentis e non solo, in Federalismi.it, 18 marzo 2020, spec. p. 202 ss.

[58] Cfr. G. Tesauro, Sui vincoli (talvolta ignorati) del giudice nazionale prima e dopo il rinvio pregiudiziale: una riflessione sul caso Avastin/Lucentis e non solo, cit., p. 203, secondo il quale “il Consiglio di Stato (…) non ha dato seguito alcuno a quanto richiesto dalla Corte di giustizia ed anzi ha provveduto direttamente e con affermazioni in contrasto con quanto rilevato dalla Corte di giustizia”.

[59] A commento della decisione v. le osservazioni di: A. Ruggeri, Ancora un passo avanti della Consulta lungo la via del “dialogo” con le Corti europee e i giudici nazionali (a margine di Corte cost. n. 117 del 2019), in giurcost.org, 2, 2019; G. Marra-M. Viola, La doppia pregiudizialità in ma­teria di diritti fondamentali, in Diritto penale contemporaneo, 7-8, 2019, p. 143 ss.; G. Scaccia, Alla ricerca del difficile equilibrio fra applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sindacato accentrato di legittimità costituzionale. In margine all’ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2019, in Osservatorio AIC, n. 6/2019; A. Anzon Demmig, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in mar­gine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), in Osservatorio AIC, n. 6/2019; S. Catalano, Rinvio pre­giudiziale nei casi di doppia pregiudizialità. Osservazioni a margine dell’opportuna scelta compiuta con l’ordinanza n. 117 del 2019 della Corte costituzionale, in Osservatorio AIC, n. 4/2019.

[60] Cfr. Corte Cost., ord. n. 117/2019 §. 9.1. ove è riportata la copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia UE formatasi in materia di diritto al silenzio e illeciti anticoncorrenziali.

[61] Corte GUE 18 ottobre 1989, causa C-374/87, Orkem, §. 27 e, nello stesso senso, Corte GUE 29 giugno 2006, causa C-301/04 P, Sgl Carbon AG, §. 40.

[62] Tribunale di primo grado, 20 febbraio 2001, causa I-112/98, Mannesmannröhren-Werke AG, §§. 77-78.

[63] Secondo A. Anzon Demmig, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), cit., p. 189, nel caso di specie, “l’iniziativa del rinvio, nel suo sforzo di prevenire possibili contrasti tra la posizione della Corte italiana quella della Corte UE, appare una chiara conferma insieme dello “spirito di leale collaborazione tra corti nazionali ed europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti fondamentali” e del rispetto delle competenze della Corte europea”.

[64] Al riguardo cfr. le considerazioni di G. Tesauro, Sui vincoli (talvolta ignorati) del giudice nazionale prima e dopo il rinvio pregiudiziale: una riflessione sul caso Avastin/Lucentis e non solo, in Federalismi.it, 18 marzo 2020, p. 189 ss.

[65] Cfr. Corte Giust., Grande Sezione, sent. 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality, causa C-378/17, 47; sent. 5 aprile 2016, causa C-689/13, Puligienica, punto 38; sent. 15 gennaio 2013, causa C-416/10, Krizan, punti 69-70.

[66] Su tema cfr., tra gli altri, A. Tizzano, Sui rapporti tra giurisdizioni in Europa, in Il diritto del­l’Unio­ne europea, 2019, p. 7 ss. nonché, eventualmente, F. Donati, La tutela dei diritti tra ordinamento interno ed ordinamento dell’Unione europee, ivi, 2019, p. 261 ss.

Fascicolo 1 - 2020