Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Scelte di politica industriale e sociale, regolazione e mercato. Il caso della unificazione delle reti fisse di comunicazione elettronica (di Eugenio Bruti Liberati)


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SOMMARIO:

1.Politica industriale e sociale, regolazione indipendente e mercato - 2. La strategia italiana per lo sviluppo della banda ultra-larga e il ruolo di Open Fiber. I vantaggi legati alla presenza di un’im­pre­sa pubblica wholesale only incaricata di una specifica missione di sviluppo infrastrutturale - 3. Il tema dell’unificazione delle reti di TIM e di Open Fiber: efficienza gestionale e propensione all’investimento infrastrutturale - 4. Il regolatore indipendente di fronte alle scelte di politica industriale di Governo e Parlamento - 5. Conclusioni - NOTE


1.Politica industriale e sociale, regolazione indipendente e mercato

Il settore delle comunicazioni elettroniche italiane è in questi mesi interessato dalla querelle relativa alla possibile unificazione della rete fissa, e in particolare delle reti di proprietà dello storico incumbent TIM e di quelle recentemente realizzate (o in corso di realizzazione) da parte del nuovo operatore pubblico Open Fiber.

Al di là delle questioni più specificamente settoriali, la vicenda appare di grande interesse anche in una prospettiva più generale, perché offre spunti utili per riflettere sul modo in cui oggi si atteggia la politica industriale e sociale nei settori dei servizi di interesse economico generale e sul suo intreccio con gli interventi di regolazione affidati ad un’autorità indipendente.

Se è indubbio, contrariamente a quanto da molti ritenuto nella diversa stagione degli anni novanta e dei primi anni di questo secolo [1], che l’apertura alla concorrenza di un mercato e la creazione di un regolatore indipendente ad esso preposto non implicano una sostanziale preclusione per gli Stati ad intervenire direttamente o comunque finalisticamente in quel settore [2], è però anche certo che tanto la scelta di liberalizzare un mercato quanto quella di affidarne la regolazione ad un’autorità indipendente restringono da diversi punti di vista i margini di manovra di governi e parlamenti.

La sottoposizione di un’attività ad un regime di mercato comporta notoriamente, infatti, che gli interventi di politica industriale e sociale debbano rispettare – tra l’altro – i limiti derivanti dall’art. 106, comma 2, e 107 TFUE [3]; e, d’al­tra parte, l’istituzione di un’autorità nazionale di regolamentazione preclude ai governi e in una certa misura anche ai legislatori di interferire con le competenze e con le prerogative di indipendenza dei medesimi [4].

Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale su tali vincoli e sui complessi problemi (anche) di regime giuridico che sollevano, rimasto a lungo sotto traccia a causa del discredito che nel ventennio 1990-2008 ha colpito le politiche di intervento pubblico nell’economia, non può ora non riprendere con forza [5]; e non può ovviamente non tenere conto del fatto che il contesto politico e culturale, oltre che normativo, nel quale va oggi collocata la questione è assai differente da quello prevalente negli anni novanta del ’900.

Se allora presupposto esplicito o implicito di molte ricostruzioni dottrinali e anche di alcune scelte giudiziali era l’assunto del primato indiscusso del principio di concorrenza, cosicché misure ispirate ad una logica diversa non potevano che apparire consentite solo in via eccezionale e comunque circoscritta, oggi il rapporto tra regole di concorrenza e misure preordinate a tutelare interessi pubblici non soddisfabili dalle dinamiche di mercato appare da molti concepito in termini differenti [6]. Il che, se certo rende più complessa la puntuale definizione dei caratteri di quel rapporto, comunque comporta margini più ampi di manovra per gli organi legittimati ad adottare tali diverse misure.

La vicenda della realizzazione e gestione della banda ultra-larga di comunicazione elettronica in Italia sembra prestarsi ad illustrare alcuni degli aspetti meno ovvi del problema e merita quindi essere valutata anche in tale prospettiva.


2. La strategia italiana per lo sviluppo della banda ultra-larga e il ruolo di Open Fiber. I vantaggi legati alla presenza di un’im­pre­sa pubblica wholesale only incaricata di una specifica missione di sviluppo infrastrutturale

Per quanto non manchino talune minoritarie voci critiche, appare indubbio che gli interventi di politica infrastrutturale realizzati a partire dalla Strategia ita­liana per la banda ultra-larga approvata nel marzo 2015 [7] abbiano determinato una svolta o comunque una forte accelerazione nel processo di sviluppo delle reti di telecomunicazione di nuova generazione [8].

Ovviamente, i risultati di questa svolta potranno essere meglio valutati quan­do il processo si sarà concluso e tutte le nuove reti o larga parte delle stesse saranno diventate operative, ma già ora si può dire che, nonostante alcuni ritardi rispetto ai tempi inizialmente programmati, l’insieme degli strumenti introdotti da Governo e Parlamento [9] ha prodotto risultati sostanzialmente apprezzabili [10].

Come recentemente rilevato anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, “in pochi anni, con una decisa accelerazione successiva all’entrata sul mercato di Open Fiber, si è realizzata una progressione della copertura della popolazione con reti fisse a banda ultra-larga [11].

Il ruolo positivo svolto in questo processo dalla presenza sul mercato di un’impresa al contempo pubblica, e dunque impegnata a dare attuazione alle linee strategiche definite in sede governativa, e wholesale only, e pertanto interessata solo allo sviluppo della rete e al potenziamento dell’offerta di servizi di accesso all’ingrosso (e non alla competizione con i fornitori di servizi al dettaglio), appare evidente [12], e conferma la necessità di guardare in modo non ideologico al tema dell’impresa pubblica e dell’intervento diretto dello Stato nei processi economici, ovviamente non dimenticando i ben noti problemi del passato ma senza preclusioni pregiudiziali [13].

La realtà è che, come mostrano analisi sia teoriche che empiriche, quando si tratta di investimenti da valutare in un orizzonte temporale medio-lungo e che rispondano anche a finalità di carattere sociale – e così è certamente per gli investimenti infrastrutturali in aree poco sviluppate – confidare solo nelle dinamiche di mercato, anche se finalisticamente orientate da aiuti pubblici, può rivelarsi illusorio [14].

Del resto, anche prescindendo da esperienze storiche emblematiche ma as­sai risalenti e controverse (come quella della nazionalizzazione dell’indu­stria elettrica del 1962), è sufficiente richiamare il caso recente delle reti di trasporto dell’elettricità e del gas naturale per trovare una chiara conferma di tale conclusione: soltanto quando tali reti sono state separate proprietariamente dagli incumbents, e assegnate a società pubbliche attive solo nel trasporto (e non nella fornitura) di energia e specificamente incaricate della missione di sviluppare le medesime, gli investimenti necessari per potenziare e ammodernare quelle reti sono realmente decollati [15]. Un operatore integrato, pur se pubblico, che operi anche sul mercato (della produzione e) della vendita in concorrenza con altri operatori, è inevitabilmente incline a definire le sue strategie di sviluppo infrastrutturale sulla base di un complessivo calcolo di convenienza, che può indurlo a minimizzare o comunque a ridurre significativamente gli investimenti sulle reti.

Di tale dato – della possibile minore propensione all’investimento di un operatore verticalmente integrato e della correlativa utilità, laddove si voglia promuovere lo sviluppo di determinate facilities infrastrutturali, di disporre di imprese dedicate esclusivamente alla gestione infrastrutturale – sembra indispensabile tenere conto anche quando si ragiona delle reti fisse di telecomunicazione e della loro possibile unificazione. Tenendo ben presente che qui non sono in gioco solo esigenze e ragioni di politica industriale, ma anche finalità di ordine sociale, legate al rilievo che le reti in questione e la loro equilibrata diffusione sul territorio nazionale hanno ormai assunto anche sul piano della coesione e dell’inclusione delle persone nella comunità di appartenenza [16].


3. Il tema dell’unificazione delle reti di TIM e di Open Fiber: efficienza gestionale e propensione all’investimento infrastrutturale

Nel dibattito relativo all’unificazione delle reti fisse di telecomunicazione viene spesso sottolineato che essa porterebbe in ogni caso vantaggi molto significativi in termini di efficienza.

Non sembra peraltro che tale dato, in sé difficilmente contestabile, possa assumere un rilievo realmente risolutivo rispetto alle scelte da assumere al riguardo. Una rilevanza almeno equivalente, e forse maggiore, sembra infatti dover essere riconosciuta alla circostanza che il soggetto al quale spetterebbe la proprietà e la gestione della rete eventualmente unificata abbia oggettivamente una propensione adeguata ad investire nello sviluppo della rete – anche nelle aree meno redditizie – e a fornire servizi di accesso all’ingrosso indistintamente a tutti gli operatori [17]. Una scelta che non tenesse sufficientemente conto di tale elemento, del resto, non potrebbe che apparire contraddittoria rispetto agli interventi di politica industriale e sociale, sopra richiamati, volti appunto a promuovere i suddetti investimenti infrastrutturali per finalità di sviluppo economico e anche di coesione sociale.

Deve dunque evidenziarsi che, per le ragioni che si sono in precedenza accennate, un operatore pubblico wholesale only sembra poter oggettivamente garantire una maggiore inclinazione ad attuare incisivi e tempestivi interventi di ulteriore sviluppo della rete unificata, tanto più se in aree economicamente depresse. Laddove invece, qualora il proprietario dell’infrastruttura unica fosse un operatore verticalmente integrato – come ad esempio una società partecipata congiuntamente da TIM e da Open Fiber –, tale inclinazione non potrebbe che apparire più dubbia, anche alla luce dell’esperienza maturata in questi anni non solo nel settore delle comunicazioni elettroniche ma anche in quelli dell’elettricità e del gas naturale.

Nello stesso senso, d’altronde, depongono anche le indicazioni risultanti dalle norme europee e nazionali che hanno recentemente previsto significativi vantaggi regolatori e tariffari a favore di operatori wholesale only [18]: norme che costituiscono segnali chiari della preferenza anche da parte del legislatore per una soluzione considerata evidentemente più idonea a garantire la propensione ad investire e la terzietà dell’operatore.

Né sembra possibile ritenere che una qualche forma di separazione funzionale o legale della rete – come quella recentemente proposta da TIM [19] – possa essere considerata equivalente alla soluzione della separazione proprietaria, in particolare per ciò che attiene all’obiettivo di accelerare gli investimenti infrastrutturali.

La separazione funzionale o legale, tanto più se prevede l’operare di un organismo di vigilanza terzo ed imparziale, accentua certamente la propensione dell’operatore integrato a gestire in modo trasparente e non discriminatorio le richieste di accesso, ma non sembra poter incidere in modo risolutivo sulla sua inclinazione all’investimento.

Non sembra quindi che l’unificazione delle reti fisse di telecomunicazione sotto il controllo congiunto di TIM e di Open Fiber, che comporterebbe inevitabilmente il venir meno di un operatore non verticalmente integrato (come è oggi il secondo), possa essere in linea di principio considerata la soluzione più apprezzabile.

Se non vi sono le condizioni per assicurare la separazione proprietaria della rete unificata, sembrerebbe invece preferibile mantenere l’assetto che si è nei fatti già determinato, con una pluralità di operatori di rete di cui almeno uno wholesale only, valorizzando semmai – laddove vi sia l’interesse a realizzare interventi condivisi – lo strumento degli accordi di co-investimento previsto espressamente dal Codice europeo delle comunicazioni elettroniche [20].

È bene aggiungere che, mentre è possibile, in astratto, prevedere incentivi diretti ad indurre TIM a valutare una possibile cessione volontaria della sua rete – pur se è ovviamente assai improbabile che la stessa rinunci spontaneamente allo straordinario vantaggio competitivo che essa gli offre –, non sembra viceversa che possano considerarsi sussistenti, nella situazione attuale, le imprescindibili esigenze di pubblico interesse richieste per disporre uno scorporo autoritativo della rete, ex art. 43 Cost.

L’errore, secondo un’opinione con molti condivisa, è stato fatto negli anni novanta del secolo scorso, quando Telecom è stata privatizzata in blocco, inclusa la rete fissa. Ma oggi, anche alla luce del contesto determinatosi a seguito dell’attuazione della Strategia italiana per la banda ultra-larga e del­l’entrata nel mercato di Open Fiber, argomentare credibilmente che la nazionalizzazione della rete è indispensabile per garantire l’efficienza e la sicurezza del sistema non sembra agevole [21].


4. Il regolatore indipendente di fronte alle scelte di politica industriale di Governo e Parlamento

Rispetto agli interventi di sviluppo delle reti di nuova generazione l’Autorità di regolazione settoriale ha compiti rilevanti, che attengono innanzitutto – com’è ben noto – alla definizione delle condizioni economiche e tecniche per l’accesso alle diverse tipologie di rete [22].

Si pone quindi il problema di stabilire come AGCOM deve operare a fronte delle scelte di politica infrastrutturale compiute da Governo e Parlamento, alla luce delle eventuali indicazioni esplicitamente formulate dagli stessi e comunque rispetto all’aspettativa che le sue determinazioni siano pienamente coerenti con gli obiettivi perseguiti in sede politica.

Che tale aspettativa vi sia è ovvio, e del resto emerge in modo chiaro, ad esempio, da alcune pagine della Strategia italiana per la banda ultra-larga del marzo 2015, in cui si illustra puntualmente il regime regolatorio considerato più adeguato rispetto alla finalità di incentivare gli investimenti [23].

La questione che ovviamente va considerata è come si concilino tali indicazioni, e più in generale il ruolo che Governo e Parlamento vorrebbero venisse svolto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con l’indipendenza anche funzionale che l’ordinamento europeo e nazionale inequivocabilmente riconoscono alle autorità nazionali di regolamentazione.

In che misura l’Autorità è tenuta, se è tenuta, a dare attuazione alle scelte strategiche operate negli atti legislativi e governativi nei termini indicati o auspicati dagli stessi?

È bene ricordare che, per esplicita prescrizione della normativa europea, le autorità nazionali di regolamentazione, nell’esercizio delle loro funzioni di regolazione, “non possono sollecitare né accettare istruzioni” dal governo e nem­meno dal legislatore [24].

E occorre anche sottolineare che, in almeno due rilevanti occasioni, la Corte di Giustizia ha mostrato di presidiare con estremo rigore il rispetto da parte dei legislatori nazionali dell’indipendenza funzionale dei regolatori [25].

In tale contesto, sembra corretto ritenere, anche alla luce della logica di fondo che ispira i rapporti tra autorità indipendenti e organi di direzione politica [26], che AGCOM, mentre è vincolata a tenere ben presenti nelle sue scelte gli obiettivi definiti da legislatore e governo, rimane invece libera di determinare in modo autonomo – pur se coerente con quegli obiettivi – il contenuto tecnico-discrezionale dei suoi atti. Se appare indubbio che le determinazioni tariffarie dell’Autorità debbano rispecchiare, per ciò che qui rileva, la scelta politica di promuovere fortemente lo sviluppo delle reti fisse di nuova generazione, appare da escludere che i contenuti puntuali di tali determinazioni tariffarie debbano – e possano – essere definiti dal regolatore attenendosi, in modo più o meno dichiarato, alle preferenze espresse da Governo e Parlamento.

Dato che, per esplicita norma europea, nessuna istruzione puntuale può essere data ai regolatori indipendenti nemmeno in via legislativa, sembra evidente che, laddove tali istruzioni siano invece in concreto formulate, il regolatore interessato deve rigettarle, o disapplicandole – se esse risultano in contrasto con specifiche regole europee –, ovvero impugnandole dinanzi al giudice amministrativo [27] .

D’altronde, che un conflitto tra organi politici e regolatore settoriale possa insorgere è cosa ovvia e per certi aspetti del tutto fisiologica alla luce della logica della regolazione indipendente, ed è ben confermata da esperienze passate, più o meno note [28]. E occorre aggiungere che la presenza sul mercato, in una posizione destinata ad essere assai rilevante, di un’impresa pubblica incaricata – nei fatti, se non formalmente – di svolgere una determinata missione di sviluppo infrastrutturale non può che accentuare la possibilità che un tale conflitto si verifichi.

Se, ad esempio, il regolatore ritenesse opportuno, nell’interesse degli utenti finali, sottoporre Open Fiber – che, in linea generale, in quanto operatore wholesale only, è soggetta ad un regime regolatorio di particolare favore [29] – ad obblighi e vincoli più penetranti, come l’art. 80 del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche espressamente consente [30], appare senza dubbio possibile che qualche divergenza tra esso e il governo possa emergere.

Rispetto a questa e ad altre possibili occasioni di conflitto, è indubbiamente necessario che l’Autorità faccia valere con forza le sue prerogative di indipendenza: in un contesto che è e rimane di mercato, l’equilibrio del sistema, anche in presenza di un rinnovato e in sé apprezzabile intervento pubblico, richiede necessariamente che la terzietà ed imparzialità del regolatore sia pienamente preservata.


5. Conclusioni

.  Conclusioni

Le vicende relative all’epidemia di coronavirus confermano che il potenziamento e lo sviluppo di reti di comunicazione di nuova generazione rispondono ad esigenze prioritarie di carattere non solo economico ma anche sociale. Gli inevitabili cambiamenti che la necessità di contenere i contagi produrrà nella nostra organizzazione di vita e di lavoro rendono indispensabile che tutte le persone – oltre che tutte le imprese – possano disporre di un’adeguata connessione alle reti di nuova generazione e che, superando le incertezze sin qui emerse, il relativo servizio sia configurato come universale [31].

Non è un caso, del resto, che un’ulteriore sollecitazione allo sviluppo di tali reti sia stata inserita anche nel recente d.l. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del sistema sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 [32].

In questo contesto l’intervento pubblico di promozione e di sostegno, ma anche di diretta realizzazione di nuove infrastrutture per il tramite di imprese pubbliche come Open Fiber, risulta ulteriormente legittimato. L’oggettiva esigenza di evitare che il potenziamento delle reti sia condizionato da calcoli – in sé legittimi – attinenti alle più complessive convenienze aziendali di operatori verticalmente integrati giustifica e anzi richiede, come si è visto, l’operare di un’impresa pubblica wholesale only specificamente dedicata a tale missione.

Dovrebbe pertanto risultare chiaro che l’eventuale decisione di unificare le reti fisse sotto il controllo di uno o più operatori verticalmente integrati non sarebbe apprezzabile per il suo ovvio conflitto con quella oggettiva esigenza. Né sembra che tale eventuale decisione potrebbe essere legittimata evocando la necessità di tornare in tempi brevi alle ordinarie dinamiche di mercato o addirittura sostenendo l’anomalia di un’impresa pubblica che opera in un contesto concorrenziale (ma) attuando (o, meglio, contribuendo ad attuare) linee di politica industriale e sociale definite in sede politica.

Tale anomalia non è infatti tale: è pacifico, in forza dell’art. 106 TFUE, che un’impresa possa essere chiamata ad adempiere ad una missione di interesse economico generale anche operando all’interno di un mercato competitivo – e ciò del resto, com’è ben noto, accade anche in numerosi altri mercati.

Fatto salvo il tema, indubbiamente problematico, delle modalità con cui le scelte di politica industriale e sociale del governo si traducono in decisioni aziendali dell’impresa e, in particolare, del livello di formalizzazione che le indicazioni del primo dovrebbero assumere, l’unico ovvio limite che l’ordina­men­to pone al riguardo è che il regime a cui quell’impresa è sottoposta, e la sua stessa condotta, non alterino o limitino le dinamiche concorrenziali aldilà di quanto strettamente necessario per l’adempimento della sua missione, e dunque che essa non goda di alcun vantaggio competitivo rispetto alle altre imprese che svolgono la medesima attività.

Per garantire che ciò avvenga realmente è peraltro essenziale, come si è sopra evidenziato, che l’Autorità nazionale di regolamentazione – e ovviamente anche quella preposta alla tutela della concorrenza – esercitino le loro funzioni in modo del tutto indipendente, tenendo ben presenti gli obiettivi perseguiti dagli organi di direzione politica, ma determinando i contenuti concreti del­le misure da adottare senza lasciarsi condizionare dalle preferenze che riguardo a quei contenuti possono essere espresse, formalmente o informalmente, dai medesimi.

Anche in tempi di crisi e di forte ripresa degli interventi pubblici diretti ed indiretti, l’effettiva utilità delle autorità indipendenti – e, in definitiva, la loro stessa legittimazione istituzionale – deriva in ogni caso dalla capacità di assumere anche in concreto decisioni tecnicamente adeguate, ragionevolmente prevedibili e rispettose della parità concorrenziale.


NOTE

[1] Emblematica e ben nota, al riguardo, è la posizione espressa da F. Merusi, ad esempio in Democrazia e amministrazioni indipendenti, Il Mulino, Bologna, 2000, in particolare p. 23 ss.

[2] Si vedano al riguardo, tra gli altri, K. Aiginger-S. Sieber, Towards a renewed industrial policies in Europe, Background Report of the Competitiveness of European Manufacturing, European Commission, DG Enterprise, Bruxelles, 2006; G. Amato, Le politiche industriali dell’Unione Europea dal passato al futuro, in Il Mulino, n. 4/2004, p. 763 ss.; Id, Politica industriale e politica della concorrenza nell’Europa Unita, in F. Mosconi (a cura di), Le nuove politiche industriali nel­l’Europa allargata, MUP, Parma, 2006, p. 99 ss.; F. Bassanini, La politica industriale dopo la crisi: il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, in L’Industria, 2015, p. 435 ss.

[3] Sull’art. 106 TFUE e sui vincoli che esso pone all’azione degli Stati membri in materia di politica industriale e sociale v., tra gli altri, F. Castillo De La Torre, State Action Defense in EC Competition Law, in World Competition, 2005, p. 407 ss.; J.L. Buendia Sierra, Article 86 – Exclusive Rights and Other Anti-Competitive State measures, in J. Faull-A. Nikpay (eds.), The EC Law of Competition, Oxford University Press, Oxford, 2007, p. 593 ss.; G. Davies, What does Article 86 Actually Do?, in M. Krajeski-U. Neergaard-J. Van De Gronden (eds.), The Changing Legal Framework for services of Generale Interest in Europe, Kluwer, The Hague, 2009, p. 67 ss.; D. Gallo, I servizi di interesse economico generale, Stato, mercato e welfare nel diritto del­l’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2010, in part. p. 42 ss. e p. 468 ss. Sui limiti derivanti invece dalla disciplina in tema di aiuti di Stato v. almeno C. Pinotti, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza, Padova, 2000, p. 21 ss.; C. Koenigg-J. Kuhling, EC Control of Aid Granted by State resources, in European State Aid Law Quarterly, 2001, p. 7 ss.; T. Von Danwitz, The Concept of State Aid in the Liberalised Sectors, EUI Working Paper Law, 2008/28; C. Schepisi, Aiuti di Stato e tutela giurisdizionale, Giappichelli, Torino, 2012; E. Triggiani, Aiuti di Stato (diritto dell’Unione europea), in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, p. 19 ss.; L. Flynn-N. Pesaresi-C. Siaterli (eds.), EU Competition Law, vol. IV, State Aid, Claeys & Casteels Publishing, 2016; G. Bottino, Il finanziamento pubblico dell’economia: possibilità, condizioni e limiti, in M. Cafagno-F. Manganaro,L’intervento pubblico nell’economia, University Press, Firenze, 2016, p. 219 ss.

[4] V. al riguardo Corte Giustizia, Quarta Sezione, 3 dicembre 2009, causa C-424/07, Commissione contro Repubblica federale di Germania; Corte giustizia, Quarta Sezione, 26 luglio 2017, in Causa C-560/15, Europa Way e Persidera; nonché Consiglio di Stato, VI Sezione, 9 aprile 2008, n. 1274; e TAR Lombardia, I, 28 novembre 2019, n. 2538. Su tali temi sia consentito rinviare a E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica politica e democrazia, Giappichelli, Torino, 2019.

[5] In effetti gli studi recenti segnalano una notevole ripresa di interesse per i temi della politica industriale. V. in particolare al riguardo F. Averardi, Potere pubblico e politiche industriali, Jove­ne, Napoli, 2018; S. Del Gatto, Poteri pubblici, iniziativa economica e imprese, Romaatre Press, Roma, 2019.

[6] Per una puntuale analisi critica dell’idea del primato del principio concorrenziale v. F. Trimarchi Banfi, Il “principio di concorrenza”: proprietà e fondamento, in Dir. Amm., 2013, p. 15 ss.; e v. anche, in particolare per una distinzione tra l’assetto al riguardo risultante dalla nostra Costituzione e quello emergente dai principi europei, M. Luciani, Gli aiuti di Stato nella Costituzione italiana e nell’ordinamento europeo, in Eurojus.it, n. 3/2019, p. 68 s.

[7] È bene ricordare che tale Strategia è stata definita anche per effetto delle forti sollecitazioni provenienti dalla Commissione UE, molto preoccupata dai ritardi accumulati dall’Italia rispetto allo sviluppo delle reti di nuova generazione. Fondamentali, tra gli atti della Commissione in materia, sono la Comunicazione del 2010 “Un’agenda digitale europea”, COM(2010) 245 def.; la Comunicazione “Connettività per un mercato unico digitale competitivo: verso una società dei Gigabit europea”, COM(2016) 587 def.; nonché gli “Orientamenti comunitari relativi all’appli­cazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga”, (2009/C 235/04), oggetto di revisione nel 2013 (2013/C 25/01).

[8] Una voce di dissenso rispetto a tale largamente condivisa affermazione è ad esempio quella di F. Debenedetti, Il caso TIM e i bastoni tra le fibre, in Il Sole 24 ore, 4 marzo 2020. Per una replica ben documentata a tale articolo v. A. Falessi, La competitività del Paese passa anche dal rafforzamento della fibra ottica, e S. Quintarelli, Critica ragionata a Franco Debenedetti su “Il caso TIM e i bastoni tra le fibre”, entrambi in Il Sole 24 ore, 5 marzo 2020. Una conferma ufficiale dei progressi conseguiti in questi ultimi anni in Italia a seguito dell’attuazione (ancora parziale, peraltro) della Strategia per la banda ultra-larga si rinviene anche nel Provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 25 febbraio 2020, di seguito citato nel testo.

[9] Si tratta di strumenti assai articolati, che includono incentivi sul lato della domanda e dell’offerta, semplificazioni regolatorie e procedurali, l’assunzione alla mano pubblica (per il tramite della società pubblica Infratel S.p.a.) della responsabilità per la realizzazione e gestione di reti in determinate aree territoriali, e la creazione di un’impresa pubblica – Open Fiber – specificamente incaricata della realizzazione e gestione di reti di nuova generazione. Per una descrizione e prima valutazione di tali diverse misure v. C. Cambini-M. Polo-A. Sassano, Fiber to the People: the Development of the Ultra-broad band Network in Italy, Working paper n. 83, Feb. 2016, in part. par. 6 ss. Per il dibattito precedente, variamente collegato all’Agenda digitale europea del 2010, v. M. Libertini, Le reti di nuova generazione: le posizioni della Commissione euro­pea, in Giorn. dir. amm., 11/2009, 1223; M. Cave, La regolamentazione delle reti di nuova ge­nerazione, in Mercato concorrenza regole, 3/2009, 549; A. Tonetti, La nuova disciplina per lo sviluppo della banda larga: vera semplificazione?, in Mercato Concorrenza Regole, 1/2011.

[10] Per alcuni dati significativi v., oltre agli articoli di Falessi e Quintarelli sopra menzionati, v. anche il citato Provvedimento AGCM del 25 febbraio 2020 (caso A-514), i cui par. 62 ss. danno conto dell’evoluzione recente, in particolare a seguito dell’entrata nel mercato di Open Fiber, nella fornitura di servizi di accesso all’ingrosso.

[11] Così il menzionato Provvedimento AGCM del 25 febbraio 2020, A-514, a pag. 18.

[12] V. ancora il Provvedimento AGCM del 25 febbraio 2020, A-514, par. 62 ss. e passim, nonché le Linee Programmatiche del Ministero dello Sviluppo Economico del 20 gennaio 2020.

[13] Il dibattito sul ruolo delle imprese pubbliche è oggi, non casualmente, assai intenso, in ambito sia giuridico che economico. Tra gli studi recenti v., tra gli altri, V. Cerulli Irelli-M. Libertini (a cura di), Iniziativa economica pubblica e società partecipate, Astrid, Egea, Milano, 2019; G.P. Rossi, Per una nuova riflessione sull’impresa pubblica, in ridiam.it; A. Caprara, Impresa pubblica e società a partecipazione pubblica. Profili di diritto interno ed europeo, ESI, Napoli, 2017; M.G. Della Scala, Società per azioni e Stato imprenditore, Jovene, Napoli, 2012.

[14] V. al riguardo F. Onida-G. Viesti (a cura di), Una nuova politica industriale in Italia, Astrid, Passigli Firenze, 2016; M. Mazzuccato, Lo Stato innovatore, Laterza, Bari, 2014; M. Florio, Network Industries and Social Welfare. The Experiment that Reshuffled European Utilities, Oxford, 2013.

[15] Su tale vicenda v. F. Di Porto, La disciplina delle reti nel diritto dell’economia, Cedam, Padova, 2008, in part. p. 156 ss.; S. Torricelli, Il mercato dei servizi di pubblica utilità. Un’analisi a partire dal settore dei servizi a rete, Giuffrè, Milano, 2007, in part. 54 ss. V. anche E. Bruti Liberati, La regolazione pro-concorrenziale nei servizi pubblici a rete, Giuffrè, Milano, 2006.

[16] Su tali aspetti v. European Commission, The socio-economic impact of band-width, Final Report (Analysys Mason and Tech4i2), 2013, in part. 24 ss.; S. Ezell-R. Atkinson-D. Castro-G. OU, The Need for Speed: The Importance of Next Generation Broadband Networks, in SSRN Elec­tronic Journal, 2009; Y. Kim-T. Kelly-S. Raja, Building broadband: Strategy and Policies for the developing world, Global Information and Communication Technologies (GICT) Department. The World Bank, 2010.

[17] V. al riguardo F. Bassanini, Le TLC in Italia, fra competizione infrastrutturale e infrastruttura unica, Paper, Astrid, 2019.

[18] V. rispettivamente l’art. 80 della direttiva (UE) n. 2018/1972 dell’11 dicembre 2018, che ha istituito il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, e l’art. 50-ter, comma 4-bis, del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, come modificato dall’art. 23-ter, comma 1, lett. b), del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119 (conv. dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136).

[19] Tale proposta è stata formulata sulla base dell’art. 50-ter, comma 1, del d.lgs. 1/8/2003, n. 259, che disciplina appunto le ipotesi di separazione volontaria da parte di un’impresa verticalmente integrata.

[20] V. al riguardo, in particolare, l’art. 76 del Codice.

[21] Tale valutazione dovrebbe ovviamente cambiare laddove la normativa UE consentisse esplicitamente o addirittura imponesse la separazione proprietaria della rete fissa dalla fornitura di servizi al dettaglio. Ma non sembra che tale sviluppo possa considerarsi al momento probabile.

[22] Sul ruolo dell’Autorità rispetto alla promozione degli investimenti nel settore della banda larga v. A. Tonetti, La nuova disciplina per lo sviluppo della banda larga e il ruolo dell’AGCOM, in Dir. Econ., 2-3/2010.

[23] V. in particolare le pp. 58-62.

[24] V. al riguardo, oggi, l’art. 8 e il Considerando 37 del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, e, in precedenza, l’art. 3 della direttiva (CEE) n. 21/2002 (la c.d. “Direttiva Quadro”), come modificato dall’art. 1 della direttiva (CE) n. 104/2009 (di cui v. anche il Considerando 13).

[25] V. le già citate Corte Giustizia, Quarta Sezione, 3 dicembre 2009, causa C-424/07, Commissione contro Repubblica federale di Germania; Corte giustizia, Quarta Sezione, 26 luglio 2017, in Causa C-560/15, Europa Way e Persidera.

[26] Su tali temi sia consentito rinviare nuovamente a E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati, cit., e alla bibliografia ivi citata.

[27] Per una recente, assai importante riaffermazione di tale principio, sia pure con riferimento al settore dell’energia, v. la già citata Tar Lombardia, I, 28 novembre 2019, n. 2538.

[28] Sui non lievi conflitti insorti in tempi recenti e meno recenti tra governi italiani e autorità di regolazione v., tra gli altri S. Cassese, Chi ha paura delle autorità indipendenti?, in Mercato con­correnza regole, 1999, p. 471 ss.; D. Sorace, La desiderabile indipendenza della regolazione dei servizi di interesse economico generale, in Mercato concorrenza regole, 2002, p. 337 ss.; M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005, in part. p. 23 ss.; e Id, Populismo, sovranismo e Stato regolatore: verso il tramonto di un modello?, in Rivista della regolazione dei mercati, 2018, n. 1, p. 2 ss.

[29] V. ancora, tra l’altro, l’art. 50-ter, comma 4-bis, del d.lgs. n. 259/2003.

[30] V. in particolare i commi 3 e 4.

[31] Per il dibattito svoltosi negli anni passati v., tra gli altri, M. Libertini, Che cosa resta del ser­vizio universale nella disciplina delle comunicazioni elettroniche, in Federalismi.it, 14/2009; G. De Minico, Regulation, banda larga e servizio universale. Immobilismo o innovazione?, in Pol. Dir., 2009, p. 531 ss.

[32] V. in particolare l’art. 82.

Fascicolo 1 - 2020