Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

L´Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sancisce la natura “duale” delle note del GSE d´accertamento del rispetto delle quote d´obbligo di energia verde, con una contraddittoria reductio ad absurdum (di Marco Lavatelli)


CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, 3 SETTEMBRE 2019, N. 9

«(…) Hanno natura provvedimentale soltanto gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte degli importatori o produttori di energia da fonte non rinnovabile, dell’obbligo di cui all’art.11 d.lgs. n. 79/99. Salvo il legittimo esercizio, ricorrendone i presupposti, dell’autotutela amministrativa, tali atti diventano pertanto definitivi ove non impugnati nei termini decadenziali di legge. Deve invece riconnettersi natura non provvedimentale agli atti con cui il GSE accerta in positivo l’avvenuto puntuale adempimento del suddetto obbligo da parte degli operatori economici di settore (…)».

The Council of State, Plenary Session, stated the “dual nature” of GSÈs notes concerning the respect of mandatory quotas of green certificates acquisition, by a contradictory reductio ad absurdum

Keywords: Energy Service Provider – Green Certificates – Mandatory Quotas – Notes of Assessment – Mere Assessment – Discretionary Assessment – Dual Nature – Private Exercise of Public Functions – Non-Discretionary Activities – Exclusive Jurisdiction of Administrative Judge

SOMMARIO:

1. Genesi della controversia - 2. Il quesito di diritto individuato dall’ordinanza di rimessione - 3. Le considerazioni dell’Adunanza plenaria e la soluzione “media­na” adottata - 4. Punti di partenza, punti d’arrivo e intrecci del costrutto motivazionale - 5. Riferimenti (non conclusivi) alle teorie dell’accertamento amministrativo - 5.Ipotesi riordinatrici della ratio decidendi - NOTE


1. Genesi della controversia

La questione affrontata dalla formazione plenaria del Consiglio di Stato, chiamata a decidere della natura giuridica delle note con le quali il Gestore dei Servizi Energetici accerta l’adempimento o meno degli obblighi d’acquisto dei certificati verdi incombenti su produttori e importatori di energia elettrica [1], ha avuto origine da una precedente vertenza sorta fra l’Enel e l’Autorità per l’E­ner­gia Elettrica e il Gas (oggi ARERA).

Lo stesso punto di diritto, tuttavia, interessa altri giudizi pendenti innanzi al Supremo Consesso e, alla luce della soluzione adottata, pare destinato ad avere strascichi futuri consistenti, benché il meccanismo d’incentivazione cui si riferisce sia stato ormai superato [2].

La pretesa dell’Enel si fondava su una decisione del TAR Lombardia [3], con cui era stata annullata una delibera dell’AEEG [4] relativa al rimborso degli oneri sostenuti dai titolari di impianti di produzione di energia non rinnovabile per l’acquisto di certificati verdi nelle annualità 2001 e 2002. La base di calcolo che l’Enel aveva contestato in quella sede era la stessa cui si faceva riferimento per il computo degli obblighi d’acquisto e la questione controversa riguardava l’individuazione delle quote di energia rilevanti, laddove l’autorità considerava solo quella prodotta e immessa sul mercato, ed escludeva invece quella utilizzata per il funzionamento degli impianti di pompaggio volontario, che è pacificamente superiore (di circa un terzo) a quella prodotta [5].

Alla luce di tale decisione, innanzi all’inerzia del GSE, nel 2010 l’Enel agiva per l’ottemperanza, richiedendo la ripetizione di quanto indebitamente versato, pretendendo però di estendere l’obbligo di restituzione anche alle produzioni successive al 2003, laddove era effettivamente stata applicata la medesima base di calcolo.

Il Giudice dell’ottemperanza provvedeva in relazione alla pretesa vantata per gli anni 2001 e 2002, mentre dichiarava l’inammissibilità del ricorso per gli anni compresi tra il 2003 e il 2008, ritenendo che la pretesa restitutoria azionabile in quella fase dovesse essere limitata all’oggetto della decisione di cui si chiedeva esecuzione [6].

La decisione veniva appellata e confermata dal Consiglio di Stato [7], che circoscriveva l’ambito applicativo della delibera AEEG 101/2005, che si riferiva a un periodo in cui gli oneri di cui all’art. 11, d.lgs. n. 79/1999 (per l’acquisto di cer­tificati verdi) venivano in parte rimborsati ai soggetti che li avevano sostenuti, mentre per gli anni successivi al 2002, benché il criterio di quantificazione fosse lo stesso, la determinazione della quota d’obbligo facente capo a Enel nel periodo 2003-2008 era avvenuta “sulla base di nuovi provvedimenti amministrativi del GSE.

Poiché tali provvedimenti non potevano essere dichiarati nulli per violazione o elusione del giudicato, pur ritenendo che il Gestore non potesse considerarsi legittimato a disattendere “arbitrariamente” il criterio cristallizzato dalla sentenza di cui si chiedeva l’ottemperanza, concludeva che la ricorrente avrebbe dovuto proporre separati giudizi per gli anni dal 2003 al 2008, invocando la cosiddetta “vis espansiva del giudicato [8].

La società si rivolgeva quindi al TAR Lazio, chiedendo la condanna del GSE – titolare del procedimento di verifica [9] – alla restituzione del valore dei certificati verdi annullati in esubero in relazione alle annualità dal 2003 al 2008, per un importo superiore a quarantacinque milioni di euro, o, in alternativa, la compensazione di pari valore per l’assolvimento degli stessi obblighi, alle prime scadenze utili.

Il ricorso veniva però dichiarato inammissibile [10], stante la tardiva impugnazione delle note di accertamento con cui il Gestore aveva stabilito l’esatto adempimento dell’obbligo di acquisto dei certificati verdi, atti di cui affermava la natura provvedimentale, sancendone perciò l’assoggettamento a impugnazione entro termini decadenziali. Sconfessava, invece, la tesi dell’Enel, che aveva eccepito il difetto assoluto di attribuzione del GSE a emanare provvedimenti amministrativi, in ragione di un’asserita assenza di fondamento legislativo, dando rilievo alla natura recettizia degli atti, sì disciplinati da normativa secondaria, ma che trovavano adeguata copertura anche in norme di rango primario.

Il TAR respingeva la tesi della ricorrente, che sosteneva che l’apprez­za­mento di natura tecnica svolto dal GSE sull’an e sul quantum della quota d’ob­bligo costituisse esplicamento di un’attività vincolata, che dava luogo a posizioni di diritto soggettivo. Tenuto invece conto della finalizzazione “alla cura di un interesse della collettività e non di un interesse individuale patrimoniale” della disciplina evocata, nonché dell’esistenza di un apprezzamento da parte del Gestore “preordinato al perseguimento di preminenti interessi pubblici anche di portata sovranazionale” avente esiti “non sempre incontroversi”, tali atti avrebbero cristallizzato una posizione di interesse legittimo, cui non poteva che riconoscersi una protezione indiretta, tradotta nella possibilità di adire il giudice amministrativo per il controllo di legittimità.


2. Il quesito di diritto individuato dall’ordinanza di rimessione

Contro tale pronuncia l’Enel proponeva quindi nuovamente appello, deducendo la mancanza di un fondamento legislativo o, comunque, di una base normativa anche di rango secondario, al potere provvedimentale invece riconosciuto in capo al GSE da parte del Giudice di primo grado.

In considerazione della particolarità della fattispecie controversa e della rilevanza della questione di diritto sottesa all’oggetto del giudizio [11], la sezione IV decideva di deferire la questione all’Adunanza plenaria [12].

Il giudice a quo recepiva quindi integralmente la ricostruzione del quadro legislativo operata dal TAR Lazio, che aveva ritenuto che la normativa individuasse un procedimento amministrativo strutturato in funzione dell’as­sol­vimento dei relativi obblighi, sulla base della disciplina dettata dai decreti legislativi di riferimento.

Il remittente formulava il quesito proponendo due possibili e alternative letture della questione. Chiedeva cioè alla Plenaria di decidere se il procedimento di verifica attribuito al GSE, sulla base dei relativi decreti ministeriali d’attuazione, configurasse l’esplicarsi di un potere amministrativo che si conclude con un provvedimento autoritativo di accertamento, ovvero una mera procedura di controllo relativa a un obbligo previsto dalla legge, correlato alla finalità pubblicistica di favorire la diffusione di energia da fonti non rinnovabili.

Con riferimento alla prima delle tesi prospettate, il remittente dava rilievo alla finalità perseguita dalla disciplina in argomento, posta a tutela dell’interesse pubblico al corretto adempimento dell’obbligo derivante dall’art. 11 d.lgs. n. 79/1999, preordinato al perseguimento di preminenti interessi pubblici anche di portata sovranazionale, in considerazione degli obiettivi europei e internazionali in materia di produzione energetica da fonti rinnovabili. Riteneva perciò astrattamente configurabile una posizione di interesse legittimo in capo ai destinatari, con conseguente assoggettamento alle norme relative alle azioni d’annullamento e ai rispettivi termini di decadenza.

Viceversa, sottolineando il fatto che si tratterebbe di obblighi dai contenuti ben delimitati dalla legge che, mediante esclusioni, individua la base di calcolo dell’energia da fonti non rinnovabili prodotta o importata ai fini della quota d’obbligo di energia da fonti rinnovabili, alla circostanza che la verifica si basa sull’autocertificazione e sui dati in suo possesso concernenti gli impianti, prospettava l’ipotesi che potesse considerarsi attività avente valenza ricognitiva di natura tecnica. Una ricognizione che, in applicazione di limiti legislativi vincolanti, si concluderebbe perciò con un mero accertamento, avente la finalità di assicurare il rispetto degli obblighi imposti e delimitati dalla legge, segnalando l’inosservanza per il seguente procedimento sanzionatorio previsto in capo al­l’ARERA. Secondo questa impostazione, quindi, il GSE opererebbe unicamente sul piano paritetico dei rapporti obbligatori, lasciando eventuali contestazioni soggette agli ordinari termini di prescrizione.


3. Le considerazioni dell’Adunanza plenaria e la soluzione “media­na” adottata

Alla luce della ricostruzione operata dal Collegio remittente, che ha circoscritto in modo puntuale i contorni delle due interpretazioni che riteneva potessero porsi a confronto, la formazione plenaria del Consiglio di Stato ha preso le mosse dalla ricognizione della natura giuridica del Gestore dei servizi energetici, nonché della funzione dallo stesso svolta.

Il giudicante ha quindi riconosciuto il Gestore dei servizi elettrici come persona giuridica di diritto privato, costituita nelle forme della società per azioni, rimarcando però la partecipazione totalitaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze al capitale dell’ente, integralmente riservato alla mano pubblica, nonché la sottoposizione al potere di controllo sulla gestione finanziaria da parte della Corte dei Conti [13].

Partendo dal richiamo dell’art. 4 dello Statuto sociale allegato all’atto costitutivo del GSE, da cui ha desunto che la società ha per oggetto l’esercizio delle funzioni di natura pubblicistica nel settore elettrico e, in particolare, attività di carattere regolamentare, di verifica e certificazione relativa al settore dell’ener­gia elettrica, si è soffermato quindi nell’analisi delle correlate attività in materia di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità [14].

Con specifico riferimento a tali funzioni, ha evidenziato la rilevanza pubblica e amministrativa del controllo operato sull’attività economica privata, nonché la preminenza degli interessi collettivi protetti, collegati alla graduale riduzione della componente di anidride carbonica presente nell’atmosfera e corrispondenti “al superiore interesse a verificarne la concreta osservanza da parte dello Stato”, inteso “sia come Stato-persona, in rapporto ai vincoli internazionali nascenti dalla firma del c.d. protocollo di Kyoto, sia come Stato-comunità in rappresentanza dell’interesse collettivo al miglioramento della qualità ambientale”.

Le ha quindi inquadrate nell’alveo dei controlli che i pubblici poteri esercitano sull’attività economica privata, per assicurare che la stessa persegua gli specifici fini sociali previsti dalla legge, a norma dell’ultimo comma dell’art. 41 della Costituzione [15], ritenendo perciò che le quote d’obbligo gravanti sui sogget­ti obbligati si debbano considerare alla stregua di prestazioni patrimoniali im­poste (di cui all’art. 23 Cost.) la cui previsione a livello di normazione primaria [16] soddisferebbe anche il requisito costituzionale della riserva relativa di leg­ge.

Ne ha tratto che il Gestore dei servizi energetici deve essere ricompreso nel novero dei soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni, trattandosi di soggetto titolare di funzioni pubbliche – tra le altre – correlate alla diffusione delle energie da fonte rinnovabile, al controllo e alla gestione dei flussi energetici di tale provenienza, nonché all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge agli operatori del settore energetico, seppur rivestendo formalmente la veste di società di capitali.

Ripercorrendo i singoli passaggi procedimentali della connessa attività di ve­rifica, dopo aver affermato che il GSE svolge “un’attività implicante l’eser­ci­zio procedimentalizzato di eminenti funzioni amministrative di controllo”, ha distin­to quindi tale potere di controllo alla luce dei risultati del suo dispiegamento.

Secondo il giudicante, allorquando sfoci in un atto di accertamento negativo, nel caso in cui cioè si attesti il mancato rispetto della quota d’obbligo, sussisterebbe una “naturale asimmetria tra le parti”, tipica della tradizionale endiadi potestà-soggezione, da cui discenderebbero effetti costitutivi in capo al­l’operatore economico. Quest’ultimo solo allora assumerebbe lo status di soggetto inadempiente, con ciò determinandosi la condizione necessaria alla susseguente adozione di un provvedimento sanzionatorio – emanato dal­l’ARERA – che, per la natura degli interessi coinvolti, è strettamente ricollegato a esigenze di certezza giuridica e di stabilità del provvedimento stesso.

In questa prospettiva, la Plenaria ha accolto l’impostazione seguita dal Giu­dice di primo grado, affermando che, anche a voler assegnare carattere vincolato al potere esercitato dal GSE, le relative disposizioni dovrebbero comunque ritenersi preordinate alla tutela di interessi pubblici primari (ossia un corretto sviluppo della tecnologia delle fonti rinnovabili), dovendosi perciò affermare l’esigenza di impugnare il relativo atto dinanzi al giudice amministrativo e nel termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a.

Al contrario, però, ha puntualizzato che la stessa funzione, qualora si risolva in un accertamento positivo, che affermi cioè il rispetto della quota da parte dell’obbligato, non produrrebbe effetti costitutivi, ma soltanto una presa d’atto con cui il Gestore si limiterebbe a riscontrare il corretto adempimento.

Trattandosi di atti paritetici privi di autoritatività, dagli stessi scaturirebbero quindi pretese di natura patrimoniale, concernenti eventuali differenze tra quanto versato (in eccedenza) e quanto effettivamente dovuto a titolo di quota d’obbligo.

Più precisamente, secondo l’Adunanza plenaria, l’eventuale contestazione del­le note del GSE che affermano il corretto adempimento da parte del­l’ob­bligato non riguardano “formalmente un atto dell’amministrazione ma so­stan­zialmente la determinazione dell’esatta portata dell’adempimento di un debito rispetto al contenuto specifico dell’obbligazione ex lege nonché all’e­ven­tuale esistenza di una situazione creditoria riveniente da un adempimento ec­ce­dentario rispetto al dovuto”.

Ne deriva che simili pretese sarebbero del tutto sganciate da meccanismi di impugnazione – anche in considerazione della difficoltà di coordinare i presupposti e le condizioni dell’azione d’annullamento in termini di interesse a ricorrere in rapporto alla (immediata) lesività dell’atto – e, quindi, anche dal rispetto di termini decadenziali, trovando invece applicazione gli ordinari termini di prescrizione dei diritti creditori.

A conclusione del proprio ragionamento, quasi en passant, la Plenaria ha quindi richiamato le sentenze della Corte Costituzionale 17 luglio 2000, n. 292, 6 luglio 2004, n. 204 [17] e 27 aprile 2007, n. 140 [18], precisando che la soluzione adottata – che riconosce la natura provvedimentale agli accertamenti negativi e la natura paritetica per quelli di segno positivo – risulterebbe in linea con l’approccio delineato dalla Consulta in materia di giurisdizione esclusiva, che si basa sì sulla “inscindibilità delle questioni d’interesse legittimo e di diritto soggettivo”, ma il cui tratto qualificante è stato sempre ricondotto alla circostanza che la pubblica amministrazione agisca “come autorità”, quindi, con certa prevalenza delle prime.


4. Punti di partenza, punti d’arrivo e intrecci del costrutto motivazionale

L’approdo a cui è giunta l’Adunanza plenaria non si può compiutamente misurare se non partendo dall’impostazione che il Giudice remittente aveva dato al quesito sollevato alla sua attenzione.

Il giudice a quo aveva infatti posto una distinzione piuttosto rigida tra le due opzioni ritenute validamente sostenibili alla luce del quadro normativo di riferimento.

Ciò “appaiando” la funzione svolta dal GSE in due possibili categorie-contenitori, parametrate al tentativo di correlare la natura dell’atto ai dati provenienti dal quadro normativo, nonché alla rilevanza (e sostanza) degli interessi sottesi.

L’impressione che, invece, si ricava analizzando la pronuncia in commento è che la costruzione della sua motivazione abbia preso avvio da una preminente considerazione delle conseguenze che sarebbero scaturite dalla scelta di una delle due alternative messe in campo, come se la possibilità di una scelta “netta” fosse stata scartata a fronte di effetti parimenti indesiderati che sarebbero derivati nei rispettivi casi.

Alimenta questo sospetto anzitutto la sensazione che l’estensore abbia incontrato una certa difficoltà nel definire esattamente i contorni giuridici dell’af­fermata natura duale, difficoltà che si è trasformata in contorsionismo quando il giudicante ha impostato certe questioni, rovesciandone la prospettiva, passando dal “dover essere” al “non poter essere diversamente”, quasi procedesse a una dimostrazione per assurdo.

Tra i passaggi sicuramente significativi, in questo senso, vi sono quelli ove si afferma, come già riportato, che la natura duale degli atti di accertamento del GSE “risulta pienamente coerente con la circostanza secondo cui la contestazione (dell’atto di accertamento positivo) non riguarda formalmente un atto dell’amministrazione ma sostanzialmente la determinazione dell’esatta portata dell’adempimento di un debito rispetto al contenuto specifico dell’obbli­gazione ex lege nonché all’eventuale esistenza di una situazione creditoria riveniente da un adempimento eccedentario rispetto al dovuto”. Argomento, questo, che viene però parzialmente contraddetto, ove si afferma che in caso di accertamento positivo non sussiste “alcuna determinazione sfavorevole correlata” e, conseguentemente “la struttura impugnatoria del giudizio e il conseguente onere di gravame (…) difficilmente sarebbero coerenti le condizioni di tale azione processuale, anche in termini di interesse a ricorrere in rapporto alla (immediata) lesività dell’atto”.

Se si è ben compreso il ragionamento del giudicante, la determinazione “positiva” del GSE dovrebbe intendersi naturalmente sottratta al regime impugnatorio-annullatorio – cioè all’essenza della natura provvedimentale – non implicando esercizio di potere e, comunque, in ragione dell’inesistenza di una immediata lesività dell’atto, ciò anche qualora dovesse essere valutata erroneamente l’esatta portata dell’adempimento di un obbligo sancito ex lege. Viceversa, ove l’esito fosse negativo, l’accertamento si tingerebbe di potere poiché da tale risultato dipenderebbe direttamente la comunicazione all’Autorità di settore, con conseguente intervento sanzionatorio da parte di quest’ultima.

Per cogliere la portata di questa costruzione, però, bisogna tenere a mente il meccanismo di circolazione dei certificati verdi, basato sulla loro validità triennale, che ne consentiva l’uso per adempiere all’obbligo dell’anno cui si riferiva la produzione a fronte della quale erano stati emessi, così come nei due anni successivi, tanto che la stessa Enel aveva chiesto, nelle conclusioni del­l’appello, la ripetizione delle quote versate in eccedenza, ovvero, la possibilità di dedurle in annualità successive. Era la stessa normativa di riferimento, infatti, a prevedere che il GSE dovesse emanare una nota d’accertamento positivo in caso di acquisto di un numero di certificati verdi almeno pari o superiore alla quota d’obbligo.

Ora, se non vi fosse differenza tra quanto autocertificato dall’operatore eco­nomico e quanto accertato dal GSE, seppur si dovesse trattare di una quantificazione in difetto, il problema di identificare un interesse ad agire potrebbe anche porsi, ma un’immediata lesività (e relativo interesse) non potrebbe man­care rispetto a un atto positivo, che rilevi cioè il corretto adempimento, ma quantificando in peius l’eccedenza o perfino ritenendola inesistente.

A prima vista si tratterebbe di una compressione della sfera giuridica del privato che non pare distinguibile da quella conseguente alla emissione di una nota d’accertamento negativo e – more geometrico – non si comprende come possa non correlarsi all’esercizio di un potere.

A parità di premesse – ossia, di fronte alla discordanza tra GSE e soggetto obbligato nella quantificazione della quota d’obbligo – non si capisce perché in caso di nota negativa, dovrebbe “prevalere” la determinazione del Gestore, con conseguente necessità di impugnazione della nota, e nel caso di nota positiva, viceversa, la tempestiva impugnazione non sarebbe richiesta.

L’Adunanza plenaria, dal canto proprio, ha giustificato tale distinzione sostenendo che la funzione di accertamento svolta dal GSE necessiterebbe di due effetti giuridici differenti, ancora una volta, però, partendo dalla prospettiva del “non potrebbe che essere”.

Ha così stabilito che la situazione giuridica dell’adempienza rappresenterebbe la ricognizione di una realtà ontologica, che non avrebbe perciò bisogno di esser costituita, motivo per il quale la verifica del corretto adempimento sarebbe riconducibile al paradigma dell’atto paritetico, come mero accertamento. Viceversa, poiché lo stato di inadempienza degli operatori economici sarebbe accertato dal GSE unilateralmente e definitivamente sul piano amministrativo, in un rapporto di “naturale asimmetria fra le parti” che non potrebbe perciò manifestarsi se non “attraverso la forma ed i contenuti propri dell’attività provvedimentale”, necessiterebbe della costituzione della situazione giuridica della “inadempienza” e, quindi, di un atto di innovazione del mondo giuridico, frutto di una presa di posizione epistemica.

Un dualismo che giustificherebbe quindi la possibilità che la medesima funzione d’accertamento assuma, in relazione a una identica fattispecie, una doppia veste, peraltro condizionata dall’esito dell’accertamento stesso, affermato perché non potrebbe essere diversamente, ma che forse necessitava di una spiegazione al cospetto di altri interrogativi.

Non è chiaro, per esempio, quale sia il diverso rimedio che sarebbe concesso al privato nel caso di accertamento positivo “difforme” da quanto autocertificato, consentendo al giudicante di affermare che non si tratti di una determinazione unilaterale e definitiva sul piano amministrativo. Così come non del tutto limpide sono le ragioni per cui l’adempimento dovrebbe potersi considerare fatto che deve essere solo accertato e dichiarato, mentre l’inadem­pimento uno status che necessita d’essere costituito in capo all’operatore economico. Ciò laddove non pare determinante – almeno secondo chi scrive – la circostanza che tale posizione sia “suscettibile di rilevare ex se ai fini della applicazione di ulteriori provvedimenti a carattere sanzionatorio” per affermare che solo di fronte all’esito negativo dell’accertamento, quest’ultima funzione si possa ammantare di autoritatività divenendo potere.


5. Riferimenti (non conclusivi) alle teorie dell’accertamento amministrativo

Tanto nell’ordinanza di rimessione, quanto nella pronuncia dell’Adunan­za plenaria, sono state chiamate in discussione categorie fondamentali quali quelle degli atti paritetici e degli atti provvedimentali, quelle dell’atti­vità vincolata e della discrezionalità tecnica, temi che si intersecano nella nozione di accertamento, naturalmente collocata al crocevia tra epistemologia e ontologia.

La teoria generale dell’accertamento, del resto, è nata proprio sul crinale della distinzione fra mero atto e atto dichiarativo, concetti che hanno innervato la costruzione della teoria dell’atto amministrativo a partire da quella del negozio giuridico di diritto privato, intercettando sotto diversi profili dogmatici e operativi temi più ampi: la distinzione tra verità e certezza [19], cognizione e valutazione, quindi tra efficacia dichiarativa e costitutiva, tra attività vincolata e discrezionale, nonché tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica.

Il dibattito sul tema della produzione di certezze da parte del­l’am­mi­nistrazione pubblica si è sviluppato attorno allo studio delle attività amministrative “non negoziali”, seguendo un’analisi incentrata principalmente sul problema dell’efficacia degli atti d’accertamento, piuttosto che sulla relativa struttura.

Come noto, i primi passi sono stati mossi da Ranelletti, che considerava il potere d’accertamento come attività di mera verifica della sussistenza degli “elementi dell’esistenza del diritto”, e perciò lo riconduceva alla categoria di atti “di pura esecuzione”, aventi cioè il fine di accertare unicamente “l’esistenza delle condizioni determinate dalla legge”  [20].

Dalla stessa impostazione hanno preso spunto anche gli studi di Santi Romano in tema di certificazione, che però distingueva gli “atti dichiarativi”, che constano di una dichiarazione di volontà, ossia che producono la costituzione, modificazione o estinzione di un diritto, dagli atti “dichiarativi puri”, ossia atti non volontari attraverso cui la pubblica amministrazione “certifica uno stato di cose o diritti” [21]. Tale ultima categoria – per cui ricorreva anche all’espressione “meri atti” – veniva inizialmente contrapposta in modo netto a quella dei negozi giuridici, da cui si distinguevano appunto per la mancanza di volontà diretta a produrre effetti giuridici. Ma tale distinzione, che veniva proposta seguendo tassonomie piuttosto nette, è andata progressivamente sfumando, accompagnata dall’affermazione dell’idea che anche gli atti dichiarativi potessero avere una loro efficacia costitutiva [22].

Questa impostazione si è affermata con l’analisi della cosiddetta “amministrazione pubblica del diritto privato” e con la distinzione fra atti costitutivi e atti certificativi, inaugurata da Zanobini [23], che identificava con la seconda categoria una funzione a carattere non discrezionale, con cui la pubblica amministrazione accertava dichiarazioni di volontà emesse da privati, con valenza probatoria [24].

Alla luce di questi studi, le classificazioni fiorite successivamente si sono tutte imperniate su uno stesso cardine, ossia la verifica dell’esistenza di una “interdipendenza” tra la volontà dell’organo emittente e l’effetto che l’atto produce nella realtà giuridica, o, viceversa la ricognizione del fatto che gli effetti giuridici discendano direttamente dalla volontà della legge [25]. Ciò non senza voci critiche, come quella di Vignocchi, che invece escludeva in radice la possibilità che da una manifestazione di scienza potessero derivare effetti sostanziali-costitutivi [26], ritenendo la “costitutività” solo un effetto di tipo formale, frutto di un processo di formazione di una fattispecie giuridica progressiva, riconducibile all’atto provvedimentale finale.

Dopo gli anni Cinquanta, partendo dalla presupposta idea che anche gli atti dichiarativi potessero avere efficacia costitutiva, con lo sviluppo della nozione costituzionalizzata di “funzione amministrativa”, anche gli atti di certezza sono stati progressivamente ricondotti al punto di vista dell’esplicazione, appunto, di una funzione.

Il proposito di chi impostava il tema in questi termini era quello di dimostrare che l’accertamento si potesse ricondurre tanto alla categoria degli atti iure gestionis, quanto all’ambito dell’attività dichiarativa-provvedimentale, distinguendo quindi tra un suo ruolo “strumentale” e uno invece incardinato nell’atti­vità amministrativa “fondamentale”, volta cioè alla cura immediata degli interessi pubblici attraverso un mezzo idoneo, previa valutazione di tale idoneità [27]. Nel sottotesto, si celava la necessità di identificare le ipotesi in cui l’ac­certamento poteva essere considerato atto soggetto al sindacato del giudice amministrativo.

Si è così sviluppato il concetto di “funzione asseveratrice”, intesa non solo come attività strumentale di secondo piano, ma funzione che si può attuare attraverso prestazioni amministrative  [28], assunto da cui hanno preso vita anche le teorie generali incentrate sullo studio della funzione tecnica dell’atto d’ac­certamento, condotte da Falzea e, ancora una volta, da Giannini.

Falzea ha impostato i propri studi partendo da una definizione generale dell’accertamento, individuato “ogni processo spirituale attivamente orientato verso la situazione spirituale della certezza che è una modalità della conoscenza” [29]. Se la conoscenza della realtà può essere più o meno problematica rispetto al raggiungimento della verità, la certezza si sostanzia in una conoscenza non problematica di un qualunque fenomeno reale, perché la certezza è tale perché “certata”. Il dubbio innescato da una situazione di oggettiva incertezza giuridicamente rilevante – il conflitto tra l’apprezzamento di due soggetti – che non può essere rimossa dalla mera conoscenza soggettiva o attraverso processi spirituali di conoscenza, si risolve in una dichiarazione riconosciuta come oggettivamente superiore.

L’atto di accertamento assume quindi una nuova efficacia, diversa sia da quella costitutiva, sia da quella ricognitiva, che è l’efficacia preclusiva: la situazione giuridica stabilita dalla norma sorge indipendentemente dalla convergenza o divergenza (in senso storico-fattuale) della situazione giuridica anteriore con la fattispecie astratta e, in questo rapporto, l’accertamento incide precludendo la possibilità di ritornare sulla contestazione della realtà giuridica [30].

Emancipandosi dall’idea della “certezza” intesa come frutto di una ricerca di verità, l’accertamento amministrativo non è stato più considerato come un’en­tità giuridica a sé stante, ma piuttosto come il prodotto finale di un procedimento, appunto, di accertamento.

Giannini, a propria volta, ha preso le mosse da questa impostazione, affermando che l’efficacia preclusiva sarebbe il tratto qualificante degli accertamenti provvedimentali – che erano tipici e nominati – che mancava invece nelle certazioni. Queste ultime non muovono da una situazione di iniziale incertezza, ma piuttosto dalla necessità di immettere nel mondo giuridico una realtà materiale che prima non gli apparteneva [31]. Distingueva gli accertamenti però anche dagli acclaramenti, che si presentano come procedimenti tecnici di scienza complessi, che si concludono con un giudizio di discrezionalità tecnica espresso sulla base di determinati presupposti di fatto [32]. Mentre accertamenti e acclaramenti erano connotati dall’efficacia preclusiva, non considerava invece le certazioni come provvedimenti amministrativi – parlando di “fatti di certazione”, cioè “non atti” – posto che eventuali effetti costitutivi sarebbero dipesi direttamente da una norma, che ricollegava alla certazione un significato successivo [33].

L’opera di inquadramento dogmatico si è quindi orientata in ragione del mo­do in cui il singolo Autore ha inteso esprimere il rapporto tra pubblica amministrazione, disposizioni normative e situazioni di fatto su cui l’atto veniva a incidere, perciò il criterio dell’efficacia diveniva l’unico elemento giuridico caratterizzante [34]. La questione dell’accertamento (lato sensu inteso), nel­l’evol­ver­si del dibattito riguardante la stessa nozione di provvedimento amministrativo, si è quindi progressivamente spostato sulla distinzione tra ciò che deve intendersi attività discrezionale – funzione rispetto a cui si iniziava a discernere la discrezionalità amministrativa da quella tecnica [35] – e ciò che invece deve considerarsi attività vincolata [36].

Il confronto fra queste impostazioni si è quindi incardinato su un orizzonte più ampio, che vedeva contrapporsi le tesi di chi identificava la nozione di atto amministrativo unicamente con l’atto discrezionale e le tesi di chi negava questa perfetta coincidenza.

Secondo la tesi di chi sostiene non vi sia potere amministrativo quando la norma predetermina presupposti e contenuto dell’atto, ovverosia quando gli effetti giuridici che si fanno dipendere dall’adozione dell’atto vincolato sono prodotti secondo lo schema “norma-fatto” e non secondo lo schema “norma-potere-effetto” [37], l’atto stesso diviene fatto (in senso lato) giuridicamente rilevante in virtù del solo schema ‘norma-fatto’ [38], perdendo in questo modo il connotato di atto costitutivo di propri effetti [39]. Detto in altri termini, se nell’adozione dell’atto vincolato non vi è potere (cioè decisione) e l’atto vincolato non ha alcun ruolo nella dinamica giuridica, questo è qualificabile come atto meramente ricognitivo di situazioni giuridiche preesistenti alla sua adozione [40], non producendo effetti giuridici, ma limitandosi ad accertarne la produzione.

Portando a ulteriori conseguenze il ragionamento, secondo alcuni autori, laddove la norma regola esaurientemente il fatto, essendo la legge a stabilire preventivamente quanto spetti al singolo in una data situazione, siamo in presenza di diritti soggettivi, mentre se tra la norma e il fatto si inserisce un potere, il privato è titolare di un interesse legittimo, in quanto ciò che gli spetta non è determinabile a priori in base alla legge [41].

Viceversa, secondo una diversa impostazione [42], anche nell’attività vincolata si potrebbe rinvenire la produzione di effetti giuridici discendenti dall’attività amministrativa e, quindi, una sua “costitutività”, ammettendo perciò che possano configurarsi posizioni di interessi legittimi anche rispetto a tale attività, ricollegandoli piuttosto che alle modalità, discrezionali o meno, attraverso le quali si esplica [43].

Alle due costruzioni corrispondeva l’intenzione di modulare diversamente l’ambito di riserva (e quindi di supremazia) dell’amministrazione, radicando la giurisdizione in ragione delle posizioni giuridiche che si pretendono coinvolte e, in ultima istanza, definire lo spettro del sindacato del giudice amministrativo, rispetto all’identificazione di ciò che è fatto e ciò che è merito, pura valutazione.

Lo sviluppo di queste teorie è stato frenato dalla crisi di quello che sembrava essere l’unico punto fermo, ossia la non sovrapponibilità – e quindi la possibilità di discernere – tra cognizione dei fatti e apprezzamento di valori. Tale assunto, che discendeva dall’idea secondo cui l’interesse pubblico, pur dovendo sempre avere una base e una “rispondenza” nei fatti [44], non poteva considerarsi esso stesso un fatto [45] e, viceversa, i fatti non potevano essere accertati se non obiettivamente, è stato però messo in discussione, dal momento in cui si è accettata l’esistenza di un margine di opinabilità anche negli accertamenti tecnici.

Quella che oggi ci pare un’evidenza, ha revocato in dubbio la stessa possibilità che la selezione dei fatti rilevanti, necessaria per dare attuazione alle previsioni normative, possa essere equiparata alle valutazioni di opportunità, discussione che si è ricondotta all’essenza di quella controversa categoria che s’individua sotto l’etichetta della discrezionalità tecnica [46].

L’agire dell’amministrazione comporta sempre una ricostruzione dei fatti, perché ogni determinazione deve essere fondata su presupposti di fatto plausibili, ma non sempre è agevole tenere distinta la verifica dell’esistenza dei presupposti dell’azione – che perciò dovrebbe essere considerata attività strumentale – dalla successiva fase di apprezzamento del valore degli interessi e di scelta della soluzione che meglio soddisfi l’interesse da realizzare nel caso concreto [47]. D’altro canto, la sussunzione dei fatti sotto fattispecie a­strat­ta è un’o­pe­ra­zione che presuppone una selezione degli stessi fatti rilevanti, sorretta dal­l’in­di­vi­duazione e dalla interpretazione delle disposizioni nor­mative da applicare, e ciò vale sia nell’esercizio del potere discrezionale, sia nell’attività vincolata, ma, soprattutto, nell’attività di applicazione del diritto oggettivo [48].

È in questa intima connessione che si viene a creare lo stretto rapporto tra attività conoscitiva dell’amministrazione, discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica, generando confusione e rendendo oscuro il quadro che riguarda le “funzioni amministrative di accertamento” [49].

È del resto evidente che tali funzioni si radichino tanto nel sillogismo “norma-potere-effetto” tanto quanto in quello “norma-fatto”, una volta raggiunta la consapevolezza che in determinate fattispecie l’accertamento si collocherà più in prossimità della categoria del potere e della valutazione discrezionale, mentre in altre sarà più vicino alla ricognizione del fatto.

Queste considerazioni sono peraltro già state concretizzate nella costruzione del “modello strutturale” proposto da Tonoletti, che ha posto il focus sulla giuridicità del fatto e del giudizio di fatto, consentendogli di proporre una nuova distinzione tra attività vincolata, discrezionalità tecnica e discrezionalità am­ministrativa, che vengono congiunte da una nuova visione dell’ac­certamento. Così, in luogo della distinzione tra attività discrezionale e attività non discrezionale, l’autore ha proposto la distinzione tra “funzioni di accertamento autonome” e “funzioni di accertamento strumentali rispetto a valutazioni di interessi”, ritenendo che i due estremi dell’attività vincolata e dell’attività discrezionale possano ricondursi rispettivamente alle prime e alle seconde in modo netto, mentre la discrezionalità tecnica potrebbe essere riportata all’una o all’altra categoria, a seconda della completezza o meno della disciplina materiale da applicare [50].

Le valutazioni di opportunità si collocherebbero quindi nella costruzione della fattispecie concreta o nella determinazione delle conseguenze giuridiche, ma ciò in ragione della conformazione della disciplina normativa, più in particolare, a seconda del tipo di vaghezza o indeterminatezza della fattispecie astratta.

Il trait d’union di tutte le teorie fin qui analizzate è comunque sempre costituito dall’analisi della configurazione dell’attività d’accertamento che è fatto nella fattispecie normativa, in rapporto alle situazioni giuridiche coinvolte.

L’evidenza per cui, in definitiva, l’aggancio più solido sia comunque sempre riferito alla analisi della norma che conferisce la funzione d’accertamento, frustra il tentativo di chiarificare l’impostazione seguita dal giudicante, che è partito da uno stesso vertice, analizzando ruolo e funzione del Gestore, salvo poi dividere le strade a un bivio non ben identificato.

L’anomalia, se vogliamo, è che, a differenza della maggior parte degli studi che si sono richiamati, il problema di partenza è esattamente inverso, ossia negare che rispetto a quelle note di accertamento positivo vi fosse il potere del giudice di sindacarne la legittimità e annullarle, cioè, alla fonte, l’onere del privato di impugnarle tempestivamente.


5.Ipotesi riordinatrici della ratio decidendi

Una chance per giustificare la contemporanea presenza delle due posizioni giuridiche soggettive era forse offerta da un aggancio alla tesi della ricorrente, che aveva prospettato l’ipotesi che si trattasse di attività vincolata. Ma, come già evidenziato, l’Adunanza plenaria ha escluso la possibilità di accedere al­l’argomentazione difensiva, che aveva postulato il carattere vincolato della funzione di verifica posta in capo al GSE, ritenendo di dover escludere che si tratti in ogni caso di “mero accertamento tecnico”, ponendo anzitutto il dubbio che la funzione rimessa in capo al Gestore possa ritenersi scevra da profili valutativi, ancorché di ordine tecnico.

Con ciò, però, il giudicante ha notevolmente complicato – per ragioni tut­t’al­tro che esplicitate – il proprio percorso motivazionale. Quasi paradossalmente, ancora una volta, l’estensore ha voluto richiamarsi all’indirizzo della prevalente giurisprudenza secondo cui, di fronte a un’attività vincolata non sarebbe configurabile necessariamente un diritto soggettivo, bensì il privato potrà essere titolare di un diritto soggettivo oppure di un interesse legittimo, a seconda che la norma attributiva del potere sia rivolta a tutelare in via primaria e diretta l’interesse privato o l’interesse pubblico [51].

Rilevante per distinguere le due situazioni sarebbe perciò il riferimento “alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si collega e alla conseguente posizione di autorità attribuita all’amministrazione (o al soggetto comunque esercente una pubblica funzione)”, poiché se risulta che l’ordinamento abbia inteso tutelare in via primaria l’interesse pubblico e, quindi, l’amministrazione ha agito come autorità, “alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione mediata che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell’amministrazione e, dall’altro, si traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell’atto” [52].

Il riferimento a questa costruzione sarebbe interessante, se non fosse per quel richiamo alla norma attributiva del potere che, nel caso di specie, non distingue affatto fra accertamento dell’adempimento e dell’inadempimento, posto che chi scrive non riesce a immaginarsi in che modo – dopo l’ampio riferimento che è stato fatto alla legittimazione costituzionale dei poteri del Gestore – avrebbe potuto giustificare un cambiamento della “geometria” degli interessi tutelati in modo “diretto”, “immediato” e “primario” in ragione del fatto che il GSE riconosca l’adempimento o, viceversa, l’inadempimento degli obblighi gravanti sugli operatori del mercato energetico.

Resta quindi ancora oscuro perché il giudicante abbia voluto escludere in radice la soluzione che era stata prospettata dalla ricorrente, nonché proposta come alternativa dal remittente, che si erano anche richiamati a un precedente con il quale la stessa Adunanza Plenaria ha affrontato il tema della natura giuridica degli atti attraverso cui i Comuni determinato o rideterminato gli importi relativi al contributo di costruzione di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 [53].

In relazione a tale fattispecie, la formazione plenaria del Supremo Consesso aveva infatti sancito la natura “paritetica” dell’accertamento relativo alla debenza del contributo di costruzione in ragione della predeterminazione e del­l’oggettività dei parametri da applicare a tale operazione, che renderebbero vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’or­dinaria diligenza.

Rilevando quindi che né la determinazione, né la rideterminazione del contributo sarebbero espressione di una potestà pubblicistica, costituendo invece l’esercizio di una “facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale” devono considerarsi atti in relazione ai quali “non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dal­la stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio”.

Tale qualificazione aveva consentito all’Adunanza plenaria di stabilire che, ferma la doverosità della rideterminazione, allorquando la pubblica amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo, deve escludersi che a tali rapporti di natura meramente obbligatoria, così come agli atti iure gestionis, di carattere contabile, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241/1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica [54].

Nella tesi dell’Enel, tra la fattispecie relativa alla determinazione del corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e la pretesa “creditoria” del GSE vi sarebbe una convergenza, basata sull’idea che entrambe le determinazioni non avrebbero natura autoritativa, non costituendo esplicazione di una potestà pubblicistica, risolvendosi invece in un mero atto “ricognitivo e contabile”, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri predefiniti (tabellarmente in un caso, in fase di normazione secondaria, nell’altro).

La differenza sostanziale, forse, riguarda il fatto che, nel caso deciso dal­l’Adunanza plenaria nel 2018, la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione vedeva resistente un’amministrazione comunale, e il giudice amministrativo era dunque investito della controversia riservata alla sua giurisdizione esclusiva, in virtù della previsione di cui all’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.

Tale norma, come espressamente precisato dall’Adunanza plenaria, devolve al giudice amministrativo tutte le controversie aventi per oggetto gli “atti” e i “provvedimenti” delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, quindi anche l’accerta­mento relativo a un rapporto di credito che prescinda dall’esistenza di provvedimenti della pubblica amministrazione, ancorché si tratti di atti non soggetti alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie e ai rispettivi termini di decadenza [55].

In altre parole, il problema della determinazione dei confini tra pubblico e privato [56], nel caso vagliato nel 2018, riguardava la riconosciuta esistenza di una “attività di gestione” [57] dell’amministrazione comunale, che consisteva nel­l’esercizio della capacità di diritto privato strumentale rispetto al proprium del­l’attività amministrativa, consistente nella successiva e indipendente funzione sanzionatoria, facente capo allo stesso ente.

Viceversa, nel caso che ci occupa, il giudicante ha dovuto dedicare parte della propria analisi preliminare alle considerazioni concernenti la natura del GSE, soggetto avente veste formalmente privata, nonché della specifica funzione dallo stesso esercitata, riferibile agli artt. 23 e 41, comma 3, Cost.

Da un lato, il problema si è cioè posto con riferimento alla possibilità ormai generalizzata che le pubbliche amministrazioni possano ricorrere agli strumenti privatistici anche per la cura concreta dell’interesse pubblico [58], possibilità che diventa necessità, stante l’introduzione dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241/1990, laddove le pubbliche amministrazioni agiscano nell’adozione di “atti di natura non autoritativa” [59].

Dall’altro, si è posto in relazione alla possibilità che atti emessi da privati investiti di funzioni pubbliche – fenomeno per la cui descrizione si fa ormai riferimento all’espressione “esercizio privato di funzioni e servizi pubblici”  [60] – fossero individuati come atti provvedimentali.

I piani, ancorché teoricamente ben distinti, convergono e s’intrecciano laddove il ricorso agli strumenti privatistici non escluse l’esistenza né di un uso discrezionale di tale capacità, né il diretto perseguimento dei fini propri che sono conferiti dalla legge così come, analogamente, sembra ormai essersi progressivamente sfumata la “base soggettiva” della titolarità del potere di emanazione del provvedimento [61].

È del resto già stato notato come il confine fra attività consensuale e attività autoritativa, così come quello fra soggetti pubblici e soggetti privati, si sia fatto sempre più labile, a fronte di una nozione di pubblica amministrazione – sia in senso oggettivo, sia in senso soggettivo – sempre più “duttile”  [62], in ragione di due ordini di fattori ben individuabili, quali l’esigenza di assicurare un adeguamento al diritto dell’Unione europea [63] e, in secondo luogo, la soluzione di molte delle questioni di riparto della giurisdizione, nell’ottica di un accrescimento della garanzia l’effettività della tutela giurisdizionale [64].

Nel caso di specie, pare evidente che il richiamo alla natura del GSE come soggetto formalmente privato incaricato di funzioni pubbliche non assolva alla prima delle due esigenze ma, piuttosto, presidi la seconda.

Benché sia ormai chiaro – a partire dall’art. 6, comma 1, l. n. 205/2000 e dell’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e, oggi, grazie all’art. 7, comma 2, c.p.a. – che il problema del riconoscimento della giurisdizione esclusiva in relazione ad atti emanati da soggetti privati non sia più invalicabile [65], l’inciampo avrebbe potuto riguardare la necessità di coordinare tale principio di portata generale con il disposto dell’art. 133, comma 1, lett. o), c.p.a., che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le “controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”.

In questo quadro normativo, partendo dall’assunto che il GSE sia soggetto equiparato alle pubbliche amministrazioni o, comunque, tenuto al rispetto dei principi del procedimento amministrativo – a norma dell’art. 7 comma 2 c.p.a. – è possibile che, per non minare la fondatezza della giurisdizione esclusiva [66], la decisione non abbia voluto escludere in radice l’essenza “procedurale” e “provvedimentale” dell’accertamento operato dal Gestore?

È plausibile che il giudicante non abbia voluto esporsi a future prospettazioni di una carenza di giurisdizione amministrativa, alla luce dei ranghi definiti dall’art. 133, comma 1 lettera o) [67].

I dubbi, in ogni caso, aleggiano su questa pronuncia, poiché, ancora una volta, la Plenaria ha affrontato la questione a contrario, in un fugace passaggio finale, ove, per legittimare la “soluzione duale” adottata, ha ritenuto “la scel­ta legislativa, non altrimenti giustificabile ove non connessa all’esercizio di po­teri amministrativi (…), di affidare alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo la giurisdizione anche di questa materia, sia che vengano in gioco poteri autoritativi in senso tecnico e quindi interessi legittimi, sia che si controverta di meri diritti soggettivi di natura patrimoniale, solo indirettamente collegati all’eser­cizio di un potere autoritativo nel cui ambito pur si inseriscono, come appunto quelli qui dedotti in termini dicondictio indebiticon l’atto introduttivo del giudizio”.

Un’affermazione che, a ben vedere, “stira” la volontà del legislatore storico, che non pare abbia coniato la norma di cui alla lettera o) del comma 1 dell’art. 133 c.p.a. pensando a una relativa applicazione all’attività del GSE, e – parafrasando Albert Camus [68] – propone con la logica dell’assurdo una misura per constatare i limiti della propria ragione (ma non quelli della propria giurisdizione).


NOTE

[1] Gli obblighi cui si fa riferimento sono quelli introdotti con l’art. 11, commi 1 e 2, del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (“Decreto Bersani”), e disciplinati poi dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della dir. (CE) n. 177/2001). Si tratta di un sistema di incentivazione strutturato per creare artificiosamente una domanda di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili fondata su un obbligo legale. Segnatamente, ai produttori e importatori di energia elettrica da fonti tradizionali era imposto l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo a quello di produzione (o importazione), una quota minima di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili o, alternativamente, di acquistare sul mercato i cosiddetti “certificati verdi”, per l’equivalente della propria quota d’obbligo. Per una puntuale ricostruzione si veda, in giurisprudenza la sent. TAR Lazio, sez. III-ter, 18 settembre 2017, n. 9777, in Ambiente e sviluppo, 2017, p. 661. In dottrina, in chiave evolutiva, si confrontino: A. Battaglia, Nasce il mercato dei certificati verdi, in Giornale dir. amm., 2000, 5, 455; M. Panella, L’incentiva­zione dell’energia elettrica con i Certificati Verdi e la procedura di qualificazione degli impianti di produzione, in Rass. giur. energia Elettrica, 2006, 2, 1, p. 147 ss.; M. Forleo, CV e sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili: una rassegna di strumenti, scenari, mercati a confronto, in Rass. giur. en. el., 2006, 2, p. 203 ss.; A. Bianco, L’incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in B. Pozzo (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Milano, 2009, p. 104 ss.; M. Ragazzo, Le politiche sull’energia e le fonti rinnovabili, Torino, 2011; M. Falcione, Il sistema degli incentivi monetari per le fonti rinnovabili, in M. De Focatiis-A. Maestroni (a cura di), Libertà di impresa e regolazione nel nuovo diritto dell’energia, 2011, p. 197 ss.; V. Colcelli, La natura giuridica dei certificati verdi, in Riv. giur. ambiente, 2012, 2, p. 179; A. Lorenzoni, Incentivi alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, in F. Arecco-G. Dall’O’ (a cura di), Energia sostenibile e fonti rinnovabili. Soluzioni tecniche, economiche e giuridiche, Milano, 2012, p. 257; A. Marzanati, Semplificazione delle procedure e incentivi pubblici per le energie rinnovabili, in Riv. giur. amb., 2012, 5, p. 499 ss.; E. Manassero, Il passaggio dai certificati verdi alla tariffa onnicomprensiva, in Ambiente e Sviluppo, 2013, 7, 657; G.F. Cartei, Cambiamento climatico ed energia da fonti rinnovabili: una disciplina in cerca di equilibrio, in G.F. Cartei (a cura di), Cambiamento cli­matico e sviluppo sostenibile, Torino, 2013, p. 57 ss.; A. Gratani, L’UE favorisce la proliferazio­ne dei certificati energetici «multicolori» diversamente regolamentati, in Riv. giur. ambiente, 2014, 6, 728; W. Troise Mangoni, I poteri di controllo e sanzionatori del GSE in materia di incen­tivi per gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, in M. De Focatiis-A. Maestroni, Dialoghi sul diritto dell’energia, vol. I, Le concessioni idroelettriche, Torino, 2014, p. 163 ss.

[2] Il meccanismo in vigore fino al 2015, quando è stato superato dal nuovo sistema incentivante introdotto con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (attuazione della dir. (CE) n. 28/2009). L’in­ter­vento legislativo, in particolare, ha prorogato fino al 2016 il ritiro da parte del GSE dei certificati non venduti, previsto l’introduzione di nuovi meccanismi di incentivazione amministrata e ad asta per gli impianti entrati in esercizio a partire dal 2013, mantenendo all’interno del sistema dei certificati verdi solo gli impianti avviati precedentemente. Lo stesso decreto ha inoltre stabilito la conversione dei certificati in tariffe amministrate, con valori da determinarsi nei successivi de­creti attuativi, riducendo progressivamente le quote d’obbligo di acquisto, fino al­l’az­zeramento previsto per il 2015.

[3] TAR Lombardia, sent. n. 1437/2006.

[4] Delibera AEEG 6 giugno 2005, n. 101. Il computo delle quote a rimborso era basato sulle quantità di energia elettrica prodotta/importata da fonti non rinnovabili dell’anno precedente, da cui venivano però sottratte le quote di cogenerazione, gli autoconsumi di centrale e le esportazioni, analogamente a quanto avveniva per il calcolo delle quote d’obbligo relative ai certificati verdi.

[5] La disputa concernente la base di calcolo deriva da una questione tecnica, che riguarda il funzionamento degli impianti di accumulo energetico mediante apporti di pompaggio di gronda. Tali sistemi funzionano grazie al travaso di acqua tra serbatoi posti a quote diverse. Durante i periodi di “off peak”, viene utilizzata energia a basso costo fornita dalla rete per pompare tramite turbine reversibili acqua dai serbatoi inferiori a quelli superiori. Nei periodi di picco della domanda, l’acqua viene quindi rilasciata attraverso le stesse turbine e utilizzata per produrre energia che viene immessa sul mercato a prezzo maggiore. Il saldo energetico risulta perciò negativo, perché l’energia consumata per il pompaggio supera quella prodotta dal riversamento, ma il bilancio economico è positivo, in quanto le pompe vengono azionate prelevando energia a basso costo o in esubero, nei periodi di picco dell’offerta conseguente all’entrata in funzione di campi eolici e fotovoltaici.

[6] TAR Lombardia, sent.20 febbraio 2012, n. 565

[7] Cons. Stato, sent. 21 gennaio 2013 n. 312.

[8] Invero, più di recente la giurisprudenza amministrativa ha affermato che il meccanismo di cui al d.m. 18 dicembre 2008 sarebbe “per certi versi assimilabile agli accertamenti tributari su autodichiarazione” (così Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50; TAR per il Lazio, sez. III-ter, 24 febbraio 2015, n. 3252) e non darebbe vita a un unico rapporto obbligatorio tra soggetto sottoposto alla quota d’obbligo e GSE durevole nel tempo, ma piuttosto a distinti rapporti annuali aventi per oggetto le singole verifiche. Ne è stato dedotto che un’eventuale pronuncia giurisdizionale che si riferisca ai reciprochi diritti-obblighi per una annualità non possa essere estesa alle successive invocando la vis espansiva tipica del giudicato afferente a un rapporto giuridico di durata, che presuppone che il titolo giuridico del diritto “durevole” sia unico e rimanga immutato nel tempo (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, sent. 21 gennaio 2013, n. 312, in Giurisdiz. amm., 2012, ant., p. 782).

[9] A norma dell’art. 11, comma 5, d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79, che demanda alle direttive dell’autorità di governo l’attuazione di tali accertamenti, attuazione intervenuta con i decreti ministeriali dell’11 novembre 1999 e il successivo decreto del 24 ottobre 2005, per verificare il rispetto della “quota d’obbligo” era previsto un controllo annuale facente capo al GSE (d.m. MISE 18 dicembre 2008, art. 13), modulato secondo i seguenti adempimenti: 1) autocertificazione da parte dei soggetti obbligati entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento; 2) verifica da parte del GSE dei dati trasmessi, che si concludeva con esito positivo nel caso in cui il valore dei certificati verdi trasmessi dal soggetto obbligato fosse stato pari o superiore al valore della quota d’obbligo in capo al soggetto stesso, ovvero con esito negativo qualora tale soglia non fosse stata raggiunta. In tale ultima evenienza, il soggetto obbligato era tenuto ad acquistare un numero di certificati verdi corrispondenti entro i successivi trenta giorni. In caso di ulteriore inadempimento, il GSE doveva comunicare all’autorità di settore i nominativi dei soggetti e l’entità delle inadempienze, ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 387/2003.

[10] TAR Lazio, sent. 24 febbraio 2015, n. 3252.

[11] Secondo quanto rappresentato dalla stessa ordinanza di rimessione, presso la sezione VI erano pendenti i giudizi promossi dall’Enel per gli anni successivi al 2008, annualità in cui non aveva computato dalla quantità di energia non rinnovabile la quantità pari al differenziale tra energia consumata dagli impianti di pompaggio e quella prodotta dagli stessi, in fase di autocertificazione. Il GSE aveva accertato l’inadempimento, rispetto alla base di calcolo diversamente considerata e l’ARERA aveva irrogato sanzioni la cui legittimità è stata confermata dal TAR Lombardia (sent. 12 luglio 2017, n. 1605), sul dichiarato presupposto della natura provvedimentale e non paritetica delle note del GSE. Presso la IV sezione pendeva l’appello avverso la sentenza TAR Lazio 18 settembre 2017, n. 9777, che aveva confermato il proprio orientamento in ordine alla natura provvedimentale degli atti di accertamento del GSE nell’ambito di un processo che riguardava il mancato assolvimento dell’obbligo di acquisto di certificati verdi in riferimento a un soggetto importatore, per le annualità 2012 e 2014, benché, nel caso concreto, era stata ritenuta tempestiva la diretta impugnazione delle successive comunicazioni del GSE di “verifica di ottemperanza”, difettando la prova dell’effettiva data di comunicazione delle previe note di riconoscimento. Ancora, presso la sezione VI, erano pendenti gli appelli avverso due sentenze del TAR Lombardia (3 settembre 2018, nn. 20141 e 2042), aventi per oggetto le sanzioni irrogate dalla ARERA, su segnalazione del GSE, sempre in relazione a vicende riguardanti l’im­por­ta­zione di energia verde. In tale sede, a fronte dell’impugnazione delle sanzioni comminate dall’ARERA, il GSE, con appello incidentale, aveva riproposto l’eccezione respinta dal Tar di inammissibilità del ricorso di primo grado per la mancata impugnazione delle note di riconoscimento negative adottate.

[12] Cons. Stato, sez. IV, ord. 25 marzo 2019, n. 1943.

[13] Esercitato a norma dell’art. 12 della l. n. 259/1958.

[14] Definite dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387.

[15] Per un inquadramento della disciplina pubblica delle attività economiche private si vedano, senza pretesa di esaustività: V. Bachelet, Legge, attività amministrativa e programmazione economica, in Giur. cost., 1961, p. 912; F. Galgano, (voce) Art. 41 Costituzione, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Tomo II, Roma, 1982, p. 8 ss.; M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1985, p. 179 ss.; N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, spec. p. 93 ss.; Più di recente, si vedano anche le considerazioni di M. Ramajoli, La regolazione amministrativa dell’economia e la pianificazione economica nell’interpretazione del­l’art. 41 della Costituzione, in Dir. amm., 2008, pp. 121-162; G. Corso, Splendori e miserie del­l’intervento pubblico nell’economia italiana, in M. Cafagno-F. Manganaro (a cura di), L’inter­ven­to pubblico nell’economia, vol. V, in L. Ferrara-D. Sorace (a cura di), A 150 anni dal­l’unifi­cazione amministrativa italiana, Firenze, 2016, p. 604 ss.

[16] Il riferimento va all’art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79.

[17] In Foro it., 2004, I, p. 2594, con note di: S. Benini, La “medesima natura” delle controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva, p. 2596 ss.; A. Travi, La giurisdizione esclusiva prevista dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dopo la sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204; F. Fracchia, La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione “esclusiva” alla giurisdizione del giudice amministrativo, p. 2605 ss.; mentre, per un confronto senza pretesa di completezza, nel vastissimo panorama di commentatori, si rimanda a R. Villata, Leggendo la sentenza n. 204 della Corte Costituzionale, in Dir. Proc. amm., 2004, p. 832 ss.; ivi anche, V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 (osservazioni a primissima lettura), p. 820 ss.

[18] La pronuncia, meno nota del precedente del 2004, muovendo nello stesso solco, aveva riconosciuto la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, della l. n. 311/2004 (Legge finanziaria 2005) che attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica”, la materia relativa alle “procedure e provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica” di cui al d.l. 7/2002, convertito, con modificazioni, in l. n. 55/2002. Nel caso di specie, il Comune di Ladispoli aveva chiesto, con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., l’emissione, nei confronti dell’ENEL s.p.a., di un provvedimento di sospensione dei lavori di riconversione di una centrale termoelettrica e, nelle more era entrata in vigore la l. n. 311/2004. Il Tribunale di Civitavecchia aveva quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione in commento, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva sia le azioni risarcitorie – rispetto a cui l’azione inibitoria, promossa dal Comune, si collocava in posizione logicamente presupposta – sia un ambito di controversie ritenuto di non agevole delimitazione (con riferimento alla locuzione “procedure e provvedimenti in materia di impianti di generazione elettrica”).

[19] Lo studio dell’endiadi verità-certezza ha interessato trasversalmente tutte le branche del diritto, assumendo particolare enfasi nel ramo pubblicistico e nella filosofia del diritto, ove però è stato spesso intersecato con il più specifico dilemma della certezza del diritto. Senza pretesa d’esaustività, in una prospettiva generale, si rimanda alla lettura di F. Gentile, Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2005, spec. p. 27 ss.; M.C. Amoretti-M. Marsonet, Conoscenza e verità, Milano, 2007. Sulla certezza del diritto, sono imprescindibili le letture di F. Lopez De Oñate, La certezza del diritto (1942), Milano, 1968; F. Carnelutti, La certezza del diritto, in Riv. dir. civ., 1943, p. 81 ss.; N. Bobbio, La certezza del diritto è un mito?, in Riv. int. fil. dir., 1951, p. 146 ss., M. Corsale, La certezza del diritto, Milano, 1970; danno maggiore evidenza all’intreccio dei temi: G. Capograssi, Giudizio processo scienza verità, in Riv. dir. proc., 1950, p. 14; N. Irti, Nichilismo e concetti giuridici. Intorno all’aforisma 459 di “Umano, troppo umano”, Napoli, 2005, p. 10 ss.; A. Ruggeri, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed esperienze di giustizia costituzionale, in Le fonti del diritto, oggi. Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso, Pisa, 2006, p. 129; G. Alpa, La certezza del diritto nell’eà dell’incertezza, Napoli, 2006. Per una declinazione del tema “certezza”, nella dottrina amministrativistica, si confrontino: M.S. Giannini, (voce) Certezza pubblica, in Enc. Dir., vol. VI, Milano, 1960, p. 769 ss.; F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967; B.E. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001; A. Fioritto, La funzione di certezza pubblica, Padova, 2003; A. Benedetti, Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010; E. Carloni, Le verità amministrative. L’attività conoscitiva pubblica tra procedimento e processo, 2011, Milano.

[20] O. Ranelletti, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. it., IV, 1894, p. 7 ss.

[21] S. Romano, Principi di diritto amministrativo italiano, Milano, 1912, p. 51 ss.

[22] G.M. De Francesco, L’ammissione nella classificazione degli atti amministrativi, Milano, 1926, p. 26.

[23] G. Zanobini, Sull’amministrazione pubblica del diritto privato, in Riv. dir. pubbl., 1918, I, p. 169 ss.

[24] Analogamente anche F. D’Alessio, Istituzioni di diritto amministrativo italiano, Torino, 1934, p. 150 ss., e, sempre parallelamente agli studi di Zanobini, C. Vitta, Gli atti certificativi e le decisioni amministrative, Torino, 1924, p. 97 ss., ha teorizzato l’esistenza di effetti innovativi anche in capo alle cosiddette “decisioni amministrative” – da intendersi in senso stretto, per non confonderle con le valutazioni preliminari all’emanazione di ulteriori atti amministrativi – ossia giudizi caratterizzati da una valutazione dei fatti accertati, che si sostanzierebbero in un giudizio di esperienza, nel caso in cui la valutazione fosse basata su regole pratiche, o in un giudizio di valore, se la stessa fosse basata su regole di condotta.

[25] Sulla questione della volontà si confrontino: U. Forti, Diritto amministrativo parte generale, vol. II, Napoli, 1934, passim, ancora D’alessio, Istituzioni cit., spec. p. 161, nonché U. Fragola, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1949, p. 185 ss.; più di recente, con particolare riguardo alla ricostruzione del dibattito e l’amplissima bibliografia ivi riportata, R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, p. 232 ss.

[26] Il riferimento va a G. Vignocchi, Gli accertamenti costitutivi nel diritto amministrativo, Milano, 1950, p. 19 ss., che è partito da una definizione descrittiva di accertamento, inteso come atto di “dichiarazione di verità”, ritenendolo perciò sempre differenziato dagli atti-negozi.

[27] Così, per esempio, R. Alessi, Diritto amministrativo, Milano, 1949, p. 199 ss., che ha distinto, appunto, tra attività “fondamentale” e attività “collaterale”, prospettato l’ipotesi che ove manchi l’immediatezza della realizzazione dell’interesse pubblico, cioè una funzione del­l’ac­cer­tamento accessoria e complementare alla prima, si ha un mero atto, viceversa si ha un provvedimento amministrativo.

[28] Ancora R. Alessi, Diritto amministrativo cit., e A. De Valles, Elementi di diritto amministrativo, Padova, 1937, p. 302 ss., nonché C. Vitta, Diritto amministrativo, cit., pp. 311-314, che ha individuato la funzione di accertamento come attività fine a sé stessa, che non costituisce accessorio di alcun’altra funzione amministrativa, ma avente l’esclusiva finalità di rendere un’utilità ai privati, sostanziandosi nella creazione di certezza nell’ambito dei loro rapporti reciproci.

[29] A. Falzea, (voce) Accertamento, in Enc. Dir., Milano, 1958, p. 205 ss.

[30] Lo schema pensato da Falzea è molto rigoroso e si compone di tre momenti: mancanza di certezza iniziale, attività di chiarificazione della realtà, atto conclusivo che ha struttura dichiarativa ed effetti preclusivi. Se manca il primo elemento, perché non vi è contestazione, non si avranno effetti preclusivi, ma meramente dichiarativi, e lo stesso se manca l’elemento della chiarificazione della realtà, si avrà un effetto meramente dichiarativo che seguirà a una conciliazione fra le parti. Viceversa, se manca il momento finale, con effetti preclusivi, si avrà un accertamento tecnico. Effetto preclusivo e dichiarazione di certezza sono i momenti fondamentali: l’effetto preclusivo non rende totalmente irrilevante il fenomeno passato, ma neutralizza l’alter­nativa possibile, e così l’accertamento amministrativo diventa un atto di certezza legale (motivo per il quale gli accertamenti sono tutti tipici e nominati). Fondamentale, quindi, è la legittimazione del soggetto che afferma, con effetti preclusivi, quale sia la certezza obiettiva.

[31] Le certazioni avrebbero cioè un effetto squisitamente qualificatorio, come nel caso della prima verificazione dei pesi e delle misure prima dell’apposizione di un conio o di un bollo.

[32] M. S. Giannini, (voce) Accertamento (Dir. cost. e amm.), in Enc. Dir., cit., p. 219 ss., che afferma che “il dato giuridico che è oggetto dell’accertamento è una qualità giuridica che inerisce sempre a un quid più ampio”, e da questa definizione tra quella degli acclaramenti, intesi come procedimenti tecnici, che si concludono con un giudizio di discrezionalità tecnica espresso sulla base di determinati presupposti di fatto.

[33] Comune invece agli acclaramenti e agli accertamenti, l’efficacia preclusiva, requisito sostanziale degli atti provvedimentali e che crea “certezza legale” perché deve essere ricevuta da tutti come tale, producendo un effetto di “coercizione”, dando luogo all’obbligo di assumere come certa la dichiarazione, precludendo l’esistenza di altre certezze che contrastino con quella dichiarata. Viceversa, la produzione di effetti qualificatori di un fatto i cui effetti costitutivi derivano direttamente dalla norma, è la caratteristica essenziale dei fatti di certazione, che hanno invece natura dichiarativa, poiché danno rappresentazione di un fatto cui la norma attribuisce effetti giuridici (sul punto cfr. anche L. Puccini, Contributo allo studio dell’accertamento privato, Milano, 1958, p. 4 ss.).

[34] Sul punto, si confronti B.E. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001, p. 100.

[35] Con riferimento agli atti di certazione, G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, p. 275 ss., ha posto dubbi rispetto alla possibilità che possa parlarsi di certezza legale, poiché tali atti, attraverso l’esercizio di una discrezionalità tecnica o mista, si connoterebbero comunque per essere applicativi della legge.

[36] Così, per esempio, E. Capaccioli, Manuale di diritto amministrativo, Padova, 1983, p. 346 ss., riteneva che l’efficacia costitutiva fosse da riconoscere unicamente agli atti espressione di un potere “normativo” (ciò che oggi definiamo potere amministrativo discrezionale), viceversa si dovrebbe parlare di “atti di verificazione necessaria”, qualora gli effetti discendano da previsioni di legge. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1985, ha affrontato il tema distinguendo gli “atti di natura infra procedimentale” da quelli “dotati di funzionalità autonoma”. Questi ultimi devono considerarsi atti autoritativi nella misura in cui creano certezza legale, funzione che riserva ai soli atti ricognitivi autonomi, mentre quelli infra-procedimentali avrebbero solo funzione di pubblicità-notizia, distaccandosi quindi dalla posizione di Giannini, che invece era propenso a una estensione della certezza legale indipendentemente dall’esercizio di una funzione che imprima una qualità a un bene.

[37] La distinzione fra questi due schemi è di E. Capaccioli, Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in Id., Diritto e processo, Padova, 1978, p. 310, che ripropone i tre schemi teorico-generali della produzione giuridica: ‘norma-potere’, ‘potere-norma’, ‘norma-fatto’, già proposti in Id., Riserve e collaudo nell’appalto di opere pubbliche, Milano, 1960, p. 159 ss.

[38] A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 3 ss.

[39] A. Orsi Battaglini, Autorizzazione amministrativa, in Id., Scritti giuridici, Milano, 2007, p. 1249, p. 1198 (già in Dig. disc. pubbl., Torino, II, 1987, p. 1 ss.), precisa che l’efficacia costitutiva deve essere intesa come “rapporto di conseguenzialità diretta e primaria tra un atto amministrativo e il venire in essere di una situazione soggettiva”, ma senza considerare “tanto la rilevanza di effetti secondari o provvisori, quanto le vicende esecutive (di adeguamento della realtà materiale a quella giuridica)”.

[40] A. Orsi Battaglini, Autorizzazione, cit., p. 1199 ss.

[41] Questa è la posizione di A. Orsi Battaglini, Attività, cit., pp. 307-308, 313-314; si confrontino anche G. Verde, Ma che cos’è questa giustizia amministrativa?, in Dir. proc. amm., 1993, p. 609, e P. Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi, Milano, 1996, pp. 245-251.

[42] Sul punto si veda A. Travi, Lezioni, cit., 59, che critica aspramente il fatto che, nella giurisprudenza, le due concezioni si accompagnino tra loro in modo non sempre coordinato e coerente.

[43] Così M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit., vol. II, p. 278-281; mentre contrappone imperatività e autoritarietà G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, I, L’attività, Padova, 2005, p. 59, intendendo la prima come idoneità a imporsi ai destinatari a prescindere dal loro consenso e la seconda come la circostanza che essi sono posti in essere dall’amministrazione nella sua veste di autorità amministrativa, cioè nella sua capacità di diritto pubblico. Si confronti poi F.G. Scoca, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in S. Amorosino (a cura di), Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di M.S. Giannini, Milano, 1995, p. 301 ss., riferisce l’autoritatività al potere, in particolare “alla non coincidenza tra i soggetti che dettano il regolamento degli interessi e i soggetti che sono titolari degli interessi coinvolti nel regolamento”, ritenendo che si esaurisca quindi propriamente nella decisione “e non si versa nel provvedimento”, mentre l’imperatività, “intesa come particolare forza giuridica dell’atto, o, meglio ancora, della sua efficacia”, si rifarebbe proprio al provvedimento.

[44] Parlava di “presupposto di ordine logico e giuridico”, da cui si trae l’esistenza di un obbligo di accertamento gravante sull’amministrazione, M.T. Serra, Contributo ad uno studio sulla istruttoria del procedimento amministrativo, Milano, 1991, p. 104 ss., ma, ancora prima, si ricordi A. Piras, (voce) Discrezionalità amministrativa, in Enc. Dir., vol. XIII, Milano, 1964, p. 64 ss., che poneva particolare enfasi sulla necessità di stabilire un nesso tra provvedimento e i suoi antecedenti costituiti dalle circostanze di fatto assumibili a base della giustificazione del primo, esigenza che riteneva fosse “intimamente connaturata all’essenza stessa della amministrazione” individuata nella sua “indispensabile dipendenza (…) dalle necessità obiettive del pubblico interesse. Secondo l’Autore, punto estremo di questo sforzo di “obiettivazione” è dato proprio dal riconoscimento che l’interesse pubblico si materializza “sotto l’azione della legge e rispetto alla situazione che in concreto l’occasiona nella individuazione e qualificazione del fatto della decisione”, si determina “solo progressivamente attraverso la più completa istruzione dell’affare”.

[45] Così F. Levi, L’attività conoscitiva, cit., p. 327-334, che evidenzia come l’interesse pubblico concreto non sia “un semplice dato, che assume rilievo ed acquista significato dalla contiguità con altri dati, ma, al contrario, (sia la) conclusione di una sintesi concettuale e, quindi, selettiva. Ciò spiega come esso, pur mantenendo la sua concretezza, si ponga con una certa autonomia rispetto agli altri interessi (...) l’interesse collettivo non è tale da poter venire percepito in modo diretto, mentre questa qualità si può ritenere propria dell’accadimento”. Di “sintesi logica” con riferimento all’interesse pubblico parla G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, p. 162, mentre a G. Pastori, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Foro amm., 1987, p. 3170, si deve l’immagine dell’interesse pubblico come ipotesi di lavoro iniziale che trova giustificazione successiva nell’istruttoria.

[46] Sul punto, senza pretese di completezza, si rinvia a: E. Presutti, Discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, in Giur. it., 1910, IV, p. 10 ss.; F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Studi in memoria di V. Bachelet, vol. II, Milano, 1987; D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995.

[47] Si confrontino sul punto F. Levi, L’attività conoscitiva, cit., p. 228 e p. 481 ss., secondo cui “l’affermazione dell’esistenza di un interesse pubblico, come ragione di un provvedimento, non esce dal campo dei giudizi sulla realtà”; cfr., altresì, B. E. Tonoletti, L’accertamento, cit., p. 86, 89 ss.; N. Paolantonio, Il sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2000, p. 111 ss., per il quale anche il giudizio di rilevanza dei fatti deve considerarsi giudizio di fatto, stante la natura dell’interpretazione della norma attributiva del potere.

[48] Sulla giuridicità del fatto e del giudizio di fatto si confronti B. Tonoletti, L’accertamento, cit., 105 ss., che richiama la dottrina pregressa che disconosceva tale impostazione, ricollegando alle circostanze di fatto un effetto giuridico predeterminato unicamente dalla legge, rispetto al quale i fatti assolverebbero sempre e solo la funzione di meri presupposti (A. De Valles, La validità degli atti amministrativi, Roma, 1916, rist. Padova, 1986, p. 145 ss.; A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, spec. p. 50 ss.).

[49] La categoria è coniata da B.E. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, cit., p. 89 ss., spec. sub nota 17, che ha descritto la categoria dell’accertamento amministrativo come minimo comune denominatore di una pluralità di funzioni amministrative distinte, desumendo la peculiare categoria delle “funzioni amministrative di accertamento”, tratta dall’individuazione di dati comuni alle varie funzioni in essa rientranti.

[50] Così, ancora, B.E. Tonoletti, op. ult. cit., p. 107 ss. e p. 324.

[51] Ciò laddove il giudicante ha aggiunto: “il carattere vincolato dell’atto non ne eliderebbe la connotazione provvedimentale, una volta acclarato che la norma mira a soddisfare in via diretta l’interesse pubblico alla puntuale osservanza della quota d’obbligo di energia da fonte rinnovabile e che tale interesse pubblico primario viene delegato ad un soggetto privato esercente pubbliche funzioni capace di accertare in via autonoma e definitiva la inadempienza del soggetto obbligato”, per poi richiamarsi alla teoria secondo cui l’interesse legittimo sarebbe posizione giuridica collegata “all’esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività”, mentre “il diritto soggettivo (…) trova (…) fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dell’am­mi­nistrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale”. L’affermazione è in linea con un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza. Tra le pronunce più risalenti, si segnala sez. un., sent. 11 ottobre 1955, n. 2994, in Foro it., 1955, I, p. 1291 ss., nonché Corte cost., n. 127/1998, secondo la quale costituisce “un postulato privo di qual­siasi fondamento (…) che, di regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondano situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi”. Invero, in materia di contributi e sovven­zioni pubbliche, si è affermato un orientamento giurisprudenziale secondo cui sussisterebbe la giurisdizione ordinaria quando alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid ed il quomodo dell’erogazione economica, ovvero allorquando rilevi l’atti­vità amministrativa vincolata, a fronte della quale la posizione del soggetto inciso è di diritto soggettivo (Cass., sez. un., 13 ottobre 2011, n. 21062 e 17 gennaio 2013, n. 150). A queste affermazioni, secondo cui l’interesse legittimo si correla, di norma, all’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, si contrappongono però pronunce in cui espressamente si nega che di fronte a un provvedimento vincolato il privato vanti sempre diritti soggettivi, ben potendo sussistere posizioni di interesse legittimo in relazione a provvedimenti vincolati, “a condizione che questi ultimi siano emanati in via primaria ed immediata per la cura degli interessi pubblici e non per la soddisfazione di aspettative dei privati” (sul punto cfr. Cass., sez. un., sent. 19 aprile 2017, n. 9862). Nella giurisprudenza di merito, si confrontino TAR Toscana, sez. I, sent. 28 febbraio 2018, n. 329, “(…) né la cura primaria dell’interesse pubblico sussiste, in materia di concessione di contributi economici da parte della pubblica amministrazione, solo allorquando l’attività finanziata abbia una immediata rilevanza pubblica (come nel caso dell’attività di interesse pubblico – ad esempio il trasporto pubblico – svolta dal concessionario di pubblico servizio), rilevando invece lo scopo per il quale è previsto l’aiuto economico”, o, ancora TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 5 marzo 2013, n. 523 secondo cui “l’attività amministrativa vincolata non esclude la presenza di interessi legittimi quando essa sia preordinata al soddisfacimento di un ben individuato interesse pubblico” e, analogamente, TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 4 dicembre 2009, n. 2504. La stessa impostazione è però stata oggetto di critiche da parte della dottrina, che ha sottolineato l’inesistenza di criteri giuridici obiettivi in ragione dei quali stabilire quando un’attività vincolata sia intesa realizzare un interesse pubblico oppure un interesse privato. Per tutti, si rimanda a: A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2016, pp. 56-57 e, anche per gli ampi riferimenti bibliografici, a R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., pp. 81-83.

[52] Per uno sguardo critico sul dibattito riguardante la possibile configurabilità di interessi legittimi innanzi all’attività vincolata dell’amministrazione, si parta da F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, p. 438 ss., che sottolinea come il tema sia stato inquinato dalla sua correlazione con le vicende del riparto di giurisdizione e le relative incertezze dipendano da come si intenda dare prevalenza, ai fini della definizione della situazione soggettiva a fronte di attività vincolata, al potere “determinante” o al potere “costitutivo”, che, secondo l’Au­tore, permane senza dubbio anche nell’attività vincolata. Fra i sostenitori dell’impostazione secondo cui, innanzi all’esercizio del potere vincolato, si configurerebbe una gamma eterogenea e complessa di posizioni giuridiche, con interessi legittimi e diritti soggettivi conviventi in capo ai destinatari del provvedimento e alle altre parti del procedimento, si ricordano: E. Casetta, Diritto soggettivo e interesse legittimo: problemi della loro tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 611 ss.; Id., (voce) Provvedimento e atto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., XII, Torino, Utet, 1997, p. 251; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, p. 520 ss.; G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, Milano, 1994, pp. 331-332; peculiare la posizione di A. Romano Tassone, (voce) Situazioni giuridiche soggettive (diritto amministrativo), in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, che ha legato la propria trattazione al tema della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo: Id., I problemi di un problema. Spunti in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, in Dir. amm., 1, 1997, p. 35 ss.; Id., (voce) Risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Enc. dir., Agg. VI, Milano, 2002; Id., La responsabilità della p.a. tra provvedimento e comportamento (a proposito di un libro recente), in Dir. amm., 2004, 2, p. 209 ss.; F. Follieri, Logica del sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2017, spec. 364 ss.; M. Mazzamuto, La discrezionalità come criterio di riparto della giurisdizione e gli interessi legittimi fondamentali, Relazione al Convegno internazionale su Funzione amministrativa e diritti delle persone con disabilità, Napoli, 6 dicembre 2019, ora in www.giustizia-amministrativa.it. Di segno contrario, invece, l’impostazione più risalente: O. Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, IV ed., Milano, 1934, p. 319; U. Borsi, La giustizia amministrativa, Padova, 1938, p. 115 ss.; G. Miele, Questioni vecchie e nuove in materia di distinzione del diritto dall’interesse nella giustizia amministrativa, in Foro amm., 1940, p. 49 ss., 58; A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti alla giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, p. 133 ss. (e, sempre sul piano della tutela risarcitoria, Id., Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili, sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, I, p. 1; Id., Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi legittimi?, in Foro it., 1999, 11, p. 3222); A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in Id., Scritti giuridici, Milano, 2007, p. 1249 (già in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 3 ss.), spec. p. 1252 ss.; P. Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi. Aspetti sostanziali e profili di tutela, Milano, 1996, p. 161; L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996, spec. p. 37 ss.

[53] Il riferimento, in particolare, va a Ad. Plen., sent. 30 agosto 2018, n. 12, in Foro it., 2018, III, p. 618 ss. In dottrina, sullo specifico tema, si confronti N. Paolantonio, Art. 1, comma 1 bis, in N. Paolantonio-A. Police-A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione, Torino, 2006, p. 77 ss., spec. p. 105 ss.

[54] La conseguenza che ne è stata tratta è che, nell’ordinario termine decennale di prescrizione, sarebbe “sempre possibile, e anzi doverosa, da parte della pubblica amministrazione, nell’esercizio delle facoltà connesse alla propria posizione creditoria, la rideterminazione del contributo, quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’originaria liquidazione di questo sia dipesa dall’applicazione inesatta o incoerente di parametri e coefficienti determinativi, vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di calcolo, con l’ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato”. La pronuncia si è poi spinta oltre e, nel decidere quali norme di diritto privato siano concretamente applicabili al rapporto obbligatorio individuato, a norma del comma 1-bis, dell’art. 1 l. n. 241/1990, ha ritenuto non applicabile la disciplina dell’errore riconoscibile (di cui all’art. 1431 c.c.). Secondo la plenaria, viceversa, l’eventuale errore dell’amministrazione deve ritenersi sempre riconoscibile dal privato che, con l’ordinaria diligenza richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllare l’esattezza delle operazioni di calcolo sin dal primo atto con cui viene determinato.

[55] Tali controversie introducono, infatti, “un giudizio su un rapporto, sicché le questioni concernenti l’esistenza e l’entità del debito, involgendo posizioni di diritto soggettivo, sono sottratte agli ordinari termini decadenziali del giudizio impugnatorio, pur in presenza di atti amministrativi da definire pertanto come paritetici, presentandosi come un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio, attivabile nell’ordinario termine di prescrizione” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5072; C.G.A., sent. 27 maggio 2008, nn. 462 e 466; TAR per la Campania – sede di Napoli, sez. VI, 8 settembre 2017, n. 4322).

[56] Il problema ha da sempre interessato la dottrina amministrativista. In origine, il maggior coinvolgimento riguardava l’essenza stessa del diritto amministrativo, ossia il processo di progressiva emancipazione di un ordinamento di regole nascente, il cui studio doveva autonomizzarsi completamente dalle categorie del diritto privato. Queste erano le impostazioni di G. Vedel, Droit administratif, Parigi, 1973, pp. 57-58; O. Mayer, Droit administratif allemand, Parigi, 1905, p. 55 ss. e, successivamente di F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1960, p. 51 ss. Sul punto si confronti l’impostazione di V. Cerulli Irelli, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. Amm., 2003, 2, p. 217 ss.

[57] La categoria, storicamente, si fa risalire agli studi di O. Ranelletti, Per la distinzione degli atti d’imperio e di gestione, 1905, in E. Ferrari-B. Sordi (a cura di), Scritti giuridici scelti, vol. III, Gli atti amministrativi, Napoli, 1992, p. 686 ss.

[58] Sul punto si è espresso anche M.S. Giannini, (voce) Attività amministrativa, in Enc. Dir., vol. III, 1958, p. 994 ss. In giurisprudenza, si ritiene “ormai consolidato il principio in forza del quale normalmente l’amministrazione può eseguire i compiti istituzionali affidatile dall’or­dina­mento, tanto mediante l’uso di strumenti autoritativi, quanto attraverso l’applicazione di istituti di di­ritto comune. Ne deriva che, assai frequentemente, la finalità pubblicistica è presente in atti di diritto comune, che restano comunque disciplinati dalla normativa civilistica. Sotto altro profilo, è evidente che l’attività delle amministrazioni, anche se formalmente connotata da aspetti civilistici, deve sempre rispettare il generale criterio di adeguata tutela dell’interesse pubblico, senza per questo trasformarsi in attività di carattere autoritativo” Così, Cons. Stato, sez. V, sent. 1327/2000.

[59] Sul discusso spettro d’applicazione del comma 1-bis l. n. 241/1990, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, si confrontino: F. Liguori, L’attività non autoritativa tra diritto privato e diritto pubblico. A proposito del comma 1 bis, in AA.VV., Studi sul procedimento e sul provvedimento amministrativo, 2007, p. 20 ss.; G. Napolitano, L’attività amministrativa e il diritto privato, in Giorn. dir. amm., 2005, 5, p. 485 ss.; L. Iannotta, L’adozione di atti autoritativi secondo il diritto privato, in G. Clemente Di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005; A. Police, L’adozione di atti non autoritativi secondo il diritto privato, in G. Clemente Di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, cit., p. 139 ss.; A. Travi, Autoritatività e tutela giuridizionale: quali novità?, in Riforma della L. 241/1990 e processo amministrativo, in Il Foro amm. TAR, 2005, suppl. 6/05, p. 17 ss.; M. Atelli, Attività non autoritativa: largo al diritto privato, in Guida al diritto, 2005, 10, p. 49 ss.; V. Cerulli Irelli, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa (primo commento alla l. n. 15/05 recante modifiche e integrazione alla l. n. 241/90), in www.astridonline.it; N. Paolantonio, Art. 1, comma 1 bis, cit., spec. p. 105 ss.; e, più di recente, F. De Leonardis, I principi generali dell’attività amministrativa, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, 2016, p. 95 ss.

[60] Sul punto, per una prospettiva evolutiva, si rimanda a: G. Visentini, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e di diritto speciale, Milano, 1979; G. Rossi, Gli enti pubblici, Bologna, 1991; C. Ibba, Le società «legali», Torino, 1992; M. Renna, Le società per azioni in mano pubblica: il caso delle s.p.a. derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici ed aziende autonome statali, Torino, 1997; F. De Leonardis, Soggettività privata e azione amministrativa: cura dell’interesse generale e autonomia privata nei nuovi modelli di amministrazione, Padova, 2000; F. Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004; P. Pizza, Le società per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi modelli organizzativi, Milano, 2007; G. Gruner, Enti pubblici a struttura di Spa: Contributo allo studio delle società «legali» in mano pubblica di rilievo nazionale, Torino, 2009; D. Cosi, Enti pubblici. Organismi pubblici in forma privata, enti privati di rilievo pubblico, Roma, 2009; M.G. Della Scala, Società per azioni e Stato imprenditore, Napoli, 2012; R. Ursi, Società ad evidenza pubblica: la governance delle imprese partecipate da Regioni ed Enti locali, Napoli, 2013; S. Torricelli, I contratti tra privati come strumenti di regolazione pubblica, in G. Falcon-B. Marchetti (a cura di), Pubblico e privato nell’organizzazione e nell’azione amministrativa. Problemi e prospettive, Padova, 2013, p. 213 ss. e S. Pellizzari, Soggetti privati che esercitano funzioni procedimentali: i rapporti con l’organizzazione amministrativa tra pubblico e privato, in B. Marchetti (a cura di), Pubblico e privato. Oltre i confini dell’amministrazione tradizionale, Padova, 2013, p. 151 ss.

[61] Tanto che parte della dottrina ritiene che ormai la soggettività debba ritenersi esclusa dal catalogo degli elementi essenziali costitutivi il provvedimento. Cfr. B. Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, vol. III, Padova, 1993, p. 45; S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, VI ed., Milano, 2000, p. 342; F. Bassi, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 2003, p. 80, secondo cui il soggetto è un quid che sta al di fuori del provvedimento, divenendone la fonte in senso “atecnico o materiale”; G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, III ed., Torino, 2006, p. 225; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit., vol. II, p. 240, definisce la competenza e la legittimazione degli “pseudoelementi”, cioè fatti giuridici esterni alla fattispecie provvedimentale. B.G. Mattarella, Fortuna e decadenza dell’imperatività del provvedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubb., 2012, 1, p. 30, afferma: “Se c’è una costante nella teoria dell’atto e in quella del provvedimento amministrativo, per come si sono formate nel corso del Novecento, è la provenienza da una pubblica amministrazione: il provvedimento è un atto di diritto pubblico, in contrapposizione agli atti privati, in primo luogo perché proviene da un soggetto pubblico”. Si veda anche la ricostruzione di A. Lolli, L’atto amministrativo nell’ordinamento democratico. Studio sulla qualificazione giuridica, Milano, 2000, p. 253, secondo cui “il solo carattere unitario della categoria degli atti amministrativi, che possa far corrispondere alla locuzione unificante utilizzata dal legislatore (“atto amministrativo”) un significato parimenti unitario” sia il fatto che la disciplina “evidenzia nell’atto dell’amministrazione la specificità dell’apparato amministrativo, in quanto soggetto esponenziale dell’interesse pubblico”. Per una ricognizione completa sul tema, nonché per l’ampia bibliografia riportata, si veda R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 226 ss.

[62] Per un’analisi generale di questo complessivo fenomeno si rinvia a G. Napolitano, Pubblico e privato, cit., 75 ss.; ma cfr. altresì F. De Leonardis, Il concetto di organo indiretto: verso nuove ipotesi di applicazione dell’esercizio privato di funzioni pubbliche, in Dir. amm., 1995, 345 ss.; Id., Soggettività privata e azione amministrativa. Cura dell’interesse generale e autonomia privata nei nuovi modelli di amministrazione, Padova, 2000; F.G. Scoca, (voce) Attività amministrativa, cit., 108 ss.; A. Maltoni, Il conferimento di potestà pubbliche ai privati, Torino, 2005; C. Marzuoli, Note in punto di vizi dell’atto “amministrativo” del soggetto privato, in Studi in onore di Alberto Romano, Vol. I, Napoli, 2011, p. 542; N. Pecchioli, Soggetti privati ed esercizio di funzioni amministrative, in Studi in onore di Alberto Romano, cit., p. 649; E. Follieri, Il sindacato giurisdizionale sugli atti soggettivamente privati e oggettivamente amministrativi, in Giur. It., 2014, p. 1801 ss.; V. Cerulli Irelli, L’amministrazione “costituzionalizzata” e il diritto pubblico della proprietà e dell’impresa, Torino, 2019, p. 308, sostiene che nel caso di soggetti solo formalmente privati sia meno netta la distinzione tra perseguimento dell’interesse proprio e di quello pubblico.

[63] Si confronti in punto V. Cerulli Irelli, “Atti amministrativi” di soggetti privati e tutela giurisdizionale: a proposito della legge Merloni, nota a sent. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 1999, n. 295, in Giorn. dir. amm., 1999, p. 1062 ss.

[64] Sul punto cfr. riassuntivamente, B.G. Mattarella, Il provvedimento amministrativo: struttura del provvedimento, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, p. 303 e p. 859 ss.

[65] N. Paolantonio, sub Art. 7, in R. Garofoli-G. Ferrari (a cura di), Codice del processo amministrativo, 2010, p. 76 ss., spec. p. 85; in tema cfr. altresì A. Travi, La giurisdizione esclusiva prevista dagli artt. 33 e 34 d.leg. 31 marzo 1998, n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., 2004, 2594 ss. e M. Ramajoli, Le forme della giurisdizione: legittimità, esclusiva, merito, in B. Sassani-R. Villata (a cura di), Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, p. 151 ss.

[66] L’impostazione scelta dal giudicante è in linea con i precedenti che hanno affermato che il Gestore, pur avendo una veste formalmente privata, esercita funzioni pubblicistiche a garanzia di rilevanti interessi sia pubblici, sia privati, e, nell’esercizio di tali funzioni, le relative controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva. Si confrontino sez. un., ord. 10 aprile 2019, n. 10020 e ord. 13 dicembre 2017, n. 29922 (in Foro it., 2018, I, p. 532 ss.), ord. 27 aprile 2017, nn. 10409, 10410 e 10411, ord. 13 giugno 2017, n. 14653 (in Foro amm., 2018, p. 168 ss.).

[67] Si badi che, in passato, si era più volte affermata la giurisdizione del giudice ordinario, per esempio rispetto ai provvedimenti del Gestore della rete elettrica nazionale (GRTN, le cui funzioni sono poi state trasferite a Terna nel 2005, con la trasformazione del Gestore in GSE s.p.a.), per le controversie in materia di connessione alla rete elettrica, attività di cui si affermava pacificamente la natura vincolata. Cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 5 agosto 2013, n. 4091 (in Foro amm. – Cons. Stato, 2013, p. 2174), secondo cui “I gestori di rete, al fine dell’operazione di connessione, non eseguono la valutazione di interessi pubblici o la ponderazione di questi con interessi privati, ovvero esercitano un potere amministrativo, ma svolgono un’attività di riconduzione alla singola operazione di connessione di prescrizioni generali a contenuto tecnico, dettagliatamente definite dall’autorità per l’energia elettrica e il gas, condotta riscontrando l’og­gettiva sussistenza o meno delle condizioni preordinate, con l’obbligo della connessione in caso positivo e con il corrispondente titolo del produttore a che sia perciò eseguita; si tratta pertanto di soggetti che agiscono privatisticamente nell’esecuzione di una specifica operazione nel mercato elettrico (…); le relative controversie non rientrano perciò nella giurisdizione del giudice amministrativo poiché non vi si riscontra l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo (art. 7 c.p.a.) e perciò neppure lo svolgimento, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a. che individua le materie di giurisdizione esclusiva, di un procedimento amministrativo (…) ovvero, (…) riguardo alla vigilanza sull’esercizio di un servizio di pubblica utilità”.

Questa impostazione è stata di recente rivista da TAR Lazio, sez. III-ter, sent. 24 maggio 2017, n. 6206, che, all’esito della ricognizione del complessivo quadro normativo, ha affermato che sono da ricondurre all’art. 133, comma 1, lett. o), c.p.a. “tutte le procedure e tutti i provvedimenti che siano adottati da una pubblica amministrazione (e, quindi, inevitabilmente, anche dalle società concessionarie della distribuzione dell’energia, ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 79/1999) che abbiano attinenza con la materia della produzione di energia, purché ovviamente, secondo i consolidati approdi della giurisprudenza costituzionale (tracciati già dalla sent. n. 204/2004 della Consulta), sia comunque rinvenibile l’esercizio di un pubblico potere”, ivi compresi, pertanto, anche i provvedimenti con i quali le società concessionarie dell’attività di distribuzione accolgono o respingono le richieste di connessione, i quali – secondo il TAR – non sono privi di “risvolti per l’interesse pubblico”, posto che tali società concessionarie, sono chiamate a tutelare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, con un obbligo di connessione prioritaria alla rete degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e quindi “esse sono (…) destinatarie dell’obbligo di fornire ai produttori che chiedano il collegamento ‘soluzioni atte a favorirne l’accesso alla rete’ (art. 14, comma 3, d.lgs. n. 387/2003), peraltro ‘senza compromettere la continuità del servizio’ (art. 9, comma 1, d.lgs. n. 79/1999)”, emergendo pertanto “un delicato bilanciamento tra opposte esigenze pubblicistiche il quale, lungi dal poter essere soddisfatto da mere operazioni tecnico-economiche e confinate ai soli rapporti interprivati, richiede un intervento di regolazione in prima battuta (le norme tecniche dell’AEEGSI), e di attuazione in seconda battuta (gli atti del gestore che provvedono sulle richieste di connessione), che non appare esorbitare dall’eser­cizio di una pubblica potestà”.

[68] A. Camus, Le mythe de Sisyphe, Parigi, 1942, “L’absurde c’est la raison lucide qui constate ses limites”.

Fascicolo 1 - 2020